| | | Post: 2.374 | Registrato il: 26/01/2010
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Ricordo l’esordio di Andrea Maccarri di qualche anno addietro, La Fine, un piccolo prodotto che mi lasciò con una sensazione positiva. Una breve, tragica, ma a suo modo accattivante descrizione di come un particolare soggetto si stava rapportando alle sue ultime ore di vita.
Con il caso della belva del plenilunio di quest’anno, devo purtroppo ammettere che il regista ha tentato giustamente di realizzare un prodotto dotato di una durata maggiore, ma lo ha fatto sia a discapito del ritmo generale che della profondità dei contenuti, entrambe cose che, secondo il parere di chi scrive, ha portato alla creazione di un corto non particolarmente buono.
Siamo di fronte ad un prodotto in stile Found Footage, ossia quel genere di horror che simula il ritrovamento di materiale video veritiero.
Una piccola troupe locale stava andando ad intervistare il figlio vivente di un killer che negli anni ’70 era stato condannato per una serie di efferati omicidi, tanto da fargli guadagnare la nomea di Belva, con la credenza popolare che osava spingersi fino ad ipotesi di licantropia.
Considerando che all’inizio del video assistiamo ai rilievi della scientifica, con il rinvenimento della stessa videocamera, e che il corto si basa sulle voci di presunta licantropia del killer, possiamo dire che al 99% lo spettatore si aspetta per tutto il tempo che il finale in arrivo sarà proprio quello che in effetti arriverà, non c’è quasi nessun’altra opzione possibile, e ovviamente nessuna sorpresa quando la cosa accade.
A questo possiamo aggiungere che, per arrivare fino a tale ovvia conclusione, che potrei definire “scontata”, ci si impiega ben 25 minuti di dialoghi fittissimi.
Non posso purtroppo affermare che questa combinazione abbia dato vita ad una visione particolarmente interessante o godibile.
Tutto il parlato è anche in parte penalizzato da un audio non sempre all’altezza. Non credo che la cosa derivi dalla volontà di voler essere un Found Footage, perché comunque si parla di una troupe televisiva, che un microfono buono lo dovrebbe avere, ed invece la scelta di basare un intero corto su un’intervista, ma facendolo senza godere di un buon audio, la reputo molto azzardata.
Assistiamo all’alternanza di dialoghi che si sentono perfettamente, ad altri troppo bassi, troppo alti, rimbombanti, eccetera, e la cosa non accresce per niente la fruibilità di questa visione.
Questo corto in quanto Found Footage è stato fatto “piuttosto bene”, tutto sommato, in quanto sembra vero Found Footage. L’unico problema è che, giudicandolo coi parametri che userei per un qualsiasi altro prodotto, ha questi due difetti molto marcati, che sono un’eccessiva durata, che ci porta lentamente ad un finale davvero troppo telefonato. E secondo me sono due cose che non contribuiscono a creare un corto che funziona.
Mi dispiace poter suonare un tantino “duro”, ma l’onestà innanzitutto.
Passando ai pregi, si nota una gran buona cura dei dialoghi in fatto di stesura, con una trama che in fatto di credibilità potrebbe tranquillamente reggere una puntata del sabato dell’ottimo programma Un Giorno in Pretura. Notevole è anche la performance di Massimo Grazini, calato nel ruolo e convincente.
Non saprei neanche io come poter consigliare ad Andrea Maccarri di riproporsi nel caso volesse fare di nuovo un Found Footage (genere che non ha mai originato particolari capolavori secondo me) se non magari consigliargli di elaborare finali meno ovvii, di aggiungere un po’ di ritmo e non tutta la staticità di una “situazione immobile” come può essere un’intervista (di solito i Found Footage tendono ad essere parecchio movimentati) e provare a potenziare il reparto audio.
Un in bocca al lupo ad Andrea Maccarri che, se anche quest’oggi con questo particolare prodotto non è riuscito a convincere me, la cosa non significa assolutamente nulla.
Lodevole è già l’impegno che ci si mette a scendere in campo con una videocamera per raccontare una storia, e questo è stato fatto.
Credo si metta già in conto poi che non si possano sempre incontrare i gusti di tutti, e che gli incidenti di percorso capitano.
Andrà meglio la prossima volta.
