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Roma Papale

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    pedrodiaz
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    00 04/09/2011 15:44
    Lettera sedicesima

    Lettera Sedicesima

    L'Imprigionamento

    Enrico ad Eugenio

    Roma, Maggio 1849.

    Mio caro Eugenio,

    Eccomi in una città assediata dalle truppe francesi. Non puoi farti una idea del danno che ha fatto al Cattolicismo questa falsa condotta del papa e della Francia (Nota 1 - I Francesi in Roma. - P. Ventura): io penso che il papismo abbia da tale falso modo di agire ricevuto un colpo tale, che mai più non si rileverà, almeno moralmente. È un funesto spettacolo di vedere i preti, che dovrebbero essere i ministri del Dio della pace; che, come Cristo, dovrebbero piangere sui mali della patria, e pregare per lei; vederli, dico, tripudiare alla rovina del paese natio, e cospirare con lo straniero contro di esso (Nota 2 - Preti cospiratori). Ma tiriamo un velo sopra tante sciagure.

    Non temere che ora voglia prendere occasione di parlarti di politica: no, caro amico, il mio proponimento è fissato: la politica non è il mio elemento, e tu sai quali sieno gl’ insegnamenti che su tal punto ho ricevuto dal mio buon genitore (Nota 3 - I preti e la politica). D’altronde tutto quello che riguarda gli avvenimenti politici tu lo sai dai giornali.

    Come tu vedi dalla data di questa mia, io sono ancora in Roma, perchè aspetto fra pochi giorni il ritorno del mio caro amico Pasquali, che torna da un viaggio in Oriente con gli altri due amici. Quando essi saranno tornati, partiremo insieme.

    Ti promisi nell’ ultima mia di darti un racconto del mio imprigionamento; ed eccomi a mantenerti la parola.

    Era il 5 aprile, il lunedì dopo la Pasqua: io era solo e tranquillo nella mia camera a studiare, quando circa le nove della sera due uomini mi si presentano, assai ben vestiti, che sembravano due gentiluomini. Uno di essi era alto e robusto, il quale dopo entrato richiuse dietro a sè la porta, e si fermò ritto come a custodirla. L’altro era piccolo di statura, tarchiato, piuttosto vecchio; ma di una fisionomia cosi sinistra che m’incuteva spavento. Costui si avanzò verso di me, facendomi delle riverenze, e quando mi fu vicino mi disse:

    "È lei il signor Abate Enrico N. di Ginevra?" "Sono io per l’ appunto," risposi. "In questo caso riprese l’uomo

    dalla triste figura, farà grazia di venir con noi;" e traendo di tasca una carta la aprì e me la pose dinnanzi. Io vidi il suggello del S. Uffizio, e mi si levò il lume dagli occhi, dimodochè non potei leggerla: le mie ginocchia per un moto nervoso si urtavano fortemente fra loro, per cui era impossibile levarmi da sedere. Un freddo sudore sentiva che mi scorreva sulla fronte.

    "Non tema di nulla, diceva quell’ uomo ripiegando e rimettendosi in tasca il mandato: noi siamo due galantuomini, tutte le cose andranno bene, il santo tribunale è misericordioso: abbasso abbiamo la carrozza;" e seguitava a parlare con grande volubilità; ma le sue parole non mi giungevano alle orecchie che come suoni indistinti

    Dopo alcuni minuti, vidi entrare nella mia camera il superiore del convento ove io aveva stanza, pallido e tremante. Ritornato alquanto in me, mi levai da sedere per seguire i due birri, che tali erano; ma essi aprirono la finestra della mia camera, per vedere se da essa vi potesse essere comunicazione alcuna, ed assicuratisi che non ve ne era, osservarono bene se oltre la porta vi potesse essere altro mezzo di penetrare dentro la stanza, ed assicuratisi anche di questo, chiusero la porta con la chiave che consegnarono al superiore involtata in un foglio, e suggellato quello col suggello del S. Uffizio. Poscia con una lista di pergamena che avevano portata, e sulla quale era scritto S. Uffizio, biffarono la porta, suggellando quella lista col suggello del S. Uffizio. Ciò

    fatto alla presenza del superiore e di un altro frate, che fecero sottoscrivere all’ atto (Nota 4 - Formalità usate nel carcerare un eretico), i due birri m’ invitarono gentilmente a scendere la scala, e montammo tutti e tre nella carrozza che ci attendeva (Nota 5 - Carrozze del S.Uffizio).

    Mentre eravamo soli nella carrozza, i due birri che mi conducevano si mostrarono per quello che essi erano. Non vi erano più parole melate, che erano in essi una vera ipocrisia: incominciarono a parlare fra loro con un certo gergo grossolano che io non comprendeva, e ridevano sgangheratamente. Sebbene però non comprendessi tutto quello che dicevano, pure, dai loro gesti e dal modo come mi guardavano, capii che si burlavano di me; ed io taceva. Poscia incominciarono apertamente e senza gergo ad insultarmi. Quegl’ insulti mi scossero da quella specie d’abbattimento in cui era, e la mia dignità offesa si rilevò alla presenza di tanta viltà: guardai dignitosamente nel viso quegli sgherri; ma non perciò cessarono dall’ insultarmi.

    Era circa mezz'ora ora che camminavamo nella carrozza; le tendine degli sportelli erano calate per cui non vedeva nulla di quello che accadeva nelle strade per le quali passava. Finalmente un rumore cupo mi avvertì che la carrozza era entrata sotto una volta, e mi avvidi dal fermarsi di essa che eravamo giunti al terribile palazzo dell’Inquisizione. Entrata appena la carrozza, sentii chiudere il ferrato portone; fu poscia aperto uno sportello e mi fu ordinato di scendere. Un uomo di aspetto truce con una lanterna in una mano ed un mazzo di grosse chiavi nell’ altra mi ordinò di seguirlo: egli andava innanzi, io lo seguiva ed i due birri mi erano ai due fianchi. Io era talmente confuso che non ricordo quali scale salissi nè quali corridoi dovessi traversare, solo ricordo che, giunto innanzi ad una prigione la cui porta era aperta, la mia guida si fermò, mi disse di entrare ed entrato che fui sentii chiudere dietro di me la porta della prigione e sentii assicurarla con un grosso chiavistello al di fuori. Era nella più profonda oscurità: non sapeva ove mi fossi: restai per un momento immobile, ma poi mi diedi a cercare a tentone per orizzontarmi in qualche modo. Io pensava che sarei restato così fino alla mattina, ma m'ingannai. Poco tempo dopo, sento aprire la mia prigione, e vedo entrare in essa un frate Domenicano di una corporatura atletica; insieme con lui vi era un prete con carta, calamaio e tutto l’ occorrente per scrivere (Nota 6 - Il verbale di carcerazione): appresso venivano coloro che mi avevano arrestato e il carceriere.

