Basileia Total War Italia Team

La decisione di Carlo V

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 21/02/2011 10:09
    un'eredità che ha cambiato la storia.
    Anche se si suppone a ragione che Carlo V stesse già da tempo meditando sulla sua successione, è all'epoca del Trattato di Passau che si fa risalire la decisione di Carlo V di dividere i suoi domini tra il figlio ed il fratello. La decisione di dare alcuni possedimenti all'uno invece che all'altro sarà gravida di conseguenze per la storia d'Europa.

    Ipotizziamo dunque un momento che Carlo decida per una ripartizione leggermente diversa dei suoi possedimenti, in questo modo:

    al figlio Filippo II: Regno di Spagna, Napoli, Sicilia e Sardegna, Americhe

    al fratello Ferdinando I: Sacro Romano Impero, Boemia, Austria, Ungheria, Fiandre, Franca Contea, Milano

    chi se la sente di ipotizzare i futuri cambiamenti dello scenario europeo (e forse mondiale) originati da questa "piccola" differenza?
    [Modificato da Xostantinou 21/02/2011 12:19]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 21/02/2011 15:19
    Nel 1554, Filippo II sposa a Winchester Maria I Tudor, ma, sul consiglio del padre, non assume la corona di Re d'Inghilterra, rimanendo unicamente consorte, così come Maria non assume la corona di Regina di Spagna. L'accordo matrimoniale tranquillizza una piccola parte della nobiltà inglese, anche se i più lungimiranti sanno bene che l'unione effettiva si avrà non appena nascerà l'erede al trono, che sarà destinato ad unire nella sua persona entrambe le corone.

    Alle prime avvisaglie di ripresa del conflitto con la Francia, Carlo V abdica, lasciando ufficialmente l'italia meridionale, la Spagna e le sue colonie americane a Filippo II, che il 16 gennaio a Madrid viene incoronato Re di Spagna, Sicilia, Napoli, del Perù, della Nuova Spagna e delle Filippine; mentre il fratello Ferdinando I il 15 marzo a Vienna viene incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero e Duca di Milano e delle Fiandre, titoli che si vanno ad aggiungere a quelli già posseduti di Arciduca d'Austria e Re di Boemia, Ungheria e Transilvania.

    Il Re di Francia Enrico II, dopo un'iniziale esitazione (nella nostra TL l'assenza di "scossoni politici" permetté a Francesco Duca di Guisa di respingere gli imperiali a Renty, annullando l'assedio di Metz) prosegue la guerra contro il Sacro Romano Impero, Filippo II, preoccupato per la situazione in Inghilterra, decide di ritirarsi dal conflitto contro la Francia e lascia che sia lo zio a vedersela con i francesi.

    Ferdinando I, grande riformatore ed innovatore in termini di burocrazia ed amministrazione, è, a differenza del fratello e del nipote, un cattolico moderato, fautore di politica tollerante e di riconciliazione religiosa, favorevole al colloquio tra cattolici e protestanti. Questo cambio di rotta ammorbidisce le posizioni di molti nobili tedeschi e fiamminghi, grazie anche alla chiamata al governo delle Fiandre di Margherita d'Austria, Duchessa di Parma e Piacenza, figlia naturale di Carlo V e pedina importantissima per il governo Asburgico in italia centrale. A Margherita viene affidata l'educazione del fratellastro, Don Giovanni d'Austria, coetaneo del figlio Alessandro.

    Siena chiama l'intervento francese in italia, ma il 2 agosto l'esercito franco-senese è battuto a Marciano dalle truppe imperiali e ducali, Siena cade e viene incorporata nel ducato mediceo.

    1555. Mentre Ferdinando I, confidando nell'armistizio con gli Ottomani, lanciava una controffensiva in Lorena con l'obiettivo di riprendere l'importante piazzaforte confinaria di Metz, e nelle Fiandre, respingendo francesi e ribelli presso Tournai, Filippo II firma a Tolosa la pace con la Francia, e si dedica con vigore alla pacificazione ed all'affermazione del cattolicesimo nel Regno d'Inghilterra.

    Maria dà alla luce un figlio, Don Ferdinando, che in Inghilterra è Ferdinando Principe di Galles, possibile erede alla corona Inglese.

    Ferdinando I ratifica ad Augusta gli accordi di Passau, viene introdotta la regola del "cuius regio, eius religio", che esclude però tutti i movimenti, come i calvinisti, staccatisi dal luteranesimo. I principi luterani ratificano lo scioglimento della Lega di Smalcalda, decretata già con la capitolazione di Wittenberg nel 1547.

    1556. Con il Trattato di Vaucelles, Ferdinando I cede ad Enrico II la Franca Contea e le città di Toul e Verdun, ma ottiene in cambio la restituzione di Metz. Ma entro la fine dell'anno, sostenuto da Papa Paolo VI Carafa, ostile agli Asburgo, Enrico II riprende la guerra nelle fiandre.

    1557. Nonostante una manovra che vedeva l'impero attaccato su tre fronti (la Lorena, le Fiandre ed il nord italia, con l'occupazione del piemonte da parte francese e l'invasione del Ducato di Parma da parte delle truppe pontificie), l'esercito imperiale, comandato dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia, batte i francesi a Sanint-Quentin, alle porte delle fiandre. L'esercito francese subisce una rovinosa sconfitta ed Enrico II è costretto a firmare la pace di Cateau-Cambrésis, nella quale la Francia ratificava l'assetto territoriale deciso a Vaucelles, inoltre si impegnava a restituire la Corsica alla Repubblica di Genova, ed il Piemonte, la Savoia ed il Marchesato di Saluzzo al Duca di Savoia. Alla Francia rimanevano Metz e la Franca Contea.
    I Ducati di Parma, Modena e Mantova diventavano dei vassalli imperiali, mentre la Repubblica di Genova ed il Granducato di Toscana, anche se nominalmente indipendenti, era alleati di fatto dipendenti da un punto di vista militare.
    Il Papato, vedendo il crescere dei movimenti protestanti chiamati "Ugonotti" all'interno della Francia stessa, vide come alleato naturale il blocco Anglo-Spagnolo, governati da sovrani ultra cattolici, per gli stessi obiettivi in campo controriformistico.
    La Francia da questo momento inizierà a soffrire gravemente per la diffusione del protestantesimo, che aveva sempre caldeggiato all'estero in funzione anti-asburgica, in patria.

    1558. Muore di tumore Maria I Tudor, l'erede al trono, il piccolo Ferdinando, ha solo tre anni e la reggenza viene assunta dal padre Filippo. Scoppiano violente rivolte anti-cattoliche ed anti-asburgiche nel paese.
    Filippo può contare sull'appoggio dell'Irlanda e della Scozia, da sempre avverse all'Inghilterra anglicana. Per rompere la secolare alleanza tra Scozia e Francia, Filippo riesce, grazie a fortissime pressioni diplomatiche, ad ottenere lo scioglimento della promessa matrimoniale tra Maria Stuart ed il Delfino di Francia Francesco II, ed a combinare il matrimonio tra Maria Stuart ed il figlio Don Carlos, erede al trono spagnolo, grazie alla convergenza d'interessi cattolici ostili ad un sovrano protestante sul trono inglese. (nella nostra TL la Scozia è troppo legata alla Francia, nemica della Spagna, per preferire gli Stuart alla protestante Elisabetta I). Convergenza ora molto più importante e prioritaria per la Scozia in quanto la Spagna si è ritirata dal conflitto con la Francia. Enrico II deve piegarsi alle richieste della Scozia e del Papa, anche perché il dilagare degli Ugonotti in patria non gli permette di certo di aprire una nuova guerra anche con un'eventuale Inghilterra protestante.
    Come contraccambio, Filippo II si fidanza con la figlia di Enrico II, Elisabetta di Valois, e si impegna a cedere la città di Calais, ultimo possedimento inglese su suolo francese, alla Francia.
    Nel frattempo, invia Don Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel, Duca d'Alba, in Inghilterra con pieni poteri, per reprimere le rivolte protestanti, alla guida di un contingente di 25.000 uomini scortati dalla flotta agli ordini del Marchese di Santa Cruz.

    1558-1559. Dilagano le guerre di religione in Inghilterra. Da una parte ci sono i protestanti inglesi, stretti attorno alla figura di Elisabetta Tudor, e scozzesi, legati a Lord James Stewart, I Conte di Moray ed al predicatore calvinista John Knox; dall'altra ci sono i cattolici, capitanati da Filippo II e dal Duca d'Alba, al quale si aggiungono gli irlandesi, gli scozzesi di Maria Stuart, del cugino Henry Stuart, Lord Darnley, e del capo della fazione cattolica scozzese, Lord Huntly, ed infine un contingente religioso e militare inviato dal Papa, composto principalmente da Domenicani e Gesuiti, questi ultimi particolarmente legati alla corona spagnola, affiancati da soldati e con l'espresso compito di stanare, processare ed estirpare gli eretici dal regno inglese, guidati dal Grande Inquisitore domenicano Card. Michele Ghislieri.
    [Modificato da Xostantinou 23/02/2011 15:50]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 23/02/2011 12:39
    1559. Le truppe protestanti di Lord Robert Dudley, Conte di Leicester, rinforzate dagli scozzesi di Lord Giacomo Stewart, I Conte di Moray, battono prima le truppe scozzesi di Lord Huntly a Carberry Hill, e poche settimane dopo quelle di Lord Darnley presso Langside.
    Le due vittorie però sono alquanto inutili in quanto Elisabetta, a York, fa richiamare con urgenza il Leicester allarmata dall'avanzata da Londra dell'Armada spagnola del Duca d'Alba.
    Gerald FitzGerald, 14th Earl di Desmond e leader dei cattolici irlandesi, sbarca con le proprie truppe in Galles, protetto dalla flotta spagnola, e marcia verso Shrewsbury, dove programma di unirsi all'armada del Duca d'Alba.

