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CRITICHE ALLE TESI DI SCIENZIATI NON CREDENTI

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    00 14/07/2013 22:26

    L’etologo De Waal:
    «il moderno ateismo è religione dogmatica»

    Frans De WallUn nuovo ateo eretico sta scombussolando la piccola e litigiosissima congregazione di increduli militanti, si tratta del primatologo Frans De Waal, autore del recente libro “The Bonobo and The Atheist: In Search of Humanism Among the Primates” e docente presso la Emory University.

    De Waal ha attaccato il violento new atheism di Richard Dawkins & Jerry Coyne, denunciandolo come religione dogmatica. D’altra parte lo stesso Coyne aveva riconosciuto che ai loro “raduni spirituali” partecipano sempre le stesse persone e per lo più si tratta di fanatici.

    De Waal ha spiegato di essere cresciuto come cattolico, fede che è stata «importante durante la mia giovinezza», ma oggi non lo è più, anche a causa della forte secolarizzazione olandese. Tuttavia non intende risparmiare critiche al “deprimente” protestantesimo e al bizzarro e variopinto movimento dei “new atheist”, i cui membri sono talmente «ossessionati dalla non esistenza di Dio che vanno furiosamente sui media, indossano le loro T-shirt proclamando la loro mancanza di fede e invocando l’ateismo militante». Ma si è chiesto in modo davvero lungimirante: «che cosa ha l’ateismo da offrire perché valga la pena lottare in questo modo?».

    La sua tesi è che l’ateismo militante deriva da un trauma e serve a rimpiazzare vecchi dogmi con altri nuovi, e prende come esempio David Silverman (leader dell’American Atheists), le contraddizioni di Sam Harris e la brutalità argomentativa di Christopher Hitchens, il quale -ha commentato ironicamente De Waal- è arrivato a «preferire Dick Cheney a Madre Teresa di Calcutta».

    Interessante poi quando ha affrontato l’argomento sul rapporto tra scienza e la religione, afferma: «Poi c’è il mito persistente che la scienza trionfa sulla religione in ogni modo possibile, e che l’una distrae dall’altra, come in un gioco a somma zero. Questo approccio risale ai polemisti americani del diciannovesimo secolo, che notoriamente hanno dichiarato che, se credessimo ancora alla religione staremmo ancora sostenendo una terra piatta. Questa era pura propaganda, la speculazione sulla rotondità del nostro pianeta è iniziata con Aristotele e altri antichi greci, e tutti gli studiosi importanti durante il Medioevo ne erano pienamente consapevoli. Dante nella “Divina Commedia” ritrae la terra come una sfera, e il trittico di Bosch Garden mostra una terra piatta che galleggia in una sfera trasparente, circondato da un cosmo nero». Chissà se anche il ben poco scientifico Alessandro Cecchi Paone lo avrà imparato dopo questa incredibile gaffe.

    L’etologo olandese ha poi continuato: «Anche quando si tratta di evoluzione c’è la tendenza a puntare la religione come un avversario solido, ignorando che mai la Chiesa cattolica ha formalmente condannato la teoria di Darwin o ha messo le sue opere all’Indice (la lista dei libri proibiti). Il Vaticano ha approvato l’evoluzione come una valida teoria, compatibile con la fede cristiana. Certo, la sua approvazione è arrivata un po ‘tardi, ma è bene rendersi conto che la resistenza all’evoluzione è quasi esclusivamente dei protestanti evangelici nel Sud degli Stati Uniti e nel Midwest».

    Ha poi concluso riconoscendo con grande onestà: «I copiatori dei primi libri su cui la scienza ha fatto affidamento erano rabbini e monaci, le prime università sono nate come cattedrali escuole monastiche. Il papato ha attivamente promosso la costituzione e la proliferazione delle università e il più antico documento negli archivi dell’Università di Oxford è un Premio del Legato Pontificio del 1214». Ha tuttavia criticato anche le personalità religiose (come Dinesh D’Souza) che usano le esperienze pre-morte (NDA) come prova scientifica della vita dopo la morte, invitando comunque ad un dialogo sereno tra atei e credenti, in cui ci si ascolti di più.

    Ovviamente il reazionismo è stato immediato, brusche le risposte delle congregazioni atee fondamentaliste (anche italiane) e dei responsabili del dogm-atesimo che non ne vogliono sapere di calmarsi e dialogare con il mondo, come Anthony Clifford Grayling e Jerry Coyne. E così Frank Furedi, membro della British Humanist Association, continua ad aver ragionequando dice che «il nuovo ateismo si è trasformato non solo in una religione laica, ma in una religione secolare fortemente intollerante e dogmatica. La minaccia più potente per la realizzazione del potenziale umano proviene oggi, non dalla religione, ma dal disorientamento morale della cultura secolare occidentale».

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    00 16/07/2013 15:15

    Tre fisici cattolici ricordano Margherita Hack

    Margherita HackIl 29 giugno scorso è morta Margheita Hack, astrofisica e celebre polemista antireligiosa. L’abbiamo salutata con un articolo in cui, senza rinnegare le dure critiche a lei riservate nei nostri articoli in passato, abbiamo voluto ricordarla apprezzando quel che di buono abbiamo comunque visto e imparato da lei (lo spieghiamo per rispondere ad alcune e-mail ricevute, critiche verso questa nostra scelta).

    Ci è parso interessante osservare come diversi scienziatihanno reagito alla sua scomparsa, sopratutto coloro con cui ha da sempre intrapreso -direttamente o indirettamente- una sfida tra scienza e Dio. Scienziati credenti, cattolici, che hanno spesso replicato alle sue esternazioni ateologiche, probabilmente influenzate dalla suamatrice teosofica, come ha sottolineato “Avvenire”.

     

    Non poteva mancare il suo “nemico” preferito, Antonino Zichichi, celebre fisico italiano, professore emerito dell’Università di Bologna, già presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e della Società Europea di Fisica. «Il più bel ricordo che ho di Margherita Hack è quando a Siena mi disse che preferiva il Nulla»ha scritto. Eppure, ha spiegato, «se l’universo su­bnucleare non fosse retto da una logica rigorosa io sarei di­soccupato. Non saprei cosa fa­re domani. Né avrei mai potuto far niente nella mia carriera di fi­sico impegnato a decifrare la lo­gica scritta nel libro della natu­ra. Se c’è una logica deve esser­ci un Autore. Ecco perché io cre­do in Colui che ha fatto il Mon­do. L’ateismo nega l’esistenza dell’Autore. Negare l’esistenza di questa logica corrisponde a negare l’esistenza della Scien­za. L’ateismo non sa dimostra­re com’è possibile l’esistenza di una logica senza che ci sia Co­lu­i che di questa logica è l’Auto­re. Ecco perché io dico che l’ateismo non è atto di ragione ma di fede nel Nulla». La Hack ha risposto così al fisico siciliano, durante un dibattito pubblico: ««Sono d’accordo con ciò che ha detto il professo­re Zichichi. Io, Margherita Hack, preferisco l’atto di fede nel Nulla all’atto di ragione che mi porterebbe a credere in Dio»«In molte occasioni», ha spiegato Zichichi, «ho cita­to come esemp­io di onestà intel­lettuale questa affermazione di Margherita Hack. Iddio solo sa quanto ci sia oggi bisogno di onestà intellettuale».

     

    Interessante anche l’intervista a Piero Benvenuti, ordinario presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, dove è anche direttore del CISAS (Centro Interdipartimentale di Studi e Attività Spaziali), e consigliere d’amministrazione dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana). Benvenuti ha anche corretto talvolta gli errori scientifici della Hack nella sua carriera di divulgatrice. Oltre ad una visione davvero bella del rapporto tra scienza e fede, ha anche spiegato rispetto alla Hack: «abbiamo discusso animatamente, mai litigato però», perché la sua professione di ateismo «è basata su concetti separati. La stessa scienza ha capito che può dare soltanto una visione parziale della realtà e allo stesso tempo tutti sappiamo che la Genesi utilizza un linguaggio mitico, non vuole esprimere una realtà scientifica»«Margherita era di una umanità incredibile», ha concluso, «e credo che in fondo avesse una aspirazione alla trascendenza. Il suo limite era che per lei tutto era meccanismo, materia. Nel suo “infinito” non c’era spazio per l’amore, per una prospettiva di amore extratemporale, per la speranza. E quando è così, anche se lei non lo ha mai ammesso, c’è solo la disperazione, lo insegna anche la storia. L’amore non è un fatto chimico, né un algoritmo: è qualcosa di più».

     

    Citiamo infine anche l’articolo di Marco Bersanelli, ordinario di Astronomia e Astrofisica all’Università di Milano, nonché tra i responsabili scientifici della missione spaziale PLANCK dell’Agenzia Spaziale Europea. Ha scritto: «Mi ha sempre colpito questa sua ostinazione sulla questione religiosa, quasi si agitasse in lei un tormento, o forse come lei avrebbe detto una fede sui generis». Dopo aver elogiato la sua apertura al dialogo, dimostrata in diversi casi, l’astrofisico ha commentato: «Nella sua visione le domande di significato si trovano abbandonate nel binario morto dell’opinione, del sentimento, della scelta arbitraria, dell’irrazionalità. Raramente la moderna divisione tra sapere e credere è stata espressa tanto sinteticamente: da questo punto di vista la Hack ha dato voce alla posizione culturale più diffusa nella nostra mentalità».

    «A me pare», ha quindi concluso, «che la religione che Margherita disdegnava era legata a un’idea ridotta di Dio e a un’idea moralistica della fede. Non poteva sopportare che Dio fosse una svendita del bisogno umano di comprendere, la “scappatoia per spiegare quello che la scienza non sa ancora spiegare”. Mentre l’uomo è fatto per conoscere, la fede come lei la intendeva e la conosceva era piuttosto una passività, un rifugio, un’auto-consolazione. Ma la Fede è ben altro! Così oggi che Margherita è scomparsa dispiace che non ci siano state più occasioni di dialogo, di confronto, per provare a intendersi meglio. E mi domando quanto noi scienziati credenti abbiamo saputo e desiderato veramente esprimere e testimoniare una Fede viva, capace di dimostrarsi incidente nel nostro lavoro, di rendere più desiderabile la conoscenza e più viva la ricerca. Il ricordo di Margherita, e la sua inedita assistenza dal cielo, possa aiutare tutti noi a essere più autentici nel vivere e condividere ciò in cui crediamo».

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    00 03/09/2013 12:02

    Chi nega il libero arbitrio cade in contraddizione

    Libero arbitrioNel 2012 il prof. Michele Forastiere ha svolto su questo sito web una lunga trattazione (divisa in quattro parti: primasecondaterza equarta) sul libero arbitrio, prendendo in considerazione le obiezioni di alcuni studiosi riduzionisti e rispondendo ad esse.

    Il dibattito è interessante e coinvolge molti studiosi. La filosofia riduzionista di Daniel Dennett, ad esempio, sostiene che la mente è uguale al cervello e il pensiero è semplicemente il risultato della scarica dei neuroni. La psicologia per loro dunque è una forma di biologia, come ha commentato ironico Mark Latkovic, docente di Teologia Morale e sistematica presso il “Sacred Heart Major Seminary”«Il pensieropresuppone un cervello funzionante», ha spiegato, «ma non può essere ridotto ad esso». Esso,«come spiegato da pensatori che vanno da Aristotele, Aquino, Mortimer Adler e Benedict Ashley, è un potere spirituale o immateriale della persona umana (e solo di ess), non una proprietà materiale».

    Il problema centrale è che Dennett e i riduzionisti sono fortemente in contraddizione. La visione materialista del cervello, ha spiegato il teologo, «si fa beffe della impresa scientifica stessa, in quanto il ricercatore del cervello materialista regge la sua ricerca come prova che noi pensiamo con il nostro cervello e si appella a tale evidenza per convincerci della verità della sua posizione. Nel fare questa mossa, il materialista è attirato da una libera volontàche, nella sua visione del mondo, in realtà non dovrebbe esistere: è anch’essa un’illusione. Ma se la libertà è un’illusione, allora il suo appello scientifico non è scientifica, oltre che impraticabile. Egli è, in altre parole, catturato in una contraddizione». Spiegando in altre parole: se il materialista ha ragione quando nega che il pensiero è un processo immateriale, allora non dovrebbe tentare di convincere nessuno verso il suo modo di intendere le cose. Se ha ragione lui, infatti, tutti noi siamo già determinati: alcuni di noi saranno determinati a “pensare” che lui ha ragione lui e altri che si sta sbagliando, tutto a seconda della particolare attività fisiochimica succede nel nostro cervello. Quando il materialista vuole convincerci che ha ragione lui, in quel momento sta assumendo che il libero arbitrio esista e che il pensiero è immateriale.

    Lo stesso tentativo di negare il libero arbitrio nasconde l’esistenza dello stesso e falsifica la pre-determinazione, altrimenti non ci sarebbe bisogno di un’apologetica specifica. Tale contraddizione viene definita “self-referential arguments” ed è stata evidenziata da Robert Doyle, fisico e filosofo docente alla Harvard University.

    Lo stesso Doyle è stato intervistato recentemente da “Avvenire”, in occasione della sua ultima pubblicazione (disponibile liberamente su Internet su www.informationphilosopher.com) su tale argomento. «La domanda centrale del classico problema mente-corpo è come una mente immateriale possa muovere un corpo materiale se le catene causali sono limitate all’interazione tra oggetti fisici», ha spiegato Doyle. «In sintesi, il mio modello prevede una mente immateriale come pura informazione all’interno del sistema fisico che elabora quell’informazione, ovvero il cervello. In questo modo, si arriva a un fisicalismo non riduttivoe un dualismo emergentistico»«L’informazione – dice Doyle – è fisica ma immateriale. Non è né materia né energia, anche se ha bisogno di entrambe per la sua manifestazione. L’indeterminismo della fisica quantistica “rompe” la catene causali usate per ridurre i fenomeni biologici alla fisica e alla chimica e gli eventi mentali agli eventi neuronali. Ma ciò non vuole dire che le nostre scelte siano casuali».

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    00 28/09/2013 18:18

    Per chi crede di essere una mosca…

    GeneticaLa matematica/filosofa Chiara Lalli ha fatto un intervento che non è solo di divulgazione scientifica ma per infilarci una propaganda, esplicita o velata, al determinismo ateo.

    Se vediamo un articolo firmato da lei sappiamo già il secondo fine ed infatti ce lo aspettavamo leggendo ieri la sua recensione sul “Corriere”all’ultimo lavoro di Edoardo Boncinelli“Una sola vita non basta” (Rizzoli 2013).  La Lalli ha raccontato dell’incontro tra Boncinelli e Walter Gehring, il quale ha isolato tre geni omeotici della drosofila capaci di controllare altri geni, una loro mutazione può provocare profonde alterazioni nel corpo della mosca. Boncinelli ha approfondito gli studi sull’uomo scoprendo a sua volta l’esistenza di geni con un ruolo simile a quello dei geni omeotici nella drosofila. Un bellissimo lavoro dunque che grazie alla interessante recensione della Lalli è divenuto pubblico.

    Ma poteva finire qui senza una stoccata ai suoi nemici, i credenti, strumentalizzando la scienza per le proprie battaglie ideologiche? Ovviamente no, così la Lalli si è avventurata oltre affermando che l’aver trovato dei geni simili tra mosca e uomo avrebbe anche «un’eco filosofica». Via dunque alla propaganda riduzionista: «non siamo poi così “speciali”, diversi da una mosca, almeno nei componenti fondamentali. È facile capire lo scombussolamento di chi si crede appartenente a una specie ontologicamente superiore alle altre». Scombussolati perché Boncinelli ha trovato dei geni simili tra uomo e mosca? Addirittura scomodando l’ontologia dell’essere umano?

    Pensate quanti salti di gioia farebbe Chiara Lalli se scoprisse che l’uomo non condivide dei geni solo con la mosca ma perfino con l’albero di Natale! Noi esseri umani abbiamo inoltre il 50%del DNA in condivisione con la bananail 90% con il gatto e l’80% con la mucca. Quindi, secondo il suo ragionamento del “non siamo poi diversi da una mosca”, l’uomo sarebbe anche per metà una banana, in gran parte un bovino da latte e per il 90% un felino che miagola. Possibile che possa esistere ancora oggi uno sguardo talmente miope sull’essere umano, ridotto ai suoi fattori genetici? Ancora qualcuno che crede che l’irriducibilità dell’uomo possa essere smentita dai geni in comune con piante e animali?