    Coloro che mi avevano carcerato raccontarono tutta la storia della mia carcerazione, ed il prete scrisse tutto poscia voleva che io avessi firmato quello scritto, ma mi ricusai, ed egli scrisse il mio rifiuto, e quell’ atto fu firmato dai due birri. Fatto ciò, mi spogliarono intieramente fino alla camicia, presero tutto quello che aveva nelle tasche, esaminarono minutamente tutti i miei abiti per vedere se vi era nulla di nascosto, staccarono da' miei calzoni gli straccali, mi tolsero il collare, i lacci delle mie brache e perfino un fazzoletto da naso, poi mi restituirono i miei panni acciò gl’ indossassi. Questa maniera di agire mi sembrò così indecente, così barbara che non potei fare a meno di lagnarmene fortemente (Nota 7 - Denudamento del carcerato). Il Padre Domenicano allora con ipocrita dolcezza mi disse che ciò si faceva per il mio bene; perchè poteva accadere che istigato dal Diavolo avessi attentato alla mia vita: ma soggiunse, se mi fossi condotto bene, non solo mi sarebbe stato tutto restituito, ma che sarei stato trattato con molti riguardi.

    Nel tempo di questa oscena operazione, io mi era un poco orizzontato: coll’ aiuto del lume avea osservata la mia prigione, ed avea fatto un inventario di tutta la mobilia. La prigione era una camera quadrata piccola come una camera da Cappuccino; al lato della porta vi era un sacco pieno di paglia con sopra una coperta di lana grigia; in un altro angolo vi era un rozzo vaso di terra con acqua e vicino ad esso un vaso da notte di terra grossolana: un piccolo sgabello bollo di legno ed una tavoletta infissa nel muro, formavano tutto il mobilio della prigione. Finito che ebbe il prete di scrivere, il Domenicano rivoltosi al carceriere gli disse con tuono solenne: "Questo prigioniero vi è consegnato: voi ne renderete conto al santo tribunale." Il carceriere fece una profonda riverenza, tutti uscirono, e sentii mettere il chiavistello e chiudere con gran forza a chiave: così restai solo e nella più fitta oscurità ritto in piè nel mezzo della mia prigione.

    Mi sarebbe impossibile dirti ora quale tempesta di pensieri passasse nella mia mente, quali turbini agitassero il mio cuore; solo mi rammento che sentiva una mano pesante come di un incubo gravarsi sopra il mio cuore, che non mi lasciava neppure respirare liberamente. Non ti so dire per quanto tempo restassi in quello stato di annientamento, solo mi ricordo che un pensiero benefico mi scosse da quel letargo. Io in quel momento non cercava Dio, ma Dio cercava me. Mi vennero in mente quelle parole del Vangelo che Gesù è stato mandato per annunziare la buona Novella ai poveri, per guarire i contriti di cuore, per bandire liberazione ai prigionieri, e per mandare in libertà i fiaccati (Luc. IV, 18, 19). Queste parole furono un balsamo al mio dolore: mi gettai in ginocchio, e pregai con tutta l’effusione del mio cuore sebbene il mio spirito fosse turbato, un torrente di lagrime sgorgò dai miei occhi, e mi sentii sollevato. Poscia mi coricai sul mio sacco di paglia e mi addormentai.

    La mia prigione era esposta a levante, un raggio di sole venne di buon mattino a percuotermi gli occhi e mi destai. Tu non sai, caro Eugenio, quale terribile impressione faccia la prigione allo svegliarsi del primo giorno! Allora si vede tutto l’orrore di essa e si sente il prezzo inestimabile della perduta libertà.

    Incominciai a passeggiare nella mia prigione; ma essa non avea che tre passi di lunghezza, per cui il continuo volgermi e rivolgermi mi produsse in poco tempo un giramento di testa che mi costrinse di nuovo a gettarmi sul mio sacco. Voleva aprire la finestra per cambiare un poco quell’ aria mefitica che mi soffogava, ma essa era troppo alta e mi era impossibile giungervi. Attendeva impazientemente il carceriere; ed ogni quarto d’ora che sentiva suonare all’ orologio di S. Pietro mi parea fosse un secolo. Non sentiva attorno di me nessun rumore: quell’ edificio pareva abitato dai morti. Finalmente sentii suonare il mezzogiorno, e nessuno ancora si era lasciato vedere.

    L' abbattimento, il dolore, la solitudine, la fame, aveano in tal modo turbata la mia immaginazione, che io credeva di essere stato là rinchiuso come il conte Ugolino per morire dalla fame. Qualche momento dopo sentii un rumore di chiavi; la mia porta fu aperta ed entrò il carceriere con un paniere dal quale trasse fuori la mia razione di quel giorno:

    essa consisteva in un poco di cattiva minestra dentro una scodella di piombo, ed un pezzetto di carne bollita che poteva essere tre once, nella stessa scodella insieme colla minestra un pane nero che potea pesare una libbra: ecco tutta la mia razione. Non cucchiaio, non forchetta, non coltello, non bicchiere, non piatti, non salvietta, che tali cose sono reputate di lusso per i prigionieri dell’ Inquisizione (Nota 8 - Vitto dell'inquisizione). Il carceriere lasciando la mia provvisione mi disse che fino al giorno seguente alla stessa ora egli non sarebbe tornato, e richiudendo con gran cura la porta mi lasciò solo.

