Medieval Total War Italia

LE ARMATE DI CANGRANDE-Dalle milizie comunali ai mercenari-

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  • Fulcherio,
    00 28/07/2011 17:23
    il caso veronese


    LE ARMATE DI CANGRANDE








    Con l'ascesa del dominio degli Scaligeri, l'organizzazione dell'esercito vide un progressivo affinarsi dell'armamento e della tecnica militare. Silvana Anna Bianchi racconta come venivano reclutate e come combattevano le milizie che costituirono il nerbo dell'esercito veronese fino all'affermarsi dei mercenari e al tramonto di fronte all'espansionismo dei Visconti.







    Prima limitato alla sola Verona, il dominio scaligero con Cangrande I si estese progressivamente su Vicenza (1312), Padova (1328) Treviso (1329).
    Mastino II e Alberto II conquistarono poi Brescia (1332), Parma e Lucca (1335), mostrando un attivismo politico e militare guardato con crescente sospetto da Venezia e Firenze, che infatti si coalizzarono e, dopo aver attirato altri potenti nemici di Verona, decretarono la fine della potenza Scaligera. L'incerta condotta della guerra tenuta dai della Scala provocò inoltre defezioni in campo veronese e finì per favorire l'agregazione di sempre nuovi nemici.
    La signoria, in seguito alle sconfitte, si ridusse alle sole città di Verona e Vicenza. nè più si allargò oltre i confini sino al definitivo declino nel 1387 per opera dei Visconti di Milano.







    In un contesto del genere, di dichiarata e persistente aggressività militare, conoscere l'organizzazione degli eserciti diventa essenziale per capire la parabola stessa delle milizie scaligere. Se è indubbio, infatti, che l'organizzazione militare è conseguenza della robustezza di uno stato, è altrettanto vero che i successi sul campo di battaglia risultano decisivi per rinvigorirla.




    INQUADRAMENTO PER CENSO E NASCITA

    Documentazione pubblica e testimonianze delle cronache coeve sono avare di informazioni sulla effettiva composizione della milizia nella prima età comunale a Verona, sul suo reclutamento e sulla sua organizzazione. Quel che è certo è che la distinzione fra milites e pedites poggiava anche qui su precise differenziazioni sociali-e quindi economiche- che avevano una ricaduta "tecnica" nelle diverse funzioni sul campo e nel diverso equipaggiamento richiesto, dato che la dotazione militare era in genere proporzionale alla capacità contributiva di ciascuno. Agli inizi del Duecento erano obbligati a prestare servizio a cavallo tutti i cittadini con patrimonio superiore alle mille lire- già in voga il motivetto "se potessi avere mille lire al mese"??:n.d.r.-
    Chi teneva armi e cavalli a disposizione del comune ovviamente era esonerato da alcune imposte, analogamente a quanto concesso alla piccola nobiltà del contado di ascendenza feudale : questi sgravi fiscali si connotavano come status symbol, o se preferite come qualificazione sociale, ma erano anche rapportati allo sforzo economico sostenuto per le spese militari.
    Le prime testimonianze certe sull'organizzazione militare veronese basso-medievale vengono dagli statuti civici del 1276, un testo interessante in sè ma più ancora se confrontato con la successiva regolamentazione del 1327 che fotografa una realtà in parte mutata e comunque in fase di riorganizzazione: due testi normativi, come si vede dalle date, strettamente legati all'affermazione degli Scaligeri nella città e nella Marca.











    ARMI E SOLDATI PER IL SIGNORE DELLE TERRE




    Gli obblighi del contado e i berrovieri



    Alla fornitura di balestre erano tenuti anche gli abitanti delle ville del Veronese, sui quali gravava inoltre l'obbligo di
    fornire gli archi con i rispettivi arcieri, quest'ultimi si ritiene fossero elementi ausiliari, dal momento che l'arco veniva ormai generalmente declassato come arma di fiancheggiamento da getto, tant'è vero che risultano nettamente superiori le pene per le ville che non fornivano balestre rispetto a quelle comminate alle ville inadempienti riguardo all'ordine di presentare archi.
    Sempre nelle ville era fatto l'obbligo di procurare guastatori, operai e conduttori di carri, elementi indispensabili nei trasporti logistici durante (o negli intervalli fra) le diverse operazioni militari. Gli strumenti agricoli di lavoro, in caso di necessità venivano promossi al rango di armi. A fianco di costoro-elementi minori ma pur sempre regolari dall'esercito-agivano bande armate illegali il cui compenso consisteva unicamente nel furto, saccheggio, stupro e cosìvia.