    Comprendiamo il disappunto di Adriano Favole, antropologo dell’Università di Torino per «il ritorno prepotente di una sorta di monopolio delle scienze biologiche (dalla chimica alle neuroscienze) nella definizione della condizione umana». Questi sono semplicemente «abusi politicamente strumentalizzati», dal nome di “determinismo genetico”. Giorgio Dieci, docente di Biochimica all’Università di Parma, ha aggiunto in modo significativo: «L’idea che gli organismi viventi e la loro evoluzione siano ultimamente, esattamente riconducibili al DNA e alle sue dinamiche mutazionali e replicative, idea di cui non sono mai mancati i sostenitori a oltranza fuori e dentro il mondo scientifico, sopravvive soprattutto nella retorica di certe discussioni pubbliche e fonti divulgative, spesso dominate dallo sforzo di non ammettere lacune nella conoscenza dei meccanismi dell’evoluzione e dell’essenza dei viventi, anziché dall’entusiasmo nel constatare l’inaspettata ampiezza d’orizzonte che l’analisi sempre più approfondita dei genomi, e della intricatissima loro espressione nel contesto cellulare, sta rivelando. Dove sono scritte la cavallinità del cavallo, la “quercità” della quercia, l’umanità dell’uomo?»Gereon Wolters, filosofo dell’Università di Costanza ha sapientemente svelatoquel che si cela dietro ai tentativi, come questo di Chiara Lalli: «Se fosse possibile mostrare che anche il comportamento è geneticamente determinato, questo sancirebbe il trionfo definitivo del riduzionismo: anche i meccanismi cognitivi, l’azione morale e, in ultimo ma non di minore importanza, la credenza in Dio, diverrebbero generi di comportamento determinati dai nostri geni. Le discipline corrispondenti, come ad esempio l’epistemologia, l’etica e la teologiaperderebbero inoltre la loro autonomia e il loro diritto di esistere al di fuori della biologia».

    Il dogma dell’ateismo militante, ha spiegato Francesco Agnoli, è l’essere costretto a negare l’uomo per poter negare Dio«Perché negare Dio», ha scritto, «ha significato da sempre ridurre l’uomo ad un elemento della natura, equivalente ad un sasso o un albero; ridurlo via via a frutto del Caso, a un “esito inatteso”, a una “eccezionale fatalità”, a un aggregato di materia senz’anima, a un meccanismo geneticamente determinato, a un membro indistinto di una non meglio identificata Umanità, di una Razza o di una Classe sociale. E’ infatti una caratteristica tipica di tutti gli ateismi – da quello darwinista-materialista a quello marxista, da quello animalista a quello new age – quasi un risentimento, un rancore verso l’uomo, come singolo, unico e irripetibile, che reclama testardamente un senso più alto».

    Se Chiara Lalli si crede convinta nel volersi paragonare ad una mosca, una mucca o un gatto non saremo certo noi ad impedirglielo. Auspichiamo tuttavia uno sguardo più aperto e profondo sull’essere umano e una vera divulgazione scientifica, non proselitismo.

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    00 05/10/2013 12:08

    Il CICAP accusa i critici del darwinismo di utilizzare le “piccole crepe” della teoria per infilare dei “cunei” che facciano crollare il muro.

     

    Ma la verità è che non si tratta di piccole crepe bensì di grandi cedimenti strutturali che avrebbero già fatto crollare il muro darwiniano se non fosse stato massicciamente puntellato.

     

    E così, dopo aver preso per i fondelli i contestatori della teoria neo-darwiniana, la relatrice del CICAPBeatrice Mautino, accusa gli stessi di “prendere per il cuneo” la teoria stessa. La tattica il cui uso si contesta agli antidarwinisti sarebbe quella di individuare delle piccole crepe e insistere sulle stesse nel tentativo di allargarle fino a quando il “muro crolla“.



    Per stabilire se si tratti di un’azione di sabotaggio in cui i contestatori del darwinismo allargano delle piccole crepe o se si tratti invece di una truffa dei sostenitori del darwinismo che “vendono” per buono un muro pericolante, non resta altro da fare che esaminare queste “crepe”.

    Obiezioni dei critici del darwinismo riportate dalla Mautino:

    1) Finora non si è visto avvenire un solo caso di evoluzione. (La dott. Mautino commenta “vero…”)

    2) Gli anelli mancanti (forme di transizione) “semplicemente non esistono”

    3) Una “cosa un po’ più complicata sulle mutazioni, ma qui andiamo un po’ troppo sullo specifico…”

     

    Per dimostrarci che queste sono solo delle piccole crepe sfruttate pretestuosamente per intaccare il “muro” darwiniano la relatrice espone i suoi argomenti:

    1) I batteri si evolvono continuamente, e al riguardo viene portato il caso dell’Escherichia Coli che giusto un anno fa provocò dei casi di intossicazione. E giusto un anno fa, su CS-Il caso dell’E. Coli: se questa è evoluzione… si era detto che non si tratta proprio un caso di evoluzione. Argomento falso.

    La formazione di nuove specie si ha continuamente nei batteri.” Peccato che si dovrebbero citare dei casi precisi, e che non si può portare il fenomeno della resistenza agli antibiotici CS-Ancora una smentita dell’evoluzione (attuale) dei batteri, né le mutazioni con perdita di funzione.

    Si ricorre infine all’esempio della farfalla Heliconius heurippa che deriva dall’incrocio di due specie distinte e che secondo la relatrice sarebbe “una specie nuova, non un ibrido…“, solo che su questo punto dovrebbe mettersi prima d’accordo con Jesus Mavarez, dello Smithsonian Tropical Research Institute di Panama City, autore dell’esperimento citato dalla Mautino che ha dichiarato invece il contrario: ”Abbiamo ricreato in laboratorio il processo evolutivo che può aver dato vita all’ Heliconius heurippa, una farfalla di specie ibrida” (La Repubblica:Evoluzione, gli scienziati creano in laboratorio un ibrido di farfalla). Insomma ci viene venduta per una specie nuova un caso di ibrido simile a quello del mulo.

    <B>Evoluzione, gli scienziati creano <br>in laboratorio un ibrido di farfalla</B>

    Heliconius heurippa

    In conclusione il CICAP riporta come casi di evoluzione certificata secondo la teoria darwiniana, tre casi che sono assolutamente inaccettabili. Come direbbe la Mautino, questa sì che è una “presa per il cuneo”.

     

    2) Un caso di anello mancante è il Tiktaalik roseae, un fossile datato 375 milioni di anni fa e che avrebbe delle caratteristiche intermedie tra pesce e anfibio:

    File:Tiktaalik BW.jpg

    Il Tiktaalik roseae

    Le caratteristiche che ne farebbero un anello mancante sono: “delle caratteristiche tipiche dei pesci, le branchie, i polmoni…” COSA?! Davanti ad un’aula di attenti ascoltatori (tra cui Paolo Attivissimo) nessuno ha nulla da obiettare sul fatto che tra le caratteristiche tipiche dei pesci venga citata la presenza di polmoni! A questo punto potremmo attuare la tattica della presa per i fondelli e chiudere così il discorso, ma lasciamo ad altri questi mezzi e andiamo avanti.

    La caratteristica che invece fa avvicinare il Tiktaalik ad un animale terrestre sono le “zampe”, chiamate tali non per la loro funzione (nella figura si vede chiaramente che sono delle pinne) ma per lo loro struttura. La relazione tra l’altro diventa a questo punto anche un po’ lamarckiana in quanto tali animali si dice che “stanno cercando di uscire” dall’acqua“. Purtroppo la mancanza di memoria storica non consente agli esperti del CICAP di evitare di utilizzare casi “deboli” come se fossero prove certe, se infatti si ricordassero dell’infelice vicenda del Celacantonon ostenterebbero tanta sicurezza:

    Una vecchia ricostruzione degli “anelli mancanti” tra pesci e animali di terra, in mezzo è visibile il Celacanto.

    Il Celacanto i cui fossili più antichi sono datati circa 400 milioni di anni fa, era ritenuto un animale estinto da 65 milioni di anni e, come avviene oggi con il Tiktaalik, un anello di congiunzione tra pesci e animali di terra. Le zampe carnose si riteneva che fossero servite per iniziare a fare i suoi primi passi sulla terra, si riteneva anche che avesse dei polmoni primitivi, proprio come il Tiktaalik. Però, inaspettatamente, nel 1938 l’animale estinto venne pescato e poté essere studiato nella sua vera anatomia mostrando come le conclusioni di chi lo collocava come anello intermedio tra pesci e animali di terra fosse totalmente in errore: il “fossile vivente”, lungi dall’essere una forma intermedia tra i pesci e gli animali di terra “vive prevalentemente in acque profonde, dove non giunge alcuna traccia di luminosità” (Wikipedia):

    Un esemplare del genere Latimeria (Celacanto)

    In conclusione possiamo dire che bisogna andare molto cauti nel dire che una data specie fossile sia stata l’anello mancante di un passaggio evolutivo, e il Tiktaalik non può quindi essere portato come una prova.

     

    3) E veniamo all’ultimo punto di quelli citati nella conferenza: una “cosa un po’ più complicata sulle mutazioni, ma qui andiamo un po’ troppo sullo specifico…”. Una frase che ha l’inconveniente di dare degli “stupidi” ai presenti che non vengono ritenuti in grado di capire, ma che permette di glissare su quello che è il problema fondamentale della teoria neo-darwiniana: l’origine dei nuovi caratteri.

    Il punto più vulnerabile della teoria dell’evoluzione darwiniana sin dalla sua formulazione, e che si ripropone anche nella versione riformulata con la Sintesi moderna, è proprio il meccanismo con cui compaiono i nuovi caratteri. Per Darwin valeva la legge dell’uso e del disuso e la trasmissione dei caratteri acquisiti, per la Sintesi l’origine dei nuovi caratteri è nelle mutazioni casuali.

    Su questo punto ci siamo già soffermati indicando l’estrema improbabilità che il meccanismo per mutazioni casuali possa produrre veramente delle novità funzionali, e non dei semplici peggioramenti su cui possa poi agire la selezione naturale. Al riguardo è da segnalare ancora una volta lo studio dei fisici Prof. Giorgio Masiero eMichele Forastiere, di cui si è parlato in CS-E’ provato matematicamente: aderire al neodarwinismo è come credere ai miracoli.

    Quella “cosa un po’ più complicata” sulla quale la relazione sorvola non è proprio una semplice crepa, è una profonda breccia che farebbe crollare il muro se non venisse fortemente puntellata con argomenti al limite del sofisma.

    Quelli che nella conferenza del CICAP vengono fatti passare per dei banali pretesti sono invece dei problemi di grandissimo rilievo la cui mancata soluzione, sin dalla pubblicazione dell’Origine delle specie nel 1859, è un dato di primaria importanza.

    E se il CICAP insiste nel dirvi che si tratta di scuse pretestuose… vi sta prendendo per il “cuneo”.

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    00 11/10/2013 19:32

    Le teorie di Krauss
    sull’universo emerso dal nulla

    Lawrence Krauss 
     
    di Flavio Grandin*
    studente di fisica teorica

     
    da Il pensiero assiomatico, 30/09/13
     

    L’autore di questo articolo è Luke Barnes, cosmologo. Barnes analizza le idee espresse dal collega Lawrence Krauss nel suo ultimo libro A Universe from Nothing: Why There is Something Rather than Nothing. Krauss che, ricordiamo, è anche autore di pubblicazioni molto prestigiose come La fisica di Star Trek, sostiene che «abbiamo scoperto che tutte le evidenze suggeriscono un universo che può plausibilmente essere emerso dal nulla. In questo senso [...] la scienza rende possibile non credere in Dio.» I suoi argomenti possono essere così riassunti:

    1) Gli elementi fondamentali dell’universo sono, in base a quello che oggi conosciamo, materia ed energia, spazio e tempo, e sono governati dalle leggi della natura.
    2) Le particelle di materia corrispondono a determinate configurazioni di campi quantistici. Esiste una configurazione senza particelle, il vuoto. Uno stato senza particelle può evolvere in uno stato con particelle. Quindi la materia può apparire dall’assenza di materia.
    3) L’universo potrebbe avere energia totale pari a zero.
    4) Esistono teorie che suggeriscono che spazio e tempo non sono fondamentali, ma emergono da stati senza spazio e tempo.
    5) Le leggi della natura possono essere stocastiche e casuali, nel qual caso possono non esistere, in definitiva, leggi della natura.
    6) Siccome possiamo immaginare che l’universo venga da uno stato senza materia, senza particelle, senza spazio, senza tempo e senza leggi, qualcosa può venire dal nulla.

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    Una persona di buon senso dovrebbe lasciar perdere senza dar  peso a simili affermazioni. D’altra parte uno può anche credere ai vulcaniani, nessun problema, ma se si vuol dare un aspetto di scientificità a queste idee c’è da preoccuparsi, anche per il successo che ottengono dentro e fuori della comunità scientifica. Non discuto della competenza tecnica e professionale del signor Krauss, ma la comprensione che ha della scienza in senso più generale è alquanto imbarazzante.

    Non ho nulla da aggiungere alla descrizione che ne dà Barnes: «Cos’è la scienza? Ecco cosa cerco di fare nel lavoro di tutti i giorni. La fisica usa un metodo piuttosto peculiare per studiare l’universo. Traduciamo fatti fisici misurati circa l’universo in fatti matematici nell’ambito di un modello dell’universo. Una grande quantità di dati vengono racchiusi sinteticamente in poche equazioni. Avendo fatto il salto nello spazio della matematica, cerchiamo fatti matematici che corrispondono a misurazioni che non sono ancora state fatte, in altre parole predizioni». Quindi, vediamo come la scienza parli di come si relazionino e interagiscano determinati elementi fondamentali che rispecchiano le osservazioni del mondo reale. Andare oltre a degli elementi fondamentali non ha senso in quanto, come minimo, a quel livello non c’è più nulla di scientifico da dire.

    Ma analizziamo punto per punto il ragionamento di Krauss.
    1. Gli elementi fondamentali dell’universo sono, in base a quello che oggi conosciamo, materia ed energia, spazio e tempo, e sono governati dalle leggi della natura.
    Questo è il primo e ultimo punto su cui non c’è nulla da obbiettare. Esistono degli enti fondamentali e questi obbediscono a delle leggi, il senso dell’intera scienza!

    2. Le particelle di materia corrispondono a determinate configurazioni di campi quantistici. Esiste una configurazione senza particelle, il vuoto. Uno stato senza particelle può evolvere in uno stato con particelle. Quindi la materia può apparire dall’assenza di materia.
    Nulla di formalmente sbagliato se non che si comincia ad intravedere il modo con cui si vuole distorcere a proprio piacimento la realtà: una particella può emergere dal vuoto quantistico,non dal nulla. I campi sono sempre lì e, se producono una particella, è perché hanno interagito in un certo modo. Ed è proprio il loro agire all’interno di un ordine, di un Logos, che esiste al di là dello stato materiale che manifestano. Questo Logos deve esistere, non può essere nulla.

    3. L’universo potrebbe avere energia totale pari a zero.
    Sì, però considerando che i numeri reali sono un insieme denso la probabilità che l’energia sia pari a zero è nulla. In ogni caso, seriamente, dare un valore all’energia – non a differenze di energia – è qualcosa di molto delicato in fisica anche perché dipende secondo quale paradigma si compie l’assegnazione. Si riferisce al modo in cui si assegna l’energia nella teoria del mare di Dirac (con energie negative per le antiparticelle) o secondo la teoria quantistica dei campi?

    4. Esistono teorie che suggeriscono che spazio e tempo non sono fondamentali, ma emergono da stati senza spazio e tempo.
    Qui non si capisce perché spostare il problema dallo spaziotempo agli stati cambi qualcosa. Uno stato non è nulla.

    5. Le leggi della natura possono essere stocastiche e casuali, nel qual caso possono non esistere, in definitiva, leggi della natura.
    Questa è veramente la mia preferita. Si cominciava a temere che non ci fosse posto per Dio in questo sistema, e invece no! Dio esiste, ed è la statistica. Ma specialmente esistono le fluttuazioni statistiche di cose che non esistono, le leggi della natura: spettacolare! Sempre che queste fluttuazioni non siano governate da leggi più generali come giustamente suggerisce Barnes.

    6. Siccome possiamo immaginare che l’universo venga da uno stato senza materia, senza particelle, senza spazio, senza tempo e senza leggi, qualcosa può venire dal nulla.
    Ecco che il pensiero si chiude e mi pare anche di scorgere un ghigno di soddisfazione, d’altra parte Krauss ha appena intravisto i segreti dell’universo, come non capirlo… L’errore è sempre il solito: le particelle vengono da stati senza particelle, non dal nulla. Lo spazio ed il tempo vengono forse da uno stato senza di essi, non dal nulla. Il nulla non può tramutarsi in qualcosa anche solo per il fatto che se la transizione avvenisse, dovrebbe avvenire nel tempo. Ma il tempo non è nulla. L’unico nulla immaginabile è un nulla eterno che evidentemente, dato che siamo quì, non esiste adesso, non esisteva prima e non esisterà mai. Giusto per ribaltare una citazione di R. Dawkins possiamo dire che molti scienziati oggi si stupirebbero di quante cose potrebbe insegnare loro Aristotele.

    Quello che sconcerta è che in tutto questo ad essere negata è la scienza in quanto indagine di enti esistenti regolati da leggi esistenti. La struttura stessa della scienza impedisce di andare oltre ai postulati fondamentali poiché al di fuori di essi non c’è nulla da dire. La costruzione assiomatica degli enti e delle leggi può essere modificata, migliorata e ampliata, non rimossa. Per questo Barnes scrive: «La visione scientifica del mondo può accordarsi bene con una visione teistica del mondo. E questa è esattamente la visione nella quale la scienza è nata, esattamente la credenza degli autori della rivoluzione scientifica».