    In questo modo passarono otto lunghissimi giorni nei quali non vedeva che una volta al giorno l'antipatica faccia del mio carceriere, il quale mentre io mangiava vuotava il mio vaso da notte e dava una superficiale spazzata alla prigione. Dopo l'ottavo giorno, dissi al carceriere che avea biso gno di parlare con qualcuno dei Padri Inquisitori. Il carceriere accolse la mia domanda con riso sardonico. "E da quando in qua, mi disse, i carcerati sono divenuti i padroni in questo locale? I Reverendi Padri non sono i vostri servitori: quand’ essi vi vorranno, vi faranno chiamare, ma siate certo che essi non obbediranno alla vostra chiamata" (Nota 9 - Diverso trattamento de' carcerati).

    Allora vidi che era necessario rendermi amico il carceriere e gli dissi che quello che volevo dai Padri poteva forse farmelo egli stesso: che io non voleva altro che una prigione un poco più grande, perchè mi era impossibile vivere respirando un’ aria così mefitica; che desiderava avere qualche libro per potere passare quelle lunghissime giornate. "In quanto alla prigione, mi rispose, è inutile parlarne: sono assai poche le prigioni disponibili per i Dogmatizzanti (Nota 10 - Prigioni pe' dommatizzanti), e sono tutte piene; in quanto ai libri, non vi bisogno di incomodare i Padri: posso darvene io, se volete."

    Io non poteva conciliare questa gentile esibizione del carceriere colla sua aria truce e con quello che avea sentito dire dei rigori dell' Inquisizione, perciò restai attonito a tale proposta. Il carceriere vedendo il mio stupore mi spiegò la sua esibizione e mi disse: "Non crediate che noi carcerieri siamo tanto cattivi nè che l’ Inquisizione sia così crudele come la dicono i libertini. I Reverendi Padri non possono autorizzare nessun sollievo ai prigionieri, perchè sarebbe contro le regole del santo tribunale; ma essi si fidano di noi, perchè sanno che siamo buoni Cristiani, e noi forniamo ai carcerati tutto quello che gli può essere aggradevole, sempre però nei limiti del nostro dovere; sicchè, continuò egli, voi non avete che dirmi ciò che volete ed io vi farò tutto quello che sarà giusto ed onesto, solo vi avverto che anche noi dobbiamo vivere e perciò se volete qui scrivere un ordine al Reverendo Sig. Notaio di darmi qualche cosa sui vostri danari io vi servirò in tutto" (Nota 11 - Potenza del denaro). Trasse fuori di tasca un foglio sul quale io scrissi con la matita che egli mi prestò l’ordine domandato; e mi restrinsi per ora a pregare il carceriere di aprirmi ogni mattina la piccola finestra e di fornirmi di un qualche libro.

    La mattina dopo il carceriere venne di buon’ ora, aprì la finestra e lasciò un grosso libro sul mio tavolo. Alla vista di quel libro mi parve essere rinato; salto su dal mio sacco, corro alla tavola e vedo che quel libro era il Leggendario dei Santi. L’avrei volentieri stracciato, ma troppa era in me l’avidità di leggere per togliermi la noia dell’ozio. Leggeva, leggeva, ma la lettura di quelle storie apocrife mi eccitava sdegno, dimodochè dopo tre giorni domandai al carceriere che mi cambiasse il libro e mi dasse invece una Bibbia. Il carceriere fece un salto all’indietro come se fosse stato punto da un serpente, e spalancando due occhi da spiritato, ‘‘Una Bibbia! esclamò: non ci vorrebbe altro per far ritornare il diavolo nel S. Uffizio (Nota 12 - Diavolo nel S. Uffizio). Io non capiva i timori del povero carceriere, gliene domandai spiegazione, ma non mi volle rispondere: prese il Leggendario e promise di portarmi altro libro: mi propose qualche romanzo che io ricusai, e mi portò le prediche del Padre Segneri.

    Era un mese che dimorava in quella prigione, e non aveva veduto che la poco simpatica faccia del carceriere.

    Egli mi presentò una carta acciò la firmassi: era una nota esagerata dei servizi straordinari che mi avea prestati in quel mese: egli non avea fatto altro che aprirmi e chiudermi la finestra e prestarmi qualche vecchio libro, e per venti giorni di questi servizi mi avea fatto un conto di sei scudi, che dovei necessariamente pagare, per non soffrire maggiori strapazzi. Fortuna per me che aveva un poco di danaro, e che poteva trarne dal Console Svizzero, altrimenti sarei dovuto morire soffogato e non avrei potuto avere un libro.

    Tre mesi dopo la mia carcerazione, fui per la prima volta chiamato all’esame; e posso dire che da quel momento incominciò la serie dei miei patimenti. Ma in altra mia ti parlerò del mio esame. Credimi sempre

    Il tuo affezionatissimo
    Enrico
    Pedro
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    I Francesi in Roma. – Il P. Ventura
    Nota 1. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    È noto dalle storie contemporanee che i Francesi non agirono lealmente nell’ occupazione degli Stati romani. Non vogliamo dire con ciò che essi non sarebbero entrati per forza; ma constatiamo il fatto che essi si finsero amici per entrare, e dopo essere entrati sotto il manto dell’ amicizia agirono da nemici. È noto che il ministero francese carpì con inganno il voto dell’ assemblea per la spedizione romana, e che le istruzioni date al generale Oudinot erano di spegnere la Repubblica Romana e ristabilire con la forza il governo papale. Il governo della repubblica Romana prevedendo tali cose aveva ordinato la più disperata difesa a Civitavecchia per far noto al mondo che se i Francesi entravano vi entravano come nemici. Ma il governo francese volea ingannare e Roma e il mondo.

    Il 24 di aprile 1849 si presentò nel porto di Civitavecchia la fregata a vapore Panama. Scesero a terra il signor Latour d'Auvergne segretario di legazione, il signor Espivent aiutante di campo del generale Oudinot, ed un aiutante di campo del generale Regnault, e domandarono udienza al preside della provincia. Il preside li ricevè alla presenza del comandante di piazza e del comitato di difesa. I messi francesi annunziarono che quella spedizione era pacifica, e presentarono un dispaccio del generale Oudinot, capo di quella spedizione, nei seguenti termini:

    "Sig. Governatore,
    "Il governo della repubblica Francese nella sua sincera benevolenza verso le popolazioni romane, desiderando metter termine alle condizioni in cui esse gemono da più mesi, ed agevolare lo stabilimento di uno stato di cose egualmente lontano dalla anarchia di questi ultimi tempi e dagli abusi inveterati che prima degli avvenimenti di Pio IX desolavano gli Stati della Chiesa, ha risoluto di inviare a Civitavecchia un corpo di truppe di cui mi ha confidato il comando.