    Dal contado provengono quasi sempre anche i "milites levis armaturae", più noti come berrovieri, un corpo di cavalleria leggera (nel loro equipaggiamento non sono previsti nè la lameria nè la cohoperta per il cavallo).
    Tipici dell'area settentrionale italiana, li vediamo agire almeno fin dai primi decenni del Duecento,e in particolare nella Marca rappresentano una formazione stabile e regolare, al contrario dei berrovieri lombardi, emiliani e romagnoli che vengono arruolati come mercenari.
    Nella regione veronese è noto il caso di Bonaugurio di Trentinello di Orti, appartenente a una famiglia di milites soggetti al monastero cittadino di S. Giorgio in Braida : nel suo testamento (siamo nel 1237)ricorda le azioni compiute "insieme ad altri berrovieri" nella zona di Rivalta.
    Nelle fonti informative veronesi-come del resto in quelle vicentine si elenca l'armamento richiesto e conferma la circostanza dell'obbligatorietà del servizio loro imposto dal comune, e fa pensare che anche qui come a Padova -dove è chiaramente documentato- i berrovieri si schierassero in campo ed operassero insieme ai cavalieri, dai quali li differenziava l'uso di armature meno pesanti e di cavalcature peggiori.
    Non vanno escluse loro autonome azioni predatorie, essendo la razzia mirata e velocissima la loro "specialità", al punto che spesso, nel linguaggio comune, il berroviere viene equiparato al vero e proprio fuorilegge.







    [Modificato da Fulcherio, 28/07/2011 17:37]
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    Principe

    00 28/07/2011 18:29
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    00 30/07/2011 11:14
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  • Fulcherio,
    00 24/09/2011 21:48
    il caso veronese- le milizie appiedate


    NEGLI SCONTRI DISORDINATI DELLA GUERRA MEDIEVALE LA FANTERIA HA UN RUOLO DI RILIEVO





    La fanteria, a Verona come altrove, costituiva una parte essenziale della milizia, in forza dell'azione di massa che produceva piuttosto che della sua preparazione tattica. Si ritiene che questo settore dell'esercito, schierato di solito a falange (almeno nell'Europa occidentale) svolgesse una funzione essenzialmente difensiva, con il compito di coprire la cavalleria e consentire di organizzarsi prima di sferrare il succesivo attacco.
    E' tuttavia sbagliato ridurre il suo operato a compiti esclusivamente statici, infatti agiva anche in movimenti offensivi - più spesso in apertura di combattimento -
    generalmente diretti contro le fanterie avversarie.
    Del resto le grandi battaglie campali, gli scontri razionalmente ordinati fra truppe contrapposte, schierate in modo netto e preordinato, nella realtà bellica del tempo costituivano degli eventi sporadici se non vere e proprie eccezioni alla prassi usuale, che era invece caraterizzata da azioni minori, nelle quali ben si inserivano le forme di lotta più "rudimentali" dei reparti appiedati