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    00 01/12/2013 18:17

    L’esperienza mistica di Bertrand Russell




    Vissuto in epoca positivista Russell parlava evidentemente di dimostrazione scientifica ignorando che nemmeno nella scienza (e nella matematica, che è il linguaggio con cui si esprime) è vero solo ciò che è dimostrato. In secondo luogo è evidente che se l’esistenza di Dio si potesse provare attraverso il metodo scientifico, allora Dio sarebbe necessariamente parte della Sua creazione, come la teiera, e dunque non potrebbe più esserne il Creatore ultimo.  Inoltre, è arduo pensare che l’ipotesi dell’esistenza di una teiera celeste stia su un piano di parità con l’ipotesi della sua inesistenza, così come nessuno si sente in dovere di confutare i milioni di cose improbabili che una fantasia fertile può concepire. L’importante non è se Dio sia confutabile o no (e non lo è), ma se Dio sia probabile o no, ed è molto più probabile che l’ordine, la regolarità e la bellezza del cosmo rispondano ad una Causa prima, rispetto all’esistenza di un topino fatato o della teiera in orbita. Non a caso nessuno crede davvero alla teiera o è ad essa agnostico, mentre tanti credono a Dio o sono agnostici rispetto ad esso, riconoscendone comunque una plausibilità.


    Infine, se a questo punto come obiezione si postulasse l’esistenza di un unicorno rosaanch’esso al di fuori del tempo e dello spazio, dunque non indagabile dalla scienza (che non può indagare ciò che è meta-fisico), e creatore onnipotente di quel che esiste, si starebbe semplicemente teorizzando ancora una volta Dio, anche se usando un altro nome e dandogli una forma precisa. L’obiezione cadrebbe nel vuoto, sarebbe ridondante.  L’obiezione della teiera, in ogni caso, non vale per i cristiani i quali non credono al dio di Albert Einstein e dei deisti ma al Dio rivelato da Gesù Cristo: «Dio nessuno l’ha mai visto. Proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Tra noi e Dio c’è di mezzo il testimone eccezionale chiamato Gesù.


    Avendo sbagliato analogia, Russell non ha affatto mostrato a chi spetta l’onere della prova, dilemma risolto dall’argomento del consenso comune. Ovvero, è sull’accusa e non sulla difesa che grava l’onere della prova, come dicono i giuristi: la negazione dell’esistenza di Dio è un fenomeno recente e sostenuto da poche persone rispetto alla mole degli uomini credenti che si sono succeduti sulla Terra; non solo loro a doversi giustificare ma è il non credente che deve trovare motivi per negare una realtà che contrassegna tutti gli uomini di tutti i tempi. Come affermava Alexis de Tocqueville“l’irreligione è un accidente, solo la religione è lo stato permanente dell’umanità”. Si potrebbe anche dire: è “l’eccezione” che va giustificata, non la “normalità/consuetudine”. Oltretutto, c’è un’altra cosa da sottolineare e lo ha fatto il filosofoUmberto Eco dicendo: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (“In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p. 23).


    Torniamo però a Bertrand Russell, sottolineando un recente articolo sul “Guardian” dove per l’appunto si specifica che la sua scrittura sulle tematiche etice e religiose mancava dell’originalità e della raffinatezza rispetto alla sua opera filosofica sulla matematica. Nonostante fosse un uomo molto intelligente supportò l’eugenetica di Francis Galton e sostenne diversi luoghi comuni contro le religioni, oggi ripresi dagli anticlericali di professione. Tuttavia nella sua autobiografia ha rivelato di tanto in tanto un rapporto più complesso e ambivalente alla religione. In particolare descrivendo un episodio del 1901, quando assistette la moglie del suo collega di Cambridge, Alfred Whitehead, sofferente di problemi di cuore. Tale esperienza causò a Russell una sorta di visione spirituale«Il terreno sembrava cedere sotto di me e mi sono trovato in un’altra regione», ha scritto. «Nel giro di cinque minuti sono passato attraverso a diverse riflessioni come il fatto che la solitudine dell’anima umana è insopportabile; nulla può penetrarla tranne la più alta intensità del tipo di amore che gli insegnanti religiosi hanno predicato».


    Tale visione (indimostrabile come vera ma a cui lui credette immediatamente nonostante la sua stessa obiezione della teiera, giusto per sottolineare) fu così potente che lui divenne «una persona completamente diversa». Anche se questa «intuizione mistica» è poi sbiadita di fronte ad una vecchia «abitudine di analisi», i suoi effetti -ha scritto-, «sono rimasti sempre con me, modificando il mio atteggiamento durante la prima guerra, il mio interesse nei bambini, la mia indifferenza per disgrazie minori e un certo tono emotivo in tutti i miei rapporti umani». L’aver vissuto imbevuto di un’atmosfera iper-positivista non lo ha purtroppo aiutato a far emergere le sue significative intuizioni.


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    00 04/12/2013 17:08

    ESPERIMENTO LENSKI:UN FALLIMENTO PER LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE
    di E. Pennetta - 29/11/13 -  

    Purtroppo per il neodarwinismo più passa il tempo e maggiormente diviene palese l’inconsistenza della loro scuola, da sempre l’esperimento di Lenski veniva presentato dai vari referenti dell’evoluzionismo nostrano come prova empirica della loro teoria. Il mondo antievoluzionista aveva più volte ribadito che l’esperimento sopra citato non comportava la comparsa di nuova informazione e che non era quindi testimonianza di nulla, anzi si era specificato in diverse pubblicazioni il contrario. In diverse occasioni sono stato attaccato di non conoscere l’esperimento e di negare l’evidenza dei “FATTI”, già M. Gerogiev nel suo libro aveva dimostrato gli errori di Ayala e di Lenski ma come sappiamo il mondo Evoluzionista è offuscato dalla menzogna materialista e quindi continua a commettere grossolani errori. Dopo il DNA spazzatura crolla l’ennesima icona dei “tarantolati darwinsiti “ (citare oggi Costano Preve credo sia una atto dovuto)… Alla (pseudo) scienza darwinista ormai resta poco, al contrario sembra proprio che le predizioni degli antievoluzionisti vengano perennemente confermate.


    Riporto qui di seguito un interessante articolo di Enzo Pennetta sull’esperimento Lenski.

     

     

    Sull’esperimento di Lenski avevamo ragione: è ufficiale, non si tratta di una nuova specie.

     

     

    lenski1

     


    L’esperimento di Lenski viene portato come prova di evoluzione verificata con meccanismi neodarwiniani, ma da sempre abbiamo detto che non si tratta di evoluzione.

     

    Adesso lo stesso Lenski conferma la correttezza delle nostre conclusioni.

    .

    Nella nostra azione di elaborazione dei dati sull’evoluzione una delle osservazioni che capita più spesso di ascoltare è quella relativa al fatto che i sostenitori delle tesi opposte alle nostre sono più numerosi e titolati e che quindi stupisce che possano cadere negli errori da noi segnalati.

    Uno dei casi più significativi in cui questo si è verificato è certamente quello dell’analisi dei risultati dell’esperimento di Lenski analizzato su CS in tre specifici articoli: “Quel che Lenski non ha detto… (storia di una mancata evoluzione)“; “Escherichia Coli: è vera evoluzione? (prima parte)”; “Escherichia Coli: è vera evoluzione? (seconda parte)“. In tali interventi si sostenevano fondamentalmente due punti:

    a) la mutazione registrata non ha dato origine ad una nuova specie.

    b) la mutazione in questione è un caso di microevoluzione e non di macroevoluzione.

    Il punto “b” è implicato da quello “a”, infatti se il cambiamento verificatosi non è stato tale da far parlare di nuova specie ci troviamo al massimo di fronte ad una nuova varietà della stessa specie. Nei commenti agli articoli già pubblicati sostenitori (anche qualificati) della teoria neodarwiniana hanno contestato le conclusioni che escludevano proprio la nascita di una nuova specie.

    A dire la sua sull’argomento giunge adesso lo stesso Lenski che dalle pagine del suo blog “Telliamed Revisited” parla del risultato del proprio esperimento e delle prospettive future in un articolo intitolato “Fifty-Thousand Squared” nel quale si parla dei risultati a lungo termine dell’esperimento stesso giunto oggi alla 50.000 generazione e della prospettiva di poterlo estendere per i prossimi 100 anni in modo da studiare i risultati dopo 250.000 generazioni.

    Quello che di nuovo si può dire è che i risultati mostrano un continuo miglioramento della fitness delle generazioni coltivate in condizioni stabili, non si sarebbe cioè raggiunto un punto di massimo adattamento oltre il quale ogni cambiamento potrebbe solo peggiorare la fitness stessa. Si tratterebbe di cambiamenti che non mostrano una tendenza asintotica verso un limite ma che potrebbero procedere in modo indefinito secondo una “Power law” che indica due quantità che variano l’una secondo la potenza dell’altra e che graficamente è rappresentabile nel seguente modo:

     

     

     

    power law

     

     

    Secondo questa distribuzione quindi non esiste un limite massimo al quale la fitness tende, ma il miglioramento comunque rallenta sempre più, come riportato anche in un recente articolo su Le Scienze: “L’evoluzione senza fine delle popolazioni di batteri“. In pratica l’esperimento ha mostrato i meccanismi della selezione stabilizzante in azione, il tipo di selezione che aveva proposto Edward Blyth tra il 1835 e il 1837 e che non conduce all’evoluzione.

    Ma giunti alla 30.000 generazione di batteri E. coli Lenski trovò una mutazione che consentiva ai batteri di utilizzare il citrato presente nell’ambiente anche in presenza di ossigeno mentre normalmente esso viene utilizzato in condizioni anaerobie, ed è questa mutazione ad essere interpretata da molti come una prova dell’avvenuta evoluzione secondo meccanismi neodarwiniani.

    Al riguardo giunge adesso una considerazione di Lenski che mostra come molti sostenitori della teoria neodarwiniana siano più realisti del re, nello stesso articolo sul suo blog infatti Lenski scrive quanto segue:

     Zachary Blount (coautore di un articolo sull’esperimento pubblicato su Nature ndr) sta attualmente studiando se il miglioramento di questa nuova funzione stia portando a cambiamenti che potrebbero qualificare gli utilizzatori di citrato come nuove o incipienti specie.

    Per Lenski dunque la mutazione nel gene del citrato in E. coli non è da considerare come un evento di speciazione, siamo quindi davanti ad un caso di microevoluzione, proprio come sostenuto su CS nei tre articoli pubblicati. Per Lenski infatti solo un miglioramento della nuova funzione potrebbe portare ad una nuova specie o ad una nuova specie incipiente.

    Di questo ha preso atto anche il prof. Formenti dell’Università di Pavia che sul suo sito “ANTI-EVOLUZIONISTI IN ITALIA?!” scrive:

    R.Lenski propone di continuare l’esperimento almeno per un altro secolo, in modo da arrivare a 250.000 generazioni, sperando che avvenga un evento come quello avvenuto dopo 30.000 generazioni, cioè l’abilità di usare anche il citrato come seconda fonte di energia, una nuova funzione che però non si configurerebbe come un evento di speciazione o come un suo inizio. Congratulandoci per l’obiettività del prof. Formenti che al momento è l’unico sul versante neodarwinianao ad aver ammesso questa conclusione sull’esperimemto di Lenski, possiamo dire che finalmente la questione è chiusa: l’esperimento di Lenski non ha prodotto una nuova specie
     

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    00 12/12/2013 15:17

    Giovanni Reale è uno dei più noti filosofi italiani, attualmente docente alla nuova facoltà di Filosofia del San Raffaele di Milano presso la quale sta fondando un nuovo Centro Internazionale di Ricerche su Platone e sulle radici platoniche del pensiero e della civiltà occidentale. Di fronte alla tesi di Hawking di un’assenza di un Dio creatore non riesce a nascondere un sorriso.


    «È un errore tipico di certi scienziati. Giudicare l’universo infinito secondo categorie finite, senza rendersi conto della enorme sproporzione che ne deriva. Stephen Hawking insiste molto sulla presenza di altri sistemi solari simili al nostro, con altri soli e pianeti. E poi, secondo lui, la quasi certezza di altri universi altrettanto complessi del nostro e di altre possibili forme di vita in spazi imprecisati dimostrerebbero che Dio non c’è, perché altrimenti avrebbe sprecato tempo, spazio e materia di nessun valore per le creature umane terrestri. A lui rispondo: a me piace pensare che gli altri universi, e chissà quali altri sistemi celesti, possano essere stati creati per ospitarci tutti, quando verrà il giorno della resurrezione. E perché no? Potrebbero essere quelli i luoghi che ci sono stati riservati


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    00 27/11/2014 22:08

    L’essere umano  è “violento per natura” ?




    A questo proposito è utile segnalare l’uscita di un saggio molto interessante, intitolato “La bestia che è dentro di noi. Smascherare l’aggressività” (Il Mulino 2014), scritto dal prof. Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza, di Psicologia del disagio sociale e di Relazioni interpersonali all’Università di Padova. Lo psicologo mostra, attraverso diversi esempi storici e studi scientifici, che l’aggressività per l’uomo non è affatto qualcosa di “naturale” e fare del male a qualcuno è un atto di nostra pertinenza, non appannaggio di tirannici processi biochimici. L’aggressività e la violenza sono scelte personali che non dipendono dal nostro Dna e non rispondono a dinamiche codificabili.


    «L’aggressività non è un fenomeno naturale»scrive il prof. Zamperini, e l’uomo non si può considerare alla stregua di un animale perché «fra lo stimolo che riceve e la risposta offerta vi è tutto un lavorio di autocoscienza, interpretazione, riflessione e presa d’iniziativa». Non esiste una «presunta molla aggressiva» alla quale ascrivere le azioni violente verso gli altri e non esistono supporti empirici che possano dimostrarla. Si tratta di uno stereotipo fasullo poiché «il comportamento aggressivo è uno degli aspetti più variabili della vita sociale degli esseri viventi». Esistono, semmai, «una dimensione dialettica tra l’individuo e la società», un’interazione tra «cultura e natura» in cui «il tutto è sicuramente più della somma delle sue parti e le parti assumono qualità diverse in quanto parti di un tutto».


    Anche il teologo Vito Mancuso, in uno dei suoi pochi discorsi interessanti e condivisibili, ha riflettuto su questo scrivendo«dalla catena di violenza di cui è intrisa la vita, alcuni esseri umani desiderano emanciparsi e questo è un nobile ideale che a mio avviso va sostenuto. Nessun altro essere vivente può concepire tale emancipazione, solamente l’uomo lo può, mostrando in questo di essere ben al di là della vita animale. Sto dicendo che gli animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale. Nessun animale carnivoro infatti cesserà mai di mangiare carne, nessun animale erbivoro deciderà mai di astenersi dai bulbi e dai tuberi, nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso. A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata».


    L’uomo al contrario, ha proseguito Mancuso, «ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa, e oggi alcune avanguardie stanno lottando per allargare tali ideali ad altri esseri viventi. Tutto ciò, esattamente al contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti, mostra in modo lampante lo iato esistente tra Homo sapiens e gli altri viventi. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell’uomo non è quindi perché non c’è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita».


    Mancuso giustamente sottolinea la capacità dell’uomo, al contrario dell’animale, di liberarsi dal suo substrato evolutivo, dal suo istinto di supremazia. Telmo Pievani, docente di Filosofia delle scienze presso l’Università degli studi di Padova ha convenuto smontando le pretese della“psicologia evoluzionista” nel voler spiegare il nostro comportamento estendendo la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie alla società e alla cultura umana. «Per i guru di questa materia», ha spiegato Pievani, «la nostra mente sarebbe una collezione di moduli evolutisi per risolvereproblemi specifici: una specie di “coltellino svizzero». Eppure «per giustificare l’utilità di meccanismi adattativi così rigidi e immutabili da essere al tempo stesso preistorici e attivi ancor oggi, l’ambiente avrebbe dovuto essere uniforme e duraturo», ed invece «abbiamo vissuto in ambienti instabili e imprevedibili, dove, più che moduli di comportamento innati e rigidi, servivano al contrario flessibilità e innovazione comportamentale». Ha così definito «imbarazzanti spiegazioni evolutive» e«narrazioni affascinanti» i tentativi di “spiegare l’uomo” applicando la teoria di Darwin.


    Chi dunque parla dell’uomo come un essere violento e aggressivo “per natura” parla per stereotipi ma, in molti casi, non persegue esplicitamente l’approccio naturalista. Più probabilmente rileva dentro di sé e dentro gli uomini, una tendenza, una facilità al commettere il male piuttosto che il bene. Questa è una intuizione corretta, ma non significa affatto che l’aggressività sia “naturale”. Semmai conferma ciò che la Chiesa e il cristianesimo dicono dell’uomo: un essere dotato di libertà, libero di compiere il bene o di commettere il male. Una libertà, tuttavia, ostacolata dal peccato originale che ha corrotto la sua capacità morale. San Paoloscrive: «In me c’è il desiderio del bene, ma non c’è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà?Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore» (Rm 7, 14-25).



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    00 10/03/2015 22:15

    Il celebre cosmologo Ellis 
    critica la teoria del Multiverso

    Nel 2011, sempre su “Scientific American” è comparso un suo articolo molto critico verso il Multiverso (la teoria degli universi paralleli), nel quale ha scritto: «Sono scettico sul fatto che il Multiverso sia una teoria scientifica. Non c’è alcuna dimostrazione dell’esistenza di altri universi è mai potrà esserci. Nessuna delle affermazioni fatte dagli appassionati del multiverse può essere motivata direttamente».

