L'Isola Incantata delle Figlie della Luna Un luogo protetto dalle Nebbie in cui le Fanciulle studiano insieme...

INDUISMO: GANESHA

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    artemide_93
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    00 22/09/2011 22:34
    Presso la religione induista, Ganesha o Ganesh (Sanscrito गणेश IAST Gaṇeśa) è una delle rappresentazioni di Dio più conosciute e venerate; figlio primogenito di Shiva e Parvati, viene raffigurato con una testa di elefante provvista di una sola zanna, ventre pronunciato e quattro braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo. Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull'altra, nella posizione dell'alitasana. Tipicamente, il suo nome è preceduto dal titolo di rispetto induista, Shri.
    Il culto di Ganesha è molto diffuso, anche al di fuori dell'India; i devoti di Ganesha si chiamano Ganapatya.

    Formato dalle parole sanscrite gana e isha (signore), Ganesha significa letteralmente "Signore dei gana" dove gana può essere interpretato come "moltitudine", facendo assumere al nome il significato di "Signore di tutti gli esseri", ma con gana nella tradizione induista si possono intendere anche dei piccoli demoni deformi che corteggiano Shiva.
    Ganesha viene a volte chiamato anche Vighnesvara, "Signore degli ostacoli", e Vinayaka, "colui che rimuove".
    Come per ogni altra forma con la quale l'Induismo rappresenta Dio, inteso come l'aspetto personale di Brahman (detto anche Īśvara, il Signore), anche la figura di Ganesha è un archetipo carico di molteplici significati e simbolismi che esprimono uno stato di perfezione, e il modo per raggiungerla; Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso.
    Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.

    Una descrizione di tutte le caratteristiche e gli attributi di Ganesha si può trovare nella Ganapati Upaniṣad (una Upaniṣad dedicata a Ganesha) del rishi Atharva, nella quale Ganesha è identificato con il Brahman e con Ātman. In questo inno, inoltre, è contenuto uno dei mantra più famosi associati a questa divinità: Om Gam Ganapataye Namah (lett. Mi arrendo a Te, Signore di tutti gli esseri).

    Nei Veda si trova anche una delle più salmodiate preghiere attualmente attribuite a Ganesha, che costituisce l'inizio del Ganapati Prarthana.

    In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata ed invocata, poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Per questo motivo è tradizione che tutte le sessioni di bhajan (canti devozionali) comincino con una invocazione a Ganesha, Signore del "buon inizio" dei canti.

    È inoltre associato con il primo chakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione ed il benessere materiale.

    Attributi corporei:

    -la testa d'elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante;
    -il fatto che abbia una sola zanna (e l'altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo;
    -le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali;
    -la proboscide ricurva sta ad indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di discriminazione tra reale ed irreale;
    -sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Shiva), che simboleggia il Tempo (passato, presente e futuro) ne attribuisce a Ganesha la padronanza;
    -il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
    -la gamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità di vivere nel mondo senza essere del mondo;
    -le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata;
    -in una mano brandisce un'ascia, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza;
    -nella seconda mano stringe un lazo, simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé;
    -la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto di benedizione (abhaya);
    -la quarta mano tiene un fiore di loto (padma), che simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana.

    La zanna spezzata di Ganesha indica principalmente la capacità di superare o "spezzare" la dualità; tuttavia, questo è un simbolo che può assumere vari significati.

    « Un elefante ha, di norma, due zanne. Anche la mente propone spesso due alternative: quella buona e quella cattiva, l'eccellente e l'espediente, il fatto e la fantasia che la porta fuori strada. Per fare qualsiasi cosa, la mente deve comunque diventare determinata. La testa di elefante del Signore Ganesha ha quindi una sola zanna per cui Egli è chiamato "Ekadantha", che significa "Colui che ha una sola zanna", per ricordare ad ognuno che si deve possedere la determinazione mentale. »
    (Sathya Sai Baba)