    Il fante del XIV secolo era generalmente coperto da indumenti imbottiti e, almeno in parte, da protezioni metalliche; già nel 1244 a Verona un consistente numero di "cives" non particolarmente abbienti ottenne in prestito gratuito panciere, gambiere e copricapi in ferro. Riparato dallo scudo, il fante era poi armato di una lancia lunga (definita tale in relazione a quella del cavaliere, più corta), la cui misura nelle norme scaligere, note come "statuti dei mercenari", viene specificata in 20 piedi per gli stipendiati definiti appunto "a lanceis longis". Un'altra aggiunta degli ultimi anni del duecento agli statuti civici richiedeva che i soldati a piedi fossero equipaggiati con panciera, elmo e collare, un guanto per la mano destra, "roella", lancia, coltello e spada :questo doveva costituire in linea di massima l'equipaggiamento completo, ma non generalizzato. Alcune differenziazioni caratterizzavano il gruppone dei soldati appiedati. Fra queste la più importante dal punto di vista "tecnico" è senz'altro quella tra fanti generici e tiratori (soprattutto arcieri e balestrieri) muniti, oltre che da uno scudo leggero, di armi da getto, in particolare la balestra.






    POTENTE ED EFFICACE, lA BALESTRA SI DIFFONDE ALLA META' DEL DUECENTO


    Attestata con sicurezza nella penisola italiana almeno dal secolo XI e generalmente affiancata all'arco, la balestra lentamente soppiantò quest'ultimo (pur non sostituendolo del tutto in Italia, come invece avvenne in Francia) e si rivelò un'arma capace di influenzare in modo determinante le azioni di guerra. Ciò nonostante, la sua importanza pare a volte minimizzata dai cronisti, tesi quasi uniformemente a celebrare le imprese della più nobile cavalleria; non è un caso che sia sempre la cavalleria pesante ad essere nominata per prima nelle innumerevoli descrizioni di eserciti.

    Nella Marca veronese l'età in cui l'impiego tattico della balestra appare ormai diffusissimo corrisponde al periodo di dominio di Ezzelino III da Romano - intorno alla metà del Duecento - e a fine secolo si mostra decisamente prevalente. Se già lo statuto veronese del 1228 contiene divieti sul possesso di balestre da parte dei cittadini, e per quanto riguarda l'utilizzazione in azioni di guerra un documento ancora precedente (agosto 1217) mostra i veronesi impegnati a soccorrere i cremonesi con arcieri e balestrieri, bisogna arrivare alla legislazione del 1276 per avere le prime informazioni di un certo rilievo.
    Le balestre in uso risultano qui essere di due tipi, in prevalenza a staffa (balliste a streva) cioè del tipo più leggero, e in numero inferiore "balliste a duobus pedibus", più pesanti, probabilmente di maggior potenza e precisione oltre che di più lunga gittata.
    Il munizionamento giungeva a 100 piloti per ogni arma, e le balestre a due piedi esigevano una dotazione più sofisticata.
    Essenziale è nel testo del 1276 il riferimento alle balestre in relazione al reclutamento dei fanti, tema sul quale per la prima volta la legislazione esplicita un diretto rapporto con la ripartizione urbana. Le 58 contrade cittadine costituiscono il modulo di partenza per l'arruolamento dei fanti tiratori : ogni contrada deve fornire al comune un preciso quantitativo di balestre e proiettili, mentre appositi ufficiali si incaricano di tenere aggiornati i registri anagrafici.




    [Modificato da Fulcherio, 24/09/2011 21:49]
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    Fulcherio;
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    Scudiero
    00 28/09/2012 13:37


    FANTERIE E MILIZIE CITTADINE -conclusione-

    Si può pensare che all'interno del medesimo spazio della contrada avvenisse anche qualche forma di preparazione dei cittadini all'uso delle armi, dato che l'addestramento militare non poteva limitarsi alla diretta esperienza effettuata sul campo di battaglia.
    L'area suburbana denominata Campomarzo(o Campomarzio)fu per buona parte dell'età medievale lo spazio deputato a ospitare gli animali dell'esercito e utilizzato per l'allenamento dei balestrieri.
    Sulla scorta di questi pochi dati e dal confronto con realtà politicamente e geograficamente vicine, è ipotizzabile che nella Verona comunale e scaligera si svolgessero quei "giochi di guerra" plebei, documentati in altre località, dove gli opposti schieramenti riproducevano la suddivisione urbana in quartieri.
    Proprio nell'età delle milizie cittadine (la cui specialità-teniamo presente- era costituita dalla fanteria) alle semplici e antichissime sassaiole si associano spesso le "battagliole"
    la cui valenza "didattica" pare indubbia dato che favorivano oltre che la preparazione individuale, il consolidarsi dello spirito di gruppo e, di conseguenza, miglioravano disciplina e coordinamento, qualità indispensabili per la riuscita delle azioni sul campo di battaglia.