    Nella recente intervista il celebre cosmologo è tornato sull’argomento: «Non sono un fan del Multiverso, potrebbe essere vero ma è improbabile e c’è troppa speculazione non verificabile sull’esistenza di infinite entità, mal definite e le cui misurazioni di probabilità non sono verificabili». La speculazione è anche ciò che domina molte dichiarazioni del suo collega Lawrence Krauss, il quale ha affermato che la fisica avrebbe risolto il mistero del perché c’è qualcosa piuttosto che niente: «Non sono d’accordo. Krauss presenta non teorie speculative di come le cose sono venute ad esistere da un preesistente complesso di entità, compresi i principi variazionali, la teoria quantistica dei campi, i gruppi di simmetria specifici, uno spumeggiante vuoto, tutti i componenti del modello standard della fisica delle particelle ecc. Egli non spiega in che modo queste entità avrebbero potuto pre-esistere al divenire dell’universo, perché avrebbero dovuto esistere o perché avrebbe dovuto avere la forma che hanno. Inoltre non offre alcun processo sperimentale o di osservazione per testare queste speculazioni del presunto meccanismo di generazione dell’Universo generazione. Come è possibile verificare che cosa esisteva prima che l’universo esistesse? Non si può».

    «Sopratutto», ha proseguito il prof. Ellis, «egli ritiene che queste speculazioni risolvano millenari enigmi filosofici, senza impegnarsi seriamente in tali questioni filosofiche. La convinzione che tutta la realtà può essere pienamente compresa in termini di fisica ed equazioni della fisica è una fantasia. E, soprattutto, Krauss non affronta il perché esistono le leggi della fisica, perché hanno la forma che hanno o in che tipo di manifestazione esistevano prima che l’universo esistesse. Chi o che cosa ha sognato i principi di simmetria, i gruppi di simmetria specifici, la teoria di Gauge e così via? Egli non risponde a queste domande. E’ molto ironico quando critica la filosofia e poi si impegna in questo tipo di tentativi filosofici». Anche Stephen Hawking ha affermato che la filosofia sarebbe morta, ma «se davvero crede questo dovrebbe smettere di indulgere nella filosofia di basso grado nei suoi scritti. Non si può fare fisica o cosmologia senza una base filosofica assunta, oltretutto speculazioni filosofiche hanno portato ad una grande quantità di buona scienza: le riflessioni di Einstein sul Principio di Mach hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo della relatività generale, il dibattito tra Einstein e Bohr e il paradosso EPR hanno portato a testare i fondamenti della fisica quantistica». Eppure, purtroppo, «molti scienziati sono forti riduzionisti che credono che la fisica determini da sola i risultati del mondo reale, questo è palesemente falso. Come ho già detto, le equazioni matematiche rappresentano solo una parte della realtà e non devono essere confuse con la realtà».

    Ellis è anche un devoto cristiano, il suo nome compare nel nostro dossier sugli scienziati credenti e nel dossier delle loro citazioni sul rapporto tra scienza e fede. La fede, ha spiegato, «può influenzare in qualche modo i temi che si scelgono di affrontare, ma non può influenzare la scienza stessa che ha una sua logica e deve essere seguita ovunque porti. Molti aspetti chiave della vita (come l’etica: ciò che è bene e ciò che è male, e l’estetica: ciò che è bello e ciò che è brutto) si trovano al di fuori del dominio della ricerca scientifica: la scienza può dire che tipo di circostanze porteranno all’estinzione degli orsi polari, o anzi, dell’umanità, ma non ha nulla da dire sul fatto che questo sarebbe un fatto buono o cattivo, non è una questione scientifica. I tentativi di spiegare i valori in termini di neuroscienze e teoria dell’evoluzione in realtà non hanno nulla da dire su ciò che è buono o cattivo. Questa è una domanda filosofica o religiosa e non possono nemmeno poggiarmi su una base scientifica per dire cosa dovrebbe essere fatto in Israele o in Siria oggi. Questo sforzo sarebbe un errore categoria».

    Più ironica, infine, la riflessione sul libero arbitrio che diversi riduzionisti vorrebbero definire un’illusione: «se Einstein non avesse avuto il libero arbitrio non potrebbe essere stato responsabile per la teoria della relatività, sarebbe stato un prodotto di processi di livello inferiore ma non di una mente intelligente che sceglie tra le opzioni possibili. Trovo molto difficile credere a questo, anzi non sembra avere alcun senso. I fisici devono prestare attenzione alle quattro forme di causalità di Aristotele, se hanno il libero arbitrio per decidere cosa fare. Se invece non lo hanno, allora perché perdere tempo a parlare con loro? Essi non sarebbero responsabili di quello che dicono».


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    00 12/05/2015 18:50

    Negare coscienza e libero arbitrio
    e accorgersi che è una tesi inaccettabile

    Robot uomoLa filosofia materialista sta progressivamente abbandonando la strumentalizzazione dell’evoluzione biologica, preferendo concentrarsi sulle neuroscienze. Secondo gli esponenti del riduzionismo convincersi e convincere che gli esseri umani sono solamente delle macchine complesse, determinate unicamente da forze materiali, è una strada più efficace per ridurre l’eccezionalità dell’essere umano.

    L’irriducibilità dell’uomo è infatti un fattore molto scomodo per chi vorrebbe negare il Creatore, per questo da decenni è in corso un tentativo di screditare la coscienza, l’anima e il libero arbitrio attraverso la strumentalizzazione delle scienze neurologiche. Senza coinvolgere la creazione da parte di un Essere personale è molto difficile parlare dell’uomo come agente morale capace di compiere scelte responsabili. Meglio teorizzare macchine prive di libertà, condizionate unicamente dagli antecedenti biologici. E’ evidente che l’anti-fattualità è uno degli ostacoli, certamente uno dei principali, a queste tesi: nessuno arriverà mai a concepirsi davvero così perché questa descrizione dell’essere umano è contraria all’esperienza che abbiamo di noi stessi e delle persone che ci stanno attorno.

    Sopratutto, non regge alla prova dell’esperienza nemmeno nei loro sostenitori. Un esempio particolarmente chiaro è il filosofo Galen Strawson che ha affermato spavaldamente che «l’impossibilità della libera volontà e della responsabilità morale possono essere dimostrate con assoluta certezza». Salvo poi riconoscere che «ad essere onesti non posso davvero accettare me stesso in questo modo, e non perché sono un filosofo. Come filosofo affermo l’impossibilità del libero arbitrio ma non posso convivere con questo. Per quanto riguarda gli scienziati, essi possono affermare le stesse cose nei loro camici bianchi, ma sono sicuro che, proprio come il resto di noi, quando sono nel mondo, sono convinti della radicale realtà del libero arbitrio». La realtà corre da una parte mentre le teorie che vorrebbero spiegarla dicono tutt’altro. Ma quale affidabilità hanno queste spiegazioni? Non rivelano semplicemente l’ostinazione dei filosofi materialisti nel cercare di teorizzare una visione del mondo che non si adatta al mondo reale?

    Un altro esempio è il prof. Edward Slingerland che nel libro What Science Offers the Humanities si è identificato come un imperturbabile materialista riduzionista, sostenendo che il materialismo darwiniano porta logicamente alla conclusione che gli esseri umani sono dei robot illusi di avere una volontà autonoma o coscienza. Tuttavia, anche lui ha ammesso che è impossibile credervi,«nessuno agirebbe più se ad un certo punto avesse la sensazione di non essere libero. Noi siamo costituzionalmente incapaci di sperimentare noi stessi e gli altri come dei robot». Saremmo dunque dei robot progettati, non si sa da chi, come o perché, «per non credere che siamo robot». La soluzione esposta da Slingerland è quella di continuare a mentire a noi stessi: «abbiamo bisogno del trucco del vivere con una coscienza duale, coltivando la possibilità di identificare gli esseri umani simultaneamente in due descrizioni: come sistemi fisici e come persone». La soluzione è vivere una dicotomia mentale. Slingerland parla della propria figlia, scrivendo: «In un importante e inestirpabile livello di me stesso, l’idea di mia figlia come una semplice e complessa robot che trasporta i miei geni alla generazione successiva è sia bizzarra che ripugnante» (p. 307). Una tale visione riduzionista «ispira in noi una sorta di resistenza emotiva e persino repulsione», tanto che quando ascoltiamo qualcuno che afferma queste cose lo«etichettiamo come “psicopatico” e giustamente cerchiamo di identificarlo e nasconderlo per proteggere il resto di noi».

    Come è stato fatto notare, si tratta di ciò che George Orwell definì “bipensiero”: quando una visione del mondo non riesce a spiegare tutta la realtà, i teorici cosa fanno? Solitamente lo riconoscono e ritirano le loro convinzioni. Eppure ci sono persone che non si arrendono così facilmente e preferiscono sopprimere le cose che la loro visione del mondo non riesce a spiegare. O, per facilitare le cose, aderiscono al motto degli ideologi: “Se i fatti contraddicono le teorie, tanto peggio per i fatti. Cosa possiamo altrimenti dire quando qualcuno ci spinge ad adottare una visione che egli stesso ammette essere bizzarra e ripugnante?

    Un altro esempio è il prof. Marvin Minsky del MIT, secondo cui il cervello umano “non è altro che” (parola chiave del materialismo scientista) «un computer di tre chili circondato da carne». Ovviamente, i computer non hanno il potere di scelta e dunque nemmeno gli esseri umani. Sorprendentemente, però, Minsky chiede: «Questo significa che dobbiamo abbracciare la moderna visione scientifica e mettere da parte l’antico mito della scelta volontaria? No. Non possiamo farlo. Non importa se il mondo fisico non fornisce spazio per la volontà libera, non possiamo rinunciarvi. Siamo praticamente costretti a mantenere questa convinzione, anche se sappiamo che è falsa». Falsa, ovviamente, secondo la visione materialista del mondo. Questo è un incredibile caso di bipensiero orwelliano: Minsky dice che le persone sarebbero “costrette a mantenere” la convinzione del libero arbitrio, anche quando la loro visione del mondo dice loro che “è falsa”. Ancora una volta: il filosofo riduzionista fa un’esperienza di se stesso che è oggettivamente contraria alla sua tesi precostituita, perciò sostiene di sapere che tale esperienza è falsa (vivremmo dunque una indignitosa vita basata sul costante autoinganno di noi stessi) ma è costretto da se stesso a reputarla veritiera (“tanto peggio per i fatti”, dicevamo).

    Infine l’ultimo esempio è Rodney Brooks, anch’egli professore emerito al MIT. Un essere umano, ha scritto nel libro Roboticist(Pantheon Books 2002), non è altro che un «grande sacco di pelle pieno di biomolecole». E’ difficile considerare così le persone, eppure -ha scritto- «quando guardo i miei figli mi costringo a guardar loro come delle macchine». Anche se, ovviamente, «non li tratto in questo modo ma interagisco con loro ad un livello completamente diverso. Hanno il mio amore incondizionato, il più lontano possibile da ciò che si conclude da un’analisi razionale». Brooks considera dunque “razionale” una visione del mondo in cui gli esseri umani sono “sacchi di pelle piene di biomolecole” e considera “irrazionale” l’amore ai propri figli. Come è possibile conciliare una tale e straziante dissonanza cognitiva? «Io sostengo due insiemi di credenze incoerenti», ha concluso, rinunciando alla speranza di raggiungere un’unica e coerente visione de mondo pur di non abbandonare le sue tesi.

    Tutto ciò che il paradigma riduzionista e materialista non riesce a spiegare viene gettato via, compresi gli ideali su cui è fondata la società umana: la libertà morale, la dignità umana, l’amore verso i figli. In realtà le loro tesi sono completamente reversibili: non siamo noi che facciamo un’esperienza falsa costretti a ritenerla vera, ma è il loro “io” più profondo che ha repulsione per queste teorie perché sa benissimo essere false. Ma è meglio convivere con questa incoerente dicotomia piuttosto che ammettere ciò che la realtà ci mostra: siamo esseri liberi e morali. Chi vuole studiare il mistero dell’uomo dev’essere coerente, altrimenti non potrà evitare queste contraddizioni.


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    00 14/05/2015 14:20
    Impossibile imparzialità miscredente

    Gli studiosi e scienziati materialisti, pur non essendo la maggioranza, hanno posizioni privilegiate nel campo pubblicitario e finiscono per dare il tono all'opinione pubblica. Ai miscredenti, in senso radicale, quali sono gli atei, vanno aggiunti gli scienziati che, pur non essendo atei, escludono per principio l'intervento di Dio nelle cose naturali. Per i più coerenti di essi tutte le cose sono sgorgate da evoluzione spontanea, guidata cioè puramente dal caso. Ed è questo l'evoluzionismo comunemente insegnato come certo nei testi, nelle riviste, nelle scuole, alla radio. Quanto all'origine della materia primordiale qualche astronomo ha pensato addirittura a una sua continua creazione dal nulla, che avvenne e proseguirebbe ad avvenire da sé, senza Creatore: così, per esempio, Fred Hoyle, della Università di Cambridge, che ne fece clamorosa propaganda intorno al 1950. Ma su quest'ultimo argomento e su tale assurda ipotesi gli evoluzionisti, di solito, preferiscono tacere.
    Siccome tali scienziati mostrano molta precisione e rigorosa imparzialità in tutte le loro ricerche sperimentali, così da farsi guidare in esse soltanto dai fatti, danno l'impressione di essere ugualmente imparziali e obiettivi e guidati soltanto dalla verità delle cose quando proclamano e diffondono questo evoluzionismo spontaneo della natura: "Se lo affermano tali scienziati - pensa la gente - vuol dire che è vero, vuol dire che i fatti hanno parlato chiaro".
    Ma è un grande equivoco. Su questo punto, in realtà, l'autorità di tali scienziati sfuma. Manca il suo fondamento principale che è l'imparzialità ed obiettività delle affermazioni, in quanto dedotte veramente dai fatti. Essi, a riprova dell'evoluzionismo, adducono bensì dei fatti (di cui valuteremo in seguito la poca consistenza). Ma lo fanno a difesa di una tesi preconcetta, abbracciata a priori, per necessità, mancando loro la alternativa critica che hanno invece i credenti. Esclusa infatti materialisticamente, per principio, l'esistenza o comunque l'intervento di Dio nella creazione e nella guida dell'universo, tali scienziati non hanno altra possibilità per spiegare la comparsa successiva di tutti gli esseri che supporre uno spontaneo processo evolutivo, puramente guidato dal caso. Prima cioè della ricerca dei fatti con cui tentano di convalidare l'evoluzionismo, questo è da essi necessariamente postulato in conseguenza dell'aprioristica esclusione dell'intervento o della esistenza stessa del divino Creatore. (Esclusione aprioristica perché non se ne dà alcuna prova: è noto che nessun ateo è mai riuscito a provare che Dio non esiste.)
    Tipica è una aprioristica e ristretta giustificazione di questi scienziati: dicono di escludere, nell'evoluzione della natura, un ipotetico intervento da fuori del mondo perché non sarebbe sperimentabile. Ma non tengono conto che ciò che non è sperimentabile direttamente lo può essere indirettamente, attraverso gli effetti. Dalla realtà sperimentale di questi si risale alla realtà della loro causa.
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    00 14/12/2015 11:34

    Jerry Coyne ci riprova,
    ma non reggono i suoi argomenti contro Dio

    Jerry CoyneVe li ricordate i cosiddetti “cavalieri dell’ateismo“? Quel gruppetto di simpaticoni (Dawkins, Harris, Dennett e Hitchens) che ha tenuto banco fino al 2010, inondando le librerie con volumi nei quali descrivevano le prove scientifiche dell’inesistenza di Dio e dibattevano su quanto andrebbero odiati e rinchiusi nei manicomi tutti coloro che hanno fede in Lui?

    Tanto fumo, poi spariti nel nulla. Dopo la morte del compianto Christopher Hitchens, gli altri hanno avuto un piccolo sbandamento: Richard Dawkins, da “ateo più famoso del mondo” è passato a definirsi “agnostico” e, infine, “cristiano culturale” (tanto che recentemente ha criticato i cinema inglesi che si sono rifiutati di proiettare un annuncio della Chiesa d’Inghilterra sulla preghiera del “Padre nostro”). Il filosofo Sam Harris, invece, ha fatto “coming out” e ha deciso di diventare una “persona spirituale”, rifiutando l’ateismo. Daniel Dennett si è ritirato in pensione godendosi finalmente le sue 73 primavere.

    Per questo siamo stati catapultati improvvisamente nel passato quando ci è capitato recentemente di leggere un’intervista a Jerry Coyne (nella foto qui a fianco), biologo in pensione, che ha sempre ruotato attorno ai già citati “4 cavalieri” senza però riuscire mai a trovare abbastanza spazio, covando parecchia invidia. Nel 2011 infatti si lamentò che ai “raduni atei” si respira troppa aria «di autocompiacimento, scarso livello, debolezza dei colloqui e fanatismo verso alcuni atei famosi (come Richard Dawkins)». Per questo, disse, «ho rifiutato diversi inviti». Nel 2014 abbiamo ripreso un’altra sua dichiarazione, quando ha sostenuto«Dato che i genitori possono (purtroppo) legalmente fare proselitismo verso i loro figli a casa, non vi è alcuna giustificazione per sostenere pubblicamente l’educazione religiosa fuori casa». No comment.

