00 23/08/2011 10:17
YOANI SANCHEZ

Ho provato un fremito di emozione quando ho saputo che Diana Nyad avrebbe tentato di attraversare a nuoto lo Stretto della Florida. Mi sono tornati alla memoria i giorni del 1994, durante i quali il mio quartiere di San Leopoldo brulicava di gente che costruiva zattere improvvisate per lanciarsi in mare. Ricordo specialmente un gruppo partito durante quel periodo in cui le autorità cubane rinunciarono a impedire le uscite illegali. Un’imbarcazione costruita con pezzi di legno, bidoni di plastica usati in funzione di salvagente, l’immagine della Vergine della Carità e una bandiera rattoppata che non si riusciva più a capire a quale nazione appartenesse. Ma la cosa più impressionante era che a bordo di quella fragile zattera erano saliti soltanto vecchi. C’era una signora con la pelle di un colore nerissimo che indossava un cappello multicolore, un vestito a fiori e sfoggiava un largo sorriso mentre ringraziava in spagnolo e in inglese i giovanotti che l’aiutavano a salpare.

Non ho mai saputo se quella debole spedizione sia giunta a destinazione, se quel gruppo di anziani disposto a ripartire da zero abbia avuto quella opportunità. Diciassette anni dopo, mi giunge la notizia che una nordamericana vuole tentare di compiere lo stesso tragitto, ma questa volta protetta da una tuta da sub, un paio di kayak e con il supporto di un’equipe medica. Il suo lodevole intento è quello di mettere in evidenza la vicinanza tra questa Isola del Caribe e il Nord America, favorire la conciliazione tra le due sponde. Ma lo Stretto della Florida fa anche parte del nostro cimitero nazionale, del burrascoso camposanto dove riposano migliaia di compatrioti. L’atleta ha omesso di citare una caratteristica molto importante e questa cosa non mi è piaciuta per niente. Neppure il fatto che con la sua impresa nautica verrà messo in risalto il ventesimo anniversario di un club esclusivo come la Marina Hemingway, dove ancora oggi un cubano non può salire su un’imbarcazione né entrare - con la propria barca - per sfruttare un lussuoso attracco. Avrei preferito veder nuotare nelle correnti del Golfo qualcuno disposto a dichiarare di conoscere il dolore contenuto in quelle acque e che avesse dedicato il suo gesto al “balsero sconosciuto”, morto sbranato da uno dei tanti squali. Quando nella giornata di oggi, martedì, sono venuta a sapere che dopo 29 ore di sforzo la nuotatrice non era riuscita a centrare il suo obiettivo, ho visto confermate le mie superstizioni.

Certi spazi, ho pensato, hanno bisogno di qualcosa in più rispetto alle bracciate e ai record sportivi per sembrare meno tristi. La televisione ufficiale ha detto sinteticamente che “erano sorti ostacoli insuperabili, tra questi i venti che soffiavano a una velocità superiore ai 20 chilometri orari”. Posso immaginare Diana mentre lotta tra le onde, il sole che picchia forte sulla sua testa e un mare molto salato che le bagna la bocca. Vado oltre, intuisco l’inspiegabile dettaglio di un cappello, di un colorato copricapo femminile che è passato vicino a lei facendole credere di essere in preda al delirio in mezzo allo Stretto della Florida.

Traduzione di Gordiano Lupi