CREDENTI

CRITICHE ALLE TESI DI SCIENZIATI NON CREDENTI

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    00 04/05/2011 10:52

    Creazione senza Dio? Scienziati, filosofi e teologi rispondono a Stephen Hawking

    L’astrofisico di fama mondiale (e membro della Pontificia Accademia delle Scienze), Stephen Hawking, ha cambiato idea: l’universo ora non lo ha creato Dio ma è nato grazie al nulla.

    Vuoi per fare pubblicità al suo nuovo libro, vuoi per rimanere nel giro dopo il pensionamento, vuoi per creare scandalo a pochi giorni dalla visita del Santo Padre, nel Regno Unito, Hawking ha rispolverato la vecchissima e confutatissima teoria della generazione spontanea, avventurandosi in una serie di contraddizioni, saltellando dalla scienza alla filosofia fino ad improvvisarsi teologo: «C’è una legge che si chiama gravità che porterebbe alla formazione continua dell’universo e che può e continuerà a crearsi da sé, dal niente. La creazione spontanea è la ragione per cui qualcosa esiste piuttosto che il nulla, per cui l’universo esiste, e noi stessi esistiamo». Sostanzialmente sostiene che: 1) Dio non è necessario perché le nuove scoperte della Fisica hanno dimostrato che la creazione dell’Universo è una conseguenza inevitabile di queste leggi e che può essere stato creato dal nulla. 2) E’ molto probabile che esistano non solo altri pianeti simili alla terra ma addirittura altri Universi. (il concetto si chiama  “Multiverso”). Se Dio avesse voluto creare l’Universo al fine di creare il genere umano non avrebbe alcun senso aggiungere tutto il resto.



    Ecco come molti suoi colleghi e non, hanno risposto all’azzardatissima teoria
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    00 04/05/2011 10:53

    Il Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica: «tesi di Hawking è totalmente irrazionale».

    Tommaso Maccacaro è il Presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF). Analizzando i punti principali della teoria di Hawking (presenza di altri sistemi solari simili al nostro, di altri possibili universi, l’idea che si possa raggiungere un equilibrio fra la teoria quantistica del mondo subatomico e quella della gravità), conclude:

     

    «Nessuno di questi punti può servire come base per una discussione su Dio, perché le cose sono totalmente disgiunte. Mi sembrano affermazioni talmente irrazionali da fa sì che ogni teologo ne possa fare un solo boccone» (da Corriere della Sera, 3/9/10).

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    00 04/05/2011 10:54

    L’astrofisico Bersanelli risponde magistralmente a Stephen Hawking.

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    La serie infinta di scienziati e astrofici che hanno risposto a Stephen Hawking è interminabile (ne abbiamo raccolti alcuni qui: Ultimissima 4/9/10). Questo di per sé dice molto sia sulla variabilità infinita di opinioni diverse presenti nella scienza (molto più che nel mondo religioso), sia della assoluta non evidenza di quanto sostiene il grande astrofisico Hawking. Uno degli ultimi, cronologicamente parlando, a rispondergli è stato Marco Bersanelli, uno fra gli astrofisici italiani più importanti. Docente di Astrofisica all’Università degli Studi di Milano, membro dell’Istituto di Fisica Cosmica del CNR e dell’Agenzia Spaziale Europea. E’ specializzato proprio nell’osservazione dell’universo primordiale ed è a capo a livello internazionale della progettazione e sviluppo del Low Frequency Instrument utilizzato dal satellite Planck Surveyor. Secondo noi è un intervento davvero esaustivo, per questo lo abbiamo mantenuto nella sua quasi integrità. Lo si può trovare comunque su Tracce.it.

    1) L’idea di Hawking non è nuova, non è verificabile o falsificabile, quindi è un opzione metafisica.
    «Nei miliardi di anni l’universo è passato da uno stato di massima semplicità a una fioritura impensabile, nella quale hanno trovato posto la complessità e la vita, fino alla coscienza. Alcuni scienziati, forse preoccupati di evitare ogni cenno finalistico, propongono che la straordinaria predisposizione dell’universo alla vita sia un puro effetto di selezione. Ad essi si è unito anche Hawking, con il suo ultimo libro divulgativo annunciato nei giorni scorsi da un battage mediatico internazionale senza precedenti. Essi postulano l’esistenza di una moltitudine di universi, sconnessi e inaccessibili, nei quali le proprietà di base (leggi fisiche, valore delle costanti, dimensioni spazio-temporali…) assumono tutti i possibili valori, diversi da quelli che abbiamo “quaggiù”, nel nostro universo. Noi vediamo un cosmo adatto alla vita semplicemente perché tra gli innumerevoli universi (che insieme costituirebbero il cosiddetto “multiverso”) non potevamo che ritrovarci in uno di quelli compatibili con essa. Non ci sarebbe dunque bisogno di una scelta preordinata da parte di un creatore. Per la verità l’idea non è affatto originale, visto che fu proposta nel 1895 dal filosofo William James, e da allora è stata più volte riciclata in diverse versioni in ambito cosmologico. Ma dal punto di vista scientifico questa visione soffre di una grave malattia: essa non può essere verificata o falsificata, essendo le altre regioni del “multiverso” per definizione causalmente sconnesse dalla nostra. Il che allo stato attuale rende quest’idea più simile a una opzione metafisica che a una teoria scientifica, e come tale andrebbe presentata – indipendentemente dalla fama dell’autore – e eventualmente paragonata ad altre visioni metafisiche».

    2) Il vuoto di Hawking è in realtà un pieno di leggi fisiche. E chi se l’è inventate?
    Ma ammettiamo per un momento, facendo leva sulla fantasia, che un domani troveremo nuovi percorsi che ci permetteranno di parlare in modo scientificamente sensato di una realtà fisica che eccede quello che oggi chiamiamo “universo”. In quel caso avremmo solo spostato più in là l’orizzonte, come quando Hubble nel 1922 mostrò che l’universo non coincide con la nostra Galassia ma è un oceano di miliardi di galassie. L’universo sarebbe ancor più vasto di quel che oggi pensiamo, ma la domanda fondamentale resterebbe intatta: da dove proviene, ultimamente, tutto ciò? «L’universo ha creato se stesso dal nulla, non c’è bisogno di alcun creatore», risponde Hawking, caricando l’affermazione della sua pesante autorità di scienziato. Ma che cos’è allora questo “nulla” dal quale tutto avrebbe preso le mosse? Hawking risponderà che è il “vuoto” quantistico primordiale nel quale una fluttuazione può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse. Ma questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo e del teologo. Anzi, se le cose fossero davvero andate così, quel “vuoto” iniziale finirebbe per essere l’opposto del “nulla”: sarebbe la realtà fisica più “piena” che si possa immaginare, il seme creato dal quale sboccia il fiore dell’universo. Rinasce perciò inevitabile la domanda: questo “vuoto” primordiale, da dove viene? E le leggi della fisica, che in esso agiscono, chi se l’è inventate? Se anche ci fossero moltitudini di universi con leggi diverse, da dove verrebbe la meta-legge così ben congegnata da generare tutto ciò? L’esigenza di spiegazione della ragione umana non si arresta: nessuna “teoria del tutto” potrà mai acquietare la sete di indagare oltre.

    3) Rimarrà sempre da chiedersi il “perché”.
    Ma c’è un’ultima, più pungente domanda: perché? È la stessa domanda del bambino. E del filosofo: «Perché l’essere invece che il nulla?», direbbe lui. Oppure del poeta: «A che tante facelle?». Perché il fiore, a che scopo l’universo? Perché noi, in questo immenso alveo cosmico, così stranamente capaci di comprendere il reale? Perché questa bellezza del mondo, che la scienza ci consente di contemplare sempre più in profondità? Perché il dolore, perché il nostro infinito desiderio, la nostra sete di conoscenza e di felicità? Ecco l’esigenza abissale, alla quale la scienza non è capace neanche di balbettare una risposta. Da dove proviene l’esserci delle cose, ora? L’evidenza della creazione non va cercata anzitutto nel passato, ma nella sorpresa che le cose ci sono in ogni istante, ora: io non mi faccio da me, ogni cosa, se potesse pensare, dovrebbe dire: «Io non mi faccio da me». Quel momento drammatico di 13,7 miliardi di anni fa, quando tempo e spazio ebbero inizio, è un segno grandioso della contingenza dell’universo. Ma la creazione non è relegata a quel remoto evento. Essa è l’atto misterioso che trae dal nulla ogni istante di ogni stella o fiore o bimbo dell’universo.

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    00 04/05/2011 11:01

    L’astrofisico Penrose, ex collega di Hawking: «il multiverso non ha superato Dio».

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    Ha fatto notizia in tutto il mondo quando Stephen Hawking ha annunciato che la M-teoria della cosmologia lo ha portato a concludere che può non essere stato Dio a creare l’universo. Ma uno dei più importanti fisici e matematici europei, Sir Roger Penrose, professore all’Università di Oxford e collaboratore per anni di Hawking nello sviluppo della teoria del Big Bang, lo ha smentito a proposito della teoria della “non esistenza di Dio”. Sabato 25 settembre, Penrose ha descritto il nuovo libro di Hawking, The Grand Design, come “ingannevole”, aggiungendo che la M-teoria, che Hawking utilizza per dimostrare l’inutilità di Dio, «non è nemmeno una teoria, non è scienza ma insieme di speranze, di idee e aspirazioni». L’Indipendent Catholic News riporta che Penrose ha dialogato di questo nel programma radiofonico tenuto da Alister McGrath, ex ateo, scienziato e professore di teologia presso il Kings College di Londra. Il celebre fisico ha continuato: «Il libro di Hawking è fuorviante, ti dà l’impressione che esista una teoria che riesca a spiegare tutto, ma questa non è nemmeno una teoria. Non è per nulla dimostrato che l’Universo si sia creato dal nulla». Fra tutti gli scienziati che sono intervenuti per opporsi all’opinione di Hawking (ne abbiamo raccolti alcuni in questo dossier), Penrose, come ex collega che ha lavorato a stretto contatto con Hawking, è forse quello con il profilo più alto. Egli ha concluso: «Il multi-verso non ha superato Dio».

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    00 04/05/2011 11:02

    L’astrofisico Robberto: «la tesi di Hawking è un’opinione, non c’entra con la scienza»

    Massimo Robberto è un astrofisico e lavora allo Space Telescope Science Institute di Baltimora, luogo dove si studia proprio l’origine dell’universo. Egli commenta su Tracce.it le affermazioni di Hawing:

    «Non è niente di nuovo. Sta emergendo negli ultimi tempi, soprattutto nel campo di una certa fisica teorica, una linea di pensiero che va aldilà di ciò che è testabile in laboratorio. Per noi che siamo degli sperimentali dell’astrofisica sono delle curiosità, magari ne parli durante il caffè. Ma poi non hanno impatto sulla ricerca che facciamo. La mia prima reazione a ciò che ha detto Hawking è stata: ci risiamo. Ci sono dei fisici, Hawking è uno dei campioni ma non l’unico, che spingendosi su questi terreni fanno cattiva fisica, perché dicono cose non testabili. Ma al contempo cattiva metafisica, cattiva filosofia. Contro la ragione. Perché che l’“essere” scaturisca da se stesso, o dal nulla… Ma il nulla come può produrre qualcosa? Questo produce nell’opinione pubblica l’immagine di una scienza radicale, scientista. Ed è un male per la scienza stessa. Basta vedere i commenti sui blog riferiti alla notizia. Tantissimi sono di critica. Il disamore per la scienza, lo scetticismo nasce da queste cose».

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    00 04/05/2011 11:03

    L’astrofisico Benvenuti: «Hawking è illogico ma ha capito come vendere il libro».

    Piero Benvenuti è un astrofisico, professore all’Università di Padova. Staff member dell’Agenzia Spaziale Europea e Direttore dell’Osservatorio IUE. Già responsabile scientifico Europeo del progetto “Hubble” e Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Dal 2008 è sub-commissario dell’ Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Su Il Sussidiario ha risposto con un articolo alle dichiarazioni di Hawking.

    «La nuova esternazione di Stephen Hawking, cui è stata data grande rilevanza dalla stampa inglese, non desta in realtà molta meraviglia. Era già implicita nel suo libro precedente, nulla di nuovo quindi nel pensiero del fisico inglese. Meraviglia piuttosto come pochissimi abbiano riconosciuto la sua uscita per quello che realmente è, ovvero una astuta, sulfurea e grandiosa azione di marketing, che sicuramente posizionerà il suo libro tra i best seller del momento. Tra pochi giorni Papa Benedetto XVI sarà in visita in Inghilterra: quale occasione migliore per far affermare al più famoso cosmologo nazionale (tra l’altro, membro dell’Accademia Pontificia ) il trionfo della pura ragione che spazza via definitivamente la necessità di pensare a un Creatore? In realtà l’affermazione di Hawking contiene due salti logici che si possono comprendere solo immaginando la sua mente acuta temporaneamente offuscata dal miraggio del guadagno.

    1) Il primo salto logico, incomprensibile in un cosmologo moderno, è quello di credere nell’esistenza di una teoria scientifica del Tutto, cioè di una teoria astratta che spieghi ogni dettaglio fenomenologico dell’Universo e della sua evoluzione. Abbiamo appreso, appena una decina d’anni fa, che le maggiori componenti dell’Universo, la materia oscura e l’energia oscura, il 95% di tutto ciò che esiste, ci erano fino ad allora sconosciute e conseguentemente abbiamo dovuto modificare drasticamente il modello teorico dell’evoluzione del Cosmo. Pensare di arrivare al capolinea della scienza con la Teoria del Tutto dimostra una incredibile ingenuità epistemologica.

    2) Il secondo salto logico, che dimostra invece più semplicemente una notevole ignoranza della ricerca teologica, è quella di pensare al Creatore come un semplice demiurgo che accende un interruttore. Non è certo questo il concetto che i cristiani hanno di Dio Padre e, immaginando durante la visita papale un ipotetico incontro tra Hawking e Benedetto XVI, quest’ultimo potrebbe fargli dono della sua Enciclica “Deus Caritas est”: non credo che il “Grand Design” di Hawking preveda una equazione matematica che dimostri l’esistenza dell’Amore incondizionato e forse si renderebbe conto allora che il “dio” che lui crede di aver eliminato non esiste per davvero, perché non è né il Logos incarnato né nessun’altra persona della Santissima Trinità».

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    00 04/05/2011 11:05

    L’astrofisico Tanzella-Nitti: «Hawking sbaglia riducendo Dio ad un fattore empirico».

    Giuseppe Tanzella-Nitti, astrofisico e teologo della Pontificia Università della Santa Croce di Roma, ha dichiarato sul sito dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica):

    «Quando si cerca nelle equazioni matematiche una conferma o una smentita del ruolo di Dio nella creazione dell’universo, vuol dire che si sta considerando Dio al pari di un fattore empirico, un parametro da trovare o da rimuovere. Per la teologia della creazione, l’azione di Dio creatore sul cosmo è un’azione trascendente, fuori del tempo e dello spazio, non limitata al momento dell’origine (se mai ve ne è stato uno), ma finalizzata a volere da sempre l’universo e a sostenerlo da sempre con le sue leggi e i loro sviluppi. Siamo quindi ben lontani dal dilemma di chi abbia compiuto la ‘prima mossa’. Dibattere se venga prima Dio o prima le leggi di natura, come sembra fare il prof. Hawking, vuol dire impiegare la nozione di Dio in modo improprio, non come creatore, ma come “motorino di accensione” di cui si discute l’eventuale necessità o l’irrilevanza. Le leggi della fisica sono certamente sufficienti, al di là dei nostri problemi di impredicibilità, per spiegarci la struttura del cosmo ed il perché delle sue diverse trasformazioni. Ma il perché davvero “ultimo”, perché l’universo esiste — e mi lasci aggiungere, perché nell’universo esisto io, ciascuno di noi — questa è una domanda alla quale le leggi della fisica non intendono, né possono rispondere. Ma è una domanda, e in questo Hawking ha ragione, che l’essere umano in quanto tale non può non continuare a porsi».

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    00 04/05/2011 11:07
    Le ragioni della fede, l'illusione dell'ateismo

    Il fisico Bussoletti: «Hawking? Nulla di nuovo né di convincente».