     Nella recente intervista ha rispolverato “le prove scientifiche dell’ateismo” usate per anni dai suoi colleghi più famosi: «ci sono una serie di cose nell’evoluzione e nella scienza che minano la religione. Prima di tutto, il fatto che la storia Genesi è sbagliata. Non ci sono prove che ci sia una funzione qualitativamente diversa tra gli esseri umani e le altre specie, tranne forse il linguaggio. Noi non siamo prodotti speciali della creazione di Dio». E’ l’argomento del riduzionismo: per negare Dio si cerca di negare l’uomo e la sua unicità rispetto al resto della natura. Oltre al fatto che la Genesi non sbaglia perché non pretende essere un libro scientifico sulla creazione dell’Universo e non è stato scritta con questo scopo, non ha senso sostenere che il linguaggio sia l’unica cosa che ci differenzia dal mondo animale. Anche prima di saper comunicare verbalmente (anche se si respinge la teoria del protolinguaggio di Bickerton bisogna comunque ammettere che l’uomo, ad un certo punto, ha voluto iniziare a codificare un linguaggio),  infatti, l’uomo sperimentava già le sue incredibili capacità cognitive: l’autocoscienza di sé, il senso religioso, la moralità, il pensiero astratto, il simbolismo, il desiderio di vivere e non soltanto sopravvivere ecc. Tanto che il biologo evoluzionista Marc Hauser, docente presso l’Harvard University e uno dei maggiori esperti nel campo della cognizione animale e umana, ha proposto che sia più interessante studiare le differenze tra animali e uomo piuttosto che rimarcare le analogie, tanto da coniare il termine, “humaniqueness”, per sottolineare il divario insormontabile tra uomini e animali. «Non siamo animali»ha scritto nel 2008 il celebre evoluzionista americano. «Dimenticate tutte le notizie sul nostro patrimonio genetico comune con gli scimpanzé. Questi dati sul patrimonio genetico comune non ci danno alcuna informazione sul problema della nostra unicità, la nostra humaniqueness». E’ proprio l’evoluzione oggi a mettere al centro dell’Universo l’essere umano, dandogli un posto privilegiato.

    Diversi filosofi, inoltre, come Alvin Plantinga, hanno rilevato l’autoconfutazione dell'”argomento riduzionista”, usato anche da Coyne, facendo notare che se si vuole relegare le nostre esperienze cognitive a epifenomeni del cervello, per tentare di negare l’unicità umana, allora si distrugge anche la razionalità dato che il pensiero è sostituito da semplici eventi neurali elettrochimici. Così, le asserzioni stesse del riduzionista (Jerry Coyne, in questo caso) non sono altro che tracce nella rete neurale del suo cervello: non c’è dunque nessun motivo di fidarci del suo intelletto e non ci sono motivi per prendere sul serio le tesi del riduzionista.

     Dopo l'”argomento riduzionista”, Coyne ha puntato su quello cosmologico: l’universo sarebbe inutile (citazione di S. Weinberg) e si sarebbe originato autonomamente “dal nulla”: «Una delle teorie su come l’universo è venuto in essere è la teoria del Big Bang, uno scoppio accaduto naturalmente nel vuoto quantistico. La gente dice: “Non si può ottenere un universo dal nulla. Ci deve essere Dio”. Invece si può se si concepisce il nulla come ilvuoto quantistico dello spazio esterno». Il biologo americano ha riciclato la tesi del fisico Lawrence Krauss, autore del libro “Un universo dal nulla: perché c’è qualcosa piuttosto che niente”, tuttavia non ha considerato la valanga di critiche che ha ricevuto tale teoria. Ha ben sintetizzato il problema il prof. Marco Bersanelli, docente di Astrofisica presso l’Università di Milano: «Che cos’è questo “nulla” dal quale tutto avrebbe preso le mosse? Il “vuoto” quantistico primordiale nel quale una fluttuazione può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse? Ma questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo e del teologo. Anzi, se le cose fossero davvero andate così, quel “vuoto” iniziale finirebbe per essere l’opposto del “nulla”: sarebbe la realtà fisica più “piena” che si possa immaginare, il seme creato dal quale sboccia il fiore dell’universo. Rinasce perciò inevitabile la domanda: questo “vuoto” primordiale, da dove viene? E le leggi della fisica, che in esso agiscono, chi se l’è inventate? Se anche ci fossero moltitudini di universi con leggi diverse, da dove verrebbe la meta-legge così ben congegnata da generare tutto ciò?».

    Effettivamente il problema è che il “nulla” di cui parla Coyne, copiando Krauss, è un pieno di leggi fisiche di cui giustificare l’esistenza. Altro che nulla! Non a caso Krauss, ben più competente di Coyne, ha preso le distanze -in modo stizzito- dalla sua tesi dopo le critiche ricevute: «non mi interessa niente di cosa il “nulla” significa per i filosofi, mi interessa il “nulla” della realtà. E se il “nulla” della realtà è pieno di roba, beh allora me ne andrò via con questo. Ma, in tutta serietà, non ho mai detto che l’Universo è nato dal nulla…se avessi intitolato il libro soltanto come “Un universo meraviglioso”, poche persone sarebbero state attratte da esso». Uno banale spot di marketing, altro che ateismo scientifico!

     

    Il terzo e ultimo argomento usato da Jerry Coyne nella sua intervista è quello del libero arbitrio«La scienza sta cominciando a minarlo mostrando che non c’è nessuna scelta che possiamo fare, ma essa è un output del nostro cervello materialista. Siamo creature fisiche, fatta di molecole. Pertanto, i nostri pensieri e comportamenti sono i risultati dei moti molecolari». Se le cose stanno così ritorna allora l’autoconfutazione spiegata dal prof. Plantinga: la tesi di Coyne è prodotta dai suoi moti molecolari, senza che lui lo abbia deciso (non esiste il libero arbitrio)? Allora perché dargli peso? Non è certo una tesi scientifica. C’è anche un’altra contraddizione: se Coyne si sforza di sostenere la sua tesi è perché vuole convincere la nostra libertà ad aderire al suo ragionamento. Se però fosse davvero convinto del materialismo, allora dovrebbe sapere che i suoi uditori sono già pre-determinati: alcuni saranno determinati a “pensare” che lui ha ragione lui e altri che si sta sbagliando, tutto a seconda della particolare attività fisiochimica del nostro cervello. Si eviterebbe la fatica di convincere le libertà altrui. Questa contraddizione è stata definita “self-referential arguments”.

    E’ comunque falso che la scienza stia minando il libero arbitrio. Il prof. Michael Gazzaniga, da molti identificato come il neuroscienziato più famoso al mondo, ha affermato«Siamo persone, non cervelli. Ho un grandissimo rispetto per quello che i filosofi hanno detto sul libero arbitrio. Sarebbe assurdo rigettare d’un colpo tutta la riflessione svolta fino a oggi. La classica domanda “siamo liberi?” sembra sempre più mal posta, se non insensata. Tutti devono essere considerati responsabili delle proprie azioni. È a livello sociale che risiede la responsabilità, con buona pace delle neuroscienze. Allo strato mentale va aggiunto quello della cultura in cui siamo immersi. Le neuroscienze devono quindi capire i propri limiti e il livello a cui si muovono con la propria spiegazione». Oltre ai limiti delle neuroscienze, citate da Gazzaniga, non c’è nessun argomento sostenibile contro al libero arbitrio e le tesi materialiste sono state da tempo confutate. Come ha concluso il prof. Filippo Tempia, ordinario di Fisiologia presso l’Università di Torino, «allo stato attuale delle conoscenze non si può scientificamente negare il libero arbitrio nell’uomo» (“Siamo davvero liberi?”, Codice edizioni 2010, p. 108). Non vogliamo qui addentrarci in una questione molto lunga, che abbiamo già trattato altre volte: a chi volesse approfondire consigliamo gli articoli (anche questo) del prof. Eddy Nahmias, filosofo e neuroscienziato della Georgia State University, nonché il recente libro “Free: Why Science Hasn’t Disproved Free Will” (Oxford University Press 2015) del prof. Alfred R. Mele, docente di filosofia presso la Florida State University (recensito anche sul nostro sito web).

     

    Da quanto abbiamo visto, i “cavalieri dell’ateismo” non avevano tutti i torti quando hanno deciso di ritirarsi dalla scena pubblica, c’è poco da fare se questi erano gli argomenti a sostegno della loro posizione. Peccato che Jerry Coyne non intenda ancora seguire le loro orme, eppure dovrebbe farlo se è vero -come ha scritto il prof. Edward Fraser, noto filosofo del Pasadena City College-, che «Coyne non è né lontanamente ben informato, né equanime, né è in grado di fare distinzioni di base o in alcun modo di ragionare con precisione. Lui commette strafalcioni ogni volta che apre bocca, e purtroppo la apre molto spesso, molto pubblicamente, e molto forte».


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    00 03/05/2016 22:12

    Da sempre sostenitore della scienza come strumento di divulgazione dell’ateismo, il matematico Piergiorgio Odifreddi ha affermato che «per uno scienziato, essere cattolico è innaturale», ampliando comunque la categoria: «mi è difficile credere che persone intellettualmente strutturate  siano dei credenti» (intervista a C.S. Fioretti, Perché Dio non esiste, Aliberti 2010, p.10).


    Date queste convinzioni, sorprende leggere oggi su Repubblica un suo breve articolo in cui ha elogiato gli scienziati e i premi Nobel di origine irlandese, intitolato per l’appunto: «Ma quanti premi Nobel in Irlanda!».
    Ha citato il cattolico-anglicano Jonathan Swift, decano della Cattedrale di San Patrizio di Dublino, nonché autore de I viaggi di Gulliver, il premio Nobel cristiano protestante William Yeats e il cattolico Seamus Heaney. Tutti scrittori, quindi inutili ai suoi occhi scientisti. E' poi dunque passato ad elencare gli scienziati irlandesi più celebri.

    Il primo della lista è il fisico Ernest Walton, vincitore del Nobel per la prima decomposizione artificiale dell’atomo, dando un incredibile contributo fisica nucleare grazie alla sperimentazione dell’accelerazione di particelle. Sicuramente un ateo, quindi? Assolutamente no, cresciuto come cristiano metodista, Walton era molto impegnato a proclamare la fede cristiana e attivo nella sua Chiesa, intervenendo più volte sul prolifico rapporto tra fede e scienza, anche dopo la vittoria del Nobel. Addirittura, per la gioia del suo estimatore italiano, Odifreddi, ha incoraggiato il progresso scientifico come un metodo per conoscere meglio Dio: «Un modo per conoscere la mente del Creatore»ha detto«è quello di studiare la sua creazione. Dobbiamo ringraziare Dio perché possiamo studiare la sua opera d’arte, e questo dovrebbe applicarsi a tutti gli ambiti del pensiero umano. Il rifiuto di usare la nostra intelligenza con onestà è un atto di disprezzo per Colui che ci ha dato tale l’intelligenza».

    Il secondo celebre scienziato irlandese citato da Odifreddi è stato William C. Campbell, vincitore del premio Nobel per la medicina nel 2015 grazie alla scoperta di una nuova terapia contro le infezioni causate da parassiti intestinali. Anch’egli una persona “intellettualmente strutturata” e, quindi, attivista dell’ateismo, secondo i criteri dell’ex matematico italiano. Neanche per sogno, nemmeno lui. Campbell, formatosi al Trinity College di Dublino, prestigioso istituto d’istruzione a livello mondiale nato per volontà della Chiesa cattolica, nell’ottobre 2015 ha dichiarato«Io credo in Dio. Prego ogni singola notte della mia vita, anche se ho un rapporto complicato con la religione. La religione e la scienza possono coesistere, conosco diversi atei militanti e molti loro buoni argomenti, ma c’è un livello di argomentazione a cui non riescono ad arrivare. Credere in qualcosa che si sa che esiste non è una questione di fede, non richiede fede. Gabriel Rossetti, poeta inglese, era dispiaciuto per gli atei, perché non avevano nessuno a cui sentirsi grati. Questo mi ha sempre sorpreso perché abbiamo così tanto da essere grati! Io credo, e credo nella preghiera».

    «A dimostrazione del suo ingegno, l’Irlanda ha addirittura avuto per 35 anni un primo ministro o un presidente matematico, nella persona di Éamon De Valera», ha concluso Odifreddi. Lo sbadato Piergiorgio, però, non sa che De Valera era sì un matematico, ma anche un devoto cattolico che riteneva il cattolicesimo il centro dell’identità irlandese, tanto che nel 1937 fece adottare una nuova costituzione, in cui riconobbe una “posizione speciale” al cattolicesimo romano (seppur garantendo la libertà di culto) e un riconoscimento del concetto di matrimonio cattolico, nel quale vietava il divorzio civile.

    Se per Odifreddi è difficile credere che persone intellettualmente strutturate possano essere credenti, la realtà mostra ancora una volta che si sbaglia.


    [Modificato da Credente 03/05/2016 22:13]
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    Credente
    00 09/07/2016 10:59




    Su richiesta di F. V. abbiamo riproposto e approfondito alcuni punti del confronto su antidarwinismo, Intelligen Design e creazionismo del 1 marzo 2015.


     


    Inizialmente le domande erano rivolte solo a Fabrizio Fratus in quattro punti proposti da Fabio Vomiero, a seguire abbiamo messo le risposte non solo di Fratus ma anche quelle di Pennetta e Bertolini per riproporre il confronto originale e per completezza.



    1. La teoria dell’evoluzione non ha prove.

    2. La teoria prevede un concetto di “finalità”, dal meno al più evoluto.

    3. La teoria di Darwin fu imposta per ragioni politiche, per giustificare il colonialismo.

    4. Sostenere la teoria dell’evoluzione equivale a un atto di fede e quindi la teoria stessa è un’ideologia.

    5. Il creazionismo (vedi libro di Antony Flew) è sostenibile a livello scientifico.

    Si obietta:

    In realtà di prove ce ne sono parecchie, dai fenomeni di adattamento, spesso imperfetti, al dimorfismo sessuale (cervo, pavone), alla convergenza evolutiva, agli organi vestigiali, all’anatomia comparata con i casi di omologia, in cui per esempio la pinna di balena, il braccio di uomo, la zampa di cane, l’ala di uccello sono costituite dalle stesse ossa, alla biogeografia (marsupiali solo in Australia), agli interessanti stadi evolutivi nel campo dell’embriologia. Oltre naturalmente ai dati derivanti dalla paleontologia e dai recenti studi di genetica evolutiva. L’evoluzione pertanto è una teoria scientifica, ma è anche un fatto. Ricordo peraltro, per chi dubita dei fossili, che il processo di fossilizzazione è molto raro in natura (il processo normale è la decomposizione), per cui è ovvio che i fossili di cui disponiamo rappresenteranno soltanto un’infinitesima parte degli organismi effettivamente vissuti sulla Terra.

    seguono le risposte


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    Credente
    00 09/07/2016 11:01
    Risposte alle obiezioni del post precedente:

    Risposta Pennetta: 

    l’evoluzione degli attuali viventi da antenati comuni è l’ipotesi più ragionevole che possiamo fare, quella che non è invece soddisfacente è la spiegazione neo-darwiniana di come ciò sia avvenuto. Quindi riassumendo, evoluzione sì, nei-darwinismo no.

    Risposta Fratus:

    Lo studio della biogeografia cerca di ricostruire la storia delle specie e del popolamento del territorio in cui vivono; la disciplina fornisce molti esempi di “evoluzione” ma in realtà, poi, verificando, si tratta sempre e solamente di “microevoluzione” (esempio dei vermi: planaria alpina, planaria gonocephala e Polycelis cornuta – Junker e scherer, op. cit. 2007, p. 213). Per la logica evoluzionista sono esempi di evoluzione, in realtà non è così in quanto è solamente una variazione interna alla specie limitata da regole ben precise interne al codice genetico. Nulla dimostra evoluzione da una specie a un’altra se non un’interpretazione dettata da una specifica visione di idee. L’esperimento Lenski è una dimostrazione di quanto non esista niente al di fuori dell’informazione del codice genetico. Il susseguirsi di diverse specie nelle diverse epoche geologiche è una interpretazione dettata dalla visione dominante del momento, le stesse epoche geologiche sono una “convenzione” e non una fatto scientifico e Stenone potrebbe ancora dirci molto. Per gli organi vestigi ali va detto che nessuno scienziato serio li cita in quanto hanno funzioni ben specifiche. Dai miei studi non risulta nessun aumento di complessità da una specie a un’altra in relazione al tempo; ciò comporta che il concetto di evoluzione delle specie è furviante.

    Risposta Bertolini:

    Organi vestigiali: L’idea di organi vestigiali ormai è un’argomento datato. Non esistono gli organi vestigiali come le più di 100 organi dell’uomo che ora sappiamo hanno TUTTI una funzione. Nel 1999 è stato scoperto una funzione anche per l’ultimo organo considerato vestigiale nell’uomo.

