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Tra Voltaire e Gheddafi
3 febbraio 2006
Tra Voltaire e Gheddafi
di Carlo Fruttero
Come qualcuno ricorderà fui forse il primo, insieme a Franco Lucentini, a mettere un incauto piede nel piatto rovente della suscettibilità musulmana. Non che me ne vanti.
Era il 1973, in piena crisi petrolifera, e certe nostre facezie neanche poi cattivissime, che toccavano molto di sbieco il colonnello libico Gheddafi, offesero smisuratamente costui. Ne seguirono vibratissime proteste, minacce, richieste di licenziamento per noi e per il direttore de La Stampa Arrigo Levi (un ebreo!) e il boicottaggio dei veicoli Fiat in tutto il Medio Oriente.
I giornali di mezzo mondo ci mandarono a casa i loro corrispondenti, Levi si guadagnò una scorta armata sul pianerottolo, Pietro Citati si offrì di nascondere me e la mia famiglia nella sua grande casa maremmana, un mio cugino, dirigente Fiat, mi tolse per un po' il saluto.
La proprietà, cioè l'Avvocato, non fece una piega. «Ci siete costati cari», ci disse anni dopo. Ma uno come lui non poteva certo cedere su una questione di principio di quel genere, l'onore (che non è lo stile) viene prima di tutto in certe situazioni. Noi attraversammo quella crisi nella più totale spensieratezza, ci pareva tutto uno scherzo insensato, chi mai aveva voluto immischiarsi nelle credenze religiose di quei tapini? Non ne sapevamo niente, avevamo letto il Corano trovandolo letterariamente molto meno vivido del Vecchio e del Nuovo Testamento, e sul Profeta avevamo informazioni così vaghe che non ci avrebbero fatto passare i primi turni del Milionario, 50 euro. Ignoranti ma innocenti.
Oggi, oltre trent'anni dopo, e dopo le Torri Gemelle ci andrei naturalmente più piano. E' gente che si offende per un niente, ora sappiamo tutti; gente con cui non si può scherzare. Perché non hanno avuto la lezione della tolleranza, non hanno avuto Voltaire, si dice. Sarà così, e forse proprio attraverso Voltaire si arriva infine a Chaplin (un ebreo) e a Woody Allen (altro ebreo).
Ma il senso dell'umorismo, dell'autoironia, sono in verità conquiste ben più ardue che non un pezzo di deserto con qualche giacimento di petrolio. E' su quel fronte delicatissimo, indefinibile, quanto mai liquido, che si dividono fanatismo e civiltà.
Da bambino (molti anni fa ma storicamente pochini) nella mia camicina nera, col fazzoletto azzurro chiuso sul petto da un medaglione con la testa del Duce, cantavo in coro: «Una maschia gioventù con romana volontà combatterà!». Eravamo fanatici, ero fanatico? Mah. Sarei andato a farmi saltare in aria col tritolo per amore di Mussolini? Non credo, non mi sembra che fra i miei tanti impulsi giovanili ci fosse anche quello; e poi prestissimo lessi Voltaire.
Il grande scettico arriverà anche da loro, presto o tardi. Vinceremo noi, in fin dei conti. Fra cent'anni, magari meno, avranno anche loro un'Oasi dei Famosi, dove si potranno accapigliare in diretta il cantante Al-Banal e sua moglie Lec-chi-sei, per la gioia di tutti noi democratici, tolleranti e così spiritosi


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