Le Pietre delle Fate
Muovendo i passi lungo irti sentieri e serpeggianti ruscelli, addentrandosi attraverso fitte foreste verso rossi confini che si perdono all'orizzonte, qualcosa di sorprendente potrebbe capitare. Qualcosa di incredibilmente maestoso potrebbe ergersi in tutta la sua pienezza davanti ai nostri occhi. E qualche cosa di altrettanto incantevole potrebbe muoversi silenziosamente attorno.
Misteriosamente apparse, fate e anime luminose danzano frenetiche intorno ad alte forme corpose che sembrano muoversi ritmicamente anch'esse: Grandi Pietre. Circondate da fuochi che scoppiettano allegramente, al riverbero di un nebbioso crepuscolo, soffiati da una lieve brezza autunnale.
Le Pietre delle Fate, Donne di Conoscenza, Tessitrici di Destini, così venivano chiamate nei tempi che furono. Esse modellano il Fato, sono creatrici di Fortuna. Incantatrici amorose, spiriti liberi fuse nel sogno della Grande Madre.
Figlie della foresta dai capelli ramati, dalle pupille nere così eguali alle more dei cespugli, il cui fascino ricorda la luce degli astri quando si getta in polle d'acqua smeraldina. Hanno la pelle madreperlacea, come la fine sabbia delle grotte. Il loro sguardo magnetico e selvatico sa catturare e portare in terre sconosciute, come accade a Hylas (1).
Corrono imperlate dalla luce della luna, calpestando delicate il muschio umido. Ogni tanto si fermano improvvisamente prestando ascolto, con espressioni attente ed esaltate, vellutate come quelle delle cerbiatte.
Qualcun altro potrebbe trovarsi lì... un Viandante forse. E si lanciano nuovamente nel verde. Ebbrezza di libertà!
Poi ridono piano, scostando i rami intrecciati del sottobosco. Quel fitto groviglio di arbusti, siepi di lamponi e rose canine le inebriano, il loro profumo si fonde fra i castagni. I battiti del cuore, come tamburi, aumentano e poi si attenuano; si muovono a balzi e poi lentamente, atteggiando sinuosamente i morbidi fianchi.
La luna, come una enorme perla dall'iridescenza opalina, avanza sulle cime delle querce versando sotto le chiome colorate una luce tenue.
Con passo sicuro attraverso la luce e l'ombra scrollano il capo allo spirare dei venti per far cadere i fuscelli aggrappati fra i morbidi capelli. Ma subito riprendono la corsa lungo sorgenti scortate da alte digitali, volgendosi alla radura delle Pietre.
Il tempo non ha ancora spogliato le tinte porporine e dorate degli alberi. Nella penombra del sottobosco brillano le rosse perle dei cespugli d'agrifoglio, velati dai noccioli.
Un denso tappeto di foglie nasconde funghi umidi le cui cupole brunite, quando il sole le scorge, illuminano l'aria come piccole lanterne così simili a casette splendenti.
Cosa potrebbe accadere in luoghi in cui la loro presenza manifesta un mistero? I cerchi di pietra sono forse passaggi magici per scoprire profonde realtà?
Il viaggio al di là di quelle porte è il Viaggio del Ramo d'Argento (2), fatto di piccole tappe che pian piano ci conducono all'Isola Incantata. Un viaggio in cui è facile perdersi, il principio per ritrovare il sentiero, lungo il quale esseri fatati appaiono e scompaiono senza tregua fra le nebbie impalpabili, durante anfratti di tempo in cui mondi sottili si confondono.
Ancora oggi può capitare di udire piccoli movimenti scanditi dal tintinnio luccicante dell'essenza luminosa.
Le Pietre, partecipi del silenzioso mistero, sprigionano energia fatale, vibrano al richiamo delle antiche melodie. Nell'oscurità della notte sorgono e danzano insieme.
Le Pietre sono il Popolo Primigenio. Le forme sinuose, simili ai morbidi fianchi di una donna gravida, ricordano i colori dei mari e le ceneri dei fuochi dai quali la Grande Madre modellò parte della sua immagine; quel potente travaglio dal quale sorsero valli, colline e alte montagne.
Che cosa rappresentavano le Grandi Pietre per gli Antichi? Perché ritornare al principio che fu una volta?
Per quale recondito motivo la visione di una Grande Pietra suscita meraviglia, bellezza, incanto e, tuttavia, un pizzico di inquietudine?
