Avevamo inventato un nostro alfabeto per scambiarci messaggi inaccessibili.
La A era un alberello stilizzato, la EMME era simile a "cancelletto"....chissà cosa ci scrivevamo in quei bigliettini.
Il silenzio non era una scelta ma una difesa. Era la nostra arma per resistere.
Di notte, aspettavamo che tutti dormissero.
Per non addormentarci anche noi due, sedute sul lettino, ci stringevamo la mano, attendendo che il ritmico respiro della nonna e di papà e mamma ci annunciasse la nostra libertà.
Ci accampavamo in balcone, con i cuscini portati di soppiatto dalla nostra stanzetta.
Il sonno ci invogliava alla resa, ma non c'era scelta: quello era l'unico momento per vivere.
Nella strada le moto passavano tuonando. Noi, recluse senza consenso, li chiamavamo "I beati".
Giungevano fino a noi le voci di comitive nottambule, voci noncuranti e alterate nei toni acuti di chi torna da una festa.
Beati anche loro.
Trascinavamo quasi tutta la notte fra le tentazioni del sonno e il desiderio di ascoltare.
Quando il buio illanguidiva, e il desiderio del futuro diventava struggente, tornavamo a letto, felici di quel po' di respiro che avevamo rubato.
Mormoravo "Dolce colore d'oriental zaffiro" e poi ...
non ho dimenticato.
Ciao, tua sorella
susy
[Modificato da gasparastampami 30/08/2011 17:41]