    Le truppe protestanti, alle quali si sono unite anche le forze scozzesi di Lord James Hepburn, IV Conte di Bothwell, e di Lord George Talbot, VI conte di Shrewsbury, che, vedendo le proprie terre direttamente minacciate dall'avanzata spagnola, preferisce ripiegare verso York e congiungersi all'esercito del Leicester, che sta scendendo a marce forzate dal nord.

    Inaspettatamente, alla causa cattolica si unisce anche Lord Thomas Howard, IV duca di Norfolk, che si pone alla guida della fazione cattolica inglese, favorevole all'ascesa al trono di Maria Stuart.

    Le due armate si scontrano presso Barnsley, nello Yorkshire, il 28 febbraio 1559.

    Lord Dudley suddivide lo schieramento inglese in tre tronconi: alla sua destra pone gli scozzesi di Lord Hepburn, alla sinistra gli altri scozzesi di Giacomo Stewart, lui occupa l'ampio centro con il grosso delle truppe inglesi mentre, per precauzione, Lord Talbot è assegnato alla retroguardia, per meglio controllare eventuali mosse false degli alleati scozzesi.

    Il Duca d'Alba opta per una soluzione diversa: al fianco sinistro schiera gli irlandesi di FitzGerald, ma il resto dello schieramento lo occupa lui stesso al comando dei tercios, intervallati nello schieramento da postazioni di artiglieria. Gli inglesi del Norfolk, con grande azzardo, li pone come riserva.

    La superiorità numerica e la maggior abilità nell'uso delle armi da fuoco spagnoli mettono da subito in difficoltà gli inglesi del centro e della destra, mentre gli scozzesi di Lord Hepburn sembrano prevalere sugli irlandesi. Lord Dudley, intravedendo la possibilità di una breccia sul fianco protetto dagli irlandesi, ordina a Lord Talbot di raggiungere con le sue truppe gli scozzesi del Bothwell.
    A quel punto, il Duca d'Alba ordina al Norfolk di colpire il fianco sinistro anglo-scozzese dello Stewart.
    L'assalto del Norfolk getta nel panico l'ala sinistra protestante, che ripiega con scarso ordine verso il centro. Nel mezzo del caos, tentando di ripristinare l'ordine, il Leicester viene colpito da un colpo di moschetto che gli sfonda la corazza e viene trasportato a braccia lontano dalla battaglia. Caduto il comandante generale, anche il centro ora inizia a cedere e ben presto l'ala destra del Bothwell è l'unica ancora in grado di combattere, ma l'arrivo delle truppe del Norfolk e del Duca d'Alba pongono rapidamente termine alla loro disperata resistenza. Lo Shrewsbury, secondo in comando dopo il Leicester, si arrende, nonostante le proteste del Bothwell.

    Giacomo Stewart, Lord Hepburn e Lord Talbot sono presi prigionieri, Lord Dudley, ferito gravemente, muore pochi giorni dopo la battaglia.
    Mentre l'armata cattolica avanza verso York, giunge notizia che Lord Huntly e Lord Darnley, riorganizzate le forze, hanno messo sotto assedio la stessa York, difesa da Lord William Knollys, I Conte di Banbury, e dalla stessa Elisabetta.

    Il Duca d'Alba, dopo aver congedato l'armata irlandese, si dirige a nord, affiancato dal Norfolk. Entro la fine dell'estate York capitola, dopo mesi di fame e malattia. Durante l'ultimo assalto, Lord Darnley rimane ucciso.

    Lord James Stewart, Lord James Hepburn, Lord George Talbot, Lord William Knollys e la stessa Elisabetta, vengono condotti in catene a Londra, dove li attende il Re Filippo II in persona, affiancato dal Card. Ghislieri.
    Lord Talbot è l'unico a chiedere perdono ed a presentare formale sottomissione a Sua Maestà, e disposto ad abiurare l'eresia protestante per tornare alla fede cattolica. Filippo accetta la sua sottomissione, ma affida il verdetto finale su di lui e dello stesso Norfolk, che ufficialmente è ancora considerato protestante, al giudizio del Cardinale.
    La pronta e sincera abiura del protestantesimo ed il ritorno al cattolicesimo convincono il Card. Ghislieri a graziarli ed a suggerire a Filippo il loro reintegro nei propri titoli e funzioni.
    Stewart, Hepburn, Knollys ed Elisabetta vengono decapitati.
    Il predicatore calvinista John Knox, catturato durante l'assedio di York, viene arso vivo sul rogo.
    [Modificato da Xostantinou 23/02/2011 16:04]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 11/03/2011 16:49
    1560. Calvinisti e Luterani, in fuga dall'Inghilterra, si rifugiano in Francia.
    Carlo IX succede a Francesco II, morto molto giovane, ma data la sua età il governo è retto dalla madre, Caterina de' Medici.
    La politica moderata e tollerante degli Asburgo d'Austria affianco alla brutale estirpazione dei capi del protestantesimo in Inghilterra iniziano a ritorcere contro la stessa Francia la politica di sovvenzione attiva dei luterani. Non passerà molto tempo prima che la cattolicissima Francia da alleata dei protestanti in casa d'altri diventi una feroce persecutrice dei protestanti in casa propria.

    1561. Caterina de' Medici promulga l'Editto di Orleans, con il quale decreta la tolleranza verso gli ugonotti, a cui aderivano molti membri della nobiltà e della borghesia.

    1562. All'Editto di Orleans fa seguito l'Editto di St. Germain: viene sancito il riconoscimento degli ugonotti, ai quali viene data libertà di riunirsi solo fuori delle città e di celebrare i riti religiosi solo nelle case private.
    Iniziano a farsi più frequenti i tumulti in Francia, fino a quando, nell'estate dello stesso anno, un gruppo di ugonotti viene massacrato durante una funzione religiosa dai seguaci del duca di Guisa. E' la Strage di Vassy, ed è la scintilla che innesca la guerra civile in Francia.

    Filippo II approfitta della coreggenza su Spagna ed Inghilterra per sviluppare, grazie alle esperienze congiunte dei maestri spagnoli ed inglesi, un'enorme flotta oceanica, con la quale intensificare la presenza imperiale nel Nuovo Mondo.

    1563. Francesco, duca di Guisa, viene assassinato da un ugonotto mentre assedia Orléans. La guerra diventa sempre più drammatica e molti protestanti di origine inglese si rifugiano nelle città di Calais e Le Havre, ancora sotto la sovranità inglese. Le armate cattoliche di Francia marciano sulle città inglesi.
    Filippo II ottiene la cessione delle due città inglesi alla Francia in cambio di un'indennità di 7,5 milioni di sovrane.
    Le Havre e Calais, assediate per terra dai francesi e bloccate sul mare dalla flotta anglospagnola, cadono entro l'estate.
    Viene siglata la Pace di Amboise. Negoziata tra il Principe di Condé ed il maresciallo di Francia Anne de Montmorency, concede agli ugonotti, specialmente a quelli di nobili natali, una limitata tolleranza.

    1564-1565. Massimiliano II diventa Imperatore del Sacro Romano Impero, alla morte del padre Ferdinando I.
    Mentre, dall'altra parte del mondo, Miguel Lopez de Legazpi scopre in nome di Filippo II le Filippine, così battezzate in suo onore, i coloni francesi abbandonano Charlesfort, primo tentativo francese di colonizzazione del Nuovo Mondo, e si ritirano a Fort Caroline, in Florida, e i portoghesi fondano la città di São Paulo, in Brasile, l'Impero Ottomano risponde alle provocazioni dell'Ordine degli Ospitalieri ed attacca Malta con una poderosa flotta.