    GANESHA E IL TOPO:
    La cavalcatura di Ganesha è un piccolo topo (Mushika o Akhu), che rappresenta l'ego, la mente con tutti i suoi desideri, la bramosia dell'individuo; Ganesha, cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste tendenze, indicando il potere che l'intelletto e la discriminazione hanno sulla mente. Inoltre il topo (per natura estremamente vorace), viene spesso raffigurato a fianco di un piatto di dolci, con lo sguardo rivolto a Ganesha mentre tiene un boccone stretto tra le zampe, come in attesa di un suo ordine; rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell'intelletto, la mente sottoposta ad un ferreo controllo, che fissa Ganesha e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso. C'è anche un altro significato di Akhu, l'astuzia del topo che accompagnata alla saggezza dell'elefante fa compiere grandi imprese. E ancora, sia l'elefante sia il topo passano dappertutto, non hanno pressoché ostacoli. Uno per la sua mole l'altro per la sua piccolezza. Ganesha infatti è colui che aiuta a superare gli ostacoli e viene venerato prima di iniziare qualsiasi impresa.

    È interessante notare come, secondo la tradizione, Ganesha sia stato generato dalla Madre Parvati senza l'intervento del marito Śiva; infatti Śiva, essendo eterno (Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli. Così Ganesha nacque dall'esclusivo desiderio femminile di Parvati di creare. Di conseguenza, la relazione di Ganesha con la propria madre è unica e speciale.

    Questa devozione è la ragione per la quale la tradizione dell'India del sud lo rappresenta come celibe. Si dice che Ganesha, ritenendo sua madre Parvati la donna più bella e perfetta dell'universo, abbia esclamato: "Portatemi una donna bella come lei ed io la sposerò".

    Nell'India del nord, invece, Ganesha è spesso raffigurato sposato alle due figlie di Brahma: Buddhi (intelletto) e Siddhi (potere spirituale). In altre raffigurazioni le sue consorti sono Sarasvathi (dea della cultura e dell'arte) e Lakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha scoperto la propria Divinità interiore.

    L'articolata mitologia induista presenta tante storie che spiegano in che modo Ganesha ottenne una testa di elefante; spesso l'origine di questo particolare attributo si trova negli stessi aneddoti che riguardano la sua nascita.
    Nelle storie in questione, inoltre, si raccontano anche varie ragioni che rivelano l'origine dell'enorme popolarità del suo culto.

    -Decapitato e rianimato da Shiva
    La storia più conosciuta è probabilmente quella tratta dallo Śiva Purana: una volta Madre Parvati volle fare un bagno nell'olio, per cui creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare in casa nessuno. In quel frangente Śiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suo tridente. Parvati ne fu molto addolorata e Śiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo rivolto a nord. Essi trovarono un elefante che dormiva in tal modo, e ne presero la testa; Shiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamò Ganapathi, o capo delle schiere celesti, concedendogli che chiunque lo adorasse prima di iniziare qualsiasi attività.

    Shiva e Gajasura:
    Un'altra leggenda riguardante l'origine di Ganesha narra che, una volta, ci fosse un Asura (demone) dalle sembianze di elefante chiamato Gajasura, il quale eseguì una penitenza (o tāpas); Shiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Shiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose: "Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco".
    Shiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Śiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Viṣṇu, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò: "Non preoccuparti, cara sorella, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto".
    Allora Viṣṇu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Śiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Viṣṇu musicante allora rispose: "Puoi darmi quello che ti chiedo?" Gajasura replicò: "Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda". Il suonatore quindi disse: "Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Śiva che vi si trova". Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Viṣṇu Stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Śiva, Gli chiese un ultimo dono: "Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto". Śiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Śiva a Gajasura.

    Lo sguardo di Shani:
    Una storia poco celebre riguardante le origini di Ganesha si trova nel Brahma Vaivarta Purana: Śiva chiese a Parvati, la quale desiderava avere un figlio, di compiere un particolare sacrificio (punyaka vrata) per un anno, in modo da appagare Viṣṇu.
    Dopo il completamento del sacrificio, il Signore Krishna promise a Parvati di incarnarsi come suo figlio, all'inizio di ogni kalpa o era cosmica. Così Krishna nacque come un bellissimo bambino, con grande gioia di Parvati che volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dèi e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani, figlio di Surya (il deva del sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Parvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Parvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa fu tagliata all'istante. Tutte le deità presenti si disperarono, per cui Viṣṇu si precipitò sulle rive del fiume Pushpabhadra e tornò con la testa di un giovane elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Viṣṇu benedì il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra deità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi; allo stesso modo Śiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedì, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.