    Ezio Bussoletti è professore Ordinario di Fisica e Tecnologie Spaziali all’Università Parthenope di Napoli. E’ capo della Delegazione Italiana al GEO (Gruppo Intergovernativo sulle Osservazioni della Terra) e membro del Comitato Tecnico Scientifico del MUR ed ENEA, dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’Agenzia Spaziale Russa e del CDA dell’INAF (Istituto Nazionale. E’ inoltre Consigliere Scientifico della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UNESCO. Sul quotidiano Il Tempo ha scritto un articolo in risposta alle affermazioni di Hawking:

    «Stralci giornalistici estratti dal contesto generale del libro rischiano di fuorviare il lettore o, peggio, di alterarne il contenuto. Si può però esprimere qualche dubbio sulla fondatezza logica di queste affermazioni: la più criticabile è quella in cui si afferma che le leggi della Fisica come quella della gravità l’Universo possono creare dal nulla. Da fisico mi permetto di obiettare che il fatto stesso di accettare “a priori” l’esistenza di queste leggi, se l’Universo fosse stato creato dal nulla, richiederebbe comunque di giustificare “perché” e “come” sono nate. Hawking salta il problema dando per assioma la loro esistenza e da questo deduce la creazione dal nulla per loro mezzo. La contraddizione appare evidente. E per lo stesso motivo potremmo affermare che siccome gli aeroplani volano grazie alle leggi della fisica, sono stati creati dal nulla senza il bisogno di un inventore. Ancora meno strabiliante è il suggerimento dell’esistenza di altri sistemi solari ed altri mondi: il problema “se siamo soli” gli astrofisici se lo sono posto da vari decenni. Nessun messaggio nuovo ed eclatante anche da questo versante.

    Tutti hanno il diritto di cambiare idea, ma la dicotomia tra scienza e fede è ben lontana dall’essere risolta, ove mai questo sarà possibile. D’altronde, tutto questo è anche logico perché con la scienza noi misuriamo e cerchiamo di interpretare la natura; la Creazione, con buona pace del nostro, non è misurabile e la possiamo accettare solo per fede perché concerne una dimensione diversa, superiore alla natura fisica. Per ora le giustificazioni addotte da Hawking non hanno la forza per convincerci mentre ci sostiene la convinzione che esista un Creatore che, come diceva Einstein, non gioca a dadi e che, proprio per la sua visione superiore, creando l’uomo, ha ritenuto avesse un senso creargli intorno tutto il resto».

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    00 04/05/2011 11:08

    Il fisico Zichichi: «Hawking sbaglia, se c’è una logica c’è un Creatore».

    Antonino Zichichi è uno dei più importanti fisici italiani nonché Presidente della Federazione mondiale degli scienziati. In un’intervista su Irpinia News ha commentato così l’azzardata tesi di Hawking:

    «Hawking è un astrofisico e l’atrofisica è una scienza galileiana di secondo livello. Se c’è una logica nell’universo c’è anche un creatore. Hawking riesca a dimostrare il teorema della negazione di Dio oppure stia zitto».

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    00 04/05/2011 11:09

    Il fisico Gabici: «Hawking sbaglia, il nulla in realtà è molto complesso».

    Franco Gabici è un fisico e giornalista, Direttore del Planetario di Ravenna. Su Avvenire ha risposto alle dichiarazioni di Hawking.

    «L’universo, sostiene Hawking, si è fatto da sé. Non è la prima volta, e non sarà nemmeno l’ultima, che uno scienziato si prende la briga di spiegare urbi et orbi di poter fare a meno dell’intervento divino nella creazione del mondo. La fisica moderna, e in particolare la complicatissima «meccanica quantistica», si è tuttavia posta, magari indirettamente, il problema della creazione e paradossalmente è arrivata ad una conclusione in linea con la Genesi. La «meccanica quantistica», infatti, e in particolare il «principio di indeterminazione» di Heisenberg, ammette l’apparizione dal nulla di piccole quantità di energia (si parla di «fluttuazioni») e pertanto anche il nostro universo potrebbe essere nato proprio da una fluttuazione, che è pur sempre un ammettere una sorta di «fiat lux».

    L’unico «buco» nella spiegazione cosmologica, è l’intervallo di tempo che va dall’istante zero a un tempo valutato in «10 alla meno 43». Eppure in quell’intervallo è avvenuta la nascita del nostro universo. La vogliamo chiamare «creazione»? E prima cosa c’era? Il nulla. Ma questo «nulla» è proprio un nulla o un qualcosa di più complesso? Evidentemente deve essere qualcosa di più complesso se è vero che dal nulla possono verificarsi queste «fluttuazioni». E se con il «Big Bang» sono nati sia lo spazio che il tempo, cosa faceva Dio prima del «Big Bang»? Aveva ragione Fred Hoyle quando diceva: «Ho sempre trovato strano che, benché la maggior parte degli scienziati dica di volerla evitare, in realtà la religione domini i loro pensieri ancora più di quelli dei preti».

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    00 04/05/2011 11:12

    Il matematico Lennox: «non si può spiegare l’universo senza Dio».

    John Lennox è un celebre matematico, accademico all’Università di Oxford. Sul DailyMail è riportata la sua risposta alla tesi di Hawking.

    «Mi diverte sempre l’idea che gli atei sostengano spesso l’esistenza di intelligenze extraterrestri, di cui non c’è alcuna prova, e contemporaneamente smentiscano la possibilità di una Grande Intelligenza. Quello di Hawking è un approccio semplicistico. Ma, sia come scienziato che come cristiano, direi che la domanda di Hawking è sbagliata».

    1) Le leggi fisiche possono creare qualcosa?. «Egli ci chiede di scegliere tra Dio e le leggi della fisica, come se fossero necessariamente in conflitto reciproco. Contrariamente a quanto sostiene Hawking, le leggi fisiche non potranno mai fornire una spiegazione completa dell’universo. Le leggi stesse non creano nulla, sono semplicemente una descrizione di ciò che accade in certe condizioni. La sua richiesta di scegliere tra Dio e la fisica è un po come se qualcuno ci chiedesse di scegliere tra un ingegnere aeronautico e le leggi della fisica per spiegare il motore a reazione. Il Jet non può essere creato dalle leggi della fisica ma vi occorre un ingegnere. Allo stesso modo le leggi della fisica non hanno potuto effettivamente costruire l’universo. Qualcun altro dev’essere stato coinvolto».

    2) Chi ha creato la gravità?. «L’argomento di Hawking mi sembra ancora più illogico quando parla della gravità: la creazione dell’universo era inevitabile. Ma come ha fatto la gravità ad eseiste innanzitutto? Chi l’ha messo lì? Qual è stata la forza creativa dietro alla sua nascita?»

    3) E’ grazie alla scienza se sono credente. «Gran parte delle motivazioni negli argomenti di Hawking si basano sull’idea che esiste un conflitto profondo tra scienza e religione. Ma questa non è una discordia che io conosco. Per me, matematico credente cristiano, la bellezza delle leggi scientifiche rafforzano soltanto la mia fede in un’intelligenza creativa e divina che è al lavoro. Più capisco la scienza e più credo in Dio a causa della meraviglia per l’ampiezza, la raffinatezza e l’integrità della sua creazione».

    4) La scienza è nata grazie al cristianesimo. «Il motivo per cui la scienza fiorì così vigorosamente nei secoli 16 e 17 è stato proprio a causa della convinzione che le leggi della natura riflettono l’influenza di un divino legislatore. Uno dei temi fondamentali del cristianesimo è che l’universo è stato costruito secondo un razionale disegno intelligente. Lungi dall’essere in contraddizione con la scienza, la fede cristiana rende davvero perfetto il senso scientifico. Alcuni anni fa, lo scienziato Joseph Needham ha fatto uno studio sullo sviluppo tecnologico in Cina. Voleva scoprire perché la Cina era rimasta così indietro dall’Europa nel progresso scientifico. E’ giunto così alla conclusione che la scienza europea era stata stimolata dalla diffusa credenza in una forza creativa razionale, nota come Dio, che ha reso comprensibili le leggi scientifiche».

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    00 04/05/2011 11:16

    Il biologo Denis Alexander: «Hawking parla di un dio scientifico già inesistente».

    Denis Alexander è un biologo molecolare ed è il Direttore del Faraday Istitute for Science and Religion al St Edmund’s College di Cambridge. Riflettendo sulle azzardate dichiarazioni di Hawking, dichiara alla CNN:

    «Il ‘dio’ che Stephen Hawking sta cercando di sfatare non è certo il Dio creatore delle religioni abramitiche, il quale è davvero l’ultima spiegazione del perché ci sia qualcosa piuttosto che il nulla. Il dio di Hawking è quello utilizzato per colmare le lacune presenti nella nostra conoscenza scientifica. Essa ci offre un racconto meraviglioso di come si sviluppa l’esistenza, ma la teologia ne affronta il significato».

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    Credente
    00 02/06/2011 13:51

    L’incredibile TESI " scientifica " del biologo ateo PZ Myers


     

    E' divertente osservare come più l’ateismo estremista si affanna nel promuovere il dogma neo-darwinista e più aumentino i sostenitori di altrettanti ed opposti fondamentalismi.Sicuramente negli ultimi tempi il movimento dell’Intelligent Design , che riconosce l’evoluzione ma vede nella complessità del fenomeno l’intervento diretto di Dio, si è rafforzato grazie a preparati ed abili scienziati, sempre più scettici verso l’ormai superato insoddisfacente darwinismo estremista. Di conseguenza l’attenzione degli scienziati ateo-militanti si è particolarmente orientata verso di loro.

    L’Algemeiner Journal ha infatti riportato un intervento del biologo PZ Myers (qui in foto vicino al suo maestro Richard Dawkins) durante un raduno dell’Atheist International Alliance, intenzionato a criticare l’argomento portante dell’Intelligent Design, cioè la complessità della cellula umana.

    Lo scienziato ha però avanzato ragionamenti a dir poco imbarazzanti, come appunto si capisce dal titolo dell’articolo: “Seriamente, gli atei non sono imbarazzati di P.Z. Myers?“. Attraverso Power Point ha inizialmente sintetizzato la teoria del Disegno Intelligente: «Il nucleo del ragionamento è questo: (A) Complessità può essere creata solo da un Designer. (B) La biologia è veramente complessa. (C) La biologia è stato creata da un Designer». Per confutarla ha voluto sostenere che in realtà anche la casualità può far emergere la complessità«ci sono un sacco di cose che sono molto complicate e non sono il risultato di un creatore intelligente. Vi faccio vedere un esempio qui». Ha quindi mostrato al pubblico una fotografia con un grande mucchio di tronchi d’albero, lungo una linea costiera della Rialto Beach (Washington). Ha poi commentato: «Questa è una cosa molto comune lungo le spiagge … legna! Potete trovare questi muri di legna anche voi, vere e proprie pareti, muri molto complicati. Essi sono stati costruiti, ma chi è stato? Sappiamo che la risposta è: i processi naturali! Non abbiamo bisogno di un designer per costruire questo tipo di muro. Eppure sono muri complessi, non è possibile negarlo. Se io spegnessi il proiettore sareste in grado di disegnarli? No».

    Il livello dell’argomentazione di Myers è oggettivamente assurdo e ridicolo, indipendentemente della correttezza delle sue intenzioni. «Per essere onesto», commenta basito l’autore dell’articolo, «la prima volta ho pensato che Myers stesse scherzando. Un mucchio di legna usato come analogia alla “complessità” di una cellula vivente?! Myers sta sostenendo che un mucchio di legna creato in modo naturale e non guidato è “complesso” allora lo è anche la “complessità” di una cellula vivente». Questo biologo paragona quindi la “complessità” al “caos”, come può esserlo anche un mucchio di spazzatura. In realtà è ovvio che si debba parlare di “complessità funzionale“, cioè la capacità di raggiungere un (pre)determinato obiettivo, come appunto la cellula fa. Ma Myers, impazzito completamente, insiste e mostra una fotografia in cui appare un muro di mattoni sapientemente costruito in un giardino. E commenta: «Siamo abituati a vedere questo tipo di parete. Anche questo è un muro, è possiamo riconoscere che ha una finalità specifica , che è stato costruito da agenti umani. Ma è più semplice questo o quello costruito con muri di legna? Ovviamente quello costruito dall’uomo. Le cose naturali dunque sono costruite per caso e necessità e tendono ad essere complesse, al contrario di quelle artificiali». La logica di Myers è pari solo a quella di Odifreddi…sostanzialmente dice che la cellula umana è complessa, ma ciò che è costruito da una mente intelligente in realtà è una cosa semplice, come un muro di mattoni. Si conferma dunque la terribile ignoranza circa l’utilizzo del termine “complessità” usato in biologia. Ad esempio, il microbiologo Michael Denton dice della cellula: «è una vera e propria micro-fabbrica in miniatura, contenente migliaia di pezzi intricati con eleganza nel macchinario molecolare, composta da centomila milioni di atomi, molto più complicata di qualsiasi macchina costruita dall’uomo e senza parallelo nel mondo non-vivente». E parla solo di una cellula tra le oltre 100 mila miliardi presenti nell’essere umano, tutte con un funzionamento molto specifico, uno scopo, un obiettivo. Come si può paragonare questo tipo di complessità a quello di una catasta di legna?

    Se questi sono gli argomenti che coloro che si fanno chiamare “razionalisti” utilizzano per criticare altrettanti discutibili ragionamenti, allora anche noi ci domandiamo: «Myers è pazzo? Quest’uomo ha completamente abbandonato qualsiasi parvenza di razionalità? Come è possibile che il suo pubblico continui a stare seduto davanti a tutte queste sciocchezze, muovendo la testa su e giù in segno di approvazione, come fa il cane giocattolo dal lunotto della macchina?».

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    00 13/06/2011 07:52

    L’astrofisico Benvenuti commenta gli errori scientifici nel libro di Margherita Hack

    L’astrofisico Piero Benvenuti, docente presso l’Università di Padova, staff member dell’Agenzia Spaziale Europea, sub-commissario dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Direttore dell’Osservatorio IUE, già responsabile scientifico Europeo del progetto “Hubble” e Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha commentato l’ultima fatica dell’affaticata militante atea ed ex-scienziata Margherita Hack (89 anni).

    L’astrofisico osserva inizialmente come nel suo ultimo libro, “Il mio infinito” (Dalai editore 2011), la Hack ricicli la sua storia dell’astronomia, già apparsa in varie forme e sotto titoli diversi nei suoi molti volumetti divulgativi. La prima parte dell’articolo di Benvenuti è rivolto agli errori scientifici commessi dalla ex scienziata, campo nel quale «dovrebbe essere di competenza professionale dell’astronoma più famosa d’Italia». Cita ad esempio la soluzione alla domanda “perché il cielo notturno è buio” (detto “paradosso di Olbers”), che la Hack riconduce solamente al tempo finito dell’evoluzione dell’universo e non ne menziona invece la vera causa, ovvero l’espansione dello spazio-tempo. Errore da matita rossa per uno studioso del cielo. Un’altra gaffe di nonna Hack è sul principio di indeterminazione, induce infatti a credere (per puri intenti filosofici) che il vuoto quantico sia equivalente al nulla. Commenta l’astrofisico: «la buona divulgazione non dovrebbe mai travisare od oscurare i risultati consolidati della ricerca scientifica, soprattutto quando, come in questo caso, il lettore medio non è in grado di valutare criticamente la correttezza delle affermazioni». Ne ha parlato ad esempio anche l’astrofisico italiano Marco Bersanelli, quando spiegava che «il “vuoto” quantistico primordiale può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse. Questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo» (cfr Ultimissima 28/9/10). La Hack comunque «non è nuova nell’inventare spiegazioni “pseudoscientifiche”: in una trasmissione televisiva recente affermava che per deviare dal suo corso un asteroide sarebbe stato sufficiente farlo “attrarre” da una grossa astronave!». Forse anche le nozioni di meccanica celeste vanno riviste, commenta ironico. Qualche mese fa ha invece sostenuto che avrebbe spiegato ai bambini come il Big Bang sia solo una “grande scorreggia dell’Universo“. Il matematico de La Sapienza di Roma, Giorgio Israel, oltre a soprannominare questa teoria la “cosmopetologia di Margherita Hack”, ha mostrato le contraddizioni dell’affermazione.