    L'imponente flotta turca, che partì da Costantinopoli nel mese di marzo, fu avvistata a Malta all'alba di venerdì 18 maggio, ma non sbarcò immediatamente; costeggiò l'isola ed infine approdò nel porto di Marsa Scirocco, a circa 10 km dal Gran Porto. Tra il capo delle forze terrestri, il visir Lala Kara Mustafa Pascià, e l'ammiraglio Piyale Paşa, ci furono alcuni dissensi. Piyale era dell'idea di mettere al sicuro la sua flotta dai venti del Mediterraneo nel Grande Porto, e perciò propose di attaccare la base fortificata, Mustafa preferiva invece tentare l'attacco alla vecchia capitale, Medina, che era situata al centro dell'isola, per poi attaccare via terra i forti San Michele e Sant'Angelo. Alla fine la spuntò Piyale, convincendo i suoi compagni che i cavalieri a Sant'Elmo avrebbero resistito solamente un paio di giorni. Così, il giorno 24 maggio, posizionò intorno al piccolo forte 21 batterie di cannoni per cominciare subito i bombardamenti.
    Certamente Solimano commise un grave errore a distribuire il comando tra Piyale e Mustafà, anche se il comando generale spettava a Dragut, che però arrivò a operazioni già iniziate poiché la sua nave era incappata in una tempesta. Egli, non appena giunse a Malta, disapprovò la scelta di Piyale, ma ritenne disonorevole interrompere l'attacco già iniziato.
    Il forte Sant'Elmo era difeso da circa 100 cavalieri e 500 miliziani ai quali la Valette aveva ordinato di lottare fino alla fine, cercando di resistere fino a quando non sarebbero arrivati i rinforzi promessi da García Álvarez de Toledo y Osorio, viceré di Sicilia.
    Il pesante bombardamento ridusse il forte in macerie in meno di una settimana, ma la Valette, e i cavalieri degli altri due forti, rimpiazzarono i feriti con truppe fresche e ripararono la fortezza di notte passando per un sentiero nascosto. Il forte, nonostante gli incessanti bombardamenti, continuò a resistere con i cavalieri annidati tra le macerie.
    La mattina del 3 giugno i giannizzeri scagliarono un attacco contro le mura, urlando e sparando all'impazzata anche favoriti dalle massicce dosi di hashish loro distribuite prima della battaglia. Per scalare le mura vennero utilizzate scale e corde mentre i cavalieri rovesciarono il fuoco greco sugli assalitori che in pochi istanti si trasformarono in torce umane. I superstiti che raggiunsero la cima si trovarono davanti i cavalieri dell'ordine: uomini interamente ricoperti di ferro, armati di spade e lance, che avevano dedicato la loro vita all'addestramento militare e alla preghiera. Né i fendenti di scimitarra, né le frecce, penetrarono le corazze; solamente un colpo di archibugio sparato a bruciapelo poteva provocare danni, ma i turchi ne disponevano di pochi; infatti, a parte i giannizzeri, i soldati erano equipaggiati alla leggera e con indosso solamente un corpetto corazzato. A mezzogiorno i turchi si ritirarono lasciando sul campo 2.000 morti; i cavalieri che persero la vita in questo scontro furono solamente 10 mentre 70 furono le vittime tra i miliziani.
    I bombardamenti continuarono per giorni, alternati da massicci assalti dei giannizzeri sempre respinti. I soldati dei rispettivi eserciti si massacrarono a vicenda, convinti che se la morte li avesse colti durante la battaglia avrebbero ottenuto la ricompensa: agli ottomani era promesso il paradiso delle Huri, ai cavalieri era concessa l'indulgenza plenaria da Papa Paolo IV.
    L'8 giugno i cavalieri, stremati dagli incessanti bombardamenti (6.000 palle di cannone sparate al giorno), inviarono un messaggio al Gran Maestro, in cui si chiedeva l'autorizzazione a morire con la spada in pugno facendo una sortita nel campo nemico. In risposta, il Gran Maestro disse che se i Cavalieri dovevano morire allora era meglio che morissero nel modo in cui lui aveva ordinato: «sacrificando le nostre vite una ad una, faremo guadagnare tempo all'Europa e alla Cristianità». Anche se ridotta allo stremo, la guarnigione resistette, respingendo numerosi assalti del nemico e ritardando la caduta della fortezza.
    Il 18 giugno Sant'Elmo era ormai un cumulo di macerie.
    Mustafà e Dragut si spinsero su una collina per assistere all'ennesimo assalto. Ma quel giorno accadde l'imprevedibile. L'artigliere piemontese Antonio Grugno, attirato dalle bandiere dai colori sgargianti dei due comandanti, prese il suo cannone, mirò e fece fuoco su di loro. La palla di cannone centrò in pieno il comandante dei giannizzeri e una scheggia si infilò nell'occhio destro di Dragut.
    Il vecchio pirata morìà cinque giorni dopo, appena saputa la notizia della caduta del forte.
    Il 23 giugno i turchi riuscirono a prendere ciò che era rimasto del forte di Sant'Elmo, vendicandosi sui prigionieri: massacrarono i cavalieri catturati, crocifissero i loro corpi a tavole di legno e li spinsero sulle acque del porto verso le posizioni dei cavalieri piazzati negli altri due forti. La Valette ordinò una risposta dello stesso tenore: tutti i prigionieri turchi furono decapitati e le loro teste sparate dai cannoni verso il campo nemico.
    Ora che i turchi avevano vinto, la flotta di Piyale gettò l'ancora nel porto. L'assedio del forte Sant'Elmo per la parte turca non ebbe meno di 6.000 vittime, tra cui la metà dei suoi migliori soldati, i giannizzeri. Piyale stesso era stato ferito alla testa. Mustafà comprese il suo errore strategico, il forte Sant'Elmo era stato conquistato ad un prezzo troppo caro. Guardando verso il forte Sant'Angelo ancora intatto con i cannoni tuonanti, gridò: «Allah! Se un figlio così piccolo è costato tanto caro, quale prezzo dovremo pagare per un padre così grande?».
    Intanto la notizia dell'assedio si era diffusa nel continente provocando il panico. Non vi era alcun dubbio che il risultato dell'assedio di Malta sarebbe stato drammatico e che il suo esito avrebbe potuto decidere la lotta tra l'Impero ottomano e l'Europa cristiana. Una volta presa l'isola, i turchi avrebbero invaso l'Italia da sud pur continuando la conquista dell'Ungheria e della penisola balcanica: l'Europa occidentale si sarebbe ritrovata in una morsa letale.
    Filippo, nonostante le suppliche e le minacce di Papa Paolo IV, sembrava completamente assorto dai propri impegni in terra britannica ed oltre oceano.
    Per questo motivo il genovese Gianandrea Doria venne posto a capo di una spedizione di salvataggio, il "Gran Soccorso", che comprendeva galee di tutti gli stati mediterranei ad eccezione di Francia e Venezia, che non parteciparono per paura di guastare i loro rapporti commerciali e politici con l'Impero ottomano, e della Spagna.
    Inoltre, Filippo II ordinò esplicitamente al viceré di Sicilia, García Álvarez de Toledo y Osorio, di non impegnare le sue galee: il ricordo della sconfitta a Gerba era ancora vivo nel "Re prudente".
    Tuttavia García era angosciato da un terribile dilemma: il suo spirito di soldato lo spingeva a partire immediatamente con le sue galee alla volta di Malta (anche perché suo figlio militava tra le truppe maltesi), ma gli ordini di Madrid lo trattenevano.
    Così alcuni ardimentosi cominciarono a violare il blocco navale turco per portare viveri e rinforzi agli assediati. In pieno giorno, una barca a remi diretta verso il Gran Porto fu colpita da una cannonata turca ed un comandante dell'Ordine, un tale Salvago, ed il capitano spagnolo Miranda, raggiunsero la costa a nuoto e si unirono agli assediati. In un'altra occasione una galera siciliana riuscì a scappare da sette galee nemiche mentre cercava di approdare.