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| | | Post: 273 | Registrato il: 23/05/2011
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La belva del plenilunio è un corto interessante, più complesso di quello che potrebbe sembrare a una prima visione, e che paga – nel bene e nel male – il pegno di ascriversi a un genere ben preciso, quello del mockumentary, anzi del Found Footage, che permette tanta libertà ma solo a chi sa muoversi con molta disinvoltura al suo interno. Altrimenti, il rischio che si corre, è quello di dare vita a un corto un po’ “telefonato”, nel quale appare subito chiaro che la trama vedrà dei malcapitati andare incontro a un barbaro destino per colpa di un cattivo “X”.
In generale questo “X” può essere più o meno subdorabile, e non è certo quello il problema: chi vede il film SA cosa bisogna aspettarsi da cose del genere, e lo guarda proprio perché DESIDERA immedesimarsi nella realtà fittizia dei protagonisti, vivere in maniera leggermente più “attiva” il film, e soprattutto perché brama credere che la storia sia vera, sia qualcosa di realmente accaduto, elemento che dona quel tot di brividi in più.
Credo che lo stesso concetto sia quello che ha visto il successo dei film porno cosiddetti “amatoriali”: la parte eccitante non è tanto sapere che qualcuno farà sesso con qualcun altro, bensì l’idea che le immagini che si vedono sono accadute davvero, girate da gente che quel sesso lo ha fatto realmente, con desiderio. In questo modo lo spettatore assume il ruolo di “guardone”, di tizio che spia nell’intimità di donne e uomini “veri”, “reali”, e non patinate pornostar; ed è questo il motivo che lo spinge a guardare con interesse maggiore una produzione tecnicamente raffazonata, con personaggi non certo bellissimi, e via dicendo.
Ovviamente, non vorrei certo paragonare Pleninunio a un porno, ma solo far capire quali sono gli ambiti nei quali ci muoviamo, e dunque con quali aspettative bisognerebbe cercare di vedere il film capendo se esse sono state rispettate o meno.
E lo sono state? Sì e no. Il corto, se da una parte ha dei grossi pregi, ha anche 2 piccoli difetti; uno di certo palese, ma l’altro non perfettamente giudicabile. Esaminiamo il tutto nelle righe che seguono.
Tra i vari pregi metterei sicuramente l’idea di fare un FF italiano; l’inizio interessante, quasi anni ’70, introduttivo nel modo giusto e concepito con una certa personalità; il protagonista, che riesce a tener banco per quasi 2° minuti grazie solo alle sue parole (non sempre perfette ma funzionali); l’inquietudine nel finale, non certo inaspettato ma ben costruito; ma soprattutto il tema del corto, che parla principalmente dell’odio della gente, della mancanza di carità cristiana nei confronti di chi è diverso o sta male, dell’odio, della rabbia, del disprezzo che la gente comune ha nei confronti dei malati, dei pazzi, di chi a volte fa del male ma perché vi è costretto, nell’indifferenza generale. Appare chiaro che questi temi interessano molto il nostro regista, che già nella sua opera precedente aveva auspicato una “fine del mondo” che cancellasse i molti peccati dell’umanità, ed ecco che in questa sua nuova opera, molto più ambiziosa e complesse dalla precedente, essi vengono esposti totalmente, risultando il vero centro del discorso.
Come ho detto, però, l’opera non è perfetta, ed è doveroso anche parlare dei suoi difetti. Per fare ciò però è necessario raccontare palesemente la storia, che si riduce a questo: giornalista va a intervistare il figlio di un assassino, accusato di essere un vero e proprio licantropo, omicida e squartatore di esseri umani, catturato e infine internato in un manicomio criminale tra lo sdegno della gente che lo voleva morto. Il figlio racconta dell’odio della gente nei loro confronti, ma nel finale ecco che egli stesso si trasforma in uomo lupo, uccidendo la giornalista venuta a intervistarlo e poi dandosi alla macchia.
Chiarito questo, i problemi ascrivibili al corto sono 2:
1.il fatto che esso si basi quasi esclusivamente sui dialoghi del protagonista e della giornalista (venti minuti buoni e abbastanza monocorde, a dire il vero)
2. il fatto che il finale, oltre che essere facilmente intuibile – MOLTO facilmente – pare rendere vani tutti i 20 minuti precedenti.