    Nella seconda parte dell’articolo apparso su Il Sussidiario, Benvenuti si concentra sull’ultima parte del libro della Hack, dedicato al proselitismo ateo. Lo fa in modo molto cortese e rispettoso, quasi in dialogo con l’ex scienziata. Accenna al fatto che «l’immagine del Cristianesimo che si è radicata nella sua mente, poco ha a che fare con il pensiero dei Padri della Chiesa e con la teologia attuale», sottolinea come in alcuni punti abbia inconsapevolmente gli stessi pensieri di San Tommaso d’Aquino (circa l’impossibilità di ogni contrasto tra conoscenza razionale della realtà e conoscenza per fede, ad esempio) e le dà atto per un’affermazione stranamente equilibrata e indice di un radicale cambiamento rispetto al passato. La Hack infatti riconosce ad un certo punto: «tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue i casi di fede, di risposta a bisogni personali diversi». Chiudendo l’articolo, l’astrofisico Benvenuti, parla dell’amore di cui la professoressa spesso racconta verso le stelle e l’universo, la sua famiglia, i suoi libri, il suo pubblico, i suoi gatti e anche il valore etico dell’essenza dell’annuncio cristiano (come ha ammesso più volte). Per questo la invita ad avere coraggio e «sollevare il lembo del velo d’amore che ci (e ti) ricopre, scopriresti che il Dio di cui neghi l’esistenza non è affatto il vecchio severo che attende impassibile in cielo di premiare i buoni e castigare i cattivi: è molto più vicino, qui ed ora».

    Dobbiamo infine dare atto alla Hack anche del fatto che lei stessa si stupisce di quanto venga celebrata da una certa area sociale, non tanto per la sua ex-attività scientifica ma piuttosto per la sua posizione esistenziale. Di fronte alla recente richiesta della rivista Micromega (che caso, vero?) di nominarla senatrice a vita, la Hack ha infatti risposto con sorpresa: «È un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla» (cfr. DireDonna 17/5/11).

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    00 12/07/2011 23:07

    Il matematico Borzacchini contro Odifreddi: «credo a Gesù e alla scienza»

    Avevamo già avuto modo di parlare del sorprendente lavoro che sta facendo ultimamente il quotidiano l’Unità, l’ex giornale del PCI, verso i cattolici e Benedetto XVI. In Ultimissima 19/1/11 informavamo che aveva preso le difese del Pontefice sulla questione dell’educazione sessuale nelle scuole, in Ultimissima 21/1/11 bacchettava invece Paolo Flores d’Arcais a causa di uno dei suoi tanti tentativi di diffamare il Papa. Pochi giorni fa dava spazio a Luciana Castellina, la quale prendendo una posizione politicamente scorretta dichiarava di essere contro la neutralità dei generi (si nasce maschi e femmine).

    Ieri il quotidiano ha invece pubblicato una lettera del matematico Luigi Borzacchini, docente di logica matematica e di Storia della Matematica presso l’Università di Bari, il quale ha risposto all’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi (“Caro Papa ti scrivo”), di cui abbiamo parlato in Ultimissima 18/6/11.

    Anche Borzacchini nota che l’opera di Odifreddi «sembra più profonda e riflessiva, e talora meno polemica di altre tue cose sul tema. Soprattutto ci intravedo la percezione della complessità del “fatto” religioso e credo che partendo di qui la distanza tra credenti e atei non sia poi tanto vasta». Tempo di maturità per l’invasateo più famoso d’Italia, alla bellezza di 61 primavere…

    Il docente di Bari, dopo essersi dichiarato cristiano (e “di sinistra”), anche se non particolarmente devoto, riflette: «mi sono chiesto perché tra religione e pensiero scientifico e laico io non trovo i contrasti evidenziati nelle tue parole (e anche in quelle del Papa): per me credere in Cristo e nel contempo esaltare la ragione laico-scientifica è, se non facile, sicuramente possibile, ed è per giunta un’avventura del pensiero tra le più affascinanti». Questo perché «ho un’idea della matematica (e della scienza) diversa da quella su cui mi sembra che voi due, papa reale e aspirante papa pentito, finiate col concordare: fate della matematica/logica lo strumento linguistico/ideologico e lo scheletro formale della scienza, fisica soprattutto. Il che per te è sinonimo di razionalità, per il Papa di scientismo freddo e formalista».

    Ritiene dunque che il contrasto tra pensiero matematico e religione sia solo dovuto «al dogmatismo filosofico che caratterizza tanto i teologi quanto gli atei: svanito questo, svanisce anche quello». Addirittura pensa che Odifreddi, grazie ad alcune sue critiche, stia facendo molto bene alla Chiesa, tanto da essere beatificabile, anche se -aggiunge- «credo che spesso tu faccia polemica per puro amore della polemica e per difendere la tua “immagine”». Lo bacchetta poi sul tentativo di ridurre i suoi argomenti a una presupposizione positivista, e aggiunge: «credo che abbia ragione il Papa a considerare incompleta la ragione scientifica, ed abbia ragione tu a considerare incompleta la ragione teologica. Ma non potete dialogare poiché entrambi cercate nella filosofia la completabilità della vostra ragione».

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    00 26/09/2011 22:29

    Nel 2013 la teoria del Multiverso verrà confermata o confutata?

    Da qualche mese è nato un sito web molto interessante, è quello del biologo e insegnate Enzo Pennetta (www.enzopennetta.it). E’ aggiornato abbastanza frequentemente e gli articoli che appaiono sono decisamente da prendere in considerazione.

    Recentemente Pennetta ha parlato delle dichiarazioni del cosmologo della University College di Londra, Hiranya Peiris, il quale ritiene che studiando la radiazione cosmica di fondo sia possibile provare o meno la teoria del Multiverso, cioè l’esistenza di universi paralleli al nostro. Bisognerà però aspettare il 2013, quando saranno elaborate le osservazioni del Planck telescope. Secondo Peirs «potrebbe fornire all’idea una base più solida, o la confuterebbe». La teoria del Multiverso, come ha anche spiegato Michele Forastiere presentando il suo libro “Evoluzionismo e cosmologia” (Cantagalli 2011) (cfr. Ultimissima 19/5/11), nasce per spiegare l’incredibile quantità di “casualità” che ha permesso la vita nell’Universo e la nascita dell’essere umano. Come disse Freeman Dyson, infatti sembra proprio che “l’universo ci stava aspettando”, cioè che sia fatto apposta per far nascere la vita. Quest’idea ovviamente, che è poi la questione del “principio antropico“, rimette l’uomo al centro del cosmo, collidendo con l’ipotesi neodarwiniana di un meccanismo che abbia alla base solamente “caso e selezione”.

    Per sminuire l’importanza dell’uomo (con ovvi intenti filosofici e anti-teistici) i neodarwinisti hanno dunque postulato l’esistenza di miliardi di altri universi, ciascuno con differenti costanti e leggi fisiche. In questo modo, in mezzo a tanta varietà, sarebbe plausibile trovarne uno con le caratteristiche giuste per la nascita e l’evoluzione della vita. In poche parole -continua Pennetta-, per salvare il caso come unica origine della complessità del vivente, è necessario moltiplicare infinitamente le “partite” giocate dal caso, in modo che almeno una, quella nel nostro universo, dia come risultato la improbabilissima combinazione vincente.

    Il tentativo nasce anche sull’evidente e sempre maggiore incompetenza della teoria neodarwiniana di reggere alla modernità, costretta ad aggrapparsi all’indimostrabilità (antiscientifica) dell’esistenza di universi infiniti. Ma se Peiris ha ragione, nel 2013 ci sarà la svolta: o la teoria del multiverso sarà confutata, e allora bisognerà dare una nuova spiegazione al principio antropico o ammettere che l’universo ha una regolazione fine, e dunque postulare sensatamente un progetto teleologico, oppure la teoria del multiverso verrà confermata. Ma anche se fosse non potremo mai sapere nulla su questi altri universi e la questione rimarrà sempre un’ipotesi aleatoria. In ogni caso, conclude il biologo, «saranno tempi difficili per evoluzionisti come Richard Dawkins che dovrà rinunciare ad appoggiarssi all’idea di un multiverso o, nella migliore delle ipotesi, dovrà ammettere di non sapere, e di non poter mai conoscere anche in futuro, cosa esattamente sia avvenuto e ancora avvenga negli altri universi».

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    00 01/11/2011 22:52

    Il biologo Colin Tudge critica  l’ultimo libro di Richard Dawkins

    Per la sua opera di proselitismo ateo Richard Dawkins punta direttamente ai bambini dedicando loro un libro. Uscito a settembre, “The Magic of Reality” si propone come strumento indispensabile per quei genitori che vogliono educare i loro figli all’ateismo, mitigando, con parole dolci, il peso di una frustrante verità. Sui siti inglesi si rincorrono le recensioni e, ovviamente, non manca chi replica. E’ il caso di Colin Tudge, biologo di Oxford, noto per la sua attività divulgativa presso le più importanti riviste e testate giornalistiche, “The Times”, “The New Scientist”, “Nature”, per citarne alcune. In un suo recente articolo per “The Independet”, Tudge commenta l’ultima fatica di Dawkins smontandone abilmente i contenuti.

    Scrive il biologo: «Dawkins accusa i cattolici di educare i bambini ad una particolare visione della vita prima che loro abbiano modo di pensare con la propria testa. Ora, in “The Magic of Reality”, rivolto ai lettori di nove anni, Dawkins fa esattamente la stessa cosa. Afferma che “la realtà è tutto ciò che esiste” e con “esiste” intende tutto ciò che possiamo vedere con i nostri occhi, toccare con le dita, osservare e studiare con microscopi e telescopi. Il resto, comprese le cose di cui potremmo ipotizzare l’esistenza (come la gelosia e l’amore), è in gran parte illusorio». Continua poi Tudge: «Quattro secoli prima di Cristo, Platone sosteneva che la realtà ultima non è rappresentata dalla sostanza, ma dall’idea. San Giovanni Evangelista scrive che “In principio era il Verbo”, dove “verbo” è tradotto dal greco “logos” il quale può essere usato per intendere “idea”, ma anche “mente”. Molti filosofi, come Baruch Spinosa, hanno affermato che la coscienza non è solo un rumore prodotto dal cervello, ma parte del tessuto dell’intero universo. Negli ultimi novant’anni, i fisici quantistici, a partire da Bohr e Erwin Schrödinger, hanno dimostrato che la mente simula il risultato degli esperimenti condotti sulle particelle fondamentali. Alla luce di queste riflessioni, ci si rende conto di quanto “grezzo” sia il materialismo di Dawkins».

    Lo scienziato di Oxford prende poi in considerazione l’assurda speranza di onniscenza che l’autore del libro ripone nella ricerca scientifica. Dawkins afferma che conosciamo esattamente come funziona il DNA. Questo tuttavia è «falso, assurdo e pericoloso. Se fosse vero non ci sarebbe più nulla da scoprire. Tuttavia “Nature” pubblica continuamente nuove scoperte sull’epigenetica», la scienza che studia la costante relazione tra l’ambiente ed il DNA. «L’idea di onniscenza si è dimostrata estremamente pericolosa, sin dall’inizio del novecento, con l’avvento dell’eugenetica. Oggi, un ramo della classe industriale promuove ricerche per riprodurre in laboratorio intere coltivazioni ed allevamenti (persino noi stessi), tramite l’ingegneria genetica. Eppure la più grande lezione del ventesimo secolo – scrive Tudge – è che la scienza non si può occupare di certezze: che tutti i suoi risultati non sono che verità parziali e provvisorie, in attesa di essere scagliate dal loro piedistallo».

    A conclusione della sua analisi, l’autore analizza l’aspetto della religione. Dawkins afferma che «le persone veramente “religiose” sono obbligate a credere a tutti i miti e ai miracoli propri della loro tradizione, pur essendo ovvio che sono privi di fondamento». Ma, come spiega Tudge, la religione non dipende certo da questi aspetti«Né è vero, come Dawkins sostiene, che i miracoli possano essere paragonati alla zucca di Cenerentola. Tra l’altro, non bisogna essere cattolici per trovare grottesca la sua descrizione della Vergine Maria: “una specie di dea di una religione locale”». Tudge plaude invece alle parole di Dawkins quando parla dell’aspetto apparentemente fondamentale del suo libro: «La scienza è di per sé magica perché contribuisce a dimostrare quanto sia meraviglioso il mondo in cui viviamo. Ma l’idea che le scoperte scientifiche siano in contrasto con la religione non può favorire nessuno. Nel diciassettesimo secolo, – conclude l’autore – i fondatori della scienza moderna (Galileo, Newton, Cartesio, Leibniz, Boyle, John Ray) erano tutti credenti. Secondo loro, esplorare l’universo era un modo per glorificare Dio. Anche Bach ha detto lo stesso della sua musica. A confronto, la visione ultra materialista di Dawkins è obsoleta».
    Conclude ironicamente Tudge: «Come non credere ai miracoli quando un libro del genere si autodichiara un valido contributo all’educazione dei nostri figli?».

    Filippo Chelli

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    00 29/11/2011 22:08

    Filosofi e scienziati continuano a criticare Richard Dawkins

    L’ex zoologo Richard Dawkins, uno degli ultimi promotori dell’ateismo scientifico e del positivismo filosofico, nonché il leader del movimento religioso dei “New Atheist” è ormai visto sempre più dalla stampa come un personaggio negativo. Recentemente si era espresso il biologo Colin Tudge, smontando completamente l’ultima fatica del noto pensionato. Ma tra ottobre e novembre ci sono state tante altre prese di posizione, ne segnaliamo tre.

    Lo storico e filosofo Tim Stanley su “The Telegraph” ne ha parlato così: «Richard Dawkins è un idiota o un codardo». Il motivo è l’ormai noto rifiuto di Dawkins a confrontarsi con un filosofo e teologo cristiano molto importante, William Lane Craig, preferendo personaggi con un profilo più basso. Ha anche citato il suo “vuoto intellettuale”.

    Il filosofo Daniel Came, docente presso l’Università di Oxford, ha spiegato  sul “Guardian” come Dawkins non abbia mai detto nulla di significativo: «Nonostante il suo tono di autocompiacimento, “L’illusione di Dio” non contiene argomenti originali per l’ateismo. Dawkins sostiene che non siamo giustificati a postulare un progettista come la migliore spiegazione della comparsa dell’universo, perché poi emergerebbe un nuovo problema: chi ha progettato il progettista? Questo argomento è vecchio come le colline e ogni studente del primo anno di filosofia saprebbe sottolineare è palesemente invalido. Una spiegazione, per avere successo, non ha bisogno di una spiegazione della spiegazione. Si potrebbe anche dire che l’evoluzione per selezione naturale non spiega nulla, perché non fa nulla per spiegare perché ci sono stati gli organismi viventi sulla terra, oppure che il big bang non riesce a spiegare la radiazione cosmica di fondo perché il big bang è di per sé inspiegabile». L’unica cosa nuova di Dawkins, continua il filosofo, è la volontà «di sminuire i credenti e la furia delle sue polemiche. Il nuovo ateismo è certamente ben lontano dal modello di interlocuzione civile tra il “vecchio ateo” Bertrand Russell e Padre Copleston, trasmesso su BBC Radio nel 1948. I nuovi atei potrebbero imparare molto da autori del calibro di Russell, il cui complesso approccio era più potente, filosofico e nello stesso tempo rispettoso». E ancora: «c’è qualcosa di cinico, minacciosamente paternalistico, e anti-intellettualistico nel loro modus operandi».

    Il docente di biochimica presso l’University College Cork, William Revill, ha sostenuto sull’”Irish Time” che la diffusione del creazionismo è dovuta sopratutto «dall’aggressiva campagna contro la religione condotta dai “New Atheist”, guidati da Richard Dawkins. Questo movimento è l’altra faccia della medaglia fondamentalista al creazionismo. Ha lo scopo di sbarazzarsi di tutte le forme di religione, non importa quanto moderate o diffidenti siano, e sviscera pubblicamente i credenti, definendoli “deliranti e irrazionali”.

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    00 09/12/2011 11:48

    Sul Washington Post ci si chiede:

     “Ha senso domandare chi ha creato Dio?”

    Il “Washington Post”, uno dei quotidiani più diffusi nel mondo, sta ultimamente pubblicando diversi articoli di Vasko Kohlmayer, un convertito al cristianesimo, nato e cresciuto sotto il comunismo e l’ateismo di stato sovietico. Abbiamo già ripreso uno suo articolo sulla contraddizione della posizione atea in Ultimissima 11/11/11.