    Omologia: Molti esempi di omologia sono meglio spiegate dal punto di vista di un progetto intelligente. Inoltre, crescenti conoscenze delle fondamenti genetiche e molecolari della vita rivelano molti importanti eccezioni e contraddizioni alla teoria. Come risultato l’omologia, come prova dell’evoluzione, si può considerare confutata. Gli evoluzionisti hanno cercato di spiegare i molti esempi che sono eccezioni, definendo quelli che sono simili per discendenza da un antenato comune, omologia, mentre quelli che sono simili solo per funzione, sono chiamate analoghe. Gli arti anteriori dell’uomo, delle balene, degli uccelli e dei cavalli sarebbero omologhe, mentre le ali degli uccelli e degli insetti sarebbero analoghe. Però la struttura dello scheletro dell’ala di un uccello sarebbe omologa a quella di un pipistrello, per discendenza da un antenato rettilio comune, ma sarebbero contemporaneamente analoghe per la modifica di funzione per il volo (piume per gli uccelli e membrana della pelle per il pipistrello). Così quando una similitudine di disegno sostiene l’evoluzione diventa un’omologia e viene accettata come una prova dell’evoluzione, mentre quando non sostiene l’evoluzione le stesse similitudini diventano analoghe e cosi può ora sostenere l’evoluzione. L’esistenza di strutture analoghe viene spiegato con un’evoluzione convergente attraverso un’evoluzione indipendente di strutture simili grazie a pressione ambientali simili. Tuttavia, ancora una volta ci sono delle serie obiezioni alla proposta evoluzionista. L’embriologia ha dimostrato un importante problema per organi o strutture identiche o molto simili in differenti animali che non si sono sviluppate dalla stessa struttura o gruppo di cellule embrionali? Non è insolito trovare strutture fondamentali come il tratto digestivo (tubo digerente) che si forma da tessuti embrionici differenti in diversi animali. Per esempio negli squali questo si forma dal tetto della cavità digestiva embrionica. Nelle rane si forma dal tetto ed il fondo, invece in uccelli e rettili dalla parte inferiore del disco embrionico o il blastoderma. Anche il classico esempio del arte anteriore vertebrato (a cui si riferisce Darwin e che viene citato in centinaia di libri di testo come prova dell’evoluzione) ora si è dimostrato errato come esempio di omologia. Questo perché lo sviluppo degli arti anteriori in parti del corpo differenti in specie differenti, ma con struttura simile, non può essere spiegata dall’evoluzione. Gli arti anteriori di un tritone si sviluppano dai segmenti del torso da 2 a 5, in una lucertola da 6 a 9, e nell’uomo i segmenti si sviluppano da 13 a 18 (de Beer, S.G., Homology, An Unsolved Problem, Oxford University Press, London, p. 13, 1971). Il Dr. Michael Denton ha concluso che questa prova dimostra che gli arti anteriori non si sono sviluppati omologamente. Nuovamente la spiegazione più logica e coerente è quella di un progettista che nel suo disegno ha usato la stessa soluzione per diverse specie che devono tutte vivere nello stesso ambiente. La ruota della biciclette, della moto e della macchina condividono lo stesso ottimo disegno che è considerato il più efficace. Perché reinventare la ruota?

    Biogeografia (marsupiali solo in Australia): Marsupiali vivono anche in Sud America (Allaby, M., Dromiciopsia; in: A Dictionary of Zoology, Oxford University Press, Oxford, 1999; encyclopedia.com.) e sembrerebbe che fossili di marsupiali sono stati trovati su ogni continente. I fossili di marsupiali del Tardo Cretaceo (supposto 85 – 65 milioni di anni fa) si trovano esclusivamente in Eurasia e Nord America.

    Stadi evolutivi nel campo dell’embriologia: Questo sarebbe forse un riferimento agli Embrioni di Haeckel. Da decenni “La teoria della ricapitolazione è defunta”, Stephen J. Gould, Natural History, 89:144, Aprile 1980. “Questo è uno dei peggiori casi di frode scientifica”, M. Richardson, The Times (London), p. 14, 11 Agosto 1997.

    L’evoluzione pertanto è una teoria scientifica, ma è anche un fatto: E’ un fatto per chi sceglie di credere nell’evoluzione come ideologia. Per chi invece arriva a conclusioni fondati sulla vera scienza e dati empirici deve concludere che l’evoluzione è solo in ipotesi, perché non rispetti nemmeno i criteri di una teoria scientifica: osservabile, testabile, ripetibile.

    I fossili di cui disponiamo rappresenteranno soltanto un’infinitesima parte degli organismi effettivamente vissuti: Secondo Darwin: “…171Perché, se le specie sono discendenti da altre specie attraverso graduazioni impercettibilmente sottili, non vediamo ovunque innumerevoli forme di transizione?… Invece quello che vediamo sono delle specie ben distinte… 280Allora, perché ogni formazione geologica non è piena di anelli intermedi? La geologia sicuramente non rivela nessuna di tali catene organiche finemente graduate; questa, forse, è la più ovvia e grave obiezione che si possa sollevare contro la mia teoria.” “Sulle origini delle specie”, 1859, London:  John Murray, 1° edizione, pp. 171, 280. Dott. Colin Patterson, Senior Paleontologo, Museo Britanico di Storia Naturale: “Concordo pienamente con i Suoi commenti riguardo la mancanza di illustrazioni chiare di forme di transizione nel mio libro. Se fossi stato a conoscenza di una qualsiasi forma, fossile o vivente, li avrei sicuramente inclusi… Lo dico apertamente – non esiste alcun fossile per il quale uno possa difendere la posizione in maniera inattaccabile.” L.Sunderland, Darwin’s Enigma, Master Books, Arkansas, USA, pp. 101–102, 1998

    Nel fenomeno dell’evoluzione non c’è nessuna finalità o intenzionalità, non c’è un progresso verso la perfezione. C’è semplicemente una variabilità genetica naturale “casuale” e su questa variabilità interviene la selezione naturale “favorendo”, localmente, un vantaggioso successo riproduttivo degli individui che portano le traduzioni fenotipiche di mutazioni geniche favorevoli, più adatte all’ambiente. E’ generalmente un processo lento e progressivo (piccoli cambiamenti), anche se non sempre e non necessariamente.

    Risposta Pennetta:

    Jacques Monod ricorda nel suo “Il caso e la necessità” che nella scienza sperimentale vige il postulato di oggettività che afferma: “…il rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire ad una conoscenza vera mediante qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di progetto”. Si tratta di “rifiuto” di ipotizzare cause finali, mai di dimostrazione, quindi il finalismo potrebbe anche esserci ma la scienza semplicemente non se ne occupa. Affermare una mancanza di finalità nell’evoluzione è antiscientifico in quanto si compie l’errore di attribuire alla scienza la capacità di esprimersi sull’esistenza o meno di un finalismo.

    Risposta Fratus:

    Quanto posto nella domanda a mio avviso va in contrasto con la logica dei sostenitori di C. Darwin, proprio il concetto di “evoluzione” implica una finalità e cioè un miglioramento che nella logica neodarwinista è una maggiore complessità delle specie derivate da quelle precedenti. Nel testo “l’uccelosauro” vengono riportati esempi specifici di specie e della loro varietà nel contesto territoriale in cui vivono, demoliscono il concetto di evoluzione. Le specie hanno specifiche caratteristiche per il territorio in cui vivono e non è possibile una loro “evoluzione” da altre specie tramite selezione naturale. E’ dimostrato che in tutte le specie sono già presenti le informazioni genetiche per vivere in determinati territori, nel caso in cui la specie si trovasse in ambienti diversi si estinguerebbero.

     Risposta Bertolini:

    Perché molti evoluzionisti come Richard Dawkins sostengono che l’evoluzione ha solo l’apparenza del disegno: “la biologia è lo studio di cose complicate che hanno l’apparenza di essere state progettate per uno scopo.”Dawkins, R., The Blind Watchmaker, W.W. Norton & Company, New York, p. 1, 1986. L’evoluzionista non crede per niente nella totale casualità.

    Questo non è argomento scientifico, per cui ognuno può argomentare secondo il proprio background.

    Risposta Pennetta:

    Questo è un argomento storico e come tale va studiato, negare la possibilità di farlo significa negare che la Storia possa essere una disciplina con pari dignità di altre. Certamente i suoi metodi sono specifici, ma a pensarci bene anche l’evoluzione è una disciplina storica e ciascuno potrebbe interpretarla secondo il proprio background. La nascita del darwinismo sociale di H. Spencer prima del darwinismo scientifico è una prova più che certa del fatto che la teoria fu molto supportata per motivi politici.

    Risposta Fratus

    Quanto da me affermato è un fatto storico facilmente dimostrabile e fino a prova contraria la storia è una scienza sociale che applica metodologie specifiche per l’indagine e il suo studio.

    Risposta Bertolini:

    Non sono d’accordo che la teoria dell’evoluzione esiste solo per motivi politici. La situazione è molto più complessa.

    Abbiamo visto come l’evoluzione invece sia un fatto scientifico per cui risulta strano sentire dire “io credo” alla teoria dell’evoluzione, sarebbe come dire che in fisica uno dica “io credo” alla relatività, in genere non si “crede” alle teorie scientifiche, semmai si cerca di lavorare per confermarle e approfondirle oppure confutarle, quindi la scienza vera, se fatta bene, non è mai una fede e nemmeno un’ideologia.

    Risposta Pennetta:

    La teoria dell’evoluzione non è paragonabile alla teoria della relatività o simili in quanto si tratta di qualcosa che è avvenuto storicamente, come detto sopra è la spiegazione più ragionevole delle documentazioni fossili e di altre caratteristiche dei viventi. In poche parole è ragionevole ma bisogna pur crederci.

    Ben diverso è il discorso per quanto riguarda la teoria darwiniana che basandosi sull’origine casuale dei nuovi caratteri (non dimostrabile per lo stesso postulato di oggettività) e scontrandosi contro un’altissima improbabilità statistica richiede, per essere accettata, proprio un atto di fede e quindi è assimilabile ad una religione atea che possiamo chiamare ideologia.

    Risposta Fratus:

    Come specificato sopra non esiste fatto scientifico tanto che come teoria non è falsificabile, diviene quindi automatico comprendere l’assunto per cui il neodarwinismo è un atto di fede da parte di coloro che credono la scienza come strumento per comprendere “ il tutto”. La verità è che la scienza è uno strumento con cui possiamo comprendere alcuni fatti, osservarli e studiarli ma su molti argomenti non può dare risposte e nel caso delle nostre origini come delle ragioni per cui viviamo ed esistiamo non ha spiegazioni. Credere in un qualcosa autogeneratosi (la vita) e autosviluppatosi (evoluzione della specie dal meno complesso al più complesso) senza avere prove riproducibili in laboratorio o osservabili in natura cosa sarebbe se non un atto di fede?

    Risposta Bertolini:

    Quando la scienza ha dimostrato l’impossibilità della abiogenesis (Pasteur, Hoyle, ecc) e una continua ad insistere che la vita è nata tramite la abiogenesi, allora non se lo può chiamare scienza, ma una fede cieca, cioè una religione: “L‘evoluzione viene promosso dai sui praticanti come una cosa che va oltre la mera scienza. L’evoluzione viene promulgata come un’ideologia, una religione secolare, un’alternative completa alla cristianità, con significato e moralità. Sono un convinto evoluzionisti e ex-cristiano, ma devo ammettere l’evoluzione è una religione. Questo era vero all’inizio e lo è ancora vero oggi.” Michael Ruse 

    Io ho letto il libro, molto interessante peraltro, ma il problema del creazionismo è principalmente questo: non ci fa fare molti passi avanti. Nel libro, inoltre, l’argomento a mio avviso è trattato in modo naturalmente più filosofico che scientifico e i timidi tentativi di riferirsi a qualche approccio di tipo scientifico appaiono sostanzialmente insoddisfacenti. E poi, perché se ci sono cose che la scienza non riesce a spiegare (come ad esempio l’origine della vita), allora automaticamente quelle stesse cose debbono essere spiegate soltanto da un intervento Intelligente? Ricordiamoci che c’è sempre anche una terza via che è quella dell’ignoranza. La scienza molto spesso purtroppo è consapevolmente e dichiaratamente ignorante, nonostante le utopistiche aspettative della gente.

    Risposta Pennetta:

    Accolgo pienamente la terza via, quella dell’ignoranza: ancora non sappiamo come la vita sia comparsa e si sia evoluta.

    Risposta Fratus:

    Nel testo di M. Georgiev “Charles Darwin oltre le colonne d’Ercole” vi è un capitolo specifico dal titolo: il creazionismo sostenibile: i limiti della ragione.

    Come anche sopra se la domanda d’origine della questione è errata la risposta dovrà stabilire questioni differenti. Antony Flew non era creazionista e non ha scritto un libro sul creazionismo. Il testo del più famoso ateo del ‘900 convertitosi al teismo nel 2004 è un libro in cui spiega perché la ragione prima e la scienza poi lo conducono a concepire l’esistenza di Dio. Nulla ha a che fare con il creazionismo. I creazionisti sono scienziati (sempre in aumento) che credono nella Bibbia e in Genesi. Tra di loro possiamo trovare genetisti come J. Sanford o biologi come W. Weitz, e J. Wells, Biochimici come J. Sarfati o fisici A Roth e via discorrendo.

    Risposta Bertolini:

    Non dimentichiamo i grandi scienziati creazionisti come Pascal, Newton, Linnaeus, Faraday, Joule, Mendel, Pasteur, ecc.

    Quindi, in conclusione, si può dire che la teoria sintetica dell’evoluzione, che è la moderna e ovvia rivisitazione della teoria di Darwin, non è una teoria molto dettagliata, ma è invece una descrizione a grandi linee, uno scenario, uno strumento in cui noi inquadriamo tutta una serie di dati biologici. Non è né perfetta, né completamente soddisfacente, quindi è normale che ci sia un dibattito in corso, però nei suoi tratti fondamentali è una teoria che ancora funziona e Darwin oggi ne sarebbe certamente orgoglioso.

    Conclusioni Pennetta:

    La teoria neo-darwiniana è molto dettagliata nello spiegare fenomeni microevolutivi ma è del tutto incapace di spiegare la macroevoluzione. Si tratta di una teoria che, contrariamente a quanto creduto, è di nessuna utilità nella medicina e nello sviluppo di altre discipline. Non fornisce un quadro dei fenomeni biologici ma solo una narrazione degli stessi, una sorta di mitologia adatta ai nostri tempi. Sul fatto che Darwin sarebbe orgoglioso non possiamo esprimerci.

    Conclusioni Fratus:

    La teoria neo sintetica dell’evoluzione è un problema della scienza, non contribuisce a nulla se non a speculazioni ideologiche sulla nostra esistenza. Lo stesso già citato Georgiev fa notare come la vita dell’uomo non ha avuto nessun tipo di vantaggio dall’interpretazione darwiniana e ancora più specificatamente il medico Giovanni lo Presti, al suo 5° libro sull’argomento, ha dimostrato come nella medicina, usando le logiche darwiniste, si contribuirebbe a fare morire le persone. Nessuno può sostenere che lo studio della biologia evoluzionista ha contribuito a vantaggi in qualche campo della vita.

    Conclusioni Bertolini:

    Per ampliare la risposta di Fratus: “In realtà, negli ultimi 100 anni, quasi tutta la biologia si è avanzata indipendentemente dall’evoluzione, eccetto la biologia evolutiva stessa. La biologia molecolare, la biochimica, la fisiologia non hanno a fatti considerato l’evoluzione.”, Dr Marc Kirschner, presidente fondatore del Reparto dei Sistemi Biologici, Harvard Medical School, The Boston Globe, 23 Ottobre 2005. “…la maggior parte [dei biologi]conduce il suo lavoro tranquillamente senza fare particolare riferimento alle idee evolutive. L’evoluzione sembrerebbe l’indispensabile idea unificante, e nello stesso tempo un’idea perfettamente inutile.”, A. Wilkins, Introduzione (edizione sui processi evolutivi), BioEssays vol. 22 no.12, p. 1051, Dicembre 2000.


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    00 20/01/2017 23:53
    Proteo, un'altra cantonata del darwinismo 
    di Marco Respinti
    Proteo

    Le Grotte di Postumia sono un meraviglioso complesso di caverne a stalattiti e stalagmiti che il fiume Pivka scava per circa 21 chilometri (quelli scoperti sino a oggi da che si cominciò nel 1818) nel sottosuolo dell’omonima cittadina della Slovenia. Fra i tanti spettacoli che offrono al visitatore uno è davvero singolare: il Proteus anguinus, un anfibio caudato classificato nel 1768 dal biologo austriaco di origine italiana Josephus Nicolaus Laurenti (1735-1805). Può raggiungere i 25-30 centimetri di lunghezza, è raro e quindi è iperprotetto. Vive solo nelle acque del sistema carsico delle Alpi Dinariche che costeggia l’Adriatico Orientale dal bacino dell’Isonzo goriziano-triestino alla Slovenia meridionale proseguendo attraverso la catena costiera dell’Istria e della Dalmazia croate fino alle montagne marittime della Bosnia occidentale (di recente è stato registrato anche nella parte occidentale del Montenegro). In America Settentrionale ha dei cugini, le sette specie in cui si suddivide il genere Necturus che appunto con il genere Proteus forma la famiglia dei Proteidae, originaria del periodo Miocene (tra circa 23 milioni e poco più di 5 milioni di anni fa).

    Stante la scarsità di cibo (vive d’insetti e di piccolissimi crostacei), può campare senza nutrirsi per periodi enormi: perfino una decina di anni. Non ha occhi, inservibili al buio, sostituiti da organi lievemente fotosensibili coperti da uno spesso strato di pelle. E la sua epidermide senza pigmentazione è trasparente (si scorgono gli organi interni), rosacea solo per riflesso quando lo s’illumina (in Slovenia lo hanno soprannominato “pesce uomo”). E questo perché? Perché il proteo sarebbe la dimostrazione più palese dell’evoluzionismo, l’esito per mutazione genetica del lungo processo con cui un essere in origine diverso dall’animaletto attuale (cioè vedente e pigmentato) avrebbe violentato la propria biologia per sopravvivere in un habitat scomodo. L’ambiente avrebbe cioè costretto il suo genoma a produrre caratteri del tutto nuovi che poi, una volta selezionati solo quelli utili, sarebbero divenuti ereditari evolvendolo. Mai esposto alla luce, il proteo avrebbe progressivamente perso gli occhi e mutato la pelle non più bisognosa di protezione, anzi strategicamente più utile al mimetismo se incolore. Ma c’è più di un intoppo.

