Da quando ho iniziato a recensire questa edizione dello Short Horror Movie Award ho trovato quasi tutte pellicole derivative, e questa non fa eccezione. Del resto, l’intento del regista era proprio questo: fare una fan movie dedicato a Silent Hill.
Nel girare Fan Movie non c’è nulla di sbagliato. Ognuno di noi ha i suoi miti, e più li adora più grande è il suo desiderio di emularli in qualche modo: ci siamo passati tutti. E questo è appunto ciò che questo nostro regista ha fatto. Bravo.
Il problema, se un problema c’è, è però il fatto che in un concorso non è possibile tenere più di tanto in considerazione motivazioni quali il desiderio di emulazione, la giovane età, l’inesperienza o altre cose simili quando si tratta di dare un giudizio; ciò che va considerato è la “sostanza”; e ancora una volta devo ammettere che qui di sostanza ce n’è ben poca.
SH: LI mostra le solite scene girate con cognizione di causa…anzi no, con conoscenza tecnica, ma conoscenza che credo non nasca da un riflessione personale quanto da un’aderenza totale ai ritmi, alle scene, alla regia del videogioco, che peraltro conosco ben poco, mentre quello che avrei voluto vedere era un regista capace di mettere del suo in questo progetto, mettere una trama sensata, dei contenuti, e magari un po’ di personalità.
Partiamo dalla trama: assente ingiustificata. La nostra protagonista esordisce dicendo che era una ragazza come tante “prima che qualcuno uccidesse mio padre, da quel momento quel mondo così semplice (…) mi è crollato addosso, e tutti i miei incubi in quelle notti spaventose mi hanno portato qui…a Silent Hill.”
Segue lotta, alla fine della quale scopriamo di aver vissuto soltanto un altro incubo, dopo il quale la protagonista partirà finalmente per Silent Hill. E qui il film si chiude.
Chi ha ucciso il padre? Perché? E perché lei ha gli incubi? E perché proprio Silent Hill? Niente di questo ci viene spiegato, tanto che alla fine della visione la nostra impressione è di aver assistito semplicemente ad un prologo, o alla scena iniziale – appunto – di un videogioco.
Costa davvero così tanta fatica imbastire una trama che abbia un inizio, uno svolgimento ed una fine? Evidentemente questo non era tra gli intenti del nostro regista.
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Riguardo lo svolgimento, altre perplessità. Lungi da me criticare la mancanza di mezzi…l’autore ha fatto il possibile per non farlo notare, peraltro cavandosela bene con le inquadrature, i colpi di scena, il dosare la tensione etc etc. Eppure, nulla mi toglie dalla testa che di suo ci sia poco, e le scene siano mutuate pari pari dal videogioco. E come detto prima, se ha senso ripetere quando si sta emulando, la cosa non è vantaggiosa quando si deve essere giudicati. Non aiuta nemmeno il fatto che – credo – tutta la parte sonora sia stata prelevata di peso dal videogioco, dando un effetto di straniamento non molto piacevole.
Ambientazione: finta americana. Il problema è che non siamo in America, ma in Italia (si veda ad un certo punto, dietro la saracinesca, il posterino che annuncia un discorso di Vendola, l’11 marzo alle 11:30), e la cosa è faticosa da digerire. Come si fa a creare un’ambientazione quando tutto ciò che ti circonda ti fa pensare ad un’altra?
(e qui consiglio ai giovani registi: siamo in Italia, cerchiamo di fare un horror ambientato nel nostro paese invece di scimmiottare sempre e solo gli americani. Sfruttiamo quello che abbiamo; facendo l’opposto si rischia di soffrire sempre di inferiorità)
Svolgimento: da videogioco. La protagonista compare di colpo. Trova un’arma. Affronta una pazza. Poi ne affronta un’altra che compare alle sue spalle e (con mio rammarico) ne affronta una terza che compare di nuovo alle sue spalle. Le tre scene sono quasi del tutto identiche, soprattutto le ultime due. Tanto che la terza appare del tutto superflua. Che senso ha ripetere solo e soltanto la stessa scena? E anche i due indizi lasciati in giro non portano a nulla…forse approfondire quelli sarebbe stato più interessante. E se ad esempio sul finale si scoprisse che l’omicidio del padre non è ancora successo, e che sarà proprio la figlia, ammaliata dal richiamo di Silent Hill, ad ucciderlo prima di perdersi per sempre nelle nebbie della cittadina fantasma? Ecco: se non altro in questo modo il cortometraggio avrebbe avuto un senso, non limitandosi ad introdurre scene che non portano a nulla.
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Non c’è altro da dire. Come ho detto e ripetuto più di una volta, qualsiasi persona decida di staccare il proprio sedere dalla sedia per girare un corto, dando vita alle proprie fantasie, va comunque lodato a prescindere dai risultati; per cui anche qui un “Bravo” il nostro regista lo merita (e ripeto: la tecnica c’è, pur con tutti i limiti del caso. L’apparizione della terza infermiera, sebbene telefonata, mi ha sorpreso davvero!). Ma per il futuro ci attenderemmo qualcosa di più personale, con più contenuti, e possibilmente coerente e logico, tutti elementi che in Lost Innocence sono assenti, o presenti in dosi troppo minime per essere rilevanti.