    Alcuni articoli sono poco efficaci, come questo, altri invece sono sicuramente più interessanti. E’ il caso di quello pubblicato il 12 novembre scorso, sempre sul prestigioso quotidiano americano, nel quale affronta il vecchio argomento del “Chi ha creato Dio?” che viene fatto resuscitare ancora oggi da qualche anti-teista (che però contemporaneamente si fa chiamare inspiegabilmente “New Atheist”). Kohlmayer inizia ad affrontare il discorso dicendo che “tutto ciò che comincia ad esistere deve essere causato da qualcosa”. Indipendentemente dai tentativi di Hume, oggi il principio causa-effetto è alla base della mentalità scientifica. Dal momento che l’universo ha cominciato ad esistere -nel Big Bang, dicono oggi gli scienziati- l’universo deve aver avuto una causa. Il cristianesimo ha sempre sostenuto che è Dio ad aver creato l’Universo e la descrizione del Big Bang richiama in modo inequivocabile quella che, assolutamente senza alcuna pretesa scientifica, viene data nella Genesi. Per tentare di controbattere a questa evidenza, gli anti-teisti si sono divisi in due gruppi (non per forza distinti): (1) c’è chi sostiene che l’universo abbia potuto emergere dal nulla in modo casuale e (2) chi obietta che, se l’universo deve avere avuto una causa, allora deve averla anche Dio. Se Dio non è stato creato, dicono, allora nemmeno l’universo ha bisogno di essere creato. Ci si concentra ora su questa seconda obiezione.

    San Tommaso d’Aquino ha già risposto in modo impeccabile a questa critica sostenendo la Causa incausata: partendo dall’esigenza metafisica secondo la quale la contingenza degli enti implica l’essere necessario assoluto (e non un necessario relativo), ha detto: «Se dunque l’ente da cui una cosa è mossa è a sua volta mosso, è necessario che sia mosso da altro e questo da altro ancora: ma non si può così procedere all’infinito, perché allora non vi sarebbe un primo motore e per conseguenza non vi sarebbe nessun motore, in quanto i motori secondi non muovono se non sono mossi dal primo [...]. Perciò è necessario giungere a un primo motore non mosso da altro: in esso tutti riconoscono Dio». Si tenga conto che il termine “motus” indica per Tommaso il “divenire”, la “mutazione continua delle cose”, ovvero il passaggio dalla potenza all’atto, partendo dalla limitatezza e contingenza di ogni ente. Solo Dio è l’Essere perfetto che non “si muove”, dunque non può perdere o acquisire una sua perfezione entitativa. Non è un moto “fisico” quello postulato da Tommaso e dunque le critiche che gli sono state fatte si sono basate su un fraintendimento e non sono da ritenersi valide. «Dunque è necessario porre una prima causa efficiente che tutti chiamano Dio», sostiene l’Aquinate. Tommaso distingue la Causa prima dalle cause seconde, la necessaria causa prima deve essere incausata, perché se non lo fosse ci sarebbe un’altra causa e quindi non sarebbe più la prima.

    Tuttavia il pensatore russo Kohlmayer, naturalizzato americano, non svaluta l’argomento “Chi ha creato Dio?” partendo direttamente da Tommaso (anche se si muove in modo parallelo), ma sostiene che tale obiezione sia sbagliata sostenendo l’evidenza che non c’è alcun bisogno di avere una spiegazione della spiegazione per riconoscere logicamente che una spiegazione sia la migliore spiegazione. Per farsi spiegare meglio utilizza questa analogia: «Immaginate che la NASA invii una sonda su Plutone. Dopo anni di viaggi nelle profondità del sistema solare, la sonda finalmente atterra sul pianeta. Nel filmato che viene registrato si vede quello che sembra essere un deposito di rottami di un complesso macchinario. Tutti dovremmo concludere immediatamente che questo apparecchio è stato costruito e messo lì da qualcuno, da qualche civiltà avanzata». Questa sarebbe la spiegazione migliore e più logica e non abbiamo alcun bisogno di spiegare “qual’è”, “chi è” o “come è nata” questa civiltà avanzata per affermare che si tratta della spiegazione migliore alla domanda “Chi ha creato quel macchinario?”. «Rifiutare questa conclusione sulla base del fatto che non sappiamo nulla circa i creatori», continua Kohlmayer, «sarebbe un errore logico». La stessa logica vale per “l’argomento cosmologico”.

    Conclude quindi suggerendo una strada migliore e più efficacie agli anti-teisti: «Coloro che vogliono mettere in discussione questo argomento in modo logicamente valido dovrebbero mettere in discussione le sue premesse, ovvero cercare di dimostrare che qualcosa può venire all’esistenza senza una causa [come ha tentato di fare recentemente con pessimi risultati Stephen Hawking] o che l’universo esiste da sempre e non ha bisogno di una causa. Dire che “l’argomento cosmologico” non è valido perché non spiega l’origine di Dio è solo una scappatoia per evitare l’ovvia conclusione a cui conduce l’argomento. Tale conclusione è questa: l’universo è stato posto in essere da una Causa trascendente, che noi normalmente chiamiamo Dio».

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    00 09/12/2011 12:23

    William Lane Craig rovescia gli argomenti di Dawkins:

    tre prove a favore di Dio

    Il 25 ottobre 2011 presso il Sheldonian Theatre di Oxford, Richard Dawkins è stato invitato dall’associazione di studenti cristiani della prestigiosa università a difendere il suo libro “L’illusione di Dio” durante un dibattito pubblico con il filosofo e teologo William Lane Craig. L’invito è purtroppo stato rifiutato da Dawkins e la sua sedia è rimasta simbolicamente vuota, tanto che la stampa inglese l’ha accusato di essere “un codardo”, come abbiamo già avuto modo di sottolineare. Craig ha comunque tenuto il suo discorso sottolineando le debolezze degli argomenti centrali del libro del noto polemista anti-religioso. Usando gli argomenti di Dawkins contro l’esistenza di Dio, il filosofo ha voluto ribaltare le affermazioni delineando tre prove dell’esistenza di Dio.

     

    1) Argomento cosmologico:

    Richard Dawkins intende rilevare l’irragionevolezza del postulare un Creatore scrivendo: «Anche se ci concediamo il dubbio lusso di far comparire arbitrariamente un essere che pone fine a un processo infinito e di dargli un nome solo perché ci serve, non c’è nessun motivo di attribuirgli le proprietà di norma ascritte a Dio: onnipotenza, onniscienza, bontà, progettualità, nonché attributi umani come l’esaudimento di preghiere, il perdono dei peccati e la lettura dei pensieri più riposti».

    Ma, come afferma Craig, l’argomento cosmologico non vuole indicare le caratteristiche di onnipotenza, onniscienza, bontà, creatività, capacità di ascoltare preghiere come afferma Dawkins, se per lui chiamare “Dio” la causa dell’universo è fuorviante -continua- possiamo usare un altro nome. Dawkins ha confuso (volutamente?) i piani.

    William Craig, partendo dall’argomento avanzato da Dawkins, sostiene:
    1. Tutto ciò che ha cominciato ad esistere ha una causa.
    2. L’universo cominciò ad esistere.
    3. Quindi l’universo ha una causa.

    Il filosofo fa notare come esistano prove sia scientifiche che filosofiche a sostegno dell’affermazione che l’universo ha cominciato ad esistere e dunque ha avuto un inizio. Anche nel caso della reale esistenza del “multiverso”, niente verrebbe risolto perché anche questo avrebbe bisogno di una causa iniziale di esistenza. La sua argomentazione prosegue poi indicando le caratteristiche che questa causa dell’universo deve possedere, deve essere: “immateriale, atemporale,s enza cambiamento e possedere una potenza inimmaginabile”.

     

    2) Argomento morale:

    Dawkins per sostenere l’inesistenza di Dio diventa un estremo relativista: «Non c’è nessun design, nessuno scopo, nessun male, nessun bene, niente, ma indifferenza impietosa, noi siamo macchine il cui unico scopo è propagare DNA…».
    Ma, fa notare Craig, una volta che Dawkins ha negato l’esistenza del male e del bene, si dimostra invece un testardo moralista. Lui infatti ha più volte condannato vigorosamente azioni come: molestie sessuali, discriminazione degli omosessuali, indottrinamento religioso dei bambini, il sacrificio umano. Dawkins ci propone perfino dei suoi personali “10 comandamenti” che contraddicono il suo relativismo etico. E’  il primo a non credere a ciò che scrive.

    Craig, partendo dall’argomento di Dawkins, sostiene invece:
    1. Se Dio non esiste non ci sono valori morali oggettivi.
    2. Valori morali oggettivi esistono.
    3. Quindi Dio esiste.

     

    3) Argomento teleologico:

    Richard Dawkins, tentando di sminuire la forza del principio antropico, si rifugia nel Multiverso e scrive: «Il multi verso potrebbe sembrare stravagante nel suo avere così tanti universi, ma se ciascuno di questi è semplice nelle sue leggi fondamentali, noi non stiamo postulando niente di altamente improbabile».

    Tuttavia, Craig fa le seguenti obiezioni:
    1) Nessun universo nel “multi verso” è semplice, perché è caratterizzato da una molteplicità di costanti, se tutti gli universi erano semplici perché Dawkins ha sentito il bisogno di rifugiarsi nel “multi verso”?
    2) Dawkins ritiene che la semplicità del tutto è dovuta dalla semplicità delle parti che compongono questo tutto, ma questo è un errore ovvio, un mosaico complesso per esempio è composto da un grande numero di piccole e semplici parti, nello stesso modo il multi verso è complesso anche se gli universi che lo compongono sono semplici.
    3) Il rasoio di Occam ci dice di non moltiplicare entità all’infuori del necessario e Dawkins fa esattamente questo per spiegare il “fine-tuning”.

    Rovesciando l’argomento di Dawkins, Craig sostiene:
    1. Il “fine-tuning” dell’universo può essere dovuto da: a) Necessità fisiche. b)Il caso. c) Design.
    2. Il “fine- tuning” non può essere dovuto da necessità fisiche o casuali.
    3. Quindi è dovuto da un Design.
    La prima possibilità (“necessità fisiche”), è altamente improbabile perché le costanti sono indipendenti dalle leggi della natura. Dawkins ci fa sapere che anche Sir Martin Rees rigetta questa ipotesi e dice di essere d’accordo con lui.
    La seconda alternativa (“il caso”), appare irragionevole perché è irragionevole continuare ad usare il “caso” per spiegare l’incredibilità del “fine tuning”. Consapevole di questo, deve infatti ricorrere al Multiverso per tentare di sminuirne la portata, incappando però nelle contraddizioni fatte notare poco sopra.

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    00 21/01/2012 23:34

    Il filosofo Richard Schröder contro gli argomenti di Richard Dawkins

    Brutto momento per Richard Dawkins, l’anti-teista militante più famoso di oggi. Recentemente è stato fortemente criticato e accusato di “codardia” per essersi rifiutato di discutere con un dotto teologo americano, William Lane Craig, considerato un “mangia-atei-a-colazione” (rivelatosi tale nel confronto con Christopher Hitchens), privilegiando troppo spesso soggetti di minor profilo (cfr. The Telegraph 30/5/11). Contestazioni e ironie sono piovute da ogni dove, e, in particolare, da New Statesman, rivista politica britannica di sinistra, che gli ha dedicato un articolo dal titolo “Perché Dawkins delude”, dove vi si trova scritto che: «è regolarmente riconosciuto che i “nuovi atei”, come Dawkins, non siano intellettualmente eccezionali» e che «non c’è mai stato un argomento filosofico molto convincente per la non esistenza di Dio».

    Anche Il Sole 24 ore, importante quotidiano italiano, ha dato spazio ad una critica verso Dawkins, pubblicando la recensione di mons. Ravasi ad un nuovo libro che, ancora una volta, confuta ogni argomentazione presente nel best-seller dello scienziato britannico intitolato “The God Delusion“. L’autore di questo nuovo volume, dal titolo“Liquidazione della religione? Il fanatismo scientifico e le sue conseguenze (Queriniana 2011) è Richard Schröder, filosofo, teologo, giudice costituzionale del Brandeburgo, presidente del senato della Deutsche nationalforschung di Weimar, membro del Consiglio nazionale di etica e dell’Accademia delle scienze di Berlino, insignito di vari premi e lauree honoris causa e infine docente alla Humboldt-Universität di Berlino.

    Sul quotidiano italiano si legge che Schröder «non ne perdona una allo scienziato inglese, a partire dalla tradizionale accusa scagliata contro la religione, di essere fonte inesausta di crociate, cacce alle streghe, eccidi, persecuzioni, anche perché egli stesso ha provato sulla sua pelle la poco piacevole esperienza di anni vissuti sotto un regime sostanzialmente ateo com’era la Ddr, i cui miti erano allora Stalin, Mao, Pol Pot e compagni. Ma il suo attacco a Dawkins, il cui testo è vagliato impietosamente riga per riga, va ben oltre questo terreno piuttosto estrinseco e punta alla tesi di fondo», cioè alla strumentalizzazione della teoria evolutiva (che diventa “evoluzionismo”) usata «come una clava per sbeffeggiare e demolire ogni religione o forse per propugnarne un’altra, quella dell’ateismo, perché egli esplicitamente afferma di voler “convertire” il suo lettore all’ateismo». Dawkins vorrebbe spiegare tutto ciò che esiste con la selezione naturale, che -citando lo studioso tedesco- è come se «uno ti conducesse in una galleria di quadri e ti dichiarasse: “posso spiegarti brevemente tutti questi quadri, essi sono tutti quanti fatti di atomi! E così avremmo finalmente capito tutto». L’analisi di Schröder è «serrata e argomentata e prende di mira una serie di corollari elaborati da Dawkins». Il quotidiano concorda con la critica del filosofo tedesco, sostenendo che «Dawkins ha spesso di mira il discutibilissimo creazionismo americano ma paradossalmente ne adotta l’ermeneutica fondamentalista».

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    00 12/02/2012 15:35

    Contrordine, prof. Hawking: l’Universo ha avuto un inizio, ma non sappiamo come!

    Il 3 gennaio scorso è uscito il libro “A Universe from nothing. Why there is something rather than nothing” (Free Press 2012) del fisico americano L. Krauss, con postfazione di R. Dawkins. Per il biologo inglese esso avrà una risonanza pari all’”Origine delle specie” di Darwin, perché contiene una scoperta scientifica che “dà il colpo del KO al soprannaturalismo”. Ammaliato dal sottotitolo che promette di rispondere alla madre di tutte le domande della metafisica, ho scaricato da Amazon la versione kindle e sono andato a leggermi la rivelazione. Qual è? Sempre la stessa: la proprietà quantomeccanica del vuoto fisico di produrre coppie di particelle-antiparticelle. Questo fenomeno di separazione dell’energia e della sua trasformazione in materia è promosso a “creazione ex nihilo” dal duo Krauss-Dawkins, e di qui, con un altro volo pindarico, estrapolato metafisicamente per dedurre che l’intero l’Universo è sorto da nulla, per caso.

    Sono ormai trent’anni, da quando nel 1983 J. Hartle e S. Hawkingpubblicarono la ricerca “Wave Function of the Universe”, che ritorna periodicamente alla ribalta la stessa novella come se fosse ogni volta una nuova scoperta destinata a segnare uno spartiacque nella storia. Il fisico e teologo polacco J. Å»yciÅ„ski racconta che Hawking fu subito così entusiasta della sua scoperta, che corse ad esporla alla prima riunione utile della Pontificia Accademia delle Scienze, aggiungendo la ciliegina finale che essa eliminava dalla fisica la necessità di un Creatore. Era presente Giovanni Paolo II, che non mosse ciglio. In seguito Hawking si lamentò con Å»yciÅ„ski dell’imperturbabilità del pontefice, perché contava di venire condannato come Galileo, di cui egli si considera la reincarnazione essendo nato lo stesso giorno (tre secoli dopo) della morte del pisano. A chi gli riferì del disappunto di Hawking, Giovanni Paolo disse che in fisica non c’è ragione di nominare Dio, aggiungendo, con una piccola lezione di epistemologia, che la scienza sottintende però questioni come l’esistenza delle leggi di natura o l’intelligibilità del cosmo e solo se esse vengono negate in sede filosofica occorre intervenire. Dal 1983 si è perso il conto dei libri di “divulgazione scientifica” contenenti le estrapolazioni del vuoto fisico al nulla metafisico e di coppie di particelle all’Universo: tra questi, 8 sono del solo Hawking, l’ultimo dei quali risale allo scorso anno ed è stato da me commentato qui.