“Il sasso, anzitutto, è. Rimane sempre se stesso e perdura […], colpisce […]” (3)
Nel nord della nostra penisola, in val Susa, sono chiamate "massi erratici". Nel nome erratico, ovvero errante, c'è il viaggio mosso dalle glaciazioni. Seppur molte delle loro conformazioni sono indice di questa storia, poco si sa su cosa veramente rappresentassero per gli Antichi Popoli.
Qualche trama invisibile degli avvenimenti passati si cela nell'istinto femminile, una flebile traccia di quella fiamma che un tempo la rendeva splendente.
Come le Antiche Donne usavano strusciare le parti intime su particolari protuberanze delle pietre per ricevere il Dono, la Fertilità, ancora oggi in molte seguono la tradizione, percependo all'interno del loro essere la forza dolce e travolgente impressa nel gesto (4). Da allora la Chiesa condannò la donna e la chiamò strega, termine in certi periodi del Medioevo accostabile alla fata. Di conseguenza alle pietre.
A quei tempi le madri usavano far passare i bimbi in fasce al di là dei fori formati dall'accostamento naturale delle pietre, o attraverso i buchi delle pietre stesse, rigenerandoli e iniziandoli alla vita.
La credenza nel potere miracoloso delle pietre forate era diffuso in Irlanda, Scozia, Inghilterra, Francia e in molti altri paesi del Mediterraneo. Strisciare attraverso un'apertura della sacra pietra portava rigenerazione, le malattie erano sanate.
Così come le Pietre abitate dalle Fate vegliano sul Fato (5), così vegliano sulla Morte, poiché la pietra è incorruttibile, e lo spirito che vi dimora può animare forze travolgenti.
Un segno inciso sulla superficie di una pietra era un atto magico, significava imprimervi un'essenza.
L'antenato "fissato" nell'interiorità del megalito diventa mezzo di difesa e di accrescimento. Così i Samoiedi pregano e offrono oro alla pyl-paja (la donna-sasso), e gli sposi novelli camminano sopra un sasso perché la loro unione sia feconda.
I Khasi dell'Assam venerano la Grande Madre del clan nel dolmen (“maw-kynthei”, i “sassi-femmina”); il Grande Padre nel menhir (“maw-shynrang”, i “sassi-maschi”), quando in Irlanda era dimora della Dea Brigit.
Deboli vestigia di queste usanze sopravvivono nella glisse (6), "scivolata" lungo una pietra consacrata; o ancora nella friction (7), "strofinata" del ventre o delle natiche.
Non a caso esistono tombe neolitiche che richiamano la forma del ventre della Grande Madre (8). Artemide era chiamata “la petrosa” , e Ninhursaga, in Mesopotamia, “Signora del terreno petroso”.
Presso i Gond, tribù dravidica indiana, si usava "deporre accanto alla tomba, quattro giorni dopo la sepoltura, una roccia enorme che raggiunge qualche volta i tre metri di altezza".
I Maori delle isole Cook avevano una simile usanza. Ovvero, i gruppi di massi da loro eretti, le marae, erano consacrati al culto degli antenati. Ancora oggi i fanciulli usano scalare le rocce come prova di coraggio per festeggiare il passaggio alla maggiore età.
Nel Medioevo furono emesse numerose leggi contro il culto delle pietre.
Eppure, fuori dalle città dove le predicazioni erano più forti, la donna si recava ad adorare le Pietre e la natura che le circondava. Così come ella esplora il suo corpo, così trova i punti energetici racchiusi nella pietra.
Il punto della pietra che sprigiona energia è il centro, l'Omphalos. Il Ventre, l'ombelico della Donna. Sfregare le proprie intimità sulla pietra è un candido abbandono voluttuoso.
L'Omphalos è ovunque nell'Essere, è Avalon. L'Isola Sacra è il Divino Centro, è il segreto del Divino nell'Anima Antica. Il Sacro Frutteto perduto fra le nebbie dei regni luminosi, la meta del Viaggio. Il sacro cerchio dove le fate danzano avvolte dai flutti eterei.
La pietra omphalos è bianca (9), porta in sé racchiusi tutti i colori, è il cerchio Vita-Morte-Vita, è il colore di una forma che si trasforma in un'altra, è il simbolo del Cambiamento.