    "Io vi prego di dare gli ordini opportuni perchè queste truppe, mettendo piede a terra subito dopo il loro arrivo come mi è stato prescritto di fare, vengano ricevute ed alloggiate come si conviene ad alleati chiamati nel vostro paese da così amichevoli intenzioni.

    "Accogliete, signor Governatore, l’assicurazione della mia singolarissima stima.

    " Il Generale comandante in capo
    rappresentante del popolo
    OUDINOT DI REGGIO."

    Il governatore non vide chiaro in quel dispaccio, e disse spedire immediatamente un corriere a Roma, ed impegnarsi di dar la risposta in quattordici ore. I messaggi francesi insistevano per una risposta immediata minacciando uno sbarco, ed il governatore rispose, che se lo avessero tentato, egli avrebbe usato la forza per respingerli. Allora gl' inviati francesi fecero la seguente dichiarazione che fu stampata ed affissa per la città.

    "Il governo della repubblica francese, animato da intenzioni liberali, dichiarasi in obbligo di rispettare il voto della maggioranza delle popolazioni romane e di venir come amico nel suo scopo di mantenere la sua influenza legittima, e risoluto di non imporre a queste popolazioni veruna forma di governo che non fosse da esse desiderata."

    Con tali inganni sbarcarono i Francesi in Civitavecchia, protestandosi amici, ed operando da nemici.
    La condotta della Francia disonorò per sempre quel Cattolicismo che essa protestava difendere; ma più assai lo disonorò la condotta di Pio IX.

    Traduciamo a questo proposito una memorabile lettera scritta in francese dal famoso padre Ventura.

    " Caro amico e fratello,
    "Civitavecchia, 12 Giugno 1849.
    " Vi scrivo con le lacrime agli occhi, ed il cuore spezzato per il dolore. Mentre scrivo queste linee, i soldati francesi bombardano Roma, distruggono i suoi monumenti, uccidono con la loro metraglia i suoi cittadini, ed il sangue scorre a torrenti. Ruine si accumulano sopra ruine, e Dio sa quale sarà la fine di questa terribile lotta. Si teme che, se i Francesi entrano in Roma per assalto, il popolo nella sua rabbia non si lasci trascinare a massacrare tutti i preti e frati e le monache: ed in questo caso che bella vittoria avrebbe ottenuta la Francia! che bella restaurazione avrebbe fatto dell’ autorità papale! L’ istoria c’insegna che generalmente parlando le restaurazioni operate dalla forza non sono durevoli, e i troni rialzati sopra i cadaveri e nel sangue, finiscono per essere ben presto rovesciati di nuovo per scosse più violente. Fra tutte le combinazioni discusse a Gaeta per rimettere il papa sul trono, è stata scelta la più deplorabile e la più funesta.

    "Ma quello che più maggiormente affligge ogni anima cattolica è che se questa restaurazione ha luogo, essa senza ristabilire il potere del principe percuoterà e forse distruggerà l’ autorità del pontefice. Ogni colpo di cannone lanciato contro Roma distrugge a poco a poco la fede cattolica nel cuor dei Romani. Io vi ho già detto la orribile impressione che han fatto sul popolo di Roma i Confetti di Pio IX (* Per intendere quest’ espressione, bisogna sapere, che in Roma nel carnevale, in segno di allegria e di amicizia, si gettano i confetti sopra gli amici. Ad ogni bomba francese che cadeva nel popolatissimo rione di Trastevere, quei popolani erano pronti ad accorrere con secchi di acqua a smorzarle e chiamavano quello bombe i confetti di Pio IX ai suoi cari figli.) mandati ai suoi figli e l’ odio che aveano eccitato contro i preti. Ma tuttociò è nulla in paragone della rabbia che le bombe francesi hanno eccitato nel popolo contro la Chiesa e contro il Cattolicismo. Siccome la maggior parte di quelle bombe sono cadute in Trastevere ed hanno rovinato le case dei poveri e uccise le loro famiglie, così i Trasteverini in particolare, quella porzione della popolazione romana che era la più cattolica, ora maledice e bestemmia il papa ed i preti a nome dei quali vede commettere così orribili stragi.

    " Io sono lungi dal credere che Pio IX voglia tutte queste cose, anzi credo che neppur le conosca. Io so che egli è in un tale stato d’ isolamento che la verità dei fatti non può giungere fino a lui, o se vi giunge vi giunge molto alterata. Io so che il povero papa, circondato da gente cattiva ed imbecille, rilegato nel fondo di una cittadella e poco padrone di se stesso, è quasi prigioniero. Io so che si abusa della debolezza del suo carattere, della delicatezza di sua coscienza e della sua malattia nervosa che lo sottomette all’ influenza di quei che lo circondano.

    " Ma questo che io credo e so, il popolo romano non lo sa e non lo crede. Il popolo sa e crede quello che vede e quello che soffre. Egli vede gli Austriaci, che, guidati da un prelato del papa (monsignor Bedini), portano la desolazione e le stragi nelle legazioni, bombardano le città, impongono contribuzioni enormi ai più pacifici cittadini, fucilano ed esiliano i migliori patriotti e ristabiliscono per tutto il despotismo clericale. Il popolo vede che i Francesi a nome del papa fanno scorrere il sangue romano e distruggono la loro bella città. Il popolo vede che è il papa il quale ha sguinzagliate quattro potenze armate di tutti i mezzi di distruzione contro il popolo romano, come si sguinzagliano i mastini contro una bestia feroce; e, vedendo tali cose, egli non sente più nulla e si leva contro il papa e contro la Chiesa in nome della quale il papa proclama essere suo dovere riacquistare colla forza il dominio temporale.