    Dove stanno gli errori di un proclama che ha a che fare più col gioco delle tre carte che con la scienza galileiana? Mi fermo a due, rinviando per gli altri al commento su citato. 1) Il vuoto fisico non è il nulla: nulla significa “ni-ente” (non essere), né materia né energia, né spazio né tempo, né alcuna proprietà fisica; il vuoto fisico invece è “qualcosa” fisicamente esistente nello spazio-tempo, rappresentato in meccanica quantistica da un vettore di stato a norma diversa da zero, con proprietà caratteristiche. Nella teoria delle stringhe poi, o meglio nella sua versione aggiornata, la teoria M, le “membrane” che rappresentano gli universi del multiverso sono separate dal “bulk” che non è “nulla”, ma un iperspazio a molte dimensioni con struttura riemanniana. 2) La trasformazione del vuoto fisico in una coppia elettrone-positrone pre-assume l’esistenza delle leggi della fisica, in particolare della relatività generale per le proprietà fisiche dello spazio-tempo, e della meccanica quantistica con le sue equazioni che governano l’evoluzione dei vettori di stato. Ci troviamo così, all’origine del mondo, non con nulla ma con almeno tre cose pre-esistenti ancora da spiegare, se la fisica lo potrà mai fare: le leggi fisiche, la struttura spazio-temporale quadri-dimensionale della relatività generale (o il bulk della teoria M a maggiori dimensioni spaziali) ed il vuoto fisico con le sue proprietà quantistiche.

    Invero Krauss-Dott. Jekyll è onesto quando fa il fisico, perché nei capitoli dedicati alla frontiera della cosmologia quanto-gravitazionale, che sono fatti bene, egli precisa che “nothing” va inteso come uno stato fisico instabile donde risulta pressoché inevitabile la produzione di materia; ancora, egli ammette la sussistenza di molte cose da chiarire, a cominciare dalla questione se la teoria del multiverso sia scientifica o no; condiscende che la teoria M non risolve il problema dell’origine delle leggi fisiche: in tutti gli altri universi del multiverso varrebbero infatti ancora, con altre costanti, le stesse leggi fisiche di origine inspiegabile del nostro Universo; e, infine, riconosce che tali questioni sono fuori dal suo mestiere, “almeno per ora”. Il Krauss-Mr. Hyde però, in formidabile sinergica accoppiata con Dawkins, dimentica presto questi problemini, per assumere le solite posizioni scientiste: KO sferrato al soprannaturale o piuttosto harakiri operato dalla parte scientifica del libro alla sua controparte metafisica?

    La smontatura più autorevole dei filosofemi del duo Krauss-Dawkins è venuta in tempo reale, nei giorni 4-8 gennaio, dalla platea meno prevedibile, un simposio di 27 super-selezionati cosmologi e premi Nobel per la fisica, confluiti a Cambridge per celebrare il 70° compleanno di un loro collega in pensione: il prof. Stephen Hawking! Un convegno che l’understatement britannico e la modestia dei convenuti, non inferiori a quella del festeggiato, non potevano non titolare “Lo stato dell’Universo”, e rispetto al quale il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato due settimane dopo dal presidente Obama al Congresso ha fatto, per il suo provincialismo, la figura del bilancio di un’assemblea di condominio. Ora, intendiamoci, non è che quegli studiosi – che, per definizione, sono i signori delle verità  più fondamentali e più universali (del momento) – si siano occupati del nostro duo: no, forse essi non sanno nemmeno dell’esistenza del sig. Krauss, fisico in Arizona, o del sig. Dawkins, ex-zoologo a Oxford. A Cambridge è accaduto un evento molto più grave: i festeggiamenti al cosmogono dell’universo nato da niente per caso si sono risolti in una sonora sberla alle sue speculazioni trentennali: “È stata dura andare alla festa di qualcuno e dirgli che aveva perso la scommessa per la seconda volta”, ha confessato il fisico canadese L. Lehner che, per conto di tutti i partecipanti, non ha deontologicamente potuto rinunciare all’ingrato compito. Quali sono le scommesse perse da Hawking? Procediamo con ordine.

    Dall’alba dell’umanità fino ad un secolo fa, la domanda fondamentale della metafisica Perché c’è qualcosa piuttosto che niente? aveva trovato solo due risposte possibili: o il mondo è stato creato da Dio o il mondo esiste da sempre. Se le cose sono da sempre, non c’è bisogno di postulare una base soprannaturale alla loro esistenza: come B. Russell disse in un vecchio dibattito radiofonico alla BBC col gesuita F. Copleston: “L’Universo è lì, e questo è tutto”. Questa opzione, però, cominciò a traballare dal 1917, quando A. Einstein fece un’applicazione cosmologica della relatività generale. Egli trovò che la sua teoria vieta un Universo di grandezza costante e predice invece che l’Universo si espanda in continuazione. Incredulo, Einstein introdusse nelle equazioni una correzione per controbilanciare l’espansione con una maggiore forza attrattiva della materia. Così, però, l’Universo va in equilibrio instabile, e la minima perturbazione lo fa implodere od esplodere. La correzione fu definitivamente ritirata. Qualche anno dopo, il matematico sovietico A. Friedman ed il fisico e sacerdote belga G. Lemaitre ricavarono indipendentemente la velocità di espansione dell’Universo dalle equazioni di Einstein. Nel 1929 le misure effettuate dall’astronomo americano E. Hubble dello spettro della luce proveniente dalle galassie evidenziarono un loro moto di allontanamento in tutte le direzioni ed i calcoli di Friedman-Lemaitre furono validati quantitativamente. Altre predizioni teoriche e verifiche sperimentali si succedettero nei decenni successivi e portarono infine al modello standard del Big Bang, con un Universo originatosi 13,7 miliardi di anni fa.

    Anche per la ripugnanza che taluni provano verso le implicazioni metafisiche di un assoluto inizio dell’Universo (“che ricorda da vicino la Bibbia”, Einstein), gran parte della ricerca cosmologica dell’ultimo mezzo secolo è stata impegnata ad escogitare modelli alternativi al Big Bang, capaci di ripristinare la confidenza scientifica in un Universo eterno. La prima parte della conferenza di Cambridge è stata dedicata alla rievocazione di questi tentativi e -a dimostrazione che anche gli scienziati hanno un cuore-, non nasconderò ai lettori che è scorsa qualche lacrima nelle omelie funebri succedutesi per commemorare le cadute, una dopo l’altra, dei modelli alternativi: dallo stato stazionario di Hoyle agli oscillanti eoni di big bang-big crunch di Lifschitz e Khalatnikov, dagli inflazionari più o meno caotici e più o meno quanto-gravitazionali di Linde e Guth, ecc. Niente da fare, per tutti i modelli possibili ed immaginabili ogni evidenza che abbiamo dice che c’è stato un inizio, ha allargato le braccia A. Vilenkin, co-autore di un famoso teorema del 2003 sul limite del tempo passato. Nemmeno l’ultimo candidato della serie, l’uovo cosmico, embrione degli infiniti universi del multiverso, può essere esistito da sempre, perché l’instabilità quantistica lo costringerebbe a collassare dopo un tempo finito, prima di dare origine ad un piccolo universo – ha illustrato nel suo speech lo stesso cosmologo conun nuovissimo teorema.

    E beh? Dove sono le scommesse perse che hanno rovinato l’augusto compleanno? Non l’aveva scritto già Hawking nei suoi libri (e, giù per li rami, Susskind, Randall, Filippenko, ecc., e tutti gli altri che da 30 anni battono lo stesso tasto, fino a Krauss e Dawkins ultimi arrivati) che l’Universo, o il multiverso, non è eterno ma ha avuto origine qualche tempo fa da un’oscillazione casuale del vuoto fisico? Cari lettori, intanto vi invito a non essere ingenui: perfino i geni matematici, ancorché incalliti abitatori delle nuvole, si rendono conto che bulk e vuoto fisico non sono per nulla un vero nulla, e che il ricorso al caso suona tanto di latinorum per nascondere al volgo l’insufficienza della scienza di fronte al mistero dell’essere! Ciò che voglio dire è che, dopo il fallimento strategico di tutti i modelli che puntavano a ripristinare un mondo eterno, la fluttuazione casuale del vuoto quantistico è, nel fondo dei cuori scientisti, solo un rifugio tattico teso a guadagnare tempo e a raffreddare le baldanzose schiere creazioniste sempre in agguato per sostituire la luce della scienza con la tenebra della superstizione! Comunque è vero: che Vilenkin abbia ribadito la finitezza del tempo passato per tutti gli universi è stata per Hawking solo una delusione attesa. La sberla è venuta dallo speech di Lehner che ha comunicato, finalmente, qualcosa di nuovo dopo decenni di frittate rigirate: l’esistenza diffusa di singolarità nude nel multiverso. Chiedo subito venia se a qualcuno dei lettori non addetti ai lavori sono brillati gli occhi, però devo dire che queste singolarità non hanno nulla di sexy. Al contrario: una singolarità, nuda o vestita che sia, è un punto nello spazio-tempo dove una grandezza fisica, per es. la densità di energia o il tensore di curvatura, diventa infinita. Con ciò, ipso facto, l’evento sfugge alla manipolazione matematica. Se poi quell’evento singolare è causalmente connesso agli eventi contigui normali, ciò significa che la fisica perde ogni capacità predittiva su tali eventi. Personalmente, io odio l’idea di trovarmi nelle vicinanze di una singolarità, perché non sono nemmeno sicuro se non esploderò da un momento all’altro in tante particelle o imploderò in un buco nero. Ma che cos’è la scienza senza capacità predittiva? Uno schioppo senza cartucce. Zero. Per fortuna, quando Hawking scoprì i buchi neri e la terrificante singolarità al loro centro, trovò che, essendo circondata dal buco nero (“vestita”), essa non può influire sugli eventi esterni e, quindi, le capacità predittive della fisica sono preservate fuori del buco (e anche la nostra sopravvivenza). Egli con prometeica fede nella scienza lanciò allora (1991) una sfida alla comunità scientifica: scommettiamo che non esistono nell’Universo singolarità “nude”, cioè non circondate da un buco nero? 6 anni dopo la perse, perché esse emersero, ancorché rare e di breve vita. Senza perdersi d’animo, Hawking si lanciò immediatamente in un’altra scommessa: è il multiverso delle molte dimensioni spaziali che vieta l’esistenza di singolarità nude, pronosticò. Invece, proprio alla sua festa di compleanno, i 27 migliori cosmologi dell’Universo sono andati a casa sua a dirgli che anche il bulk a 5 dimensioni presenta singolarità nude, e per giunta diffuse e stabili. Magari, se volesse scommettere per la terza volta su un multiverso a 10 o a 11 dimensioni…

    Se così stanno veramente le cose, ha chiuso Hawking i lavori sullo stato dell’Universo, “la scienza si squaglia e dovremmo appellarci alla religione mettendoci nelle mani di Dio”. Una conclusione opposta a quella detta 30 anni prima al Papa o del suo libro di appena 6 mesi fa, la cui perentorietà non sarebbe condivisa da Tommaso d’Aquino il quale giudicò: “Che il mondo non sia sempre esistito è tenuto soltanto per fede, e non può essere provato con argomenti dimostrativi”, e che non può essere condivisa dalla gente di buon senso, la quale forse non conosce la teoria delle stringhe, ma sa che la verità scientifica è sempre parziale, approssimata e soggetta a possibile falsificazione. Ma tant’è, questa è l’ultima contraddizione dei naturalisti: pretendere di poter dimostrare scientificamente l’esistenza del soprannaturale!

    Giorgio Masiero

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    00 26/02/2012 22:51

    Sindone: il fisico Di Lazzaro risponde alle (poche) obiezioni

    Il Centro di ricerche ENEA di Frascati ha recentemente pubblicato un documento scientifico di enorme portata per tutti gli interessanti alla Sacra Sindone, in quanto si conclude che la scienza non è oggi in grado di replicare l’immagine sindonica nella sua totalità, ma si è solo riusciti a realizzare una colorazione similsindonica attraverso un irraggiamento di un tessuto di lino tramite impulsi laser eccimero. Il dott. Paolo Di Lazzaro, fisico e dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche Enea di Frascati, ha anticipato questo studio proprio su questo sito web nell’ottobre scorso.

    La notizia ha fatto in breve tempo il giro del mondo, generando diverse reazioni. Molte appaiono dettate da puro nervosismo, come quella apparsa sul quotidiano britannico “The Telegraph”, dove si è voluto così titolare l’articolo con la notizia: “La Sindone è un falso. Fatevene una ragione”. Si nota come l’autore del testo, Tom Chivers, sia davvero preoccupato nel cercare di allontanare la possibile autenticità della Sindone dalla divinità di Cristo. Essendovi comunque presenti numerose imprecisioni nella citazione del documento ENEA, l’articolista è stato contattato dal dott. Di Lazzaro e ne è nata un’interessante intervista. Le “vere” critiche sono invece arrivate da due soggetti in particolare: il primo è ovviamente il chimico Luigi Garlaschelli dell’Università di Pavia, responsabile scientifico del CICAP e autoredell’imbarazzante “Seconda Sindone”, l’altro è Joe Nickell, scettico e investigatore del paranormale, con un passato da mago da palcoscenico, clown per il carnevale, investigatore privato e mazziere del Casinò. Entrambi hanno prodotto delle argomentazioni e ad entrambi il dott. Di Lazzaro ha inviato delle risposte.

     

    In merito a tutto questo UCCR ha intervistato il ricercatore dell’ENEA, cercando assieme a lui di fare il punto sulle obiezioni e sulle risposte.

    “Dott. Di Lazzaro, è stato apprezzato il distacco dei ricercatori ENEA da eventuali implicazioni filosofiche/teologiche che i risultati del Rapporto possono aver portato. Tuttavia le maggiori critiche ricevute sono arrivate da studiosi – Garlaschelli e Nickell – affiliati ufficialmente ad associazioni di scettici “di professione”. Valutando tutte le obiezioni ricevute, ha trovato che in generale le loro posizioni siano pertinenti e sufficientemente neutrali?”
    «Di fatto, molti studiosi sindonologi si dividono in due fazioni, gli autenticisti a prescindere e gli scettici a prescindere, che si fronteggiano in una sorta di guerra ideologica che non porta ad una sintesi figlia del rispetto reciproco e della comprensione delle altrui ragioni. Questa è almeno l’impressione che ho ricevuto quando mi sono accostato agli studi scientifici sulla Sindone: all’inizio era difficile per me capire chi avesse ragione, come conciliare affermazioni categoriche e opposte, districarsi tra accuse reciproche che ricordano quelle tra Capuleti e Montecchi, tra Guelfi e Ghibellini. Di conseguenza, non mi aspettavo obiezioni neutrali da due esponenti “Ghibellini” come Garlaschelli e Nickell. Sarebbe stato pretendere troppo. Tuttavia, mi aspettavo obiezioni più pertinenti e documentate, e invece nel caso di Nickell (si legga qui l’intervista) ho avuto risposte che mostrano chiaramente come Nickell stava commentando un Rapporto che non ha mai letto.

    Questo approccio, se da una parte è comprensibile a causa della lingua (il nostro Rapporto è scritto in italiano) dall’altra depone per una scarsa serietà della persona. Come si fa a commentare qualcosa che non si conosce? Il risultato di questa mancata lettura del Rapporto da parte di Nickell è stato un commento “per sentito dire” a presunte affermazioni che non abbiamo mai scritto. In aggiunta a questo handicap, Nickell si è avventurato in dichiarazioni che evidenziano la sua ignoranza (nel senso proprio del termine: non conoscenza) di alcuni importanti risultati STURP, e questa “non conoscenza” lo porta a fare affermazioni che non trovano riscontro scientifico. E’ possibile che questa inadeguatezza a commentare risultati scientifici sia anche dovuta alla radice culturale di Nickell, che è un famoso prestigiatore e detective, laureato in Letteratura Inglese e Folklore, ma non ha mai seguito studi scientifici, e a
    maggior ragione poco conosce di misure e laboratori, per non parlare dei fondamenti di fisica e chimica applicata ai tessuti. Incredibilmente, in internet è possibile trovare una sua foto in camice, con in mano una lente e una provetta, davanti ad un microscopio, ma forse questo fa parte dei suoi studi sul folklore».