La sommità di una collina sacra (10) è l'ombelico o Omphalos della Dea, dove è concentrato il potere di creare la vita: la sua forma (11) è ripetuta in migliaia di luoghi. E la raffigurazione su antichi vasi mostra al suo interno il sorgere di una Dea (Gaia, Afrodite o Semele) che sparge semi attorno a sè.
Ma ecco che Apollo si appropria dell'Omphalos. Uccide il serpente oracolare, guardiano del tempio dedicato alla grande Dea Ctonia. Ogni cosa si trasforma, nel nome della Pizia si ravvisa ciò che un tempo era, poiché pizia deriva da
pito, ossia pitone, serpente.
Talvolta il serpente (12) circonda i cerchi concentrici e le coppelle (13) disegnate sulle superfici delle Pietre, identificando gli Occhi della Dea Civetta, il Centro della Sorgente, poiché l'Occhio è l'onniveggenza della Grande Madre (14).
Aquae Sulis, nell'antica Bretagna, è la fonte sacra alla Dea Sulis. Suil in irlandese antico significa “occhio”, mentre in altre lingue è tradotto come“sole”, comunque una porta di luce. Un'affinità magica lega gli occhi della civetta e il cerchio (15).
A Moutiers la popolazione manifesta un timore per la pietra Chevetta, “Pietra della Civetta”, poichè protegge il villaggio e, finché durerà, né il fuoco né l'acqua potranno mai fare del male.
Il rito di fusione di coppella e occhi chiamava a sè le forze della vita. Una coppella circondata da un cerchio è un occhio, metafora di fonte divina, ricettacolo della Madre quando“versa pioggia” (16).
In val Sangone, nella chiesa del borgo vecchio di Avigliana è custodita la "losa delle coppelle", che porta tracciate le costellazioni dell'Orsa Maggiore e dell'Orsa Minore, tanto simili alla pietra Baildon Moor nello Yorkshire.
Una coppella è un pozzo in miniatura, sacro come le fonti sotterranee da cui molte pietre sono state portate alla luce.
I maggiori ritrovamenti sono siti lungo torrenti e fiumi, o ancora, in profonde caverne in cui echi lontani riecheggiano nel buio e il gorgoglio di sorgenti sotterranee borbotta incessante.
Così, levigate dalle acque, portatrice di essenze, esse custodiscono i segreti della nascita e della morte, quanto il tempo ne segna le ere. Eterne custodi di saggezza.
Eliade disse: "Non saprei dire se gli uomini hanno mai adorato i sassi in quanto sassi. [...] Una roccia, un ciottolo, sono oggetto di rispettosa devozione perché rappresentano o imitano qualche cosa. [...] Li hanno adorati o se ne sono serviti come strumenti di azione spirituale, come centri di energia destinati alla difesa propria o a quella dei loro morti. [...] La loro funzione era magica più che religiosa".
In Irlanda Lia Fail (la pietra di Fail) è una teofania della divinità del suolo, l'unica che riconosce il proprio padrone, il re di quella terra.
Nel Mediterraneo rocce aguzze o grossi massi isolati divennero il simbolo di Penn, dio delle vette e dei boschi, identificabile nell'eterno dio Pan, a Fauno e alla sua sposa.
Prova dell'antico significato rituale dei massi è l'erezione su di esse di croci, cappelle e soprattutto statue della Madonna; pratica che testimonia l'affermazione della cristianità in luoghi sacri arcaici.
Un alone di mistero circonda la sacra pietra, dimora di un'anima antica. Forse abitata proprio dalle anime delle donne dagli occhi luminosi a cui è stato impedito di danzare dai secoli di patriarcato.
L'uomo, una volta perso il divino dentro di sé, confuse segno e divinità, dando ai segni nuovi significati, estraniandoli dalle verità. Le antiche forme e gli oggetti sacri furono così adottati dalla nuova religione, il Cristianesimo.
Ma la pietra condurrà sempre lungo il cammino per mano di una fata, alla cerca del divino tramite l'umano istinto capace di ricevere una rivelazione fulminea e travolgente.
Necessario è abbandonarsi. Dimenticare ogni frivolezza. Sciogliere i nodi delle maschere con le quali è continuamente adornato l'uomo moderno, uno dopo l'altro. Solo così alle anime fortunate potrebbe capitare di percepire la magia, il profondo incanto che suscita il tocco o anche solo la vicinanza di una Grande Pietra.