    " Il signor D'Harconrt scriveva da Gaeta: " La ragione e la carità sono bandite egualmente da Roma e da Gaeta." In queste parole vi è tutta la storia dei sette ultimi mesi. Gli eccessi di Roma, che nessuno intende approvare, sebbene inevitabili in tempo di rivoluzione, sono stati superati dagli eccessi di Gaeta. Non una parola di pace, di riconciliazione, di perdono; non una promessa di mantenere le pubbliche libertà che si aveva il diritto di attendere dalla bocca del papa e di un papa come Pio IX. Nessuna di queste cose è venuta fuori da quel rifugio dell’ assolutismo, da quella raccozzaglia di sciocchezze e di malignità congiurate insieme, per soffogare nella bell' anima di Pio IX ogni sentimento di carità e d’ amore.

    " Si è letta l’ultima allocuzione dal papa ai cardinali. Quale imprudenza, quale sciocchezza mettere nella bocca del papa i più pomposi elogi dell’ Austria e del re di Napoli, che sono i più grandi nemici dell’ indipendenza italiana, e i di cui nomi soltanto fanno orrore ad ogni Italiano!

    " Quale imprudenza di avere fatto dire al papa che è egli stesso che ha fatto appello alle potenze per essere ristabilito su quel trono che egli stesso avea abbandonato! è come se egli avesse detto: " Io voglio fare al mio popolo quella guerra che l’ anno scorso dichiarai non voler fare ai Croati ed agli Austriaci oppressori dell’ Italia."
    Le donne stesse fanno questo ragionamento; e vedendo gli effetti di questa guerra brutale e selvaggia di quattro potenze contro un piccolo Stato, vedendo i loro mariti, i loro figli, o uccisi o feriti, non potete farvi un’ idea della rabbia di codeste donne, dei sentimenti energici che esse manifestano, delle grida di furore, e delle maledizioni che mandano contro il papa, i cardinali ed i preti.
    " Quindi comprenderete bene perché le chiese sono state devastate; non si vuol più nè confessione, nè comunione, nè messa, nè predica. In Roma non si predica più perché mancano gli uditori. Non si vuole più nulla di quello che è presentato dal prete o che sa in qualche modo di prete.

    " Per me Pio IX è sempre il Vicario di Gesù Cristo, il capo della Chiesa, il maestro, il dottore, l’interprete infallibile della regola della fede, dei costumi. Le debolezze ed anche gli errori dall’ uomo non mi fanno dimenticare in lui le sublimi prerogative del pontefice. Ma il popolo può comprendere cotali cose? può egli sollevarsi e fermarsi a queste distinzioni teologiche? Disgraziatamente nello spirito del popolo i delitti e le crudeltà dell’ uomo sono i delitti e le crudeltà dal prete, gli errori del re sono gli errori del papa, le infamie della politica sono gli effetti della dottrina della religione.

    " I miei amici di qui mi nascondono tutto quello che si fa e si dice a Roma in questo senso: essi vogliono risparmiarmi l’immenso dolore che mi cagionerebbero tali notizie. Malgrado queste cure delicate, io ho saputo che in Roma tutta la gioventù, tutti gli uomini istruiti sono venuti a questo ragionamento: "Il papa vuol regnare per forza sopra a noi, vuole per la Chiesa e per i preti la sovranità che non appartiene che al popolo; egli crede e dice che è suo dovere agire in tal guisa, perchè noi siamo Cattolici, perchè Roma è il centro del Cattolicismo. Ebbene chi c’impedisce di finirla col Cattolicismo, di farci Protestanti se occorre? ed allora qual diritto politico potrà vantare su noi? non è egli cosa orribile il pensare che perchè siamo Cattolici e figli della Chiesa dobbiamo essere padroneggiati da essa, abdicare tutti i nostri diritti, aspettare dalla liberalità dei preti, come una concessione, quello che ci è dovuto per giustizia, ed essere condannati alla sorte più miserabile dei popoli?"

    " Ho saputo ancora che tali sentimenti sono divenuti assai più comuni di quello che io pensava, e che sono penetrati perfino nel cuore delle donne. Così venti anni di fatiche apostoliche che ho sopportate per unire sempre più il popolo romano alla Chiesa sono state perdute in pochi giorni. Ed ecco verificato disgraziatamente anche al di là delle mie previsioni tutto quello che io avea predetto in tutte le mie lettere. Il Protestantismo si trova piantato di fatto in una gran parte di questo popolo romano così buono e così religioso; e, cosa orribile a dirsi, tutto ciò è avvenuto a cagione dei preti e per la cattiva politica nella quale hanno trascinato il papa.

    " Ah! mio caro amico, l’idea di un vescovo che fa mitragliare i suoi diocesani, di un pastore che fa scannare le sue pecore, di un padre che manda sicari ai suoi figli, di un papa che vuol regnare ed imporsi a tre milioni di Cristiani per mezzo della forza, che vuole ristabilire il suo trono sulle ruine, sui cadaveri, sul sangue; quest’ idea, dico, è così strana, così assurda, così scandalosa, così orribile, così contraria allo spirito ed alla lettera dell’ Evangelo, che non vi è coscienza che non ne sia stomacata, non vi è fede che possa resistere ad essa, non vi è cuore che non ne frema, non vi è lingua che non si senta spinta a maledire, a bestemmiare! era meglio mille volte perdere tutto il temporale e il mondo intero se fosse bisognato, piuttosto che dare un tale scandalo al popolo.

    " Oh! se Pio IX fosse stato lasciato a se stesso! se egli avesse potuto agire non consultando altro che il suo cuore! in primo luogo egli non avrebbe mai abbandonata Roma; e se fosse stato obbligato ad abbandonarla, non avrebbe lasciato lo Stato romano; egli sarebbe andato a Bologna, o ad Ancona, o a Civitavecchia, e vi sarebbe stato accolto come un inviato del cielo. I Romani si sarebbero affrettati d’ indirizzargli tutte le possibili onorevoli soddisfazioni. Egli non sarebbe andato a Gaeta: di là non avrebbe respinta la deputazione che gli mandava la città di Roma: non avrebbe fulminata quella scomunica che allontanò dalla costituente tutti gli uomini di coscienza timorata, tutti i suoi amici. Consigliato di provocare l’intervento armato delle potenze, avrebbe risposto che quello che è indifferente per un re, è scandaloso per un padre; e che non si sarebbe mai detto che Pio IX avrebbe fatto la guerra al suo popolo. Avrebbe detto che egli non voleva riconquistare colla forza, quello che più non poteva possedere per l’ amore. Avrebbe detto: " L’esilio, mille volte l’esilio piuttosto che versare una sola goccia del sangue dei miei figli, piuttosto che appellarmi alle baionette ed ai cannoni, che sottomettendo per forza il mio popolo mi farebbero perdere il suo amore, e lo allontanerebbero dalla Chiesa e dalla religione." Se Pio IX avesse tenuto un tale linguaggio, se avesse fatte delle allocuzioni in questi sensi, il popolo romano si sarebbe levato in massa, sarebbe andato a cercare il suo pontefice, lo avrebbe ricondotto in trionfo e sarebbe stato felice di vivere sotto l' ubbidienza di un tal principe. Quello sarebbe stato il mezzo il più sicuro, il più efficace di risvegliare la reazione, o renderla potente. Ma l' appello alla forza ed alla guerra, la presenza ed il terrore del combattimento, a vece di determinare la reazione, l’ hanno indebolita, disarmata, annientata. Anche coloro che una volta erano per il papa, han trovato giusto ed onorevole che si rispondesse alla guerra con la guerra; hanno ripudiato Pio IX come re, e cominciano già a respingerlo anche come pontefice.