     

    “Entrando più nel merito, come ha valutato gli argomenti del prof. Luigi Garlaschelli? Sembra che il cuore della sua critica sia l’argomento usato da McCrone, ovvero che sulla Sindone –afferma lui- ci sarebbero fibre ingiallite anche al di fuori dell’immagine stessa e questo dipenda da un normale processo di invecchiamento. Inoltre tende a minimizzare i risultati dicendo che anche lei e il suo team avete fallito –assieme a lui e alla sua “seconda” Sindone- poiché siete soltanto riusciti a colorare una sola fibra, su migliaia con le caratteristiche desiderate. Cosa ne pensa?”
    «Il Prof. Garlaschelli ha scritto due commenti sul nostro Rapporto, uno sul sito “UARR” e l’altro sul sito “Queryonline”. Sono commenti molto diversi nel tono e nella forma, tanto da sembrare scritti da due persone distinte. Gli argomenti proposti nel sito “Queryonline” mi sono apparsi garbati e meritevoli di una risposta, che è stata pubblicata in questa pagina. In generale, ho avuto l’impressione di una lettura affrettata del nostro Rapporto, parzialmente riconosciuta da Garlaschelli nella sua replica. Nello specifico, ci sono diversi punti “tecnici” nel commento del Prof. Garlaschelli che a mio parere sono errati e/o confusi, e li ho elencati nella mia risposta, a cui rimando per i dettagli.

    Per quanto riguarda l’obiezione di Garlaschelli sulle fibre ingiallite al di fuori dell’immagine, si tratta di un fatto ben noto e riportato già nel 1981 dai chimici STURP Heller e Adler in un articolo che abbiamo citato nel nostro Rapporto. Heller e Adler scrissero che tutto il telo sindonico è ingiallito a causa dell’età, ma le fibre di immagine apparivano più gialle delle fibre non di immagine, come se avessero subito un invecchiamento accelerato rispetto alle altre fibre. Apparentemente Garlaschelli sembra ignorare gli studi al microscopio delle fibrille effettuati da Rogers, dai quali risulta chiaro che solo le fibre di immagine presentano la sola pellicola esterna colorata, il cosiddetto “ghost”. Insomma, sia le fibre di immagine che quelle non di immagine sono colorate, ma non si tratta della stessa colorazione, né dello stesso invecchiamento. Deve esserci stato un fattore esterno che ha generato l’immagine solo in corrispondenza del corpo avvolto dal telo. Per quanto riguarda il lavoro di McCrone, consiglio di leggere l’interessante dibattito scaturito nella replica di Garlaschelli al link precedentemente riportato. Più in generale, la scarsa rilevanza scientifica e la non obiettività dei risultati riportati da Mc Crone e pubblicati sulla rivista da lui stesso diretta (questo fatto da solo la dice lunga) è stata dimostrata in un lavoro di grande pazienza del Dr. Heimburger che ha confrontato punto per punto tutti i risultati sperimentali e le deduzioni di Mc Crone con i risultati STURP. L’articolo si intitola “A detailed critical review of the chemical studies on the Turin Shroud: facts and interpretations” e si trova in questa pagina.

    Infine, l’obiezione di Garlaschelli sulla sola fibrilla (tra le circa mille che abbiamo esaminato al microscopio) colorata nella sola pellicola esterna che dimostra il nostro fallimento, è davvero stupefacente e merita un commento. Garlaschelli non fa altro che riportare (pro domo sua) quanto affermato nel nostro Rapporto, che qui riassumo: grazie ad impulsi di luce ultravioletta estremamente brevi e potenti siamo riusciti a replicare alcune caratteristiche dell’immagine sindonica, tra cui la tonalità del colore, la mancanza di fluorescenza, la bassa temperatura di processo. La superficialità della colorazione ottenuta è di circa 7 millesimi di millimetro (quindi molto più sottile di quanto ottenibile con metodi chimici) e almeno una fibrilla risulta colorata nella parete primaria cellulare (spessa 0,2 millesimi di millimetro). Come spiegato in dettaglio nel Rapporto, la difficoltà di colorare la sola parete primaria cellulare risiede nello strettissimo intervallo di valori di intensità, numero e modalità di successione degli impulsi laser che porta alla colorazione sub micrometrica. Per inciso, è possibile che l’uso di una lunghezza d’onda ancora più breve, nell’ultravioletto estremo, possa migliorare la statistica di fibrille colorate nella parete primaria cellulare, oltre a favorire l’effetto 3D a causa del forte assorbimento di questa parte dello spettro elettromagnetico da parte dell’aria, per cui le parti del telo più distanti dalla sorgente non vengono colorate. Ora, tornando all’obiezione del Prof. Garlaschelli, risulta stupefacente perché implicitamente afferma che abbiamo fallito a riprodurre la Sindone. Ma noi non abbiamo mai pensato di riprodurre l’immagine sindonica tramite un laser. Che senso avrebbe? Viceversa, il successo e le novità dei nostri risultati sperimentali sono testimoniate dai seguenti fatti:
    a) Abbiamo dimostrato che impulsi di luce possono innescare alcuni processi fotochimici che permettono di avvicinarci ad alcune delle straordinarie caratteristiche fisico-chimiche dell’immagine sindonica, risolvendo una diatriba scientifica (sinora mai chiarita) tra i Professori Jackson e Rogers (membri STURP) che risale al 1990, sulla reale possibilità che impulsi di luce possano creare una colorazione similsindonica.
    b) Abbiamo confermato sperimentalmente per la prima volta che alcune catene di reazioni chimiche ipotizzate da Heller e Adler nel 1981 possono effettivamente giocare un ruolo nella colorazione similsindonica.
    c) Gli impulsi di luce generano una colorazione che al microscopio si rivela nettamente più simile all’immagine sindonica rispetto alla colorazione ottenuta tramite tecniche chimiche a contatto, specie per quanto riguarda lo spessore della colorazione.
    d) La estrema difficoltà tecnologica nel riprodurre alcune caratteristiche microscopiche dell’immagine sindonica (confermata peraltro dai risultati del Prof. Garlaschelli) permette di poter ragionevolmente escludere l’ipotesi di falso medioevale».

     

    “Rispetto agli argomenti usati da Nickell, il centro del suo dissenso è basato sempre sulla “seconda” Sindone creata da Garlaschelli, la quale avrebbe dimostrato che sia possibile replicare l’immagine mediante l’applicazione di pigmenti, vernici chimiche e acidi rimanendo ad una profondità di colorazione di soli 0,2 micrometri di spessore, come di fatto si vede sulla Sindone originale. Sostiene anche che comunque questa profondità non sia verificata in tutti i punti dell’immagine sindonica. Cosa ne pensa?”
    «Per quanto riguarda la (in)competenza di Nickell nel parlare degli aspetti chimici e fisici della colorazione sindonica, ho già espresso il mio parere nella risposta alla prima domanda. Lasciamo stare. Per quanto riguarda invece lo spessore di colorazione ottenuto dal Prof. Garlaschelli, lui stesso ammette nella sua replica che non ha mai effettuato questa misura, che pure dovrebbe essere una delle più importanti da controllare prima di poter dichiarare di aver riprodotto una Sindone molto simile all’originale. I Colleghi chimici che ho consultato escludono che con le paste, acidi, coloranti usati da Garlaschelli si possa ottenere uno spessore di colorazione inferiore a 15-20 millesimi di millimetro. Oggi sappiamo che lo spessore della colorazione è solo una delle tante differenze sostanziali, visibili a livello microscopico, tra la Sindone di Torino e la copia di Garlaschelli, si veda ad esempio questo articolo. Ribadisco che la mal riuscita copia di Garlaschelli, al contrario di quanto dichiarato dal Professore, è una ulteriore dimostrazione di quanto sia improbabile che un falsario del Medioevo abbia potuto realizzare la Sindone senza microscopio, senza conoscenze medico-legali, senza un laboratorio chimico attrezzato come quello del Prof. Garlaschelli».

     

    “Dopo questa pubblicazione, per continuare ad indagare su questo affascinante mistero, quali altri studi andrebbero fatti secondo lei? Su cosa bisognerebbe concentrarsi per avvicinarsi alla verità?”
    «A parer mio, è utile tornare alla lista di esami proposta nella relazione conclusiva dello STURP. Tanto per fare un esempio, ripetere la misura del C14 su campioni prelevati in diverse parti del telo che siano stati preventivamente analizzati e caratterizzati con diagnostiche avanzate, sia chimiche che microscopiche. Oggi abbiamo a disposizione tecnologie diagnostiche molto avanzate come lo SNOM (Scanning Near Field Optical Microscopy) che potrebbe dare utili informazioni. Sarebbe anche interessante provare tecniche alternative di datazione oggi disponibili (posso citare i metodi enzimatici e diversi tipi di spettroscopia). Si tratta di tecniche meno precise della radiodatazione tramite C14, perché possono datare il telo con una incertezza di diverse centinaia di anni. Tuttavia, essendo queste tecniche alternative basate su principi completamente diversi da quelli della radiodatazione, e quindi con differente sensibilità rispetto ai problemi che possono condizionare i risultati, sarebbe assai utile il loro confronto con le misure C14, per individuare eventuali errori dovuti, ad esempio, a contaminazioni».

     

    “Un ultima domanda, professore. A livello personale, con la Sindone è un capitolo chiuso? Oppure c’è il desiderio di proseguire negli studi in futuro?”
    «La Sindone è un enigma scientifico interessante e sfaccettato, e come Scienziati non possiamo rimanere indifferentiai diversi quesiti scientifici tuttora insoluti sulla immagine sindonica. Per fortuna non sono le idee che ci mancano. Se un domani dovesse aprirsi la possibilità di acquistare la strumentazione adatta a migliorare la nostra conoscenza sui fenomeni chimici e fisici all’origine della immagine sindonica, io e il mio gruppo saremmo ben lieti di dare un contributo fattivo sulla base della nostra esperienza dei meccanismi di interazione luce-materia acquisita in decenni di sperimentazioni e studi. Più in generale, allargando la visuale, in Italia sono presenti competenze scientifiche a largo spettro e di livello internazionale che potrebbero essere utilizzate per mettere insieme i pezzi del puzzle scientifico che l’immagine sindonica ci propone. Quello che manca in Italia è la volontà di investire nella Ricerca, in modo da mettere a frutto le enormi competenze esistenti. Non solo in campo sindonico».

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    Coordin.
    00 06/09/2012 15:13

     Alcune affermazioni di scienziati atei 

    Dopo i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001 ilfondamentalismo ateo ha raccolto migliaia e migliaia di seguaci in più. Richard Dawkins ha radunato attorno a sé un gruppetto di scienziati e intellettuali estremisti (definiti“new atheist”) e ha dato loro in compito di sfruttare la loro credibilità in campo scientifico per sconfinare indebitamente nell’ambito filosofico-teologico e tentare la conversione del mondo al nichilismo antireligioso.

    Ecco dunque come sono emersi soggetti come Christopher Hitchens, morto recentemente a causa di una pesante dipendenza da alcool e fumo, il quale gioiva ad ogni bomba americana che cadeva in terra afgana: «Le bombe a grappolo non sono forse buone in se stesse, ma quando cadono su concentrazioni di soldati talebani, allora hanno un effetto incoraggiante»ha detto. Ed è emerso anche Sam Harris, filosofo e apprendista neuroscienziato, autore di “La fine della fede” (2004) e “Lettera a una nazione cristiana” (2008). Il primo libro è ancora una volta, come per Hitchens, un durissimo attacco all’Islam e poi generalizzando a tutte le religioni. Il secondo libro è un pochino più divertente, curioso ad esempio quando Harris nella sua promozione dell’ateismo cerca di rispondere a chi afferma che «mostri come Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot e Kim Il Sung sono nati nel grembo dell’ateismo». A parte Hitler, per tutti gli altri è evidentemente così, ognuno di loro ha instaurato l’ateismo di stato nel loro Paese. Infatti Harris lo riconosce: «pur essendo vero che a volte questi uomini sono stati nemici della religione organizzata. tuttavia non si sono mai distinti per la loro razionalità». Questa giustificazione è davvero superlativa, tanto che Francesco Agnoli ha commentato tra il divertito e l’allibito: quindi per Harris «ogni azione cattiva di un credente è determinata dalla sua fede, mentre le atrocità dei tiranni del Novecento, il secolo più ateo della storia, sarebbero dovute a mancanza di razionalità» (F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme 2009, pag. 156).

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    00 18/09/2012 00:14

    Il nuovo libro del filosofo Nagel:
    un altro duro colpo al neodarwinismo

     Enzo Pennetta*biologo

     

    Dopo il libro di J. Fodor e M.P. Palmarini“Gli errori di Darwin”, arriva un nuovo duro colpo per la teoria neodrawiniana, e anche stavolta giunge da un non credente. E così come la volta precedente, non proviene da un biologo, forse è un segno che la teoria è bloccata internamente da un super-paradigma, e che essa potrà essere messa in crisi solo dall’esterno.

    Il titolo del nuovo libro di Thomas Nagel, docente di filosofia presso la New York University, è Mente  e cosmo: Perché la concezione materialistica Neo-Darwiniana della natura è quasi certamente falsa” (“Mind and Cosmos: Why the Materialist Neo-Darwinian Conception of Nature Is Almost Certainly False”, Oxford University Press), il messaggio non avrebbe potuto essere più dirompente.

    Nagel è conosciuto sin dal 1974 quando per la «Philosophical Review» scrisse un articolo intitolato What is it Like to Be a Bat? contro il riduzionismo nelle scienze fisiche. Era dunque inevitabile che prima o poi affrontasse un argomento centrale in ogni dibattito sulla mente: la sua origine e quindi la teoria dell’evoluzione. Il libro di Nagel è essenziale e diretto, si tratta di un testo che affronta senza mezzi termini gli aspetti irrisolti della teoria neo-darwiniana ponendo precise domande che chiedono una risposta ai sostenitori della teoria, a pagina 5 troviamo ad esempio il seguente passaggio:  «Il riduzionismo fisico-chimico in biologia è la visione ortodossa, e ogni resistenza nei suoi confronti è vista come non solo come scientificamente scorretta, ma anche come politicamente scorretta. Ma da molto tempo trovo difficile da credere il racconto materialista di come noi e gli altri organismi esistiamo, inclusa la versione standard di come funzionino i processi evolutivi. Più dettagli impariamo sulle basi chimiche della vita e sulla complessità del codice genetico, più diventa non credibile il racconto standardizzato di come sia avvenuto».

    Nagel conferma dunque quello che già da tempo andiamo dicendo: la critica al darwinismo incontra forti resistenze non tanto su basi scientifiche, ma in quanto è “politicamente scorretta”. Questa affermazione trova una forte conferma nella posizione assunta dal Consiglio d’Europa che ha deliberato in materia con un apposito documento sui “pericoli del creazionismo” (termine col quale si indica ogni obiezione alla teoria ortodossa). Ma nonostante le pressioni del “politically correct”, diventa sempre più difficile ignorare i dati scientifici che mettono sempre più in difficoltà la teoria, e col passare del tempo la mancanza di risposte soddisfacenti diventa sempre più difficile da giustificare.

    Ma come dicevamo, ancora una volta la critica al darwinismo viene da una posizione non religiosa, non c’entra nulla il creazionismo, e così analogamente a quanto dovettero fare J. Fodor e M. P. Palmarini, anche Nagel deve fare la sua professione di ateismo per difendersi da quel tipo di accuse che bloccano in modo pretestuoso il dibattito: «Il mio scetticismo non è basato su credenze religiose, o nella credenza di qualche alternativa definita. Si tratta solo della credenza che le prove scientifiche disponibili, a dispetto del consenso dell’opinione scientifica, in questa materia non ci portano razionalmente a piegare l’incredulità del senso comune. E questo è particolarmente vero nel caso dell’origine della vita». E subito dopo aver fatto questa professione, Nagel affronta dunque il problema di una teoria alternativa a quella darwiniana, affermando che se essa non è ancora disponibile, quella attuale è comunque tanto insoddisfacente da non poter essere ulteriormente accettata.