Ritornare in quella piccola radura incantata illuminata dalla luna, rimanere accecati per poi riuscire a Vedere tutta la bellezza che si espande e risuona nell'etere, nel tondo spazio in cui i folletti sorridono giocosi, significa lasciar cadere i veli che l'illusione della vista ci impone, e liberare il sesto senso che nell'infinità del nostro viaggio si fonderà agli altri sensi liberati, in completa fusione e in armonia con la natura selvaggia.
Una volta giunti alla meta non saremo più noi, perderemo l'identità. L'Io non esisterà più, sparirà in quel dolce connubio che ci permetterà a nostra volta di danzare e correre... correre e correre in cerchio, senza mai abbandonare la foresta, l'immenso giardino che fa parte dell'essere, quanto dell'anima.
Il Disegno del Grande Cerchio della vita ci coinvolge, è un segreto che esisterà per sempre.
Un segreto che la Donna di Rame (17) conosce.
Secoli orsono le Antenate ci insegnarono a disegnare cerchi sulla sabbia delle isole fortunate, da cui ogni donna saggia parte alla fine della sua vita, liberando l'anima e vuotando il sacco di pelle, abbandonando le ossa e le proprie radici per coloro che verranno.
Cerchi che fungevano da collegamento con la vera casa, luce balenante di quel mondo oltre l'orizzonte che lascia le sue tracce brillanti sull'acqua delle isole oltremondane, ove sono destinate le anime danzanti.
Attraverso la magia esse intagliavano le rocce dalle montagne, dando loro forma prima di segnarle e porle nei punti giusti del cerchio per poter leggere i cieli e l'essenza luminosa. Pietre sacre, attorno alle quali divine danze e canti si sono succedute e in parte tramandate nel corso dei secoli. Danzate e intonati in cerchio dalle donne in comunione con la Grande Madre, tramite la consapevolezza del proprio Sè, che allora poteva essere mandato Altrove.
Con le luna e le stelle, le pietre e la terra sotto i loro piedi le Antiche Donne e le Fate sapevano sempre dov'erano, da dove venivano e dove erano dirette.
Le porte invisibili si aprivano avvolgendole nelle nebbie incantate.
Note:
1. Le ninfe che rapirono il giovane Hylas sono sovrapponili alle fate, in quanto è proprio il loro modo d'essere che nel tempo si fuse nella rappresentazione della fata che predice il fato, figura derivata a sua volta dalle Parche (vedi
Morgana e Melusina, la nascita delle fate nel Medioevo di Harf-Lancner)
2. Citazione tratta da
Il tempio della Ninfa, "Il viaggio del Ramo d'Argento" di Violet
3. Citazione tratta dal
Trattato di storia delle relegioni di Mircea Eliade
4. Le "pietre della fertilità" o "pietre fecondatrici"
5. Fata deriva da
fatum, ossia "fato, sorte, destino"
6. Letteralmente "scivolata", antica usanza francese
7. Letteralmente "frizione" , antica usanza inglese
8. Larmor Baden, Ile Longue, IV millennio a.C.
9. Citazione di Pindaro (secondo Pausania)
10. Collina di Silbury, Gran Bretagna
11. Una figura sagomata a collina con un piccolo nodo sulla cima
12. Archetipo di Rigenerazione
13. Cavità rotonde dalle piccole dimensioni
14. Fin dal Paleolitico Superiore l'occhio è l'archetipo della Sorgente, come ben si nota osservando la statuetta di Dolni Věstonice, sulla quale una corrente fluida scorre lungo il corpo della Dea e ha inizio proprio nella zona degli occhi
15. Tomba megalitica di Sess Kilgreen in Gran Bretagna, citata ne
Il linguaggio della Dea di Marija Gimbutas
16. Citazione da
I Mabinogion di Evangeline Walton, I ramo,
Il Principe dell'Annwn
17.
Le Figlie della Donna di Rame di Anne Cameron
Fonti e letture:
*
Trattato di storia delle religioni, Mircea Eliade
*
Il linguaggio della Dea, Marija Gimbutas
*
I Mabinogion, Evangeline Walton
*
Morgana e Melusina, la nascita delle fate nel Medioevo, Harf-Lancner
*
Le Figlie della Donna di Rame, Anne Cameron, Edizioni della Terra di Mezzo
*
Delle antiche danze femminili, Irina Naceo, Edizioni della Terra di Mezzo
*
Angelica, la marchesa degli angeli, Anne e Serge Golon
*
www.massierratici.it/
*
freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9356414