    " È probabile che Roma soccomba sotto l’ attacco delle armi francesi: come difatti resistere alla Francia? È possibile che il papa rientri in Roma portando in mano la spada invece che la croce, preceduto dai soldati e seguito dal carnefice, come se Roma fosse la Mecca ed il Vangelo fosse il Corano; ma egli non regnerà più sul cuore dei Romani; sotto questo aspetto il suo, regno è finito, finito per sempre; egli non sarà più papa che sopra un piccolo numero di fedeli.

    " L’immensa maggioranza resterà protestante di fatto, perchè essa non praticherà più la religione, tanto sarà grande il suo odio contro i preti. Le nostre predicazioni non potranno più far nulla, ci sarà impossibile di fare amare, o almeno tollerare la Chiesa cattolica da un popolo che avrà imparato ad odiarla e disprezzarla in un papa imposto dalla forza, e in un clero dipendente da quel papa. Ci sarà impossibile di persuadere che la religione cattolica è la madre e la tutrice della libertà dei popoli, e la garanzia della loro felicità. I più belli argomenti, i più sensibili ai nostri giorni, i soli che sieno gustati dai popoli, i più efficaci, quegli argomenti di fatto, in forza dei quali due anni or sono facevano trionfare la religione negli spiriti più ribelli, nei cuori più duri, quegli argomenti ci sono ora stati strappati di mano. Il nostro ministero è divenuto sterile, e noi saremo fischiati, disprezzati e forse ancora perseguitati e massacrati.

    " Ringraziate dunque a nome della Chiesa di Roma vostri sedicenti cattolici, i vostri giornali pretesi religiosi. Essi possono andare superbi di avere incoraggiato e sostenuto l’ attuale governo francese in questa guerra fratricida…… che non lascerà nella storia, se non che una di quelle pagine sanguinolente che l’ umanità e la religione debbono espiare per lunghi secoli. Sono riusciti ad estinguere la fede cattolica nel suo centro, ad uccidere il papa, ostinandosi a ristorare il suo trono. L’ immenso male che han fatto lo comprenderanno un giorno, ma sarà troppo tardi.

    " Fate di questa lettera quell’ uso che vorrete: se la pubblicate, essa avrà il vantaggio di predicare ad un clero stordito, e con questo terribile esempio insegnargli che non dobbiamo lasciarci dominare dagl' interessi temporali, altrimenti, a somiglianza dei Giudei, non solamente non potremo salvare il temporale, ma perderemo anche i beni eterni: " Temporalia omittere dimuerunt et vitam aeternam non cogitaverunt, et sic utrumque amiserunt." Il clero deve prendere seriamente a difendere la causa del popolo, non quella del potere; deve farsi il tutore delle libertà pubbliche, non deve mai invocare la forza del potere per sottomettersi i popoli, ma deve unirsi ai popoli per ricondurre il potere nelle vie della giustizia e della carità del Vangelo. È tempo altresì che il clero di Francia smetta di combattere imprudentemente e sistematicamente tutto quello che s’ indica sotto il nome di socialismo. In ogni sistema vi è del buono, perciò S. Paolo dice: " Omnia probate, quod bonum est tenete," altrimenti la questione socialista, lasciata a sè stessa o perseguitata dal clero, ucciderà il cattolicismo in Francia, come la questione della libertà e della indipendenza italiana, combattuta dal clero romano e dal suo capo, ha ucciso il Cattolicismo in Italia e nella stessa Roma.

    "P. Ventura."

    Pio IX non ha mai perdonato al P. Ventura questa lettera: perquante umiliazioni abbia egli fatte, per quanto godesse la protezione dell’ imperatore dei Francesi di cui era predicatore, per quanto avesse scritto in favore del Cattolicismo, non gli è stato mai possibile ottenere di poter tornare in Roma; egli è morto nell’ esilio
    Pedro
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    00 04/09/2011 15:45
    Preti cospiratori
    Nota 2. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Nelle memorie istoriche sull' intervento francese in Roma, scritte da Federigo Torre, si trovano una quantità di documenti, che dimostrano ad evidenza che quasi tutti i preti dello Stato pontificio erano cospiratori ed organizzavano il brigantaggio contro la libertà romana. Fra gli altri documenti vi è una lettera del cardinale Gizzi al tenente Giuseppe Cencelli, nella quale a nome del papa lo esorta a disertare coi suoi uomini, e gli promette in compenso il grado di colonnello.