    Ci sono vari aneddoti che spiegano come Ganesha si spezzò una zanna.

    Ganesha scriba:
    La prima parte del poema epico del Mahābhārata dichiara che il saggio Vyāsa chiese a Ganesha di trascrivere il poema sotto la sua dettatura; Ganesha acconsentì, ma solo alla condizione che Vyāsa avrebbe dovuto recitare il poema ininterrottamente, senza alcuna pausa. Il saggio, allora, pose a propria volta una ulteriore condizione: Ganesha avrebbe non solo dovuto scrivere, ma comprendere tutto ciò che udiva ancor prima di scriverlo. In questo modo Vyāsa avrebbe potuto riprendersi un poco dal suo continuo parlare, semplicemente recitando un verso difficile da capire. La dettatura cominciò, ma nella foga della scrittura il pennino di Ganesha si ruppe, così egli si spezzò una zanna e la usò come penna affinché la trascrizione potesse andare avanti senza interruzioni, così da permettergli di mantenere la parola data.

    Ganesha e Parashurama:
    Un giorno Parashurama, un avatar di Viṣṇu, si recò a fare visita a Śiva, ma lungo la strada fu bloccato da Ganesha. Parashurama si scagliò contro di lui con la sua ascia, e Ganesha (sapendo che quell'ascia gli era stata donata da Shiva) acconsentì a farsi colpire, perdendo così una zanna che fu tagliata.

    Ganesha e la Luna:
    Ganesha mentre cavalca il topo. Si notino i fiori offerti dai devoti. Scultura del tempio Vaidyeshvara a Talakkadu, Karnataka (India).Si racconta che un giorno Ganesha, dopo aver ricevuto da moltissimi adoratori una gran quantità di dolci (Modak), per digerire meglio quell'impressionante mole di cibo, decise di fare una passeggiata; salì sul topo che utilizza come veicolo e partì. Era una notte magnifica e la Luna splendeva. All'improvviso spuntò un serpente che spaventò a morte il topo, il quale sussultando fece cadere il suo cavaliere. Il grosso stomaco di Ganesha venne schiacciato e, troppo pieno, scoppiò; tutti i dolci che aveva mangiato si sparsero attorno a lui. Tuttavia, egli era troppo intelligente per prendersela a causa di questo incidente, per cui senza perdere tempo in inutili lamentele, si preoccupò soltanto di risolvere al meglio la situazione: prese il serpente che aveva causato l'incidente e lo utilizzò come cintura per tenere chiuso il suo addome e bendare la ferita; e, soddisfatto, salì nuovamente sul topo e riprese il suo giro. Chandra, il deva della Luna, nel vedere la buffa scena scoppiò a ridere e si prese gioco di Ganesha; questi allora ritenne giusto punire il deva per la sua arroganza, quindi si spezzò una zanna e la lanciò contro la Luna spaccandone a metà il viso luminoso. Egli la maledisse, decretando che chiunque l'avesse guardata sarebbe stato perseguitato dalla sfortuna. Chandra, rendendosi conto del proprio errore, chiese perdono e pregò Ganesha di ritirare la maledizione; ma una maledizione non può essere revocata, soltanto attenuata, così Ganesha condannò la Luna a crescere e calare in intensità secondo cicli di 15 giorni, e stabilì che chiunque l'avesse guardata durante la festività di Vinayaka Chaturthi sarebbe stato colpito dalla sfortuna. Così, in certi momenti la luce della Luna si sarebbe spenta, per poi ricominciare poco a poco ad apparire; ma la sua faccia sarebbe rimasta intera soltanto per un brevissimo periodo di tempo, perché poi si sarebbe nuovamente "spaccata" fino a scomparire.