    Il primo è che l’intero assunto è solo un enunciato ipotetico. Nessuno sa documentare biologicamente come la pressione ambientale possa indurre novità inedite nel DNA. L’abate Gregor Mendel (1822-1884) ha descritto la regola con cui nelle specie si trasmettono i caratteri ereditari dominanti e recessivi già presenti nel corredo genetico, mostrando che la ricombinazione di quello che nel 1953 si sarebbe scoperto essere il DNA non avviene casualmente mediante trasformazione dell’informazione genetica in qualcosa che prima non c’era, bensì attraverso un’alternanza matematica di caratteri già tutti e sempre presenti nel corredo genetico di partenza (che tra l’altro spiega perché i figli sono sempre diversi dai genitori). La pietra tombale sulla questione l’ha posta il biologo e botanico tedesco Friedrich Leopold August Weismann (1834-1914), peraltro evoluzionista, che confutò definitivamente la pretesa ereditarietà di caratteri acquisiti inesistenti nel genoma quando, nel 1883, tagliò le code ad alcune coppie di topi, le incrociò e constatò che la prole nasceva con code regolari e che lo stesso facevano i loro discendenti per diverse generazioni. Così facendo accertò che i responsabili della trasmissione dei caratteri ereditari sono le cellule germinali, ovvero i gameti, le cellule sessuali, e non quelle somatiche. È la cosiddetta “barriera di Weismann”, che impedisce alle variazioni indotte dall’ambiente di andare oltre il singolo vivente che le subisce: le informazioni ereditarie si muovono cioè solo dai geni che le posseggono alle cellule somatiche, mai in senso contrario. Diverso è invece il caso del polimorfismo, quando uno stesso genotipo può dare vita a fenotipi diversi: qui appunto la potenzialità mendeliana di un carattere latente è già tutto insita nel DNA della specie e dell’individuo. Celebre è l’esempio delle falene punteggiate delle betulle.

    Il secondo intoppo è che si fa presto a parlare di mutazioni genetiche, ma esse sono sempre e solo patologiche (sempre degenerazioni d’informazioni genetiche esistenti, mai comparsa di nuove ancorché morbose). Non possono cioè affatto essere il motore dell’evoluzione, come ha documentato il celebre studio L’évolution du vivant: matériaux pour une nouvelle théorie transformiste (Albin Michel, Parigi 1973) di Pierre Paul Grassé (1895-1985), zoologo francese neo-lamarckiano per ciò stesso attentissimo alle variazioni dei viventi e all’impatto ambientale.

    Il terzo è però quello più critico. Perché del Proteus anguinus esiste un parente diverso, scoperto nel 1986 nella regione slovena della Carniola Bianca (Bela krajina): un parente dotato di occhi sviluppati e di epidermide pigmentata di nero che per questo nel 1994 i biologi Boris Sket, sloveno, e Jan Willem “Pim” Arntzen, neerlandese, hanno identificato come la sottospecie Proteus anguinus parkelj riclassificando l’altra come la sottospecie Proteus anguinus anguinus. Ora, Sket e Arntzen affermano che il Parkelj vedente e nero presenta differenze genetiche con l’Anguinus cieco e trasparente di Postumia, ma non con l’Anguinus cieco e trasparente delle da lui poco distanti grotte di Sti?na. In questo modo però il proteo di Sti?na dovrebbe essere contemporaneamente sia diverso sia uguale a quello di Postumia: i due biologi non ne fanno infatti né una sottospecie né tantomeno una specie a sé, e per tutti i tassonomi l’Anguinus è e resta l’unica specie del genere Proteus nonché l’unica europea della famiglia Proteidae. Persino piccole differenze genetiche non determinano cioè esemplari in essenza diversi e talora nemmeno varianti. Non a caso qualche studioso sostiene che il proteo vedente e nero sia solo una varietà (esempio di polimorfismo) di quello (unico) cieco e trasparente. Sket e Arntzen comunque non ci stanno e aggiungono che il Parkelj è classificato ora come sottospecie solo per prudenza, in verità forse meritando addirittura lo status di specie nuova.

    Sia come sia, tutti i protei delle Alpi Dinariche vivono perennemente al buio e si cibano quando capita. Eppure quello nero e vedente non si è evoluto in quello cieco e trasparente. Se la selezione naturale non ha penalizzato il primo, la presunta evoluzione del secondo è l’adattamento migliorativo di quale animale? Protei in sé simili ma con apparati visivi tanto diversi che convivono nel medesimo ambiente; ennesimi “fossili viventi” identici oggi a com’erano in origine e a come sono stati per milioni di anni; la genetica che dice una cosa e assieme il suo contrario; nessuna trasformazione della specie per selezione: insomma, un’altra cantonata del neodarwinismo.


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    00 02/02/2017 13:41

    «basta con il determinismo biologico»

    L’uomo è irriducibile

    UomoSuperati gli anni bui del riduzionismo biologico, oggi anche il sapere scientifico riprende a sottolineare la centralità e l’unicità dell’essere umano. E’ di oggi, ad esempio, l’intervista a Enrico Alleva, prestigioso etologo italiano, dal 2008 al 2012 presidente della Società Italiana di Etologia e direttore del Reparto di Neuroscienze comportamentali all’Istituto Superiore di Sanità di Roma.

    «Da etologo», ha spiegato, «rifiuto la parola istinto in generale, e in particolare se riferita all’uomo». Già dal terzo mese, infatti, il feto umano ha una sua cultura individuale: conosce la madre, le sue sensazioni, riconosce le persone intorno a lei e «si prepara a riconoscere il padre». Inoltre, «è programmato per cambiare il suo cervello in funzione di quello che gli accade»«E’ proprio dal confronto tra comportamenti automatici e comportamenti appresi l’unicità della specie “homo sapiens”», ha proseguito il prof. Alleva.

    Un’unicità evidente combattuta da attivisti mossi da scopi ideologici, secondo i quali l’uomo non è una Creatura, ma semplicemente un “nient’altro che”, un frutto casuale dell’evoluzione, la sua morale non esiste, la sua coscienza è un banale epifenomeno del cervello. L’uomo, ci viene ricordato dai riduzionisti, è il suo DNA, il quale è condiviso per il 98% con i primati (e per il 50% con la banana). Eppure, ha commentato il prof. Alleva, «nel comportamento delle scimmie qualche primatologo, forse esagerando, ha cercato le basi per la moralità umana. Ma l’interazione più interessante per la specie umana resta quella con il cane, una specie selezionata dall’uomo a propria compagnia esclusiva».

    Qualche giorno fa si è espresso negli stessi termini anche il prof. Vittorio Gallese, noto a livello internazionale per il suo contributo alla scoperta dei “neuroni specchio”, docente di Neurofisiologia all’Università di Parma. «Le neuroscienze cognitive non possono ridursi ad una traduzione neurodeterministica della natura umana, ma devono mettere al centro della propria ricerca la pienezza dell’esistenza umana e l’esperienza che ognuno di noi ne trae»ha affermato«Dovremmo lasciarci alle spalle sia il meccanico determinismo genetico sia l’apparente netta distinzione tra natura e cultura».

    Non sarà sfuggita l’importanza di queste dichiarazioni anche in campo bioetico. Mentre il prof. Alleva valorizzava la personalità del feto umano e la sua “ricerca del padre”, il prof. Gallese aggiunge«Lo sviluppo dell’intersoggettività comincia già prima della nascita, all’interno del grembo materno. Dalle prime ore di vita il neonato svolge un ruolo attivo nel sollecitare e intrattenere un rapporto con la madre». I temi dell’aborto, delle adozioni gay e dell’utero in affitto andrebbero ripensati alla luce di queste conoscenze. Ma emerge anche il tema del gender, ovvero la trascuratezza del “dato biologico” per favorire il “dato psicologico” (si può diventare uomini anche se nati in un corpo di donna, ad esempio…). Attenzione, perché «cervello e corpo formano un sistema inscindibile: non si capisce il cervello se lo si separa dal corpo».


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    00 09/09/2017 17:19

    Antonino Zichichi a Umberto Veronesi:
    “Dio esiste e la prova è l’universo”

    Antonino Zichichi a Umberto Veronesi: “Dio esiste e la prova è l’universo”
     
     

    “Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste”. Umberto Veronesi, luminare dell’oncologia, lo scrive nel suo libro “Il mestiere di uomo”. Allo scienziato e fondatore dello Ieo oggi risponde dalle pagine del Il Giornale un altro scienziato Antonino Zichichi, fisico e presidente del World federation of scientists.

    L’oncologo del dolore dice che “diventa molto difficile identificarlo come una manifestazione del volere di Dio. Ho pensato spesso che il chirurgo, e soprattutto il chirurgo oncologo, abbia in effetti un rapporto speciale con il male. Il bisturi che affonda nel corpo di un uomo o di una donna lo ritiene lontano dalla metafisica del dolore. In sala operatoria, quando il paziente si addormenta, è a te che affida la sua vita. L’ultimo sguardo di paura o di fiducia è per te. E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia”.

    A questo Zichichi risponde che “la scienza non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla…. Ci sei solo tu in quei momenti, solo con la tua capacità, la tua concentrazione, la tua lucidità, la tua esperienza, i tuoi studi, il tuo amore (o anche la tua carità come la chiamava don Giovanni) per la persona malata. Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del “non so”.

    L’oncologo Veronesi: “Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste”

    Secondo il fisico invece “la speranza all’uomo del terzo millennio, solo la scienza e la fede possono darla. Questa speranza ha due colonne. Nella sfera trascendentale della nostra esistenza la colonna portante è la fede. Nella sfera immanentistica della nostra esistenza la colonna portante è la scienza. Noi siamo l’unica forma di materia vivente dotata della straordinaria proprietà detta ragione. La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall’universo sub-nucleare all’universo fatto con stelle e galassie. Se c’è una logica deve esserci un Autore”.

    Il fisico Zichichi: “La scienza non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio”

     

    Secondo Zichichi “la follia politica ha causato milioni di vittime innocenti. Auschwitz e cancro sono due esempi di tragiche realtà. Una dovuta alla follia politica del nazismo, l’altra alla natura. Perché Dio non interviene per evitare il ripetersi di tante tragiche realtà? Se la nostra esistenza si esaurisse nell’immanente, il discorso sarebbe chiuso qui. Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell’evoluzione biologica. C’è però un’altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l’evoluzione culturale. L’evoluzione biologica della specie umana non avrebbe mai portato l’uomo a scoprire se esiste o no il supermondo, come facciamo al Cern. Né a viaggiare con velocità supersoniche. Né a vincere su tante forme di malattia che affliggevano i nostri antenati. La nostra vita media ha superato gli 80 anni e le previsioni vanno oltre i cento anni, grazie alla scoperta che il mondo in cui viviamo è retto da leggi universali e immutabili. Nel “libro della natura”, aperto poco meno di quattro secoli fa da Galileo Galilei, mai una virgola è stata trovata fuori posto”.

    Per me Veronesi invece è proprio l’opposto: “La scelta di fare il medico è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare. Da principio volevo fare lo psichiatra per capire in quale punto della mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora più inspiegabile della guerra, il cancro”.
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    Tuttavia Veronesi non tiene conto delle conseguenze disastrose del peccato originale e di tutti i peccati successivi contro la natura che hanno causato i danni che riscontriamo in ogni ambito. E non tiene conto che DIo  ha già mandato il suo FIglio a rimediare a tutto il male attuale per portarlo verso la redenzione, anche attraverso tali momentanei problemi.


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    00 11/12/2019 16:55

    Daniel Dennett, lo stesso solito irrazionale


    materialismo antimetafisico




    Il filosofo Peter Geach una volta scrisse che dovremmo trattare le affermazioni materialiste di aver spiegato la mente nel modo in cui tratteremmo un’affermazione di aver quadrato il cerchio: l’unica domanda meritevole sarebbe: “Quanto è stato nascosto l’errore?”. Nel caso di Daniel Dennett, non  molto bene.


    Il soggetto in questione è famoso filosofo e scienziato cognitivo, docente alla Tufts University e uno dei pochi residui della banda dei nuovi-atei, il gruppo di accademici che fino a pochi anni fa ha tentato di spacciare la fede religiosa come patologia mentale, sacralizzando (e violentando) senza limite la “scienza”.


    Nel suo ultimo libro, From Bacteria to Bach and Back (W. W. Norton & Company 2017), ripropone le stesse identiche tesi di cinquant’anni fa, dimostrando una tenacia e una coerenza incredibile. Il suo è il solito abbraccio letale al più bieco e anacronistico materialismo, per il quale non può esserci alcun aspetto della natura non riducibile a forze fisiche cieche. «Per lui», ha commentato il filosofo David Bentley Hart, «il quadro meccanicistico è assoluto, convertibile con la verità in quanto tale, e qualsiasi cosa sembri sfuggire alla sua logica non può mai essere più che una mostruosità dell’immaginazione».


    «Il cuore del progetto di Dennett», ha continuato il filosofo, «è l’idea di “competenze incomprensibili” modellate dalla selezione naturale nell’intricato meccanismo dell’esistenza mentale. Come modello della mente, tuttavia, la più grande difficoltà che questo comporta è produrre un catalogo credibile di competenze che non dipendono per la loro esistenza dalle funzioni mentali che presumibilmente compongono». Anche per questo, «Dennett fallisce in modo spettacolare».


    Con Dennett si rimane al modello computazionale che vuole un’analogia tra cervello e computer, dove la mente è semplicemente una sorta di “interfaccia” tra il computer e il suo “utente”. E’ una ingenuità, il cervello non vive solo di funzioni, di ragionamenti e di processi logici, come avviene per un computer convenzionale, ma le sue operazioni contemplano anche innumerevoli approssimazioni, un’infinità di valutazioni arrischiate, e si alimenta di un gran numero di convinzioni scarsamente controllabili. «I computer sono prodotti di progettisti umani, quindi non ha senso cercare di spiegare la mente in termini di computer poiché l’esistenza di un computer stesso presuppone l’esistenza di una mente che progetta», ha commentato il filosofo Edward Feser, docente al Pasadena City College.


    L’immagine scientifica è l’unica che corrisponda alla realtà per il cognitivista, l‘immagine manifesta (cioè come la realtà appare direttamente ai nostri sensi), al contrario, sarebbe una raccolta di illusioni utili, modellate dall’evoluzione per farci interagire con i nostri ambienti. Eppure, basterebbe chiedergli: perché presumere che l’immagine scientifica sia vera mentre l’immagine manifesta un’illusione quando, dopo tutto, l’immagine scientifica è una supposizione della ragione dipendente dalle decisioni sui metodi di inchiesta, mentre l’immagine manifesta – il mondo come esiste nella mente cosciente – si presenta direttamente a noi come una realtà indubitabile, ineluttabile ed eminentemente coerente in ogni singolo momento della nostra vita?

    Anche la coscienza, ovviamente, sarebbe solo solo un’altra “illusione dell’utente”: solito ritornello, quel che non si può materialisticamente spiegare, non esiste, è pura illusione. Ma Dennett non riesce a tenere a bada le contraddizioni che crea: la scienza naturale -in nome della quale espone le sue varie teorie-, si basa in definitiva sull’evidenza empirica fornita dall’esperienza cosciente: però, se l’esperienza cosciente fosse davvero una “illusione dell’utente”, ne conseguirebbe che le basi della scienza empirica sono illusorie. Ciò priverebbe il cognitivista del suo dispositivo retorico preferito.


    Il tentativo di ridurre i fenomeni dell’esistenza mentale a una storia puramente fisica è stato provato molte volte e finora ha sempre fallito. Non si spiega perciò la fatica di Dennett nel perseverare in questa sterile strada se non per il fatto che l’accantonamento del neodarwinismo meccanicista potrebbe lontanamente portare ad una disattenta vigilanza contro ogni intrusione da parte di “cause superiori”. Ogni volta che Dennett trova alcuni aspetti della mente che il materialismo non può spiegare -come l’idea di uno scopo, il sé, il libero arbitrio, il significato, l’esperienza soggettiva cosciente- conclude, non che il materialismo è falso ma che, dopotutto, l’aspetto in questione non può che essere una irreale illusione. «Per lui ciò che è reale», ha scritto il filosofo Feser, «è solo ciò che il materialismo può spiegare. Il materialismo è vero perché può spiegare tutto ciò che c’è da spiegare sulla mente; e ciò che non può spiegare non deve essere reale, perché il materialismo è vero. Bene, il suo ultimo libro è la dimostrazione che Dennett può rimanere su questa giostra per centinaia di pagine senza avvertire le vertigini».