    Monsignor Milella e monsignor Gambaro dirigevano da Gaeta la reazione clericale e il brigantaggio. Il prete Domenico Taliani capitanava dugento briganti nella provincia di Ascoli. Tutti i preti tenuti in conto di buoni erano cospiratori. E come poteva essere altrimenti, se il primo nemico della patria è il papa, che non conosce altra patria che il suo orgoglio?
    Pedro
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    00 04/09/2011 15:45
    I preti e la politica
    Nota 3. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    La politica non può mai essere l' elemento nel quale viva un prete. La Chiesa di cui deve occuparsi il prete, non solo non è il mondo, ma deve essere separata dal mondo. La politica riguarda le cose del mondo, e il prete deve occuparsi delle cose del cielo. Con questo non vogliamo dire però che il prete debba essere estraneo affatto alle cose politiche; anch' egli è cittadino, e come tale deve amare e procurare il bene della patria e dei suoi simili. Ogni idea di progresso onesto di onesta libertà deve essere accolta ed accarezzata dal prete: egli soltanto non può e non deve approvare, quelle libertà che portano al mal costume, egli deve inculcare con la parola e con l' esempio il rispetto alla legge ed alle autorità costituite, e ciò perchè lo inculca il Vangelo, e perchè il prete deve essere il modello di tutte le buone opere. Quanto sono biasimevoli quei preti i quali si occupano troppo di politica, altrettanto lo sono coloro i quali sotto pretesto di male intesa religione, avversano tutti i miglioramenti sociali. Il prete non deve avversare, ma anzi promuovere i progressi dell'umanità.
    Pedro
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    00 04/09/2011 15:45
    Formalità usate nel carcerare un eretico
    Nota 4. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Ecco qual'è l' attuale procedura del tribunale del S. Uffizio per venire alla carcerazione di un accusato. Attualmente il S. Uffizio procede sopra tre classi di persone: i liberali, gli eretici o sospetti di eresia, ed i sollecitanti. Parliamo separatamente di queste tre classi.

    I liberali. Costoro propriamente parlando non sarebbero soggetti al S. Uffizio; ma lo sono perchè i papi, cominciando da Benedetto XIV, hanno tutti condannato come eretiche le società segrete, e specialmente quella dei Frammassoni. Il papa obbliga tutti i fedeli a denunziare chiunque appartiene ad una qualunque società segreta, ed il confessore non può assolvere il penitente se prima non abbia fatta la denuncia, si trattasse anche di dover denunciare il proprio padre, il figlio o il marito. È difficile ottenere cotali denuncie, ma in punto di morte pochi sono coloro che si ricusano di farlo, per assicurarsi il paradiso. Fatta la denuncia del liberale dal confessore, il S. Uffizio procede come delatore ed avverte la Segreteria di Stato, la quale manda la denuncia all'alta polizia cioè a quel ramo di polizia che si occupa dei liberali, e questa procede secondo che lo crede opportuno.

    Per riguardo agli eretici, il tribunale procede per accusa, o per inquisizione. Il procedimento per via di accusa si fa così: quando un tale è accusato come eretico, o come sospetto di eresia, il tribunale domanda all' accusatore testimoni, o indizi, per provare l' accusa. I testimoni possono essere parenti dell' accusato, possono essere anche persone infami, perchè in materia di eresia ogni testimonianza fa prova. Esaminato uno o due testimoni, si procede immediatamente all' arresto dell' accusato.

    L' arresto si fa nelle prime ore della sera. Due birri del S. Uffizio si presentano, arrestano l' accusato, suggellano tutte le sue carte, e siccome ordinariamente questi tali sono preti o frati, si biffa la porta della loro casa, nella quale il giorno dopo si fa perquisizione diligente.

    Il processo per inquisizione si fa in questo modo: quando l'inquisitore ha dei sospetti sopra un individuo, gli mette attorno delle spie per osservare tutto ciò che fa e dice; le spie allora servono di testimoni fino a che l' inquisitore crede di avere abbastanza per formargli il processo, allora lo fa carcerare.

    I sollecitanti sono coloro i quali abusano della confessione per sedurre il sesso debole. Questo delitto nella coscienza degli uomini onesti è un delitto orribile; ma per il S. Uffizio è cosa da nulla ed i sollecitanti trovano in esso molta indulgenza. Ecco come si procede contro costoro: la donna sedotta deve fare la sua denuncia, ed ognuno comprende quanto riesca difficile ad una donna onesta determinarsi a fare tal passo. Fatta la prima denuncia, il tribunale s'informa se la donna denunciante gode fama di onestà; se ciò è, la denuncia è messa in archivio, altrimenti si tiene come calunniosa. Dopo tre diverse denuncie provenienti da tre diverse donne oneste sedotte, se ne parla in Congregazione, e se il confessore accusato è persona di qualche importanza è avvisato acciò si salvi, ovvero acciò faccia la spontanea. La spontanea consiste in questo: il reo si presenta al S. Uffizio, confessa il suo peccato e ne domanda una salutare penitenza. Il S. Uffizio accoglie la sua confessione, gl' impone la recita dei salmi penitenziali per alcuni giorni, e tutto è finito.

    Io ricordo due fatti in questo genere accaduti nel mio tempo in Roma. Il confessore delle monache di S. Dionigi, che è un monastero sotto la protezione della Francia, sedusse quasi tutte le monache giovani di quel monastero: il S. Uffizio, per non prendere brighe con la Francia, fece fuggire il confessore e tutto finì.

    Nel conservatorio della Divina Provvidenza a Ripetta, ove si educano più di cento ragazze, un confessore ne sedusse sedici, e siccome avea la protezione di un prelato, fu avvertito e fuggi.

    Quando un sollecitante è carcerato dal S. Uffizio, finisce per lo più il suo processo con una condanna di otto giorni di esercizi, e con la perdita della confessione; i sollecitanti però sono nelle carceri superiori, hanno buone stanze, passeggio, libri, conversazione fra loro e buon vitto.

    Le formalità che abbiamo descritte nel testo non si fanno a tutti i carcerati, ma soltanto a quelli accusati di eresia.
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    00 04/09/2011 15:46
    Carrozze del S. Uffizio
    Nota 5. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Il S. Uffizio non carcera mai nessuno, se non in carrozza, e la carrozza è pagata dal S. Uffizio istesso. Le carrozze del S. Uffizio appartengono ad uno dei proprietari di vetture di Roma, dal quale si prendono in affitto. Il vetturino deve andare la sera con la sua carrozza al palazzo dell' Inquisizione, due birri entrano dentro ed un terzo prende la frusta e le redini, ed il vetturino resta nel palazzo finchè torna la carrozza con l'arrestato, allora riprende la sua carrozza vuota e se ne torna alla rimessa; tutto ciò affinché non si sappia da nessun estraneo chi è l'arrestato.
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    00 04/09/2011 15:46