    Un rinforzo di 600 uomini comandati da Enrique de la Valette, nipote del Gran Maestro, non riuscì a raggiungere la costa e fu costretta a fuggire. Dopo altri due tentativi falliti, il 28 giugno raggiunse Malta un consistente numero di rinforzi: circa 600 uomini su quattro galere sotto il comando di Juan de Cardona, inviate dal viceré di Sicilia. Ciò provocò un enorme aumento del morale. Questa piccola guarnigione comprese una compagnia spagnola d'élite, 150 cavalieri e molti volontari, inclusi i fratelli del duca di Infantado e il Conte di Monteagudo, comandati da don Melchor de Robles. Il successo si deve ad un singolo soldato, Juan Martinez di Luvenia, che appena sbarcato si occupò di segnalare la presenza o l'assenza delle navi nemiche con un falò.
    Infine partecipò ai rinforzi anche il Ducato di Savoia che organizzò una spedizione, chiamata "Piccolo Soccorso", guidata dal genovese Andrea Provana di Leinì. Il gruppetto di galee riuscì avventurosamente a superare il blocco navale e a sbarcare un gruppo di volontari e alcune casse di viveri prima di riprendere il largo.
    Con Piyale ferito, Mustafà suddivise le forze in tre gruppi: uno avrebbe attaccato Birgu e Medina (i due borghi dell'isola), e gli altri due i forti rimanenti. Furono costruite 100 piccole imbarcazioni nel Gran Porto, con l'intenzione di lanciare un attacco anfibio contro il promontorio di Senglea, mentre i pirati attaccavano il forte San Michele. Fortunatamente per i maltesi, un disertore turco mise in guardia la Valette dell'imminente operazione ed il Gran Maestro ebbe il tempo di costruire un recinto e sbarramenti sottomarini. L'attacco ebbe luogo il 15 luglio: alcune navi turche si schiantarono contro le palizzate mentre altre finirono intrappolate nelle catene disseminate lungo la riva. Quando i turchi tentarono di distruggere le difese in mare furono aggrediti dai nuotatori maltesi che ingaggiarono un violento corpo a corpo. Quel giorno non furono fatti prigionieri e ai turchi che si arresero venne tagliata la gola al grido di «Per vendicare Sant'Elmo!». Anche l'azione dei pirati fallì. Infatti una decina di vascelli carichi di gianizzeri arrivò a portata di una batteria di cannoni del comandante de Guiral, ai piedi del forte Sant'Angelo. Dopo poche salve nove barche affondarono trascinando con sé gli equipaggi.
    Nel frattempo, i turchi avevano circondato Birgu e Medina e, con i loro 64 pezzi d'assedio, il 2 agosto le due città furono oggetto del più duro bombardamento che avesse mai avuto luogo nella storia.
    Venne quindi lanciato il segnale d'attacco e gli assedianti si scagliarono contro ciò che rimaneva delle mura; lo scontro durò per sei ore ma alla fine furono respinti.
    Il 7 agosto Mustafà ordinò due massicci attacchi simultanei contro forte San Miguel e contro la cittadella di Birgu. Mentre i turchi si avvicinarono alle mura, il Gran Maestro la Vallette decise di effettuare un'improvvisa sortita contro gli assedianti.
    Il Gran Maestro si rivolse ai suoi uomini con queste parole: «Sono certo che se io cadrò, ciascuno di voi sarà in grado di prendere il mio posto e di continuare a combattere per l'onore dell'Ordine e per amore della nostra Santa Chiesa. Signori cavalieri. Andiamo a morire che è giunto il nostro giorno!»
    I cavalieri piombarono nello schieramento turco interamente ricoperti di ferro, menando colpi con il pesante spadone a due mani provocando il caos nello schieramento avversario. Lo scontro infuriò per nove ore fin quando i turchi non si ritirarono. A questo punto Mustafà, pensando che i cavalieri avessero ricevuto rinforzi, decise che da quel momento in poi avrebbe affidato il compito di continuare l'assedio alle sue artiglierie.
    Dopo l'attacco del 7 agosto i turchi ripresero, senza interruzione, il loro bombardamento contro San Michele e Birgu alternando sporadiche sortite di giannizzeri e spaihs dove si aprivano delle brecce nelle mura, come avvenne il 18 agosto quando una mina aprì una breccia nella quale si riversarono gli assedianti, costringendo lo stesso Gran Maestro ad intervenire gettandosi nella mischia. Il suo gesto fu d'esempio per i difensori che si precipitarono verso le mura dando vita ad un violento corpo a corpo. L'assalto fu respinto ma la Vallette rimase ferito ad una gamba da una granata.
    Intanto a Messina la preparazione della flotta del Gran Soccorso andava per le lunghe. Il 26 agosto le navi cariche di volontari salparono ma furono subito costrette a tornare indietro a causa di una violenta tempesta. Ciò ritardò di molto le operazioni e la spedizione poté riprendere il largo solo il 5 settembre. Arrivarono nella baia di Mellieħa, tra Malta e Gozo, due giorni dopo. L'arrivo dei rinforzi fu il colpo di grazia per i turchi. Il combattimento decisivo avvenne sulla piana di Pietranera alla quale parteciparono anche i cavalieri usciti in massa dai forti. Dopo cinque ore di combattimento i turchi si ritirarono e s'imbarcarono sulle loro navi.
    Il 12 settembre la flotta di Piyale lasciò l'isola; dovette però abbandonare parte delle navi, che furono date alle fiamme per non lasciarle al nemico: non vi erano più uomini sufficienti per manovrarle.
    Le perdite registrate furono: 31.000 turchi, 7.000 civili maltesi, 3.000 tra fanti e Cavalieri dell'Ordine.
    Quando la notizia della vittoria di Malta si diffuse nel continente, in tutte le chiese ci furono funzioni di ringraziamento. Giunsero a Malta doni da tutta Europa.
    Filippo II inviò a Malta circa 6.000 uomini di rinforzo, un'ingente somma di denaro e regalò a la Vallette una spada e un pugnale con incise queste parole: PLUS QUAM VALOR VALET LA VALLETTE.
    Ma ciò non sminuì minimamente l'alone di vergogna e vigliaccheria che il "Rey Catolico" si attirò da tutta Europa, per non aver inviato forze a difesa dell'ultimo baluardo della Cristianità.
    Per giunta, il viceré d'Italia, don Garcia, fu destituito per aver disubbidito agli ordini.
    Il Papa Pio IV offrì a la Vallette di diventare cardinale ma questi rifiutò: l'anziano cavaliere voleva vivere i suoi ultimi anni sulla sua isola. Egli infatti morì il 21 agosto 1568 e a lui fu dedicata la nuova capitale di Malta: La Valletta.
    Per l'Impero ottomano, al contrario, la sconfitta di Malta fu un grave colpo anche sul piano finanziario, poiché l'economia turca si reggeva principalmente sulle razzie e sul bottino di guerra: per la prima volta la loro moneta fu svalutata, e i turchi conobbero l'inflazione. Meno di un terzo dell'esercito ritornò a Costantinopoli e la flotta fu guidata nel porto in piena notte per evitare che il popolo si rendesse conto dei danni subiti. Solimano intendeva ripetere l'attacco l'anno successivo e questa volta Malta, ormai semidistrutta, non avrebbe potuto resistere.
    Ma durante l'inverno, agenti segreti dell'Ordine di Malta, riuscirono ad entrare nell'arsenale di Istanbul e a far esplodere il deposito delle polveri, distruggendo parte della flotta turca che era ormeggiata nei bacini. Il sultano cambiò i suoi piani e per il 1566 progettò di dirigere nuovamente i suoi sforzi bellici verso l'Ungheria.
    [Modificato da Xostantinou 26/04/2011 14:56]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 26/04/2011 18:24
    son già 4 volte che scrivo la cronaca del 1566 e battaglia di Szigetvar ed il pc mi si blocca facendomi perdere tutto...