    Dopo aver affrontato argomenti come la mente e il riduzionismo, il libro di Nagel giunge infine alle sue conclusioni che inchiodano i sostenitori del neodarwinismo alla realtà dei problemi che affliggono la teoria: «In questo presente clima di dominante naturalismo scientifico, pesantemente dipendente dalla speculativa spiegazione darwiniana per ogni tipo di questione, e di attacco armato fino ai denti contro la religione, ho pensato che sia utile speculare su possibili alternative…. Una comprensione dell’Universo comefondamentalmente predisposto a generare la vita, e una spiegazione della mente che probabilmente richiede un forte distacco dalle solite forme di spiegazione naturalistica di quanto io adesso possa concepire»

    Il darwinismo dunque non solo è una insoddisfacente spiegazione dell’origine delle specie, ma in quanto “-ismo” è ormai un’ideologia che permea ogni aspetto della realtà e che si propone come esplicativa di tutto. Un paradigma fondante della visione del mondo del “politically correct”, e che quindi è estremamente difficile mettere in discussione, ma ciononostante la conclusione del libro di Nagel non solo è ottimista, ma nella sua visione del futuro giunge ad essere impietosa verso lo stato attuale delle cose: «Le evidenze sperimentali possono essere interpretate per adattarsi a diverse teorie, ma in questo caso [della teoria neodarwiniana nda] il costo delle contorsioni concettuali e probabilistiche è proibitivo. Io sarei pronto a scommettere che l’attuale consenso dei benpensanti apparirà ridicolo in una o due generazioni (ovviamente potrebbe essere sostituito da un nuovo consenso anch’esso sbagliato). Il desiderio di credere degli uomini è inesauribile».

    E’ difficile aggiungere altro alle parole conclusive di Nagel, se non che esse, insieme a quelle di Fodor e P.Palmarini, possono diventare un nuovo manifesto della critica al darwinismo e che per questo motivo devono essere diffuse e dibattute il più possibile.

    P.S.
    Segnaliamo sul sito web di Enzo Pennetta, Critica Scientifica, l’avvio dell’ottima iniziativa“Tavola Alta” in cui diversi docenti universitari si confronteranno sull’evoluzione biologica, consapevoli della necessità di una sua nuova interpretazione che la renda soddisfacente dal punto di vista scientifico, allontanandosi dall’assunto riduzionistico che malauguratamente la sostiene.

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    00 30/10/2012 18:27

    I lettori de “L’illusione di Dio” di Dawkins:
    Chi si converte e chi si suicida

    Nel novembre 2008 lo scrittore e giornalista cattolico Antonio Socci ha commentato un’intervista a Richard Dawkins (il noto fondamentalista ateo, come lo ha definito il fondatore di The Independent), al Guardian, ripresa da Il Corriere della Sera, in cui Dawkins annunciava l’inizio del suo pensionamento con queste parole: «ho fallito», vedendo «una maggiore influenza della religione». Aveva scritto un libro, “L’illusione di Dio”, con «lo scopo dichiarato di ‘convertire’ i lettori all’ ateismo», ma il progetto è naufragato. Socci ha commentato«Qualcuno ritiene addirittura che abbia finito per portare acqua al mulino dei “nemici”».

    Effettivamente così è stato, come ha spiegato recentemente Alister McGrath, pure lui convertito, filosofo e teologo anglicano, tra i più apprezzati al mondo e autore di libri davvero molto interessanti (L’ illusione di Dawkins , il fondamentalismo ateo e la negazione del divino – Galiero 2007;  Scienza e fede in dialogo. I fondamenti – Claudiana 2002).

    Parlando del folkloristico movimento dei “new atheist”, ha affermato: «non c’è dubbio che la nascita del nuovo ateismo ha creato un interesse culturale su Dio. Nelle mie conversazioni e dibattiti con questi nuovi atei li ho spesso ringraziati per aver suscitato una nuova curiosità sulle tematiche della religione, di Dio e del senso della vita. D’altra parte attualmente il nuovo ateismo sta perdendo il suo carattere di novità. Si tratta di semplici slogan che oggi vengono visti come semplicisti, e non come asserzioni accurate di sintesi intellettuale». Su questo non avevamo nessun dubbio, più volte anche noi abbiamo denunciato la mancanza di una proposta culturalmente interessante da parte dei vari Sam Harris, Daniel Dennett e Richard Dawkins, i quali fondano la loro presenza attraverso la  derisione del cristianesimo. Alla lunga non può che annoiare.

    La cosa più interessante rivelata da McGrath è stata la sua scoperta che «molti di quelli che una volta pensavano che il nuovo ateismo offrisse delle buone risposte alle grandi domande della vita oggi stanno capendo che esso offre semplici frasi fatte che non soddisfano gli interrogativi profondi. Di recente ho parlato con un collega che mi ha raccontato di un progetto molto interessante di cui si sta occupando: sta studiando il caso di quelle persone che si sono convertite al cristianesimo come risultato della loro lettura dei libri del neoateo Richard Dawkins! Questo collega ha scoperto come ci sia gente che ha letto Dawkins con l’aspettativa di trovarvi sofisticate risposte alle grandi questioni della vita. Invece hanno riscontrato qualcosa di inadeguato e superficiale. Ma hanno mantenuto aperta questa loro sete di domanda e hanno trovato la risposta nel cristianesimo».

    Leggere “L’illusione di Dio” di Dawkins (definito da Odifreddi “il grande manifesto laico di una delle più acute menti scientifiche”) e convertirsi. Certamente un esito migliore di quanti hanno letto i ragionamenti masochisti del sacerdote ateo, lo hanno preso sul serio e coerentemente si sono suicidati. E’ il triste caso di Jesse Kilgore, ventiduenne di New York. Il suo professore lo ha invitato a leggere questo libro, dove la fede viene definita come “un delirio”, una malattia contagiosa. Jess si è suicidato pochi mesi dopo. Dopo la sua morte, il padre Keith ha appreso della cessione del libro da due amici del figlio, lo ha cercato nella sua stanza trovandolo sotto il materasso con il segnalibro inseritonell’ultima pagina.

    Un amico del figlio gli ha poi confidato che Jesse «era in lacrime ed era molto turbato da questo libro», lo aveva sentito un’ora prima del suicidio e Jess aveva raccontato «la suaperdita di fiducia in tutto. Era molto più che un ateo, senza alcuna credenza nell’esistenza di Dio (in qualsiasi forma) o una vita dopo la morte o anche nel concetto di giusto o sbagliato». Jesse aveva «menzionato il libro di Dawkins che stava leggendo». Se si prende davvero sul serio il violento nichilismo di Dawkins, il suicidio non sembra poi così irragionevole: a quale scopo infatti prolungare l’agonia e “l’accanimento terapeutico” restando in vita in questa inutile, sadica e ingiusta “valle di lacrime”? Fortunatamente tante altre persone, come ha spiegato McGrath, lo hanno talmente preso sul serio che si sono avvicinate alla risposta cristiana.

    Interessante notare anche che, oltre ad aver fallito dal punto di vista ideologico-religioso, Dawkins ha fallito anche dal punto di vista scientifico. E’ infatti conosciuto soltanto per la sua visione dell’evoluzione basata sulla nozione dell’“egoismo del gene”, una tesirecentemente definita “sciocchezza ideologica e  arrogante” su Science 2.0. Il biologoGerald Edelman, premio Nobel,  ha a sua volta respinto completamente il concetto del “meme” e lo stesso ha fatto David Sloan Wilson, biologo e docente presso la Binghamton University, il quale ha spiegato che Dawkins «non riesce a qualificarsi come evoluzionista proprio sui due argomenti per i quali è universalmente ben noto: la religione e la teoria del “gene egoista”». 

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    00 22/11/2012 14:45

    Christof Koch:
    il volo mancato di un ‘riduzionista romantico’

    Christof Koch neurologo di fama, allievo del premio Nobel Francis Crick, lo scopritore della molecola di DNA , si è definito un ‘riduzionista romantico’. Egli è indubbiamente una persona intelligente e un esperto nel suo campo, ma forse il suo limite principale è proprio il suo materialismo riduzionista. Lo spunto per interessarmi del suo pensiero mi è stato fornito da due interviste reperibili in rete, in cui fra le altre cose egli si chiede se per caso prima o poi la rete internet non possa diventare ‘cosciente’.

    Pensavo che il computer che prende coscienza di sé fosse materia di film di fantascienza tipo ‘Matrix’ , o ‘Terminator’, oppure in maniera molto più divertente, come nel film tratto dal libro ‘Guida galattica per autostoppisti’, in cui ‘Pensiero Profondo’, il computer più sofisticato dell’Universo, alla domanda ‘Qual è la risposta fondamentale alla Vita, all’Universo e a tutto quanto’, dopo una elaborazione durata 7 milioni e mezzo di anni risponde con un lapidario e misterioso: ‘42’. E invece a quanto pare ci sono scienziati che pensano seriamente che i computer del futuro potranno avere una ‘coscienza’. Fra questi scienziati c’è Koch.

    Questa previsione, deriva dal supporre che la realtà sia solo materiale e che non esista quindi una dimensione spirituale. Infatti questo assioma, enunciato come ipotesi di partenza, porta Koch a considerare la coscienza come il risultato emergente dal comportamento meccanicistico di un sistema ‘complesso’ che nel nostro caso, quello ‘umano’, risulta essere il cervello. Ed è quindi da ciò che deriva l’ipotesi che prima o poi la rete Internet, che sotto certi aspetti assomiglia a quella neuronale, possa diventare ‘cosciente’. Ma come si possa paragonare la rete Internet, pur fatta da computer collegati fra loro, con il cervello umano, che Koch stesso ha definito ‘l’apparato più complesso dell’universo conosciuto’, e del cui funzionamento solo ora si cominciano ad apprendere i rudimenti, non è dato di sapere.

    Koch imposta il suo discorso ponendosi la domanda ‘qual è la differenza tra i due sistemi che fa la differenza?’ e ha scritto un libro – ‘La Coscienza: confessioni di un riduzionista romantico’ – per rispondere che forse la differenza è solamente il livello di complessità, perciò una volta che i computer o la rete Internet avranno raggiunto il numero di nodi e la complessità ‘organizzativa’ della rete neuronale non potranno chediventare ‘coscienti’. E come spiega la ‘coscienza,’ che fra l’altro lui assegna in diverso grado anche agli animali? Koch si basa sulla teoria della ‘informazione integrata’ del neurologo Giulio Tononi . In pratica secondo questa teoria, siccome è accertato che nel cervello vi sono miriadi di parti differenziate ognuna specializzata per un determinato compito, quando i risultati di questi ‘compiti’, le informazioni differenziate, vengono ‘integrati’ per mezzo di una interazione ‘creativa’ tra le diverse parti del sistema, allora nascerebbe una esperienza conscia.

    Durante il passaggio dalla veglia cosciente al sonno, quando si ha una ‘sospensione’ dello stato di coscienza, si nota infatti la perdita di comunicazione tra le diverse parti, che comunque continuano a funzionare in maniera indipendente. In pratica paragonando le parti del cervello a dei coristi, è come se ognuno di essi cantasse in coro con gli altri durante la veglia, generando così un canto armonioso, che sarebbe lo stato di coscienza, mentre quando si è ‘incoscienti’ lo si è perché i diversi coristi cantano per conto proprio senza accordarsi con gli altri. La teoria di Giulio Tononi ripresa da Koch, introduce come una specie di ambiente ad un numero grandissimo di dimensioni, un cosiddetto spazio dei ‘qualia’, popolato dalle nostre rappresentazioni del reale, detti ‘cristalli’ o ‘politopi’ a sua volta generati da ‘interazioni causali tra parti rilevanti del cervello’ e fatti di ‘rapporti informativi’. Insomma il ‘cristallo’ sarebbe ‘il punto di vista dall’interno, la voce nella testa, la luce dentro il cranio, l’essenza dell’esperienza mentale soggettiva’, differenziata quindi dalla realtà fisica oggettiva. E in base a questa teoria Koch si spinge oltre ipotizzando addirittura la futura costruzione di un misuratore di coscienza. Esso analizzerebbe la rete in cui viaggiano le informazioni, leggendone il livello di attività e calcolandone l’informazione integrata traccerebbe così la forma del ‘cristallo’ dello stato conoscitivo che il sistema sta sperimentando in quel momento. Ecco perché quindi secondo Koch anche se un sistema è fatto solo di circuiti elettrici che si scambiano informazione potrebbe possedere una ‘coscienza’.

    Trovo questo discorso senz’altro interessante e suggestivo tuttavia mi lascia insoddisfatto perché non esaurisce il vero problema che è quello di definire e descrivere oggettivamente cosa è la coscienza. Infatti tutto ciò che è stato detto si riferisce all’atto del conoscere e del rappresentarsi internamente il mondo esterno. Ma chi è l’agente di tutto ciò? Solo il cervello, come affermano i materialisti o anche un quid immaterialeche costituisce il nucleo vero della coscienza di sé, quella parte che mi fa capire, al di là delle esperienze sensoriali e alle sue relative rappresentazioni, di essere sempre e unicamente ‘io’, una medesima persona che conosce, ha delle sensazioni, pensa ed esiste?+

    Fra l’altro ci sono alcuni punti nel discorso di Koch che mi lasciano perplesso e uno di questi è quello relativo al fatto che alle volte saremmo solo illusoriamente ‘decisori’ delle nostre azioni, e che invece il nostro cervello, prima si attiverebbe per risolvere una situazione e poi ci darebbe l’impressione che saremmo stati noi decidere. Ciò ovviamente metterebbe in crisi il concetto di ‘libero arbitrio’. Questa convinzione deriva dal fatto che è stato effettivamente scoperto che i segnali nervosi, quali ad esempio quelli che servono per far muovere un braccio e afferrare qualcosa, nascerebbero qualche frazione di secondo prima che si diventi coscienti di voler compiere l’azione. Cioè, come dice Koch, in questi casi è come se ‘il cervello agisce prima che la mente decida’. In qualche maniera per Koch, il ‘libero arbitrio’ sarebbe alle volte perciò illusorio, in quanto quello che noi pensiamo che sia un ‘effetto’ della nostra decisione, conseguente alla voglia di operare tale azione, sarebbe in realtà esso la vera ‘causa’ che ci fornisce quella impressione. Ci sarebbe cioè in certi casi una inversione tra causa ed effetto, quindi anche i nostri comportamenti apparentemente liberi e voluti in realtà potrebbero essere solo effetti di cause precedenti e sconosciute. Con ciò dando ragione al determinismo Laplaciano più estremo.

    Come interpretazione del fatto io proporrei invece una versione alternativa anche se un po’ ardita: visto che è stato accertato che il cervello ha fenomeni di premonizione, il tutto potrebbe essere determinato dal ‘rilascio’ verso il passato di ‘segnali di attivazione’, in modo che il cervello, vedendosi arrivare questi segnali dal futuro si attiverebbe ‘prima’ della nostra decisione futura, cioè ‘in tempo utile’, per avere così un vantaggio, come ad esempio nel caso che si debba scappare di fronte ad un pericolo. Non ci sarebbe in tal modo nessuna inversione causa – effetto: saremmo comunque noi a prendere ‘liberamente’ la decisione di compiere l’azione, ma nel contempo il nostro cervello inviando un segnale di ‘partenza’ verso il passato potrebbe attivarsi prima e così far compiere ai nostri muscoli l’azione in un tempo accettabile (forse in caso contrario saremmo troppo lenti, mettendo così in pericolo la nostra esistenza). In tal modo il libero arbitrio sarebbe salvo. E questa capacità di ricevere segnali dal futuro, se confermata, potrebbe anche significare che il nostro cervello è ben più complesso e sofisticato di quanto pensiamo.

    A mio avviso il tentativo di Koch di spiegare in maniera esclusivamente materialistica e riduzionista la coscienza non riesce, e non per la sua poca bravura ma perché tale compito è forse inserito in un paradigma che non può esaurire l’oggetto che vuole esprimere. Ovviamente gli scienziati non credenti non saranno d’accordo, perché pensano che esista solo la fisica, e che tutto il resto, quello di cui da secoli trattano la filosofia e la teologia, sia solo fantasia consolatoria.

    Ho notato che Koch non parla mai delle esperienze di pre-morte, le cosiddette NDE. E questo nonostante le riviste scientifiche di neurologia e psichiatria pubblichino da tempo ormai articoli di scienziati che analizzano questi fenomeni. Alcuni studiosi ne danno una spiegazione del tutto ‘meccanicistica’, nel senso che esse sarebbero il prodotto di un cervello che si sta spegnendo, altri, visto che pare accadano in condizioni in cui il cervello è in stato di ipossia e quindi non funzionante, sospettano che possa trattarsi di un indizio della possibilità che la mente possa in qualche modo sussistere anche staccata dal cervello. Koch non fa cenno dell’argomento. Ma se questo fatto fosse reale potrebbe mettere in crisi le sue affermazioni materialistiche e seminare il sospetto che il tutto non possa avere una risposta così semplicemente meccanicistica come quella che lui dà. Ironia della sorte, ultimamente il suo collega neurochirurgo Eben Alexander ha avuto una esperienza NDE che ha cambiato la sua visione della vita, facendo nascere in lui la certezza che esiste qualcosa oltre morte. Riporto solo questa frase di Alexander: ‘Non c’è una spiegazione scientifica a quello che mi è successo: mentre i neuroni della corteccia erano inattivi a causa dell’infezione, qualcosa come una coscienza slegata dalla mente è arrivata in un altro universo. Una dimensione di cui mai avrei immaginato l’esistenza’.