    Non deve essere pura coincidenza che la loro proibizione sia documentata solo a partire dal Trecento, quando l'utilizzo ingente di mercenari limitò o sostituì del tutto le milizie cittadine, e quando -notiamo per inciso-
    anche i tornei cavallereschi cominciarono a diventare semplice esibizione "atletica", mentre a livello locale, specifico di Verona,
    il "bagordo" (un gioco equestre con la lancia) venne progressivamente limitato.
    E' significativo che uno statuto scaligero del 1327 parli del "Locus ubi erat quintana" usando il verbo al passato, mentre nella redazione
    legislativa precedente di mezzo secolo, in un contesto simile, si trova l'esplicito riferimento all'area della piazza del Foro
    "Versus lapidem piscium(...)et quintanam".
    Se ne può dedurre che la quintana (o giostra del Saracino), in cui l'abilità del cavaliere armato di lancia consisteva nel colpire lo scudo imbracciato da un bersaglio girevole, e nell'evitare il colpo di mazza legata all'altro braccio del fantoccio, fosse nel terzo decennio del Trecento una competizione non più in uso a Verona.










    LA COSTITUZIONE DEI REPARTI DI CAVALLERIA E' IMPOSTA, PER LEGGE, IN BASE AL REDDITO


    Abbiamo detto che la distinzione tecnica tra cavalleria e fanteria poggiava inizialmente su una differenziazione economica e rimandava quindi a una diversa connotazione sociale.
    Sul versante lessicale è utile osservare come nelle fonti, associato al termine "miles" compaia di frequente "equester"; il primo vocabolo indica i cittadini con probabile ascendenza nobiliare, di tradizione feudale e di riconosciuta saldezza economica, il secondo si riferisce a quegli individui senza titoli nobiliari ma benestanti e per questo tenuti a prestare servizio in cavalleria.

    Il "Modus faciendi miliciam" nella Verona scaligera era rigidamente regolato su base censitaria, e il servizio armato a cavallo richiesto ai "cives" era proporzionale alla loro consistenza patrimoniale.
    Procedure sempre più attente di estimazione vennero messe a punto dal comune che, nell'età di Cangrande, si avvaleva di un apposita commissione che operava annualmente in conclave (chiusa nel palazzo comunale), per redigere l'"imposicio" ai "cives" abbienti sulla base della rendita fondiaria e immobiliare di ciascuno. Ecco allora che ai diversi gradi di reddito corrispondevano altrettanti obblighi : la contribuzione di mezzo cavallo (?) per chi aveva un reddito superiore alle mille lire, di un cavallo per chi superava le duemila lire, di due cavalli per chi superava le quattromila lire; a nessuno poteva essere imposta una spesa superiore a due cavalli.
    Un provvedimento del genere ci mette di fronte a una vera e propria fiscalizzazione degli oneri militari dai quali- è significativo- vengono progressivamente esclusi gli abitanti del contado.
    Non indifferente appare anche la spesa per l'equipaggiamento, che viene dettagliatamente elencato negli statuti e documenti. Vi troviamo panciera con maniche o guanti in ferro, collare metallico, lamiera, scudo, spada, lancia, e solo in determinate circostanze, la copertura per il cavallo.
    Stando alle multe previste per gli inadempienti, pare di capire che la "paceria" dovesse essere l'elemento fondamentale della corazzatura, dato che la multa iniziale era computata in 20 soldi, cifra mai raggiunta per altre mancanze.