    Ganesha, Capo delle Schiere Celesti:
    Una volta fu indetta una grande gara tra i Deva per scegliere tra essi il capo dei Gana (le truppe di semidèi al servizio di Shiva). I concorrenti avrebbero dovuto fare velocemente il giro del mondo e ritornare ai Piedi di Shiva. Gli Dei partirono sui propri veicoli, ed anche lo stesso Ganesha partecipò con entusiasmo alla gara; ma aveva una grossa corporatura, e per veicolo un topo! Naturalmente, procedeva con notevole lentezza e ciò gli era di grande svantaggio. Non aveva ancora fatto molta strada, quando gli apparve davanti il saggio Narada (figlio di Brahma), che gli chiese dove fosse diretto. Ganesha fu molto seccato e andò su tutte le furie, poiché era considerato infausto il fatto che, non appena s'iniziasse un viaggio, si incontrasse un Brahmino solitario. Nonostante Narada fosse il più grande dei bramini, figlio dello stesso Brahma, ciò rimaneva comunque di cattivo auspicio. Inoltre, non era considerato buon segno ricevere la domanda "Dove sei diretto?" quando ci si stava dirigendo da qualche parte; quindi Ganesha si sentì doppiamente sfortunato. Tuttavia, il grande brahmino riuscì a calmare la sua collera. ll figlio di Shiva gli raccontò il motivo della sua tristezza e il suo desiderio di vincere; Narada lo consolò, esortandolo a non disperarsi, e gli diede un consiglio:
    "Così come un grande albero nasce da un singolo seme, il nome di Rama è il seme da cui si è sprigionato quell'immenso albero chiamato Universo. Perciò, scrivi per terra il nome "Rama", fai un giro intorno ad esso, e precipitati da Shiva a reclamare il tuo premio."
    Ganesha tornò da suo padre, il quale gli chiese come avesse potuto fare così in fretta. Rispose, raccontandogli la storia ed il suggerimento di Narada; Shiva, soddisfatto della saggia risposta alla sua domanda, dichiarò vincitore suo figlio il quale da quel momento fu acclamato con il nome di Ganapati (Conduttore delle schiere celesti) e Vinayaka (Maestro di tutti).

    L'appetito di Ganesha:
    Un aneddoto tratto dai Purana narra che il tesoriere di Svarga (il paradiso) e dio della ricchezza, Kubera, si recò un giorno sul monte Kailasa per ricevere il darshan (la visione) di Shiva. Poiché era molto vanitoso, lo invitò ad una cena nella sua sfarzosa città, Alakapuri, in modo da potergli esibire tutte le sue ricchezze. Shiva sorrise e gli disse: "Non posso venire, ma puoi invitare mio figlio Ganesha. Ti avverto che è un vorace mangiatore!". Per nulla preoccupato, Kubera si sentiva pronto a soddisfare con la sua opulenza anche una fame insaziabile come quella di Ganesha. Prese con sé il piccolo figlio di Shiva e lo portò nella sua città; lì gli offrì un bagno cerimoniale e lo rivestì di abiti sontuosi. Dopo questi riti iniziali, iniziò il grande banchetto. Mentre la servitù di Kubera si impegnava al massimo per servire tutte le portate, il piccolo Ganesha si mise a mangiare, mangiare e mangiare... Il suo appetito non si arrestò neppure dopo aver divorato i piatti destinati agli altri ospiti; non c'era nemmeno il tempo di sostituire una portata all'altra, che Ganesha aveva già divorato tutto e, con segni di impazienza, attendeva nuovo cibo. Divorato tutto quanto era stato preparato, Ganesha prese a mangiare decorazioni, suppellettili, mobili, lampadari... Atterrito, Kubera si prostrò davanti al piccolo onnivoro e lo supplicò di risparmiargli il resto del palazzo.
    "Ho fame. Se non mi dài altro da mangiare, divorerò anche te!", disse a Kubera. Questi, disperato, si precipitò sul monte Kailasa per chiedere a Śiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata di riso abbrustolito, dicendo che quello l'avrebbe saziato; Ganesha aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Ganesha si saziò e si calmò.

    Devozione alla Madre:
    Una volta, da bambino, il piccolo Ganesha stava giocando con un gatto e inavvertitamente lo ferì. Quando tornò a casa, trovò la madre Parvati dolorante e ferita; le chiese come si fosse fatta male, ed ella rispose che la responsabilità non era di altri se non dello stesso Ganesha. Sorpreso, egli le domandò quando questo fosse successo. Parvati spiegò che, in quanto "Energia Divina" (o Shakti), Lei è immanente in tutti gli esseri; quando Ganesha ferì il gatto, anche Parvati fu ferita. Ganesha realizzò che tutte le donne erano unicamente manifestazioni di sua Madre (un bellismo concetto a mio avviso [SM=g27824] ), e decise di non sposarsi. Fu così che rimase un Brahmachari, ovvero "celibe a vita"; ma d'altronde, non avendo desideri, Ganesha non sentiva alcuna necessità di avere delle mogli o dei figli.