    Il verbale di carcerazione

    Nota 6. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Appena un prigioniero entra nelle carceri dell' Inquisizione, gli si fa il verbale. Quando si tratta di sollecitanti, il verbale si fa nella cancelleria, ma quando si tratta di eretici, si fa nel carcere. Abbiamo detto in altra nota che uno è il capo notaio del S. Uffizio ma i notai sostituti sono molti, e tutti preti. Il verbale di carcerazione è steso da un sostituto notaio alla presenza del secondo compagno del padre commissario, il quale anche è giudice inquirente; si fa sulla relazione dei birri, si descrive come si è trovato il carcerato nel punto del suo arresto, se ha fatto atti di sorpresa, se ha cercato evadere, se era accompagnato e con chi, cosa stava facendo quando sono entrati i birri, quali cose ha dette, come si è condotto nella strada e cose simili. Il verbale deve essere sottoscritto dall' accusato, ma ordinariamente questi si ricusa ed allora gli è contestata un' insubordinazione al S. Tribunale, e quel rifiuto è calcolato come un indizio di reità.
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    00 04/09/2011 15:46

    Denudamento del carcerato

    Nota 7. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Il barbaro trattamento fatto al nostro Enrico nello spogliarlo dei suoi panni non si fa a tutti, ma soltanto agli eretici. Il motivo per cui si usa un tal procedimento non è soltanto per togliere al carcerato tutto quello che potrebbe condurlo al suicidio, ma è principalmente per vedere se indosso, o sul suo corpo, ha qualche segno cabalistico, o qualche amuleto. Il S. Uffizio finge ancora oggi di credere a tali superstizioni. Gli archivi del S. Uffizio contengono molte di quelle cose che si chiamavano maleficii trovate sopra qualche carcerato: per esempio, delle cifre incognite, un qualche anello di fattura un poco singolare, una piccola treccia di capelli e cose simili, sono giudicati amuleti, e maleficii fanno parte del processo, e sono indizi per provare la eresia del carcerato.
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    00 04/09/2011 15:47

    Vitto dell' inquisizione

    Nota 8. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Il vitto dell' Inquisizione differisce secondo il carcere. I sollecitanti, e coloro che si prevede che ben tosto dovranno uscire dalla prigione, hanno buona carcere, buon letto e ottimo vitto: gli eretici però, i quali non escono da quelle prigioni se non per qualche rara eccezione, sono trattati come il nostro Enrico. Ecco il vitto che si dà ai primi.

    Il cibo si porta una volta al giorno al mezzogiorno; esso consiste in una buona minestra composta di tre once di riso o di pasta cotta al brodo, nei giorni di grasso; mezza libbra di carne bollita senz' osso, mezza libbra di carne arrostita o preparata in altro modo; una libbra e mezza di pane bianco, ed un mezzo litro di buon vino. Se vogliono caffè, latte, cioccolata o altre cose possono averle pagando. Nei giorni di magro invece di carne si dànno pesce ed uovi, ben cucinati ed in proporzioni equivalenti alla carne. Lo scopo di così buon trattamento è questo: coloro che sono così ben trattati devono uscire e tornare nella società; allora essi sono tanti testimoni viventi per contradire coloro che parlano dell' orrore delle prigioni inquisitoriali; essi raccontano come sono stati trattati come sono stati alloggiati, come sono stati nutriti ed il povero popolo crede che tutti i prigionieri dell' Inquisizione sieno trattati a quel modo, e crede esagerazione dei libertini tutto quello che si dice del S. Tribunale.
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    00 04/09/2011 15:48

    Diverso trattamento de' carcerati

    Nota 9. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Un' altra differenza essenziale nella maniera di trattare i prigionieri consiste in questo. I prigionieri per eresia non possono vedere nessuno, mentre i sollecitanti ed altri carcerati che devono escire poi da quelle prigioni, non solamente passeggiano e conversano fra di loro nello spazioso corridoio, ma i padri, compagni, i notai sostituti vanno spesso a visitarli. Si permette loro anche di ricevere qualche visita di parenti e di amici, si permette loro di scrivere, insomma non manca loro nessuno dei conforti che si possono ragionevolmente desiderare in una prigione.
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    00 04/09/2011 15:48

    Prigioni pe' dommatizzanti

    Nota 10. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    In un' altra nota (Nota 10 della Sesta lettera - Dommatizzanti e sospetti di eresia) abbiamo spiegato cosa sono i dommatizzanti. Le prigioni occupate da essi nell' Inquisizione sono le più cattive, perchè è certo che un dommatizzante non uscirà mai vivo da esse, meno una disposizione particolare della Provvidenza. Il S. Uffizio non rilascia giammai nulla del suo rigore contro tali eretici. Vi sono alcune poche prigioni destinate per essi, e quando esse sono piene, e si deve carcerare qualcun altro, allora si pongono nelle prigioni succursali nel convento dei Domenicani alla Minerva.
    Pedro
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    00 04/09/2011 15:49

    Potenza del denaro

    Nota 11. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Anche i dommatizzanti possono ordinariamente ottenere qualche sollievo per mezzo dei carcerieri; ma quei sollievi costano assai cari. Ogni carceriere ha una piccola biblioteca di tutti libri approvati dai Reverendi padri, e questi libri li presta ai carcerati mediante buon pagamento. Si prestano anche a fare alcuni servizi personali ai carcerati, purchè non si tratti di portare ambasciate, o biglietti, o notizie di qualunque genere. Il danaro è così potente che anche nell' inesorabile Inquisizione fa sentire la sua forza.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 04/09/2011 15:49

    Diavolo nel S. Uffizio

    Nota 12. alla lettera sedicesima di Roma Papale 1882

    Per comprendere l'espressione del nostro carceriere, bisogna sapere che in Roma nel popolo vi è questa persuasione, che il diavolo passeggi sempre nel palazzo del S. Uffizio per amore degli eretici suoi amici. Si tiene per certo che molte volte è stato veduto vestito di nero come un abate passeggiare per quei corridoi. I carcerieri del S. Uffizio sono tutti uomini devoti fino al fanatismo, ed anch' essi credono tal cosa. I Reverendi padri, invece di disingannare quei bigotti, li hanno confermati maggiormente nel loro pregiudizio, facendo degli esorcismi, e tenendo delle pile di acqua benedetta nei corridoi delle carceri degli eretici.
    Pedro