    Reparti specializzati operavano anche nella cavalleria e, contrariamente a quanto avvenne nella fanteria- dove abbiamo visto che gli arcieri furono declassati ma non totalmente sostituiti dai balestrieri - gli arcieri vennero quasi dappertutto rimpiazzati dai più efficenti "ballistarii equitantes".
    Nel 1259 si decise, per esempio, l'assoldamento di 1200 armati tra cavalieri e fanti, con la specifica dicitura : "inquibus sint ducenti ballistarii equestres" e ballistarii equites sono più volte menzionati nelle aggiunte allo statuto cittadino del 1276.
    Loro compito prevalente doveva essere quello di fornire adeguata copertura ai reparti di cavalleria.
    Dai diversi obblighi militari connessi alla cavalleria furono progressivamente esclusi i residenti del contado; parallelamente aumentarono le esenzioni dal servizio armato -previste per taluni membri della famiglia scaligera e, in forma ridotta, per studenti, maestri delle arti liberali, medici e avvocati- come pure aumentò la possibilità di farsi sostituire.
    La concessione a effettuare scambi per non partecipare alla guerra, prima circoscritta all'interno del nucleo familiare, venne poi ampliata con facoltà di mandare qualsiasi persona valida e approvata dal comune.
    Il passaggio dalla normativa del 1276 a quella del 1327 testimonia in modo eloquente queste aumentate possibilità di sostituzione - contemplate tanto per i milites quanto per i pedites, talvolta addirittura dando facoltà di sostituire con un versamento in denaro la propria prestazione personale - un mutamento sostanziale nel rapporto fra i "cives" e la guerra.
    Questo cambiamento è del resto percepibile anche nelle narrazioni dei cronisti della Marca veronese : se a metà del Duecento Rolandino da Padova con un linguaggio passionale metteva la libertà e l'onore della sua città come valori massimi, da difendere fino alla morte, già in Guglielmo Cortusi -neanche un secolo dopo- la guerra è vista non come strumento efficace per difendere la patria ma come punizione del Cielo, raccontata con tono pessimista e quasi rassegnato.
    E ancora, con Nicoletto D'Alessio la guerra è giustificata solo in quanto inevitabile, male necessario, in una visione della storia che è stata definita un machiavellismo di sopravvivenza, per finire con il Gattari nel quale emerge chiara e critica la consapevolezza della diversità nel modo di percepire la guerra tra signore e sudditi : l'impegno armato non fa più parte della coscienza collettiva, è esclusivo interesse privato dei governanti, il popolo in genere la rifiuta e non la giustifica nemmeno, ormai la subisce solamente.
    La diminuita disponibilità dei "cives" al servizio armato va senz'altro connessa al clima di instabilità e continua chiamata alle armi che connotò Verona dal secondo al quarto decennio del trecento e, in misura minore, anche nel periodo successivo.

    Uno sforzo bellico di tale portata richiedeva eserciti costantemente impegnati e professionalmente all'altezza dei compiti richiesti, caratteristiche che esigevano un addestramento specifico e non sporadico, e soprattutto una disponibilità numerica e qualitativa superiore a quella che potevano offrire cittadini e rustici - l'unico inconveniente non citato dall'autore è che dovevi anche pagarli, un fattore gravido di conseguenze-
    L'esperimento delle milizie mercenarie, già più volte attuato, si rese dunque necessario e, persa l'iniziale caratteristica di saltuarietà, divenne prassi usuale.








    Concluderò con l'accennare gli accadimenti che preannunziano il prender piede di truppe mercenarie al soldo di Ezzelino III da Romano e di Cangrande "Genio belligerante e conquistatore".
    [SM=x1140429] [SM=x1140429]





    [Modificato da Fulcherio; 28/09/2012 14:15]
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    The Housekeeper
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    Principe

    00 29/09/2012 11:17
    interessantissimo e anche ... utile per chi vorrà cimentarsi in una bella mod trecentesca
    grande Fulco!