    Come per tutte le altre Murti induiste, anche Ganesha è invocato attraverso innumerevoli appellativi che si riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche.
    Alcuni di essi:

    -Ganapathi, Conduttore delle schiere celesti (Gana)
    -Gananatha, Signore delle schiere celesti
    -Gananayaka, Maestro di tutti gli esseri
    -Omkaresha o Omkareshvara, Signore la cui forma è OM
    -Gajavadana, Signore dalla testa di elefante
    -Gajanana, Signore dal volto di elefante
    -Vinayaka, Colui al di sopra del quale non esistono Maestri
    -Vighneshvara, Signore degli ostacoli
    -Vighna Vinashaka, Distruttore degli ostacoli
    -Vishvadhara o Jagadoddhara, Colui che regge l'Universo
    -Vishvanatha o Jagannatha, Signore dell'Universo
    -Mushika Vahana, Colui che cavalca il topo
    -Lambodhara, dal grosso ventre
    -Vakratunda, dalla proboscide ricurva
    -Ekadanta, dall'unica zanna
    -Shupakarna, dalle larghe orecchie

    Un'altra murti molto amata è quella di Bala Gajanana o Bala Ganesha (lett. piccolo Ganesha o Ganesha bambino), in cui un giovanissimo Ganesha dalla piccola proboscide e dai grandi occhi viene raffigurato in braccio ai Genitori Divini, oppure mentre abbraccia dolcemente il Lingam, simbolo di Śiva.

    «Tu sei costituito di parola, tu sei costituito di pensiero,

    tu sei costituito di beatitudine,

    tu sei costituito di Brahman.

    Tu sei l’unico,

    o tu che sei costituito di essere, pensiero e beatitudine.

    Tu sei il Brahman reso visibile.

    Tu sei costituito di conoscenza [assoluta],

    sei costituito di conoscenza distintiva».

    Ganapati Upanisad, 4 (1).

    Fonti
    [Modificato da -Acqua- 02/10/2011 16:58]


    << Si dice che c'è un posto nel deserto
    in cui lo spirito delle donne
    e lo spirito dei lupi s'incontrano
    attraverso il tempo...>>
    <<...quel posto, il posto in cui
    la sua mente e i suoi istinti si mescolano,
    dove la vita profonda della donna
    fonda la sua vita mondana
    [...] è il luogo in cui le donne
    corrono coi lupi>>
    Donne che corrono coi lupi
    C. P. Estés
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    -Acqua-
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    Guardiana
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    00 25/09/2011 00:29
    Mi ha colpito molto la figura di Ganesha,
    soprattutto per la sua abilità di "spezzare la dualità",
    grazie Artemide!

    Qualche immagine di Ganesha:






    [Modificato da -Acqua- 02/10/2011 17:00]





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    artemide_93
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    00 30/09/2011 19:57
    e le fonti... ci ho provato... infatti se vedi in basso ci dovrebbe essere qualcosa... ma non me lo mette in evidenza... [SM=g27820]


    Acqua: Grazie, non le avevo viste! Ho modificato con l'url. Poi appena leggi cancello questi ot tecnici [SM=g27838]

    [Modificato da -Acqua- 02/10/2011 17:00]


    << Si dice che c'è un posto nel deserto
    in cui lo spirito delle donne
    e lo spirito dei lupi s'incontrano
    attraverso il tempo...>>
    <<...quel posto, il posto in cui
    la sua mente e i suoi istinti si mescolano,
    dove la vita profonda della donna
    fonda la sua vita mondana
    [...] è il luogo in cui le donne
    corrono coi lupi>>
    Donne che corrono coi lupi
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    artemide_93
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    00 02/10/2011 14:14
    www.paramarta.it/mito/forme.html
    qui ci sono le diverse forme di Ganesha con tanto di disegno [SM=g27823]


