merda d'artista (PieroManzoni)
“Martin” è davvero l’horror che fa male, che colpisce basso, sotto la cintura, e lascia addosso un potente senso di disagio… cosa che l’horror dovrebbe fare sempre, ma che spesso e volentieri NON fa, risultando frutto di compromessi o – in alcuni casi – un rassicurante buffetto su una guancia.
.
Ecco: “Martin” di rassicurante non ha nulla. La storia è tanto semplice quanto efficace, i contenuti sono assolutamente disturbanti (ma in senso buono, se si può dire così), e la messa in scena è di grande impatto.
.
“Martin”, in pratica, coi suoi tre minuti scarsi, è la dimostrazione che con uno straccio di idea funzionale, due personaggi, degli oggetti inquietanti e una lampadina blu si possono ottenere ENORMI risultati; e per dimostrarlo farò una cosa che faccio di rado: consiglio a tutti i lettori di questa recensione di smettere di leggere e vedersi subito il corto, per evitare SPOILER.
.
Fatto?
.
Bene.
.
“Martin” offre una prospettiva distorta e desolante dell’essere umano come ho visto di rado all’interno di questo concorso (e altrettanto di rado fuori di qui). Mette a nudo un bel po’ di cose brutte, e lo fa con una patina fredda adattissima al tema trattato.
.
Se dovessi azzardare un paragone, direi che l’uomo che raccoglie il suo “ingrediente” speciale per creare la droga di cui tutti sono golosi è una metafora dell’Artista e delle sue fantasie masturbatorie… quelle che diventano Arte, quelle che poi lui offre al pubblico in adorante attesa, anzi in frenetica, spasmodica attesa. E in questo senso è interessante anche l’ambivalenza con la quale Martin offre il suo prodotto ai fans/tossici: con rabbia, con odio, con disprezzo assoluto. Disprezzo per loro, che sono così abietti, che sono disposti a tutto pur di trovare la soddisfazione dei loro desideri… ma forse disprezzo anche per se stesso, che lungi dal vivere una vita di successi e di eccessi, è “costretto” a continuare a masturbarsi all’infinito – anche se forse lui per primo ne è stanco e schifato – perché se smettesse il pubblico non tornerebbe più da lui.
.
C’è estrema ambivalenza nel rapporto tra il tossico e lo spacciatore, ed è stato questo che mi ha fatto pensare alla metafora sull’Arte. Non so se ci ho colto, forse il regista potrebbe illuminarmi in proposito, ma in ogni caso il risultato finale rimane – per me – ottimo. Forse la stessa ambivalenza, il vedere all’interno di “Martin” qualcosa che nasce dal nostro ragionamento, da una nostra interpretazione, fa parte della metafora stessa. Chissà.
In ogni caso, ho trovato il corto davvero interessante, e con un contenuto sul quale c’è da riflettere e da discutere. Qui, cari amici, si scherza davvero poco.
.
Unica cosa che forse gli ha nuociuto è una regia un po’ semplice, una messa in scena un po’ artigianale per quanto riguarda le scene di esterni e nei dialoghi con il primo tossico. Una maggiore cura di quelle parti avrebbe tolto quella piccola patina di “amatoriale” che purtroppo stona un po’ in un corto come questo, che mi pare punti molto più in alto rispetto alle solite storie di fantasmi o zombie.
.
Non pretendo di essere nel giusto, non sono di certo infallibile, ma devo dire che la visione di questo corto mi ha davvero stupito, tanto che – ma guarda un po’! – finita la visione ho dovuto vederlo di nuovo… perché ne volevo ANCORA, compiendo forse la chiusura definitiva del cerchio che questo film ha iniziato. “Quot erat demostrandum”, avrebbero detto i latini.
E aggiungo che il tema mi ha ricordato l'artista italiano Manzoni, che molti anni fa inscatolò le sue feci e le mise in mostra - e in vendita - come "opera d'arte". Ecco, direi che con "Martin" siamo forse dalla stesse parti di Manzoni?
.
Regista, direi che la missione è compiuta. Ottimo lavoro.