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    Fulcherio;
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    Scudiero
    00 30/09/2012 00:02
    Re:
    grazie [SM=x1140440] , troppo buono come sempre [SM=g27963]

    finito questo ne farò uno sulla crociata di Nicopoli, o Tannenberg. oppure Hattin
    ma a pensarci bene alla fine preferirei fare Nicopoli perchè vicenda meno trattata e conosciuta, ma se hai qualche richiesta particolare non hai che da chiedere e, nel limite del possibile, cercherò di esaudirla [SM=g1598460]



    [SM=x1140429]


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    Principe

    00 30/09/2012 18:09
    Mitico!! Allora aspettiamo Nicopoli, non vedo l'ora :)
    [SM=x1140440]
    [Modificato da The Housekeeper 30/09/2012 18:10]








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    Fulcherio;
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    Scudiero
    00 04/08/2013 11:17
    [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265] [SM=g1546265]

    A CAVALLO DEL SECOLO COMINCIA A PRENDER PIEDE L'IMPIEGO DI TRUPPE MERCENARIE

    nelle due foto che fanno da cornice al titolo notare la differente merlatura, guelfa e ghibellina, caratteristica "ornamentale" che riassumeva anche significati politici




    E' significativo che nel passaggio dello statuto del 1276 a quello del 1327 l'intitolazione del libro militare da De milicia et populo (dove, semplificando e generalizzando, con il termine milicia possiamo intendere la cavalleria e con populus la fanteria) diventi De milicia, populo et stipendiariis : il riconoscimento cioè da parte della legge (legge che, anche nel Medioevo come oggi, recepiva con lentezza i cambiamenti) di una evoluzione che certamente fu lenta,prudente e articolata ma precisa.
    La presenza di combattenti stipendiati appare, nella Marca come altrove, diffusa già nel Duecento. Notissimi sono i mercenari tedeschi - e nell'immaginario collettivo forse più ancora quelli saraceni - di cui in svariate occasioni si servì Ezzelino III da Romano. Va detto però che essi costituivano solo una minoranza, essendo gli eserciti comunali delle città soggette i veri protagonisti dell'apparato militare ezzeliniano, e in particolare proprio l'esercito veronese che - stando almeno all'opinione del cronista Rolandino - era la formazione in cui Ezzelino più confidava.
    E l'impiego congiunto di eserciti di città diverse costituì un esempio di milizia sovracittadina che preparò il campo alla pratica dell'arruolamento di soldati stranieri.
    D'altronde le stesse lotte di fazione, scenario tipico del medioevo settentrionale italiano, rappresentarono un occasione di sperimentazione da non sottovalutare in questo contesto. Si pensi che ai veneziani nel 1226 fu solennemente vietato di portare aiuto alle fazioni veronesi in lotta. E se teniamo l'obiettivo puntato sulla laguna, appaiono significative le iterate proibizioni del Senato a impugnare le armi, militando nei conflitti che agitavano la terraferma ma, in direzione inversa, non lo sono da meno le altrettanto frequenti testimonianze dei soldati che Venezia andava ad arruolare nelle terre lombarde e romagnole. Proprio a Verona, la Serenissima, nell'età di Cangrande I, ne reclutò un cospicuo numero da inviare in Istria.
    Bisogna poi ricordare che Alberto della Scala aveva a sua disposizione una specie di guardia personale formata da stipendiati a piedi e a cavallo, retribuiti mensilmente.
    Fin dagli ultimi decenni del XIII secolo - ovvero dal momento dell'affermazione piena della signoria in Verona - venne dunque in qualche modo istituzionalizata la presenza di militi stipendiati che, da guardia scelta a servizio personale del dominus o momentanea necessità bellica, diventarono una componente stabile e niente affatto irregolare degli eserciti scaligeri. Tali "soldaerii", ovvero militi al soldo - probabile derivazione del variegato seguito che sempre nelle città comunali italiane accompagnava i podestà forestieri (un seguito costituito a Verona da oltre 20 elementi fra militi, armati e "donzelli" e poi via via aumentando) - si associarono ai reparti di cives bellatores fanti e cavalieri.