    << Si dice che c'è un posto nel deserto
    in cui lo spirito delle donne
    e lo spirito dei lupi s'incontrano
    attraverso il tempo...>>
    <<...quel posto, il posto in cui
    la sua mente e i suoi istinti si mescolano,
    dove la vita profonda della donna
    fonda la sua vita mondana
    [...] è il luogo in cui le donne
    corrono coi lupi>>
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    artemide_93
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    00 31/01/2012 10:41
    L'ortodossia iconografica impone di rappresentare il dio con 4 mani ma si giunge fino a 14, ed ogni mano sorregge un diverso simbolo. Le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile(il terzo stato del corpo durante la meditazione), ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata; gli stessi attributi fisici di Ganesh sono ricchi di simbolismo: una mano nella mudra, posizione detta Abhaya che indica protezione e rifugio e l'altra regge un dolce, modaka, simbolo della dolcezza della realizzazione dell' io profondo.
    Nelle mani posteriori generalmente regge un ankusha, un pungolo da elefante, o un'ascia, e nell'altra un pasha, un nodo scorsoio; questo indica che l'attaccamento al mondo ed ai desideri è una trappola, mentre altre interpretazioni lo leggono come simbolo della forza che lega il devoto all’eterna beatitudine del Sé; il pungolo è utilizzato per spronare l'umanità verso il cammino della giustizia e della verità e l'ascia è simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza. Il suo ventre indica la generosità della natura e la facoltà del dio di inghiottire i dolori dell'universo e di proteggere così il mondo(ma esitono altre versioni che giustificano la grossezza del suo ventre, anche se questa è la più comune e accreditata). Il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente. Questa obesità apparente si scontra con ciò che è in realtà l'essenza del peso. Basta pensare all'iconografia classica che vede ganesha rappresentato sopra un fiore di loto oppure a cavallo di un topolino: se esteriormente il Dio può apparire "pesante", in realtà è composto da un essenza leggera, fluttuante.


    La caratteristica di maggior impatto è la testa d'elefante, simbolo beneaugurante di forza e di coraggio intellettuale. Tutte le qualità dell'elefante sono racchiuse nell'immagine di Ganapati. L'elefante è l'animale più grande e forte della foresta. Tuttavia è un animale delicato e vegetariano e dunque non uccide per mangiare. E' un animale fedele e affettuoso verso i suoi guardiani ed è molto docile se trattato con amore e rispetto. Ganesh, pur essendo un dio potente, è un dio mosso da amore e perdono che si commuove a causa della devozione dei fedeli; ma allo stesso tempo l'elefante può distruggere l'intera foresta se provocato e Ganesha rispecchia queste caratteristiche.
    La grande testa d'elefante simbolizza la saggezza del pachiderma, le sue grandi orecchie separano il bene dal male; sentono tutto ma ascoltano solo ciò che è buono; ascoltano con attenzione le richieste degli umili come dei potenti. La proboscide è simbolo del suo discernimento, viveka, una caratteristica altamente necessaria per il progresso spirituale. L'elefante usa la sua proboscide per abbattere un albero, trasportare massi al fiume ad altri gravosi incarichi, ma la stessa grande proboscide è utilizzata per strappare un ciuffetto d'erba, per rompere una noce di cocco e per mangiarne la tenera polpa. I compiti più grandi e i più piccoli sono alla portata della sua proboscide, che simbolizza l'intelletto di Ganesh e la sua capacità di scelta.



    Un altro aspetto interessante dell'iconografia di Ganesh è la zanna spezzata, alla quale deve l'appellativo di Ekdanta, formato da ek, uno, e danta. La zanna spezzata di Ganesha, indica principalmente la capacità di superare o "spezzare" la dualità; tuttavia, questo è un simbolo che può assumere vari significati. Questa caratteristica è spiegata con diversi miti: quando Parashurama - un discepolo di Shiva e manifestazione di Vishnu - si recò in visita agli appartamenti del dio, trovò Ganesh a guardia dell'entrata. Poichè Shiva dormiva, il dio elefante non lo lasciò entrare. Parashurama tentò di forzare il blocco e la controversia terminò in lotta. All'inizio Ganesh sembrò avere la meglio, bloccò il discepolo con la sua proboscide e lo lasciò senza conoscenza ma, una volta riavutosi, Parashurama lanciò la sua scure contro Ganesh, il quale, riconoscendo l'arma del padre dal quale il discepolo l'aveva ottenuta, non si difese lasciando che l'ascia gli troncasse la zanna.
    Un' altra versione vede invece Ganesh incaricato di scrivere il Mahabharata sotto dettatura del saggio Vyasa. Rendendosi conto dell'importanza di quanto stava scrivendo, il dio capì l'inadeguatezza della comune penna utilizzata, si spezzò così una zanna e con quella portò a termine il suo compito. Un'altra versione ancora racconta che lo stilo si ruppe e che Ganesh si spezzò la zanna utilizzandola semplicemente per poter continuare a scrivere.