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 26/04/2011 18:56
    1566. Giunge al punto di rottura la delicata situazione familiare interna alla corte spagnola. L'Infante Don Carlos, che sin dall'infanzia aveva dato preoccupanti segni di grave squilibrio mentale, è incarcerato.
    Colpevole di innumerevoli violenze, soprattutto sulla servitù, responsabile di comportamenti osceni e blasfemi, Don Carlos raggiunge il colmo congiurando contro il padre. A corte qualcuno lo accusa persino di essere l'amante della matrigna, Elisabetta di Valois.
    Filippo II, che l'aveva sempre protetto e perdonato, questa volta non può fare altro che risparmiargli la vita, decretandone la condanna al carcere e l'estromissione dalla linea di successione.
    Maria Stuart, che, spaventata e disgustata dai comportamenti del promesso sposo aveva sempre approfittato di tutte le scuse possibili per rinviare le nozze, ora tira un sospiro di sollievo. Ma Filippo, desideroso di assicurarsi definitivamente il possesso delle isole britanniche, si affrettò ad ufficializzare il fidanzamento della ventiquattrenne Maria Stuart con l'undicenne Infante Don Ferdinando, figlio suo e di Maria I Tudor, ora erede ai due troni di Gran Bretagna e Spagna.

    Nel 1566 il Sultano Solimano I, detto "il Magnifico", aveva 72 anni e governava l'Impero Ottomano da 46.
    Pur soffrendo di gotta nella misura in cui era costretto a spostarsi unicamente portato su una lettiga, egli volle condurre di persona anche la sua tredicesima campagna militare
    Nei primi mesi del '66 infatti crebbe la tensione tra Solimano I ed il Sacro Romano Impero. Il Sultano desiderava infatti riprendersi le città precedentemente conquistate dagli Ottomani in Ungheria e Bosnia e, quando i negoziati fallirono, dichiarò guerra a Massimiliano II.
    Il 1 maggio 1566 il Sultano lasciava Costantinopoli alla testa di uno dei più grandi eserciti che avesse mai comandato.
    Solimano I raggiunse Belgrado il 27 giugno, dopo una marcia di quarantanove giorni, dove si incontrò con Giovanni II Sigismondo Zápolya, cui in precedenza aveva promesso la corona di tutta l'Ungheria, per poi passare in Ungheria, dove avvenne lo scontro tra una parte degli Ottomani e le truppe del nobile croato-ungherese Nikola Zrinsky.
    Il Conte Nikola Zrinsky, uno dei maggiori proprietari terrieri della Croazia, era un veterano delle guerra di frontiera austro-ottomane e poteva vantare una carriera militare di successo, distintosi sul campo di battaglia a Mohács nel '26 e durante l'assedio di Vienna del '29.
    Quest'ultimo ebbe la meglio contro l'avanguardia ottomana, sconfiggendo il Sancak Bey Tirhal Mehmet presso l'accampamento turco a Siklós, per poi giustiziarlo insieme al figlio e acquisire un bottino di 17.000 ducati. Ciò suscitò l'ira del Sultano, che decise di rinviare il suo attacco ad Eger ed ordinò invece a Sokollu Mehmet Pascià di assediare la fortezza di Zrinsky a Szigetvár, mentre il governatore di Buda, Arslan Pascià, perdeva per mano delle truppe del Zrinsky le città di Palota, Veszprém e Tata.
    Per questo motivo il sultano privò Arslan della sua carica e lo sostituì con Sokollu.
    A Szigetvár il comando delle truppe sul campo era affidato dunque a Sokollu Mehmet Pascià ed ai suoi figli Kurt Bey e Hassan Bey.
    L'esercito ottomano si presentò sotto le mura di Szigetvár con 90.000 soldati e 300 cannoni il 2 agosto 1566.
    Il 5 agosto raggiunse il campo di battaglia lo stesso Solimano I, e la sua grande tenda da guerra venne eretta sul colle Similehov, dandogli una visione completa del campo di battaglia.
    Zrinsky disponeva nel complesso di forza di circa 2.300 uomini tra croati ed ungheresi.
    La città-fortezza di Szigetvár era divisa in tre sezioni, separate tra loro da un corso'acqua: la città vecchia, la città nuova ed il castello; ognuna delle quali era collegata alla successiva da ponti ed alla terraferma da strade rialzate. Anche se non era stato costruito su un terreno particolarmente elevato, il castello non era direttamente accessibile dagli attaccanti. Questo perché prima di lanciare un attacco diretto al castello era necessario prendere le due piazzeforti urbane che lo circondavano.
    Quando il Sultano prese posizione dinanzi alla fortezza, vide le mura tappezzate di stoffa rossa: ciò significava che gli assediati non intendevano né chiedere né offrire quartiere. Si preannunciava uno scontro all'ultimo sangue.
    L'assedio iniziò il 6 agosto: Solimano I ordinò un assalto generale sui bastioni, ma l'attacco venne respinto con successo.
    Negli stessi giorni a Vienna Massimiliano II radunava l'esercito imperiale e richiamava dalle Fiandre Don Giovanni ed Alessandro Farnese, ai quali intendeva offrire il comando della spedizione per scacciare il Gran Turco dall'Ungheria.
    Dopo oltre un mese di sanguinosi ed estenuanti combattimenti, i pochi difensori rimasti si ritirarono nella città vecchia per la loro ultima resistenza. La caduta del castello appariva oramai inevitabile, ma l'alto comando ottomano esitava.
    Il 6 settembre, ad un mese esatto dall'inizio dell'assedio, il Sultano Solimano I, "il Magnifico", venne trovato morto nella sua tenda.
    Sokollu Mehmet Pascià giustiziò tutti coloro che avevano assistito alla morte del Sultano ed annunciò alle truppe che questi era troppo malato per mostrarsi e che si sarebbe curato a Szigetvár, nel frattempo egli avrebbe agito secondo le sue disposizioni.
    La battaglia finale iniziò il 7 settembre, il giorno dopo la scomparsa di Solimano.
    Dopo un mese di bombardamenti e mine, le mura della fortezza erano ormai ridotte in macerie. Al mattino l'artiglieria ottomana martellò insistentemente le postazioni imperiali, prima di lasciare campo libero all'assalto dei giannizzeri.
    Zrinsky, per evitare che il nemico entrasse nel castello, attese che i turchi avanzassero lungo un ponte stretto, per uscire poi improvvisamente dalla porta e sparare con un grosso mortaio caricato a mitraglia, uccidendo 600 nemici.
    Zrinsky ordinò infine la carica dei suoi restanti 600 soldati, ma ricevette due ferite di moschetto al petto e rimase ucciso poco dopo da una freccia alla testa.
    Le sue forze rimaste si ritirarono nel castello.
    Il cadavere Zrinsky fu decapitato e la sua testa venne inviata a Costantinopoli.
    Poco prima di guidare la sortita finale dal castello, Zrinsky ordinò di preparare una miccia per la polveriera.
    Mentre anche l'ultimo dei difensori si ritirava nella fortezza, l'esercito ottomano sciamò tra le macerie di Szigetvár e cadde nella trappola: 3.000 libbre di polvere da sparo esplosero sotto i loro piedi. Il Visir ed i suoi ufficiali a cavallo avevano avuto abbastanza tempo per scappare, ma 3.000 i turchi morirono nell'esplosione.
    Nel tardo pomeriggio però, quando ormai tutti davano per scontata l'avvenuta caduta della fortezza, giunsero sul campo di battaglia Giovanni d'Asburgo ed Alessandro Farnese, alla testa di un esercito forte di 45.000 uomini, che scesero all'attacco a passo di carica. L'attacco fu condotto da Don Giovanni in persona e dai suoi 5000 cavalieri, mentre Alessandro Farnese lo supportava al comando di 40.000 picchieri e moschetieri.
    La carica sbaragliò definitivamente l'esercito turco, che dovette uscire dalle mura a raggiungere i commilitoni travolti dall'impetuosa carica del Don Giovanni ed erano già in rotta.
    Il cronista turco Mehmed Silihdar così commentò l'arrivo dell'armata di Don Giovanni:
    «Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Coprivano il monte ed il piano formando un fronte di combattimento simile ad una falce. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi.»
    Il gigantesco esercito approntato da Solimano I per strappare l'Ungheria all'Impero era già duramente provato da un mese di assedio e con il colpo di maglio infertogli da Don Giovanni ed Alessandro Farnese venne interamente spazzato via nella battaglia finale.
    La disfatta a Szigetvár aveva vanificato completamente ogni piano ottomano per la conquista di Vienna e due ambasciatori inviati da Massimiliano II, il croato Antun Vrančić e lo stiriano Christoph Teuffenbach, arrivati ​​ad Istanbul il 26 agosto 1567, trovarono la città completamente traumatizzata dall'entità del disastro e dalla morte del Sultano Solimano I, che Sokollu Mehmet Pascià faticava a giustificare, dopo le menzogne annunciate agli ufficiali prima della battaglia.
    Il nuovo Sultano, Selim II, di tempra radicalmente diversa da quella dell'energico padre, siglò l'accordo di pace tra i due imperi il 21 febbraio 1568 ad Adrianopoli, rinunciando formalmente per 30 anni a condurre nuove campagne ai danni dell'Impero.
    [Modificato da Xostantinou 19/06/2011 11:27]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    (William Riker)
    Post: 56
    Ligius
    Phylax
    00 27/04/2011 18:22
    Re:
    Xostantinou, 26/04/2011 18.24:

    son già 4 volte che scrivo la cronaca del 1566 e battaglia di Szigetvar ed il pc mi si blocca facendomi perdere tutto...



    Fai come me: scrivo offline e poi incollo qui dentro
    [SM=g27988]


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 28/04/2011 14:03
    1567-1571. Massimiliano II d'Asburgo concede, con la Dieta di Torda, la libertà religiosa nell'Impero.

    Con l'Unione di Lublino nasce la Confederazione Polacco-Lituana, una potenza temibile con la quale la Russia, recentemente ascesa al ruolo di grande potenza sotto lo scettro del primo Zar, Ivan IV, ed il Sacro Romano Impero, dovranno fare i conti.

    Una forza spagnola, sotto il comando del capitano Juan Pardo, fonda l'insediamento di Forte San Juan nella terra dei nativi americani Joara. Il forte è il primo insediamento europeo nella Carolina del Nord.
    Diego de Losada fonda in Venezuela la città di Santiago de León de Caracas.

    Nel 1567 scoppia in Francia la seconda guerra di religione, quando il Principe di Condé e Gaspard de Coligny falliscono nel tentativo di catturare il re Carlo IX e sua madre a Meaux. Gli ugonotti catturano diverse città tra le quali New Orleans e marciano su Parigi.
    Il 10 novembre gli ugonotti danno battaglia ai realisti a Saint-Denis: Anne de Montmorency ed i suoi 16.000 vengono sconfitti da 3.500 ugonotti del Principe di Condé.
    Filippo II approfitta della situazione per intervenire contro le colonie francesi in Nord America, con il pretesto di aiutare Carlo IX a liberare i cattolici dalla "pestilenza" ugonotta.
    Battaglia di Jarnac (1569): le truppe realiste sotto il maresciallo Gaspard de Tavannes sorprendono e sconfiggono gli ugonotti del Principe di Condé, che viene catturato e ucciso.
    Una parte considerevole dell'esercito ugonotto riesce a fuggire sotto Gaspard de Coligny che, raggiunte dalle forze del Principe Enrico di Navarra, passano al contrattacco ed assediano Poitiers, mentre ad Orthez le forze di ugonotte di Gabriel de Montgomery sbaragliano i realisti cattolici del generale Terride in Navarra.
    Fino a dicembre del 1569 i cattolici subiscono una batosta dopo l'altra, quando a Moncountour le forze realiste del Maresciallo di Francia Tavannaes e del Duca d'Anjou riescono ad infliggere una dura sconfitta al Coligny, liberando Poitiers dall'assedio.
    L'Armada del Norte, partita dal Vicereame della Nuova Spagna, sottomette le città ed i forti coloniali francesi di Louisiana, Georgia, Sud Carolina e Florida, molti dei quali finiti in mani ugonotte. La presenza francese nell'America Settentrionale è praticamente ridotta al solo Canada: Filippo II intende estendere il dominio spagnolo su tutto il blocco continentale.

    (l'assenza dell'Inghilterra e dell'Olanda e la debolezza della Francia, permettono in questa TL alla Spagna di avere rotte sicure per le ricchezze che dal Nuovo Mondo affluiscono ancor più copiose in direzione dell'Europa)

    Nel 1570 viene siglata la Pace di Saint-Germain, che conclude la terza guerra religiosa in Francia. Agli ugonotti viene promessa la libertà di culto e l'autonomia politica e Filippo II riesce ad ottenere dalla Francia il controllo della Florida, ma deve rinunciare all'occupazione della Louisiana.

    Viene firmata una tregua tra Russia, Svezia, Danimarca-Norvegia e Polonia-Lituania, impegnate nella guerra di Livonia, e la Pace di Stettino tra Danimarca-Norvegia e Svezia. Con questi trattati, mediati da Massimiliano II, La Danimarca-Norvegia ottiene il ripristino dell'Unione di Kalmar con la Svezia che, a sua volta, sotto pagamento di un indennizzo cede i territori dell'Unione sul Baltico orientale alla Polonia-Lituania.
    L'accordo lascia profondamente indispettito Ivan IV, che rimane a bocca asciutta.