    TEDESCHI, LOMBARDI, BORGOGNONI, I MILITI AL SOLDO SI AFFERMANO NELL'ULTIMA ETA' SCALIGERA









    E' probabile che nell'età di Cangrande, "genio belligerante e conquistatore" come lo hanno a lungo definito gli storici, "homo de guerra" come lo ritraevano i cronisti contemporanei, il perdurante clima di guerra degli anni 1312 - 1327 (per l'ostilità con Padova) abbia infine portato a maturazione quel sistema misto di reclutamento militare che già era stato abbozzato nell'arco dei decenni precedenti.
    Certo la mobilitazione alle armi dovette essere piuttosto intensa in tutta l'età medievale, anche se la chiamata non era collettiva, ma effettuata a rotazione; nonostante ciò è presumibile che proprio nell'epoca del grande Scaligero si sia registrato un picco destinato a consolidare certi procedimenti di arruolamento straniero e a modificarne altri.
    La presenza di truppe al soldo , destinate prima ad affiancare la milizia locale e poi a sostituirla, diventa costante e mostra una progressiva intensificazione. Se in una fase iniziale
    l' assoldamento poteva solitamente riguardare singoli individui o piccoli gruppi, si passa a contingenti via via più numerosi, raccolti intorno ad un conestabile, che prefigurando l'imminente
    formazione delle compagnie di ventura. E il giudizio non di rado pesantemente negativo dei cronisti - secondo cui il teutonicorum furor sarebbe stato di pessimo esempio e avrebbe finito per
    incidere sulla decadenza della morale - conferma (al di là del topos particolarmente diffuso del mercenario violento e immorale, venditore di anima e corpo per denaro) la consapevolezza che essi stessi ebbero del cambiamento ormai in atto.
    Del resto la documentazione ci restituisce numerosi nomi di stranieri (tedeschi in primo luogo, ma anche borgognoni, provenzali, catalani) fra i più noti e fidati collaboratori militari di Cangrande I. Proprio a uno di essi, il borgognone Ziliberto del fu Zaoliveto, nel 1328 egli fece infeudare l'ingente patrimonio appartenuto a Ezzelino III da Romano e un anno più tardi, in punto di morte, lo volle incaricare del delicatissimo compito di proporre ai consigli cittadini il conferimento dei pieni poteri ai suoi nipoti e successori Alberto e Mastino, cosa che infatti avvenne.
    Altri collaterali degli Scaligeri furono il trevigiano Guecellone Tempesta, il reggiano Palmerio da Sesso, il bolognese Guglielmo Scannabecchi, gli emiliani da Fogliano, i trentini Castelbarco.
    E capitani degli eserciti scaligeri furono i toscani Uguccione della Faggiola e Spinetta Malaspina, Cittadino da Rimini, il siciliano conte di Chiaromonte, il lombardo Lodrisio Visconti, il
    tedesco Lutz di Landau, il romagnolo Giovanni Ordelaffi, fino all'estremo arruolamento (siamo ormai nell'estate del 1387) di Bernardo de la Salle.
    Presenza diffusa, costante e qualificata, dunque, quella degli stranieri : il servizio armato dei cittadini, nonostante questo, non scomparve del tutto almeno sino alla fine della signoria,
    come può testimoniare un episodio certamente anomalo, ma in qualche misura significativo, quale fu la leva di massa voluta nella primavera del 1387 da Antonio della Scala prima della battaglia
    di Castagnaro. Una situazione del tutto diversa si venne a creare di lì a pochissimo con l'avvento del dominio visconteo (nell'ottobre dell'anno 1387) quando a Verona, non più capitale ma città
    soggetta e ribelle, venne ovviamente tolta la facoltà di tenere un proprio esercito.


    Silvana Anna Bianchi



    Per un inquadramento generale dell'argomento trattato in questo articolo si vedano Ph. Contamine, La guerra nel Medioevo, il Mulino.
    A.A. Settia., Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell'Italia delle città, ed Clueb, Bologna 1993-non escludo ristampe-


    inoltre, per la stesura ci siamo avvalsi di un inviato speciale intervistato proprio lìlì dove avvenirono tutti codesti marabili accadimenti, muso simpatico di mercenario [SM=x1140525], ci motteggia nel mentre affabula con il nostro intervistatore [SM=g27983]
    [SM=x1140538]








    [Modificato da Fulcherio; 04/08/2013 11:22]