E’ così? Non lo è? Ora lo vediamo.
I DIALOGHI, è vero, sono infiniti e non sempre perfetti, a volte ripetitivi, didascalici e non sempre adatti. Sono di certo un elemento negativo, che rende il corto di difficile fruizione; ma difficile dire quanto questo sia “colpa” dell’autore o anche di un pubblico che è ormai abituato alla velocità, e vuole sempre tutto scodellato rapidamente. Questo perché, in fin dei conti, se uno si prende la briga di ascoltarli senza avere fretta, questi dialoghi svolgono bene il loro scopo, funzionano, e – tenteammenti a parte - hanno l’unico principale “difetto” di essere tanti. In definitiva, se si vuole essere apprezzati dal pubblico e rendere più fruibile il proprio corto è sicuramente necessario toglierli, io sono il primo a dirlo… anche per una questione di equilibrio narrativo, di strategie della tensione, di ritmo etc etc, ma ugualmente non me la sento di condannare al 100% una scelta personale come questa, della quale si percepisce l’obiettivo di comunicare in modo completo le proprie idee e di mostrare in modo realistico una lunga intervista.
Riguardo il FINALE: il protagonista si lamenta della gente che disprezza e odia… ma alla fine non solo egli è il figlio di un assassino seriale, crudele e spietato, ma anche un VERO lupo mannaro (quindi la gente aveva ragione a parlare di mostri!) che uccide a sua volta. Quindi, verrebbe da dire, di cosa si lamenta?
L’effetto è quello del figlio di Hitler che viene a lamentarsi degli ebrei falsi e malfidenti, tanto per fare un esempio un po’ azzardato, e a questo punto non si capisce bene la necessità di tale finale, che pare mandare in malora i lunghissimi 20 minuti di invettive.
Avrei accettato meglio un finale alternativo, tipo che i giornalisti in realtà erano fan dei serial killer che voglion dimostrare a tutti i costi che il padre dell’intervistato era un lupo mannaro, o che pretendono dei memorabilia, e che per fare questo ricorrono alla violenza e alla tortura, rivelando che i veri mostri sono loro… ma mi riesce molto più difficile accettare questo, in contraddizione con il tema del film. Tale finale pare quasi posticcio, attaccato a forza per far diventare horror una pellicola che non ne aveva l’intenzione, e voleva solo essere una forte critica sociale.
L’unica spiegazione che giustifichi questo finale è che in realtà non fosse il padre l’assassino, bensì il figlio, e che il padre si sia lasciato incastrare per proteggerlo (da qui l’odio verso i crudeli aguzzini del suo genitore), anche perché, se il babbo era davvero un uomo lupo, come mai non si è più trasformato da quando è stato rinchiuso nel manicomio criminale?
Oppure un’altra possibilità è quella che la maledizione sia interna alla famiglia, ma che i suoi membri si trasformino in lupi solo quando sono sotto forte stress (il padre aveva problemi legati al lavoro etc), quindi per cause indotte dalla società e non da loro. E che il figlio si trasformi in lupo proprio perché l’intervista lo ha fatto arrabbiare molto, al punto che ha deciso di vendicarsi contro gli ipocriti esseri umani un po’ come aveva fatto suo padre ai suoi tempi. Il figlio, in pratica, ragiona dicendo “voi che siete causa del nostro male ma non volete capirlo preferite pensarci semplici mostri? E allora lo saremo!”
Peccato che nulla all’interno del video ci aiuti a capire se le mie ipotesi sono vere.
In definitiva il corto è ammirevole per il tentativo, per l’argomento, per la critica e tutto sommato per la messa in scena, ma pecca un po’ di eccessiva verbosità, per alcune scelte visive non azzeccate (tra le quali l’audio ora buono ora meno… ma forse trattandosi di FF la cosa è giustificata), per una grossa mancanza di ritmo e per un finale molto intuibile e forse in palese contraddizione con le premesse. Più ritmo e più spiegazioni avrebbero sicuramente giovato; in ogni caso il tentativo è più che lodevole, e il merita perlomeno di essere guardato con attenzione.
A questo punto, sono curioso di vedere l’opera successiva.
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