    Il nuovo Sultano, Selim II, salito al trono nel 1566, durante la campagna d'Ungheria della guerra ottomano-asburgica, aveva, tra i primi atti, deposto l'ultimo Duca dell'Arcipelago, Jacopo IV Crispo, vassallo della Repubblica di Venezia.
    Selim II, giovane ed ambizioso ma con un evidente complesso di inferiorità verso il padre, Solimano il Magnifico, affidò il controllo degli affari di stato al Gran Visir Sokollu Mehmet Paşa, il quale decise di rivolgere le attenzioni dell'Impero Ottomano su Cipro, il vasto e ricco possedimento veneziano situato a pochi chilometri dalle sue coste, che ben si prestava a garantire la via marittima per il pellegrinaggio alla Mecca.
    Venezia, in pace armata coi Turchi sin dal 1540, al termine della terza guerra turco-veneziana, tentava di non dare pretesto a Selim per la guerra, ma il 13 gennaio 1570 il bailo di Costantinopoli, Antonio Barbaro, informò la Serenissima Signoria di essere venuto a sapere delle bellicose intenzioni del Sultano. In precedenza si era molto discusso (sia a Venezia che a Costantinopoli) di una possibile spedizione ottomana contro Granada, in cui la minoranza islamica, insorta nel 1568, stava subendo la vendetta spagnola. La Spagna era stata però informata dalle sue spie di questi maneggi, e ne aveva preso nota. Il 28 marzo giunse a Venezia l'ambasciatore di Selim, recando la richiesta di consegna dell'isola, con il pretesto della sua passata appartenenza all'Islam oltre a quello, molto più concreto, che sull'isola andavano sovente a rifugiarsi corsari crisitiani che i veneziani non potevano o non volevano catturare e consegnare (come da accordi) alla giustizia ottomana. La risposta venne rigettata e iniziarono i preparativi di guerra: a Cipro, dove era luogotenente Nicolò Dandolo, venne inviato Giulio Savorgnan, esperto in fortificazioni, mentre venivano dispensati dal partecipare all'elezione del nuovo Doge tutti quei magistrati che avessero avuto parte ai preparativi militari. Girolamo Zane fu nominato Capitano Generale da Mar ed tutti i legni veneziani venne dato ordine di non lasciare i porti senza autorizzazione. Richieste di aiuto vennero inviate in tutta Europa, persino al Patriarca di Costantinopoli, perché istigasse con il suo clero la Morea alla rivolta, e allo Zar Ivan il Terribile perché attaccasse per via di terra.
    Filippo II, che risentiva duramente della pessima figura fatta in precedenza agli occhi della cristianità, quando rifiutò di portare aiuto a Malta, questa volta mobilitò prontamente la propria flotta, affidata agli ammiragli spagnoli Don Álvaro de Bazán, marqués de Santa Cruz de Mudela, e Luis de Requesens y Zúñiga ed all'ammiraglio inglese Sir Francis Drake.
    La flotta veneziana, forte di cinquanta galee, si mosse quindi su Zara per attendere la flotta promessa da Filippo II di Spagna. La lunga sosta consentì a flottiglie turchesche di saccheggiare i centri della Dalmazia, mentre la disciplina si allentava tra i veneziani e si diffondevano malattie. Lo Zane decise quindi di puntare su Corfù, giungendovi ad estate inoltrata.
    Frattanto il 1 luglio i Turchi, al comando di Lala Mustafà Pascià, erano sbarcati in un'incursione a Limisso, seguita, il 3 luglio, dallo sbarco dell'armata principale, che non fu contrastata dai Veneziani (inizialmente in superiorità numerica, soprattutto in termini di cavalleria, ma carenti, a differenza dei turchi, di ufficiali esperti e truppe veterane). La popolazione cipriota veniva concentrata nella difesa di Nicosia e Famagosta, mentre i borghi e le campagne circostanti avevano ordine di trasportare tutti i viveri nelle fortezze e di distruggere gli abitati non portetti per non lasciare ai Turchi nulla di cui servirsi. Purtroppo l'ordine non fu eseguito quasi da nessuna parte. La popolazione cipriota era molto ostile ai venziani e alla nobiltà crociata (di origine italo-francese) cattolica che, con l'appoggio dei veneti, sfruttava in maniera coloniale gli abitanti greco-ortodossi. Per punire la cittadina di Lescara, che, con esempio pericoloso, si era prontamente sottomessa ai Turchi, i Veneziani inviarono un contingente da Nicosia che, nottetempo, distrusse il paese dandolo alle fiamme. I Turchi, dal canto loro, marciarono sulla capitale Nicosia ed iniziarono l'assedio e il bombardamento. La città, difesa da poche migliaia di soldati (1.000-1.500 mercenari italiani, circa 3.000 miliziani delle cernide, e circa 2.000 o poco più della milizia del popolo, ma maldisposta verso i veneziani e mal addestrata) era abitata da circa cinquantamila uomini, tra nativi e profughi, ed oltre alla fanteria si era rifugiata nella città anche buona parte della nobiltà cipriota (circa 500 famiglie) che era tenuta a combattere come cavalleria armando i propri bravi come cavalleggeri (circa 1.000-1.500 uomini) ed i cavalleggeri stradioti albanesi (400-600 uomini) che, assieme agli schiavoni croato-dalmati, costituiva i reparti d'élite delle truppe veneziane.
    Il 15 agosto la guarnigione di Nicosia attaccò i Turchi in una sortita, ma il mancato intervento della cavalleria stradiota (per un errore di comando) non permise di rompere l'accerchiamento della capitale. Nella notte i Turchi irruppero in città ed il 16 agosto Nicosia era caduta. Numerose migliaia di abitanti furono deportati come schiavi. Seguirono in breve il suo destino anche Limisso e Larnaca, arresesi ai Turchi, così come si arresero molti castelli delle montagne a settentrione di Nicosia, ove non pochi nobili ciprioti accettarono la conversione all'islam per conservare i loro feudi come timurie.
    Il 22 agosto la città di Famagosta, difesa da Marcantonio Bragadin e da Astorre Baglioni, venne assediata dall'imponente flotta capitanata da Lala Kara Mustafa Pascià.
    Verso metà ottobre, il comandante ottomano Lala Mustafà invitò gentilmente il governatore della città Bragadin ad arrendersi, ma questi rifiutò. Vedendosi rifiutato il proprio invito, il generale turco s'irritò passando quindi a modi "meno cortesi": inviò l'ordine di resa immediata insieme alla testa mozzata e in fase di putrefazione di Niccolò Dandolo, governatore di Nicosia. Questo non spaventò né Bragadin né Baglioni, i quali, dopo aver fatto seppellire con le dovute onoranze funebri la testa del malcapitato, decisero di non arrendersi.
    Famagosta aveva un ottimo sistema difensivo: si affacciava al mare ed era protetta da un muro di cinta dotato di quattro bastioni e a sua volta la cinta muraria era protetta da un ampio e profondo fossato. Questo però non poteva resistere all'enorme esercito ottomano, e per giunta in continuo incremento d'unità. A peggiorare la situazione dei veneziani s'aggiunse pure la scarsità di derrate alimentari in giacenza.
    I primi attacchi vennero condotti dai giannizzeri, che però furono respinti dalla cavalleria veneziana. Vedendo la futilità di questo tipo d'attacco, Lala Mustafà decise di cambiare tattica e di far uso dell'artiglieria: con 25 cannoni e 4 basilischi iniziò a bombardare la città.
    Data la loro colossale inferiorità numerica, gli assediati, dal canto loro, non potevano fare altro che resistere con la speranza che da un momento all'altro giungessero in loro aiuto rinforzi da Venezia. Nel frattempo Bragadin ed il comandante delle truppe Astorre Baglioni seppero sfruttare al meglio le poche truppe di cui disponevano ed il sistema fortificato sul quale si appoggiavano: riuscirono a resistere per tutto l'inverno, in grazia principalmente della loro batteria e delle incursioni a sorpresa che effettuavano al di fuori delle mura nell'accampamento degli assedianti.
    Tutto questo non fece altro che irritare maggiormente il generale turco, il quale temeva un'altra rovinosa sconfitta come quella subita durante l'Assedio di Malta avvenuto cinque anni prima; un altro insuccesso militare e avrebbe compromesso la sua carriera e forse anche la sua stessa vita. Quindi chiese ulteriori rinforzi e dopo due mesi riuscì ad incrementare il proprio esercito assediante raggiungendo le 250.000 unità.
    Il 26 gennaio 1571 giunsero a Famagosta 16 galee veneziane guidate da Marcantonio Querini, non per offrire supporto militare contro il nemico, bensì solo per rifornimento di viveri e di nuove truppe, circa 1.600 uomini: tra questi rimase a combattere anche il figlio di Gianantonio Querini, Marcantonio. Un successivo rifornimento di 800 fanti arrivò in marzo.
    Agli inizi di aprile l'esercito turco riprese attivamente l'attività bellica; nel frattempo gli ottomani avevano posizionato nuova artiglieria, in tutto 85 cannoni più alcuni grossi basilischi di bronzo, e scavato nuove trincee.
    Riprese quindi anche il bombardamento sulla città, la quale ormai era ridotta a un cumulo di macerie.
    Verso fine luglio Mustafa Pascià, che aveva da poco perso il figlio in battaglia, ordinò il più pesante bombardamento dall'inizio dell'assedio. Ormai le mura non erano più in grado di resistere e di soldati, in gran parte feriti, erano rimasti appena settecento, incapaci di gestire la difesa.
    Il Baglioni e il Colonnello Martinengo optarono per la resa. Marcantonio Bragadin prevedeva il tragico destino della città, ma decise di sottoscrivere lo stesso la resa.
    Il 4 agosto Famagosta si arrese.
    I capi veneziani ottennero da Mustafa Pascià la promessa di aver salva la loro vita e quella di tutti gli abitanti della città ancora in vita, considerando anche l'eventualità che essi decidessero di rimpatriare.
    Ma Mustafa, venendo contro alle sue promesse, fece uccidere Baglioni appena firmata la resa. Il colonnello Martinengo, catturato, fu impiccato tre volte. La città venne lasciata in balia delle milizie ottomane, che seminarono la strage.
    Marcantonio Bragadin venne catturato e gli furono mozzate le orecchie. Fatto girare per le vie della città per tredici giorni a cavallo di un mulo, sottoposto allo scherno dei soldati vincitori, il 17 agosto venne condotto, dopo altre innumerevoli sevizie ed umiliazioni, nella piazza principale e scuoiato vivo.
    La sua pelle, ancora oggi conservata a Venezia, venne issata sulla nave ammiraglia e portata ad Istanbul.
    L'eroica resistenza di Famagosta servì in ogni caso a far guadagnare tempo alle forze cristiane, tenendo impegnata l'immensa flotta ottomana mentre quella cristiana si stava ancora mobilitando.