    Dennett replica ai suoi critici accusandoli di essere dominati da “paura”, “illusioni” e “amore al mistero”. Afferma che essi trovano semplicemente le sue opinioni come “inquietanti“. «Effettivamente ha ragione», ha commentato ancora il filosofo statunitense. «Una raffica costante di falsi artifici, di non sequitur, di straw man argument, di attacchi ad hominem e di altri fallacie manifeste può davvero essere inquietante, specialmente se provengono da un filosofo professionista».


    fonte UCCR



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    00 15/08/2021 22:24




    Articolo originale http://creation.com/recurrent-laryngeal-nerve


    Di recente numerosi atei stanno usando il nervo laringeo ricorrente dei mammiferi come un argomento contro il disegno. Perciò non è sorprendente che molti lettori abbiano chiesto una risposta. Considerando che “l’apostolo dell’ateismo”, Richard Dawkins, è uno dei più forti sostenitori di questo argomento, il nostro libro The Greatest Hoax on Earth? Refuting Dawkins on evolution (L’inganno più grande della Terra? Confutando Dawkins sull’evoluzione) già contiene una risposta che riproduciamo per questo articolo.


    Dawkins si lamenta del nervo laringeo ricorrente:


    “È un ramo di uno dei nervi cranici, quei nervi che arrivano direttamente dal cervello piuttosto che dal midollo spinale. Uno dei nervi cranici, il vago, (il nome appropriatamente significa ‘vagante’), ha vari rami, due dei quali vanno al cuore, e due ad ambedue i lati della laringe (origine della voce nei mammiferi). In ciascun lato del collo uno dei rami del nervo laringeo passa direttamente alla laringe, prendendo una strada diretta, come potrebbe aver scelto un progettista. L’altro ramo arriva alla laringe seguendo una deviazione sorprendente. Sprofonda nel petto, fa un cappio attorno a una delle arterie maggiori che lasciano il cuore (arterie diverse sul lato sinistro e destro, ma il principio è identico), per poi tornare su per il collo per arrivare alla sua destinazione.


    “Se lo si considera come il frutto di un disegno, il nervo laringeo ricorrente è una disgrazia. Helmholz avrebbe avuto ancora più motivo per respingerlo rispetto all’occhio. Ma, come l’occhio, ha un perfetto senso nel momento in cui ci scordiamo di un disegno e consideriamo, invece, la storia.” (p. 356)


    Dawkins continua il suo argomento sostenendo che ha più senso se siamo evoluti da pesci, e poi, avvicinandosi a qualcosa simile alla teoria screditata della ricapitolazione di Haeckel,(1) conclude:


    “Tutto quello che serve sapere, per capire la storia del nervo laringeo ricorrente, è che nei pesci il nervo vago ha rami che forniscono le ultime tre delle sei branchie ed è naturale per loro, perciò, passare dietro alle rispettive arterie branchiali. Non c’è niente di ricorrente in questi rami: cercano i loro organi destinatari, le branchie, attraverso il percorso più diretto e logico.”


    “Durante l’evoluzione dei mammiferi il collo si allungò (i pesci non hanno un collo) e le branchie sparirono, alcune delle quali sviluppandosi in cose utili come la ghiandola tiroide e paratiroide, e le svariate altre parti che insieme formano la laringe. Quelle altre cose utili, incluse parti della laringe, ricevettero il loro flusso sanguigno e le connessioni nervose dai discendenti evolutivi dei vasi sanguigni e dei nervi che una volta servivano le branchie con una sequenza ordinata. Man mano che gli antenati degli mammiferi si sono evoluti sempre più lontani dai loro antenati pesci, i nervi e vasi sanguigni si sono trovati ad essere tirati ed allungati in direzioni sorprendenti, distorcendo i rapporti spaziali fra di loro. Il torace ed il collo dei vertebrati divennero un pasticcio, molto diverso dall’ordine simmetrico e sequenziale delle branchie dei pesci.  I nervi laringei ricorrenti divennero esageratamente vittime di questa alterazione.” (pp. 359–360)


     


    Richard Owen e gli avversari di Darwin


    Dawkins continua e descrive come la deviazione del nervo laringeo ricorrente potrebbe essere di 5 m in un esemplare grande di giraffa. Racconta di aver assistito alla dissezione di questo nervo in un giovane esemplare di giraffa morto in uno zoo. Espresse ammirazione per le capacità dell’equipe di anatomisti che effettuò la dissezione, accrescendo il suo rispetto per l’avversario creazionista di Darwin, Richard Owen, che era riuscito in questa impresa nel 1837. Ciononostante, dice Dawkins, Owen era fallito nel respingere l’idea di un progettista.


     


    Questo dovrebbe dirci qualcosa. È rilevante che buona parte dell’opposizione di Darwin proviene dagli scienziati(2) come Owen, assieme al Professore Johann H. Blasius, direttore del Museo di Storia Naturale Ducale(3) di Braunschweig (Brunswick), Germania, che affermarono nella loro recensione del libro di Darwin Sull’origine(4):


    “Raramente ho letto un libro scientifico che formula conclusioni di così ampio raggio con così pochi fatti a sostegno. … Darwin vuole dimostrare che Arten [tipo, genere, specie] arrivano da altri Arten. Considero questo come un’ipotesi piuttosto prepotente, perché argomenta utilizzando possibilità non comprovate, senza nemmeno menzionare un singolo esempio dell’origine di una certa specie.”(5)


    Caratteristiche del disegno del nervo laringeo ricorrente


    Esistono diversi buoni motivi perché Owen non sia arrivato a conclusioni evoluzionistiche. Il rinomato libro di testo Gray’s Anatomy dichiara:“Nell’avvolgersi intorno all’arteria succlavia o aorta, rilascia alcuni filamenti cardiaci alla parte profonda del plesso cardiaco. Nella sua ascesa del collo rilascia dei rami, più numerosi dalla parte sinistra rispetto a quella destra, alla membrana mucosa e al rivestimento muscolare dell’esofago; dei rami alla membrana mucosa e fibre muscolari della trachea; e alcuni filamenti faringei al costrittore faringeo inferiore.”(6)


    Cioè Dawkins considera solo la sua destinazione principale, la laringe. In realtà, il nervo ha un suo ruolo nel servire parti del cuore, muscoli e membrane mucosi della trachea, e l’esofago, che potrebbe spiegare il perché del suo percorso.


    Oltre a questa funzione, esistono caratteristiche che risultano dallo sviluppo embrionale, non grazie all’evoluzione, ma poiché l’embrione si sviluppa da una singola cellula con un certo odine. Per esempio, l’embrione necessita di un semplice cuore funzionante nei primi stadi; questo successivamente discende alla sua posizione nel petto, trascinando con sé l’insieme di nervi.


    Inoltre, un percorso tortuoso sarebbe per forza un brutto disegno? Ci potrebbero essere motivi per questo (nel caso del nervo laringeo ricorrente abbiamo una buona idea, secondo Gray’s). Nella recensione del libro di Jerry Coyne Why Evolution is True (Perché l’evoluzione è vera, che Dawkins raccomanda per la sezione sul nervo laringeo ricorrente, nota p. 356) il biologo e geologo John Woodmorappe sottolinea:


    “Strutture e macchine disegnate da esseri umani so ricolme di cose come impianti elettrici e idraulici tortuosi, ma nessuno direbbe che non sono il frutto di un disegno intelligente.


    “Consideriamo ora situazioni in cui un percorso tortuoso in realtà sarebbe dannoso al proprietario. L’automobile con il suo motore nella parte anteriore necessita di un impianto di scarico lungo e tortuoso sospeso sotto la macchina. Questo chiaramente lo rende più vulnerabile ad essere danneggiato da ostacoli rispetto all’impianto di scarico corto di una macchina con il motore montato nella parte posteriore (parlo per esperienza personale). Secondo la logica di Coyne, dovremmo forse supporre che macchine con il motore montato nella parte anteriore non sono il frutto di un disegno intelligente? Certamente no. Riconosciamo che esiste un compromesso ingegneristico fra una macchina con il motore montato anteriormente e il concomitante svantaggio dell’impianto di scarico più lungo e più facilmente danneggiabile.”(7) 


    Note del traduttore:



    1. La disposizione ricorrente del nervo laringeo permette alle strutture sotto la laringe di ricevere segnali appena prima della laringe per prepararli alle attività della laringe quando la funzione di questa è imminente. (Sturniolo, G., D’Alia, C., Tonante, A., Gangliano, E., Taranto, F. and Schiavo, M.G., The recurrent laryngeal nerve related to thyroid surgery, The American Journal of Surgery 177, p.487, June 1999, Armstrong, W.G. and Hinton, J.W., Multiple divisions of the recurrent laryngeal nerve, AMA Archives of Surgery 62(4):532–539, 1951)

    2. Un altro esempio da considerare è il nervo ottico che non prende la strada più corta al lobo occipitale del cervello, ma si incrocia al chiasma per quelli che ora sappiamo essere buoni motivi fondati su di un disegno ottimale. (Walsh, F.B., Hoyt, W.F. and Miller, N.R., Anatomy and Physiology of the Optic Chiasm; in: Walsh and Hoyt’s Clinical neuro-ophthalmology, vol. 3, Walsh, F.B., Hoyt, W.F. and Miller, N.R. (Eds.),Williams & Wilkins, Baltimore, MD, pp. 60–69, 1987.)


    Referenze


     



    1. Grigg, R., Ernst Haeckel: Evangelist for evolution and apostle of deceitCreation 18(2):33–36, 1996; creation.com/haeckel.

    2. Foard, J., Holy war? Who really opposed Darwin? Popular belief has it back to front … , Creation 21(4):26–27, 1999; creation.com/holy-war.

    3. Herzoglich tedesco, presumibilmente stabilito sotto il buon auspicio del duca locale (Herzog).

    4. Wieland, C., Blast from the past, creation.com/blasius, 16 June 2006.

    5. Intervista del Direttore Blasius: “Evolution is only a Hypothesis”, 1859, citato in Braunschweiger Zeitung, 29 March 2004.

    6. Disponibile online a .

    7. Woodmorappe, J., Why evolution need not be true, J. Creation 24(1):24–29, 2010.


     




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    00 12/10/2021 16:32




    aiso1


     


    Articolo tradotto con permesso da www.creation.com


    Articolo originale https://creation.com/multiverse-no-help-for-evolution



    di Jake Hebert

     

     

    Gli scienziati creazionisti hanno da tempo sottolineato le enormi difficoltà con l'evoluzione dalla melma all’uomo e persino gli evoluzionisti hanno riconosciuto questi problemi.(1) Inoltre, le costanti fondamentali dell'universo sono finemente sintonizzate per consentire la vita. Eppure molti evoluzionisti affermano, nonostante queste difficoltà, che un multiverso può spiegare la nostra esistenza senza la necessità di un Creatore.(2)

     

     

    Questi evoluzionisti affermano che il nostro universo non è l'unico universo. Sostengono che è solo uno degli infiniti universi, ognuno con possibilmente costanti fisiche diverse (e forse anche diverse leggi della fisica). Questo multiverso, dicono, elimina la necessità di un Creatore soprannaturale: se esiste davvero un numero infinito di universi, è inevitabile (così sostiene l'argomentazione) che alcuni di questi universi abbiano proprietà che permettano la vita. Presumibilmente, siamo stati "fortunati" e ci capita di vivere in uno di questi universi che permettono la vita.(3)

     

    Quindi, un multiverso può davvero spiegare la nostra esistenza senza Dio?

     

    L'origine del concetto

     

    L'idea di un multiverso è una conseguenza della teoria dell'inflazione.(4) All'interno del modello del big bang, l'inflazione è un drammatico aumento del tasso di espansione dell'universo primordiale, più veloce persino della luce. L'inflazione è stata proposta per risolvere una manciata di gravi problemi nel modello originale del Big Bang.(5)

     

    I teorici inizialmente pensarono che l'inflazione si fermasse dappertutto allo stesso tempo, poco dopo il big bang stesso. Tuttavia, hanno successivamente concluso che diverse regioni dello spazio avrebbero smesso l’inflazione in momenti diversi. Ciò comporterebbe "isole" di spazio non più nella fase di inflazione (ancora in espansione ma a un ritmo più lento) circondato da enormi quantità di spazio ancora in fase di inflazione, che "isolerebbe" per sempre queste "isole" l'una dall'altra. Queste "isole" si riempirebbero di radiazioni e materia e diventerebbero, in effetti, degli universi per se!

     

    I teorici si sono anche convinti che, una volta avviata l'inflazione, non si sarebbe mai fermata. Ciò significa che l'inflazione alla fine produrrebbe un numero infinito di universi. In questa prospettiva, il presunto big bang 13,8 miliardi di anni fa è solo l'inizio del nostro universo, non l'inizio del multiverso stesso. Si presume che l'inflazione stia ancora avvenendo in altre regioni dello spazio, con altri universi tuttora in fase di creazione.(6)

     

    Ma un multiverso non spiega davvero la nostra esistenza.

     

    Alcuni problemi

     

    Innanzitutto, non esistono assolutamente alcune prove che esistano altri universi, anche se l'idea è spesso resa popolare negli spettacoli televisivi e nei film di fantascienza.

     

    In secondo luogo, l'idea del multiverso non è scientifica: poiché questi “universi-isola" (anche se esistessero) sarebbero stati per sempre isolati l'uno dall'altro, è difficile vedere come la loro esistenza possa mai essere confermata o negata. Dal momento che l'idea di un multiverso non può essere falsificata (dimostrata falsa), e si può sostenere che non è un'ipotesi veramente scientifica.(7)

     

    In terzo luogo, non vi sono prove dirette per l'inflazione stessa: i recenti reclami per prove di "pistola fumante" per l'inflazione sono stati rapidamente ritirati.(8) Piuttosto, le principali "prove" dell'inflazione si basano sul ragionamento circolare, il fatto che il big bang non funzioni senza l'inflazione è conteggiato come prova dell'inflazione!(9) Inoltre, la moderna teoria dell'inflazione è diventata sempre più bizzarra, il che ha portato alcuni teorici a criticarla e ad abbandonarla. Uno di questi critici è il cosmologo del Massachusetts Institute of Technology Max Tegmark, che afferma: "L'inflazione si è distrutta. Logicamente si autodistrugge”.(10) Persino Paul Steinhardt, uno dei principali teorici dell'inflazione, è diventato un critico della teoria.(11)

     

    Nessun coniglio in questo cappello

     

    Ancora più importante, anche se il multiverso della teoria dell'inflazione può sembrare di rendere più credibile la storia della “melma all’uomo", questa è semplicemente un'illusione. Come abbiamo visto, gli evoluzionisti affermano che è inevitabile che alcuni universi nel multiverso dispongano di leggi di fisica e chimica che permettano alla vita di esistere, e ci capita di vivere in uno di quelli. Ma affinché la loro argomentazione si avvicini in qualche modo alla spiegazione della nostra esistenza senza un Creatore, non è sufficiente che queste leggi consentano l'esistenza della vita. Chiaramente lo permettono, altrimenti non saremmo qui; ma questo è vero anche in uno scenario biblico di creazione. Affinché questo argomento favorisca l'evoluzione, queste leggi fisiche devono anche consentire la formazione della vita dalla non vita, nota anche come evoluzione chimica o abiogenesi. Ma le leggi della fisica e della chimica nel nostro universo lo consentono?

     

    Apparentemente no. Gli evoluzionisti non possono ancora spiegare l'origine della vita, nonostante investano enormi quantità di tempo e di denaro sul problema. Se viviamo davvero in un universo le cui leggi di fisica e chimica consentono l'evoluzione chimica, perché non è mai stata osservata?(12) E perché i ricercatori evoluzionisti non sono ancora in grado di spiegare in modo convincente come la vita possa essere apparsa "naturalmente"?

     

    Potrebbe essere che forse le leggi della fisica e della chimica nel nostro universo semplicemente non consentano l'abiogenesi? Tutto ciò che sappiamo di fisica e chimica in questo universo indica che la vita non può venire dalla non vita. Il famoso evoluzionista Paul Davies ha spesso sottolineato che la vita è interamente incentrata su informazioni (software), macchine programmate. E, dice, "Non esiste alcuna legge della fisica nota in grado di creare informazioni dal nulla".(13)

     

    Pertanto, anche se esistessero altri universi e anche se le leggi della fisica e della chimica in ognuno di questi altri presunti universi consentissero l'abiogenesi, ciò non farebbe nulla per spiegare l'esistenza della vita in questo universo. Gli evoluzionisti credono davvero che le enormi difficoltà nelle storie dell'evoluzione dalla melma all’uomo svaniranno semplicemente perché affermano che esistono altri universi?

     

    Quindi l'idea del multiverso, sebbene possa superficialmente rendere l'evoluzione più plausibile, in realtà il scettico non ottiene alcun vantaggio nel tentativo di spiegare la loro esistenza a parte il loro Creatore.

     

    Riferimenti e note

     

    1. Vedere la recensione del libro di Williams, A., Great minds on the origin of life, J. Creation 21(1): 38–42, 2007; creation.com/singularities . Vedere anche creation.com/origin-of-life.
    2. Infatti, dato la sintonizzazione fine, il multiverso sembra essere l’unico alternativo ad un Creatore; vedere Lewis, G.F. e Barnes, L.A., A Fortunate Universe: Life in a finely tuned cosmos, Cambridge University Press, 2016.
    3. Folger, T. Science’s alternative to an intelligent Creator: the Multiverse Theory, Discover, 10 Novembre 2008; discovermagazine.com.
    4. Alcuni fisici hanno recentemente affermato che un sostegno per un multiverso proviene anche dal programma speculativa di ricerca chiamata teoria delle stringhe. Tuttavia, una principale argomentazione contro la teoria delle stringhe è che al momento non è testabile.
    5. Chiaramente la Big Bang tuttora ha molti problemi scientifici ed è stata criticata anche da scienziati non religiosi; creation.com/bigbangblast.

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