    La morale vuol essere che non vi è sacrificio troppo grande di fronte al conseguimento della sapienza. Un antico dramma sanscrito, Shishupalvadha, offre ancora un'altra versione differente: si narra che Ganesh fu privato della zanna dal demone Ravana, che l'utilizzò per farne orecchini d'avorio per le bellezze di Sri Lanka.



    Il topolino, Mushika o Akhu, sul quale si sposta Ganesh è una figura enigmatica; sembra strano in principio che al Signore della Saggezza sia stato assegnato un mezzo di trasporto umile ed incapace di sollevarne l'immane peso e, notoriamente, un essere che crea sgomento nei pachidermi; ma ciò vuol indicare che il saggio non trova nulla nel mondo sproporzionato o brutto. Il topo è comparabile all'intelletto; è capace di infilarsi inosservato, cosciente o meno, dove non avremmo mai pensato fosse possibile, e lo fa spesso senza domandarsi se troverà virtù o vizio.
    Il topo rappresenta la nostra indomita mente peregrina, allettata anche da terreni corrotti o indesiderabili. Mostrando il topo che si umilia davanti al signore Ganesh, si indica che l'intelletto è stato domato dalla sua capacità di discernimento. Spesso accanto al topo vi è un piatto di cibo: rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell'intelletto, la mente sottoposta ad un ferreo controllo, che fissa Ganesha e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso.



    In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata ed invocata, poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Per questo motivo è tradizione che tutte le sessioni di bhajan, canti devozionali, comincino con una invocazione a Ganesha, Signore del "buon inizio" dei canti.

    Ganesha è anche definito Omkara o Aumkara, ovvero "avente la forma della Om o Aum.

    Infatti, la forma del suo corpo ricalca il contorno del fonema sanscrito capovolto che indica il celeberrimo Bija Mantra. Il sacro OM è il più potente simbolo universale della divina presenza, nel pensiero indiano, è considerato il suono che si generò alla creazione del mondo. Le lettere che compongono questo suono, se capovolte, danno il perfetto profilo del dio dalla testa d'elefante. Ganesh è dunque l'unico dio associato FISICAMENTE col sacro suono primordiale.



    Sono moltissimi i miti che fanno riferimento a Ganesh e altrettanti sono i nomi con cui è invocato. Le rappresentazioni di Ganesha si basano su simbolismi religiosi antichi migliaia di anni. In India, le statue sono espressioni di significati simbolici, e quindi non sono mai state spacciate come repliche esatte di una figura vivente. Ganesha non è visto come un’entità fisica ma come un più elevato essere spirituale, e le murti, le rappresentazioni scultoree, hanno la funzione di simboleggiare la deità come figura ideale. L’errore più comune per la concezione giudeo-cristiana occidentale è scambiare il concetto di murti con quello di idolo, culto ad oggetti stessi; c’è una profonda differenza tra i due, poiché presso la filosofia induista le murti sono solo punti di focalizzazione simbolica attraverso i quali è possibile raggiungere la Divinità.

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    << Si dice che c'è un posto nel deserto
    in cui lo spirito delle donne
    e lo spirito dei lupi s'incontrano
    attraverso il tempo...>>
    <<...quel posto, il posto in cui
    la sua mente e i suoi istinti si mescolano,
    dove la vita profonda della donna
    fonda la sua vita mondana
    [...] è il luogo in cui le donne
    corrono coi lupi>>
    Donne che corrono coi lupi
    C. P. Estés