    Il 2 luglio intanto, Venezia, il Papato e la Spagna siglarono un'alleanza contro i Turchi passata alla Storia come Lega Santa.
    La coalizione cristiana era stata promossa alacremente da Papa Pio V per soccorrere la città veneziana di Famagosta. In realtà il Pontefice voleva bloccare definitivamente l'invasione turca difendendo così l'intero Occidente cristiano. Il vessillo, benedetto dal Papa, giunse a Napoli il 14 agosto 1571, dove venne consegnato solennemente a Don Álvaro de Bazán, nella basilica di Santa Chiara.
    La flotta della lega raggiunse in seguito la Sicilia, lasciando Messina dopo aver riunito una flotta composta da 50 navi veneziane tra galee, navi da carico, imbarcazioni minori e 6 potenti galeazze, 79 galee della Spagna (incluse le 29 provenienti dal Regno di Napoli, 7 dal Regno di Sicilia e le 3 di Malta, poiché erano feudi appartenenti all'impero spagnolo), 38 fregate inglesi (versione britannica delle galeotte mediterranee, progettate per andare sia a vela che a remi, erano più pesantemente armate delle loro cugine) sempre parte del contingente anglo-spagnolo, oltre a 3 galee del Ducato di Savoia, 12 galee del Granduca di Toscana noleggiate direttamente dal Papa e la flotta maltese degli Ospitalieri.
    Giungendo in cerca di riparo dalla nebbia e dal forte vento nel porto di Viscando, non lontano dal luogo della battaglia di Azio, la flotta cristiana fu raggiunta dalla notizia della caduta di Famagosta e dell'orribile fine inflitta dai turchi a Marcantonio Bragadin.
    Nonostante il maltempo le navi della Lega presero il mare verso Cefalonia, sostandovi brevemente, e giungendo, il 6 ottobre davanti al golfo di Patrasso, nella speranza di intercettare la potente flotta ottomana.

    Il 7 ottobre, domenica, Don Álvaro de Bazán fece schierare le navi della lega in formazione serrata, deciso a dar battaglia: non più di 150 metri separavano le galee l'una dall'altra.
    Il centro dello schieramento cristiano si componeva di 30 galee e 2 galeazze veneziane, 15 galee spagnole e napoletane, 7 pontificie, 3 maltesi, 1 sabauda, per un totale di 56 galee e 2 galeazze. Lo comandava Don Álvaro de Bazán in persona. Con lui a bordo vi era anche Francesco Maria II della Rovere, figlio ed erede del Duca Guidobaldo II della Rovere nonché Capitano Generale degli oltre 2.000 soldati volontari provenienti dal Ducato d'Urbino. Affiancavano per ragioni di prestigio la galea Real spagnola la Capitana di Sebastiano Venier, settantacinquenne Capitano Generale veneziano, la Capitana di Sua Santità di Marcantonio Colonna, trentaseienne ammiraglio pontificio, la Capitana di Andrea Provana di Leinì, Capitano Generale piemontese, l'ammiraglia Vittoria del priore Piero Giustiniani, Capitano Generale dei Cavalieri di Malta.
    Il corno sinistro si componeva di 43 galee e 2 galeazze veneziane, 10 galee spagnole e napoletane e 2 pontificie, per un totale di 55 galee e 2 galeazze al comando del provveditore generale Agostino Barbarigo, ammiraglio veneziano.
    Il corno destro era invece composto di 20 galee e 2 galeazze veneziane, 35 fregate inglesi, 8 galee spagnole e siciliane, 2 sabaude e 2 pontificie, per un totale di 32 galee, 35 fregate e 2 galeazze, al comando dell'inglese Sir Francis Drake sulla sua capitana.
    Le spalle dello schieramento erano coperte dalle 28 galee di Luis de Zúñiga y Requesens: 13 spagnole e napoletane, 12 veneziane, 3 pontificie, più 2 fregate inglesi.
    L'avanguardia, guidata da Juan de Cardona, si componeva di 8 galee: 4 siciliane e 4 veneziane.
    In totale la flotta cristiana si componeva di 6 galeazze, 179 galee, 38 fregate, 30 navi da carico, circa 14000 marinai, circa 44000 rematori, circa 28000 soldati e circa 2000 cannoni.

    I Turchi schieravano l'ammiraglio Mehmet Shoraq, detto Scirocco, all'ala destra con 55 galee, il comandante supremo Mehmet Alì Pascià al centro con 90 galee conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il nome di Allah; infine l'ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluč Alì, detto Occhialì, presiedeva all'ala sinistra con 90 galee.
    Nelle retrovie schieravano 10 galee e 60 navi minori comandate da Amurat Dragut.

    Don Álvaro de Bazán decise di lasciare isolate in avanti, due davanti ad ogni "corno", come esca le 6 potentissime galeazze veneziane, camuffate da navi da carico. Le galeazze davanti allo schieramento veneziano erano al comando degli ammiragli Antonio e Ambrogio Bragadin, che verosimilmente bramavano di vendicarsi per la brutalissima uccisione del loro fratello Marcantonio a Famagosta.

    All'avvicinarsi degli ignari Turchi, queste scaricarono cannonate con una potenza di fuoco mai vista prima sul mare fino a quel giorno.
    Le linee ottomane subiscono molte perdite ma Alì Pascià, vista l'imprendibilità di queste fortezze galleggianti, decise di superare di slancio le galeazze: queste navi erano inabbordabili da una normale galea, vista la loro notevole altezza. Di conseguenza Don Álvaro de Bazán aveva deciso di togliere un gran numero di spadaccini dalle galeazze e sostituirli con archibugieri, i quali crearono gravi danni alla flotta turca. Pertanto Alì, senza impegnarsi in battaglia con queste grosse navi, dopo averle superate decise di scagliare tutta la sua flotta in uno scontro frontale per, essendo in superiorità numerica, tentare di circondare la flotta nemica mirando unicamente all'abbordaggio della nave di Don Álvaro de Bazán e provare ad ucciderlo subito, demoralizzando così la flotta della Lega Cristiana.
    Nell'ambito dei comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario, ma il temperamento ed il carisma di Alì Pascià spinse i Turchi, in favore di vento, a scatenare la battaglia.

    Per i cristiani gli scontri all'inizio coinvolsero pesantemente il veneziano Barbarigo, che era alla guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa: deve contrastare l'abile comandante Scirocco ed impedire che possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia, per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ha solo un parziale successo e lo scontro si accende subito violentemente. La stessa galea del Barbarigo diventa teatro di un'epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: ma grazie all'arrivo della riserva, guidata da Luis de Zúñiga y Requesens, le sorti si riequilibrano e così Scirocco venne catturato, ucciso ed immediatamente decapitato.

    Al centro degli schieramenti, Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Álvaro de Bazán, la cui cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Contemporaneamente altre galee impegnano il Venier e Marcantonio Colonna. Molti sono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galea Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano rimane quasi interamente ucciso in un assalto, eccetto il suo comandante Tommaso de' Medici con quindici uomini, che vengono catturati dai turchi.
    Con un rumore assordante, i Turchi iniziarono l'assalto alle navi di Don Álvaro de Bazán suonando timpani, tamburi, flauti.
    La flotta di Don Álvaro de Bazán era viceversa nel più assoluto silenzio, e quando i legni giunsero a tiro di cannone, i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Don Álvaro de Bazán innalzò lo Stendardo di Lepanto con l'immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea ed i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo l'indulgenza plenaria concessa da Pio V per la crociata. Improvvisamente il vento cambiò direzione: le vele dei Turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. Rincuorato da quello che sembrava un segno divino, Don Álvaro de Bazán puntò diritto contro la Sultana. Il Tercio di Sardegna si lanciò per primo l'arrembaggio alla nave turca, che diviene il campo di battaglia, i musulmani a poppa e i cristiani a prua.
    Al terzo assalto i sardi sfondarono fino a poppa, ma Don Álvaro de Bazán venne ferito ad una gamba nel corso del combattimento ed i turchi approfittarono per respingere gli spagnoli.
    Più volte le navi avanzarono e si ritirarono, Venier e Colonna dovettero disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Álvaro de Bazán che sembrava avere la peggio.
    Alla sinistra turca, al largo, la situazione era ancora poco cruenta ma un po' più complicata.

    "El Draque", come gli spagnoli chiamavano Sir Francis Drake, disponeva di sole 32 galee, meno della metà di quelle degli altri tronconi della flotta, e davanti a sé aveva schierate ben 90 galee, cioè circa il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani sul lato opposto dello schieramento, ed oltretutto in un'area molto più ampia di mare aperto.
    Quello che gli ottomani ignorano è che le fregate inglesi non sono delle semplici "galeotte", quali sembrano, bensì legni progettati per battaglie navali in ambito oceanico.
    Drake, ad un certo momento della battaglia, si sgancia con le sue fregate, facendo vela verso il mare aperto.
    Nonostante avesse avuto l'ordine, ugualmente al Barbarigo, di difendere e proteggere il fianco della flotta di Don Álvaro de Bazán, per impedire l'accerchiamento delle sue navi che si trovavano sotto un violento attacco frontale, inaspettatamente spaccò il lato destro dello schieramento cristiano, puntando verso il mare aperto e lasciando aperto un buco che le 32 galee del suo schieramento faticavano nel tentare di chiudere per coprire il fianco destro.
    A quel punto, Uluç Ali si insinuò nel varco, pensando che gli inglesi fossero in fuga, per attaccare il fianco destro dello schieramento di Don Álvaro de Bazán. Vedendo le intenzioni di Uluc Alì, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine, la Fiorenza e la San Giovanni della flotta papale, e la Piemontesa della flotta sabauda, si voltarono per affrontarlo.
    Ma a questo punto scattò la strategia del Drake: le fregate inglesi, a differenza delle galee mediterranee, non erano armate con il cannone di corsia, posto a prora, bensì erano state adattate per le necessità della guerra in atlantico. Dotate di due alberi a vele latine e 12 remi semplici, erano armate con alcuni cannoni sui castelli e 20 cannoni sul ponte, 10 per ciascuna murata.
    Quando la flottiglia del Drake riuscì ad allinearsi dando il fianco ai turchi, una pioggia di ferro e fuoco si abbatté sulla flotta ottomana, devastandola prima che arrivasse a contatto con il centro dello schieramento cristiano.

    Al centro, il comandante in capo ottomano Alì Pascià, già ferito, cadde abbattuto da un'archibugiata. La nave ammiraglia ottomana venne abbordata e, contro il volere di Don Álvaro de Bazán, il cadavere dell'ammiraglio ottomano Alì Pascià viene decapitato e la sua testa esposta sull'albero maestro dell'ammiraglia spagnola.
    La visione del condottiero ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente.
    Il teatro della battaglia si presentava come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando infine la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana.
    Don Álvaro de Bazán riorganizzò la flotta per proteggerla dalla tempesta che minacciava la zona ed inviò galee verso tutte le capitali della lega per annunciare la clamorosa vittoria: i Turchi avevano 110 galee affondate 130 catturate, 34 galeotte affondate e 18 catturate, inoltre 53.000 uomini tra morti e feriti ed altri 13.000 prigionieri. Inoltre vennero liberati 26.000 cristiani dalla schiavitù ai banchi dei remi.
    Gli Ottomani avevano salvato meno di un terzo delle loro navi.
    Molti prigionieri ottomani, in particolare gli abilissimi e addestratissimi arcieri e i carpentieri, furono uccisi dai veneziani, sia per vendicare i prigionieri uccisi dai turchi in precedenti occasioni, sia per impedire alla marineria turca di riprendersi rapidamente.

    La flotta della lega fece quindi rientro a Napoli.
    Nelle città d'occidente la notizia venne accolta in un tripudio di feste e gioia popolare che durarono giorni; a Roma, Venezia e Torino vennero celebrati solenni Te Deum di ringraziamento. A Napoli fu elevata la colonna della vittoria nel posto esatto dove le navi cristiane approdarono. Papa Pio V nel 1572 istituirà la "Festa di Santa Maria della Vittoria", successivamente trasformata nella "Festa del SS. Rosario", per celebrare l'anniversario della storica vittoria ottenuta "per intercessione dell'Augusta Madre del Salvatore, Maria".
    La bandiera della nave ammiraglia turca di Mehmet Alì Pascià, presa da due navi pisane, la "Capitana" e la "Grifona", venne custodita a Pisa, nella chiesa dei Cavalieri dell'Ordine Cavalleresco Sacro Militare Marittimo di Santo Stefano Papa e Martire, fondato da Cosimo I de' Medici granduca di Toscana.

    Questa battaglia fu la prima grande vittoria di una flotta cristiana occidentale contro l'Impero ottomano ed ebbe anche un'importanza psicologica notevole, in quanto avveniva solo pochi anni dopo la devastante vittoria Austriaca a Szigetvár.
    I Turchi infatti, fino a quel momento potevano vantare decenni di travolgente espansione territoriale ai danni dei cristiani d'oriente e dei Balcani.

    Le due vittorie cristiane segnarono infatti un punto di svolta importante negli equilibri militari nell'area del Mediterraneo: dopo oltre un secolo di continua espansione turca, che dalla occupazione di Costantinopoli (1453) in poi aveva continuato un'avanzata che pareva ormai inarrestabile (Siria, Arabia, Egitto, Belgrado, Rodi, Ungheria, arrivando persino ad assediare Vienna); le disfatte di Lepanto e Szigetvár rappresentarono una significativa inversione di tendenza, che impedì ai turchi una ulteriore espansione.

    Nonostante la sconfitta turca a Lepanto, la scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la loro vittoria ed ottenere una supremazia duratura sugli Ottomani.
    Dal canto suo, l'Impero Ottomano, che pure aveva risentito duramente del colpo, iniziò subito una poderosa opera di ricostruzione della flotta, che si concluse in 6 mesi ma, pur riacquistando la superiorità numerica nei confronti della coalizione cristiana, la marina turca non riuscì a riconquistare la supremazia. Le nuove navi turche infatti erano state costruite troppo in fretta, tanto che l'ambasciatore veneziano notificò al Senato veneziano che bastavano 70 galee ben armate e ben equipaggiate per distruggere quella flotta costruita con legname non stagionato e cannoni mal fusi.
    Dopo Lepanto infatti la flotta turca evitò a lungo di ingaggiare grosse battaglie, dedicandosi invece con successo alla guerra di corsa e alla distruzione dei traffici nemici.

    La sconfitta, tuttavia, non permise ai Veneziani e all'esercito cristiano di riconquistare l'isola di Cipro che era caduta da appena due mesi in possesso ottomano. Questo anche a causa dell'ostilità delle altre potenze nei confronti della Serenissima che, se troppo forte, avrebbe potuto riprendere una politica egemonica sulla penisola italiana.
    La Serenissima fu quindi costretta a firmare un trattato di pace a condizioni poco favorevoli.

    La battaglia di Lepanto ebbe anche importanti conseguenze all'interno del mondo musulmano, gli Hafsidi e le varie Rreggenze barbaresche che governavano il Maghreb in nome del Sultano Ottomano e sotto il suo protettorato, soprattutto perché costretti dalla sua potente flotta e desiderosi di ottenere protezione contro la Spagna, dopo questa battaglia "rialzarono la testa", guadagnando spazi d'autonomia, o dedicandosi nuovamente alla guerra di corsa, anche contro gli interessi del Sultano.

    Nel Sacro Romano Impero intanto, ai festeggiamenti per la vittoria cristiana si mescolavano i malumori di Giovanni Andrea Doria, indispettito con Massimiliano II per aver voluto rispettare la tregua trentennale con il Sultano e rifiutare all'Ammiraglio imperiale la partecipazione alla battaglia, anche sotto le sole bandiere della Superba. Massimiliano blandisce il genovese con il titolo di Grand'Ammiraglio dell'Impero, estendendo i poteri militari di Doria anche sulle flotte tedesche e sullo strategico porto imperiale di Trieste, decisione che indispettisce e preoccupa enormemente Venezia.
    [Modificato da Xostantinou 19/06/2011 11:37]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


  • OFFLINE
    Xostantinou
    Post: 5.967
    Patrikios
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    00 19/06/2011 12:22
    1572. Cade sotto i colpi dei conquistadores spagnoli l'ultimo baluardo Inca.

    Papa Pio V, anima della Lega Santa contro i Turchi, muore e gli succede il bolognese Ugo Boncompagni, con il nome di Gregorio XIII.
    Il nuovo pontefice, espressione di un conclave egemonizzato dai cardinali spagnoli, si inserisce nel solco controriformista tracciato dal predecessore, sostenendo con grande vigore la riscossa cattolica in Europa.
    Questa nuova ondata di zelo cattolico causa, il 22 agosto, l'assassinio di Gaspard de Coligny, capo degli ugonotti. I tumulti scoppiati in Francia culminano due giorni dopo, il 24 agosto, nel massacro conosciuto come Notte di San Bartolomeo. La strage, assieme all'ingresso nella linea ereditaria al trono di Francia dell'ugonotto Enrico III di Navarra, sarà la miccia per una nuova stagione di guerre religiose in Francia.
    Sempre il 24 agosto, i "Mendicanti del Mare", un gruppo di ribelli calvinisti fiamminghi, catturano la città portuale di Brielle. Ma la situazione nelle Fiandre sotto il governo di Margherita d'Austria è molto cambiata dagli anni di Carlo V, e le Fiandre non si sollevano contro il potere imperiale. Il figlio di Margherita, Alessandro Farnese, guida le truppe imperiali contro i ribelli, che vengono spazzati via con relativa semplicità.

    Viene celebrato in pompa magna, nella cattedrale di Westminster, il matrimonio tra la ventinovenne Maria Stuart, Regina di Scozia, ed il diciottenne Don Ferdinando, erede ai troni di Inghilterra, Irlanda, Spagna, Napoli, Sicilia e Sardegna.
    Il matrimonio suscita preoccupazioni in tutta Europa.
    [Modificato da Xostantinou 21/06/2011 17:07]



    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”