    Koch si pone nella categoria di quelli che vedono Religione e Scienza in netta contrapposizione, anche se in maniera un po’ più ‘soft’ rispetto a come fa un Dawkins. Lo dichiara infatti apertamente quando sostiene che la Religione sbaglia nel dire che la coscienza non può essere spiegata solo in termini materiali perché sarebbe anche appartenente alla sfera ‘spirituale’.
    Koch per criticare l’impostazione duale mente-corpo dice che “se la mente è ineffabile, come un fantasma o uno spirito, essa non può interagire con l’universo fisico”. Ma egli dimentica che perfino gli astrofisici conoscono così poco l’universo che hanno introdotto le cosiddette materia ed energia ‘oscure’, e che quindi non tutto sappiamo della materia e dell’energia , che potrebbero avere delle proprietà che ancora ignoriamo. Koch è uno dei pochi scienziati che hanno perso la fede dedicandosi alla ricerca scientifica. Di solito succede o la conversione oppure il mantenimento del credo che si ha. Forse l’ammirazione per il suo maestro e mentore Francis Crick lo ha portato inconsciamente ad accettarne l’atteggiamento ateistico, rinunciando, o sarebbe meglio dire trasformando, quella tiepida fede trasmessagli dai genitori e che ancora possedeva prima dell’incontro fatale. Egli infatti ammette di non credere in Dio, o meglio di credere in una specie di Dio vago e impersonale ‘più vicino a quello di Spinoza che a quello di Michelangelo della Cappella Sistina’, un concetto di Dio molto più vicino al Buddismo che al Cristianesimo.

    C’è un punto in cui Koch parla di evento ‘Cigno Nero’, cioè del fatto strano e inaspettato che irrompe nella scena e mette in crisi convinzioni radicate. E questi eventi per la scienza attuale potrebbero essere proprio le NDE, i fenomeni di premonizione, i miracoli. Koch manifesta però la sua convinzione che i miracoli sarebbero in contraddizione con le leggi della fisica, ma evidentemente o non ha letto o ritiene poco credibile il fisico Frank Tiplerche ha scritto un intero libro sull’argomento – ‘La fisica del cristianesimo’ – in cui ha sostenuto che molti miracoli sono compatibili con le leggi della natura.
    Nell’affrontare certi discorsi, Koch mostra di fare gli errori di altri valenti suoi colleghi, che pur essendo specialisti nel loro campo, amano però avventurarsi in argomenti filosofici e teologici di cui sanno poco. Koch manifesta la sua totale fiducia nella scienza attuale. Ma la sola scienza non può dare tutte le risposte, soprattutto quelle di senso, come le grandi domande sull’esistenza che lo stesso Koch si pone, del perché esiste il tutto senziente, ragionante e capace di provare emozioni anziché il nulla. Egli esprime chiaramente la sua ‘tragica’ condizione di non credente di fronte alla morte. Parla della sua angoscia, ma manca di ammettere che sarebbe ben sfortunato l’essere umano se l’emergere della coscienza avesse portato ad una consapevolezza angosciosa, senza risposte e senza speranza. Si intravede in lui una nostalgia per il Paradiso perduto. Egli confessa di sentire che l’Universo è pieno di significato e di sperimentare continuamente una specie di ‘numinosità’ che però non specifica più di tanto.

    Da credente, io penso che quello che è forse mancato nella vita di Koch è un evento improvviso, un segno, magari l’irruzione nel suo intimo di qualcosa di inaspettato e inspiegabile che, come per San Paolo sulla via di Damasco e come per una moltitudine di altri esseri umani a cui è successa la stessa cosa, ha portato a una radicale conversione e a una percezione interiore dell’amore di Dio, finalmente sentito come una Persona e non solo come una forza potente ma indifferenziata che permea tutto l’Universo.

    Salvatore Canto

     

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    00 03/02/2013 17:59

    “Nati per credere”

     
    di Francesco Agnoli*
    *scrittore e saggista

     
    Telmo Pievani, filosofo, e Giorgio Vallortigara, neuroscienziato, sono coautori, con Vittorio Girotto, di “Nati per credere” (Codice 2008), un testo che sposa un assoluto naturalismo, che negherebbe per via razional-scientifica Dio, l’unicità dell’uomo, l’esistenza di una morale oggettiva…

    Riguardo a quest’ultima, mentre se ne nega l’esistenza, si dedica un intero capitolo (“Dio, morali e giustizie”) a spiegare che varie ricerche individuerebbero nei credenti un minor e non ben definito “senso civico” (per intenderci, i mali del sud deriverebbero dall’alto tasso di frequenza in chiesa ecc., non da circostanze storiche che gli storici conoscono). Scrivono per esempio –citandolo come studio assai significativo, ma negando furbescamente che non sia “conclusivo” – che tale Gregory Paul “ha potuto documentare un’impressionante serie di correlazioni positive tra tassi di omicidio, suicidio, aborto e gravidanze di minorenni e tasso di diffusione delle credenze religiose”.

    Dunque: si nega l’esistenza di una morale naturale, e poi si vuole far passare l’idea che i credenti siano degli immorali; si contraddice l’idea che l’opposizione della chiesa ad aborto, suicidio assistito ecc. abbia un fondamento oggettivo nella natura dell’uomo e nel bene, e poi si accusano i credenti di compiere ciò che, se fatto da loro, diverrebbe, improvvisamente, male oggettivo. Si priva l’uomo della coscienza e del libero arbitrio, riducendolo a un oggetto determinato, e poi si incolpa qualcuno perché agisce in un determinato modo (quasi fosse creatura libera e perciò imputabile). Sarebbe come incolpare il sasso, lanciato da una mano, di cadere verso terra.

    Quanto a Dio, il problema è semplice: sarebbe stata l’evoluzione ad aver creato Dio, e non viceversa. Come, quando e perché? Non è chiaro: E’ probabile che le credenze nel soprannaturale siano la conseguenza indiretta (forse priva di qualsiasi vantaggio biologico) di certi adattamenti che sono, questi sì, di importante valore biologico. Adattamenti che hanno tra le loro conseguenze inattese anche un’inclinazione al fraintendimento del darwinismo”. Bastano il “probabile” e il “forse” per far capire che di scientifico, in questo discorso, non vi è nulla. E non vi è nulla di logico nel negare, come fanno gli autori, la differenza ontologica, di qualità e non di grado, tra l’intelligenza simbolica e la coscienza umana e vagamente analoghe facoltà animali. Dovrebbero bastare a dimostrarlo l’esistenza di facoltà unicamente umane, che non sono collegabili a un fine puramente biologico: dall’idea stessa di Dio, alle sue facoltà morali, artistiche, musicali, poetiche.

    Per Vallortigara e Pievani Dio è una creazione dell’evoluzione e non viceversa: non ne era sicuro Darwin, che alla fine dell’“Origine delle specie” parla di un Dio Creatore, e che mai si definì ateo, ma semmai agnostico; non ne erano certi neppure la gran parte dei primi evoluzionisti, per lo più teisti. Non ne sono convinti Francis Collins, autore della mappatura del genoma umano, e uno dei più insigni evoluzionisti viventi, il credenteFrancisco Ayala, il quale in un  capitolo del suo “L’evoluzione”, intitolato “L’unicità umana”, nota come le cose che contano di più rimangano a tutt’oggi “circondate da un’aura di mistero”“Come i fenomeni fisici diventino esperienze mentali, come emerga dalla diversità delle esperienze la mente, realtà con proprietà unitarie come il libero arbitrio e la coscienza di sé”.

    Non sarebbe persuaso dalle tesi di Vallortigara e Pievani neppure il premio Nobel per la Fisica Sir Nevill Mott, secondo il quale esiste un “gap per cui non ci sarà mai una spiegazione scientifica, e questo gap è la coscienza umana”, o il premio Nobel per la Medicina Sir J. Eccles, per il quale l’anima è “creazione diretta di Dio” ed è impossibile“spiegare le funzioni superiori del cervello… facendo riferimento soltanto all’attività del cervello”. Non concorderebbero il neurochirurgo Gandolfini, di Scienza e Vita, per il quale è utopico pensare di poter “definire i ‘correlati dell’essere’, cioè dell’essenza propria, intrinseca, profonda che fa di ciascun uomo, un uomo irripetibile”, o molti linguisti e neuroscienziati che considerano la parola il Rubicone invalicabile tra uomo e animale. Tra questi, Andrea Moro, per il quale il linguaggio umano, che non si può “essere sviluppato per una pressione  evolutiva sul piano della comunicazione”, manda in frantumi le visioni riduzioniste, ed è “il vero scandalo della natura”: con esso “siamo di fronte alla prima porta verso il mistero… Lo stupore che la struttura del linguaggio umano e la sua aderenza alla realtà ci provocano non è in questo differente da quello che prova il fisico quando si accorge che una funzione matematica è in grado di descrivere un fatto del mondo”.

    Da Il Foglio, 31/01/13

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    00 01/03/2013 23:10

    Il naturalismo porta all’uso improprio della scienza

    Dna umano
     
    di Giorgio Masiero*
    *fisico

     

    Il 28 febbraio 1953, Francis Crick e James Watsonconvocarono all’Eagle pub di Cambridge i giornalisti e un gruppo di amici, cui annunciarono di “aver scoperto il segreto della vita” nella doppia elica del DNA. Si brindò a birra e whisky, come richiedeva l’evento. Nel 1976, Crick alzò il tiro e proclamò: “Lo scopo ultimo della biologia moderna è spiegare la coscienza in termini di chimica e fisica”, un risultato “raggiungibile in una generazione”. Sappiamo com’è andata la storia: lungi dall’aver trovato i segreti della vita e della coscienza, la biologia non sa ancora come funziona il DNA, e manco come si piega una proteina. Crick cercò poi conforto nella panspermia.

    L’euforia le sparò grosse. Ma il Guiness fu toccato nel 1983, quando Stephen Hawkingfece il saltino di passare dal calcolo della funzione d’onda dell’atomo d’idrogeno a quella del mondo intero. In meccanica quantistica, appena siano coinvolte una decina di particelle (quindi già a partire dagli atomi più leggeri), non si può risolvere l’equazione di campo, nemmeno approssimativamente al computer, perché la memoria richiesta dal calcolo supera la massa-energia di tutto l’Universo. Le particelle del mondo sono dell’ordine di ~1082 e si comprende che per la sua impresa titanica Hawking dovette ricorrere ad una serie di congetture arbitrarie. Inoltre, il sistema quantistico che il cosmologo di Cambridge pretese di osservare è per definizione inseparabile dal cervello del suo osservatore e ciò crea qualche problema sul significato della funzione d’onda e dei suoi autovalori. Imperterrito, da modelli matematici che avrebbe rimasticato per 29 anni fino alla pensione, il nostro eroe arrivò alla conclusione che l’Universo emerse un bel dì “per caso, dal niente”, per la produzione improvvisa di materia (positiva) consentita da un debito di altrettanta energia (negativa) gravitazionale. Insomma, in Principio fu un Derivato finanziario confezionato, come i prodotti attuali più sofisticati della City (40 minuti di treno da Cambridge), in un formulario matematico compreso solo dagli addetti…, o non piuttosto lo strafalcione metafisico di confondere il “niente” con il vettore corrispondente all’autovalore minimo d’un’equazione? Oggi, si è perso il conto degli articoli e dei libri di “divulgazione scientifica” che hanno annunciato la soluzione della questione filosofica per eccellenza – perché c’è qualcosa piuttosto che niente – e la superfluità d’un Creatore anche nel caso d’un Universo contingente: il solo Hawking ne ha ricavato 8 best seller, l’ultimo dei quali è stato da me commentato da me commentato qui.

    Se tralasciamo le megalomanie (scusabili in menti geniali focalizzate per un’intera vita su un obiettivo), ogni giorno ci vengono annunciate “scoperte” minori riguardanti pillole della felicità e geni dell’onestà, intervallate dallo scoop canonico sulle “tracce di vita” aliena. A spiegazione della gragnuola di speculazioni (quando non vere e proprie fole, tipo: “È stato trovato un nuovo numero primo, e non uno qualsiasi, ma il più grande!” sulCorriere di qualche settimana fa) spacciate per scienza, ho proposto in passato due cause: la ricerca di visibilità da parte di strutture tecno-scientifiche in affanno e l’incapacità di molti ad ammettere i limiti statutari, o anche solo l’ignoranza attuale, delle scienze naturali su alcune questioni. Il valore della visibilità per un settore, come la ricerca, fortemente dipendente dagli stanziamenti pubblici si spiega da sé: in una competizione inferocita dalla crisi economica in Occidente, la tendenza a vendere la fantasia per scienza non è più l’eccezione da noi di qualche ramo deviato, ma una pandemia diffusa dal corto circuito coi media. Ma cosa c’è dietro l’altro fronte, quello dell’onniscienza conclamata?

    Secondo Ludwig Wittgenstein “la filosofia limita il campo disputabile della scienza naturale”, talché se s’ignora che questa ha una frontiera si possono confondere le fantasie con la realtà. Ma dove sta la frontiera della scienza naturale? Attingo alla fonte purissima del suo inventore: Galileo Galilei. Nella lettera del 1 dicembre 1612 a Mark Welser, Galileo scrive che l’approccio scientifico rifugge da speculazioni filosofiche sull’essenza delle cose, limitandosi ai dati misurabili e cercando relazioni numeriche (in linguaggio moderno: le “teorie”) secondo le regole della matematica. “Perché, o noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d’alcune loro affezioni. Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non meno vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti. […] Ma se vorremo fermarci nell’apprensione di alcune affezioni, non mi par che sia da desperar di poter conseguirle anco nei corpi lontanissimi da noi, non meno che ne i prossimi”.

    L’essenza vera ed intrinseca” delle cose che la scienza deve rinunciare ad indagare è ciò che sta sotto, nascosto ai sensi e anche agli strumenti; ciò per cui una cosa è quella che è e non un’altra: compreso, il fine, o il senso della cosa. “Affezioni” invece, sono gli aspetti visibili con i sensi e codificabili in numeri, e così uguali per tutti. Il baratto tra essenze ed affezioni comporta vantaggi e svantaggi. La matematizzazione della Natura operata dall’auto-restrizione ai soli dati misurabili diventa in fisica il calcolo dei rapporti delle forze e degli scambi delle energie in gioco nelle trasformazioni osservate. L’esattezza del numero fornisce una descrizione dell’ordine naturale che abilita il ricercatore a fare predizioni e, collocando le fasi della trasformazione osservata in una successione logica e ottimale riguardo ai consumi di energia e di tempo, lo abilita a dominare le forze della Natura, replicando il fenomeno in applicazioni tecnologichePerò la descrizione scientifica paga il prezzo di rinunciare alla ricerca di scopo (o finalità o intenzione) che, a partire dall’esperienza che ognuno di noi vive dalla nascita, impronta ogni azione umana e senza cui non si dà una completa conoscenza di ciò che accade. Insomma, la rivoluzione scientifica galileiana consiste nell’applicazione alle modalità cognitive umane di un filtro matematico che spreme dalle “sustanze” le “affezioni”, così sostituendo alle parole i numeri e rinunciando ad indagare finalità e senso. “Intorno ad altre più controverse condizioni delle sustanze naturali” provvederà la filosofia, liquida Galileo la questione.

    4 secoli dopo la lettera di Galileo a Welser c’è ancora chi fa confusione tra filosofia e scienza. Telmo Pievani nella sua lettera aperta del 12 gennaio u.s. ad Enzo Pennettascrive: “Il ‘non senso’ dell’evoluzione, cioè la sua mancanza di una direzione finalistica, appare a mio avviso limpidamente dalle conoscenze scientifiche attuali”. Pievani non è un tecnico, come Crick e Hawking portati per inerzia ad estrapolare le loro ricerche specialistiche a speculazioni sull’intero Universo; è un “filosofo della biologia”, con cattedra all’università dove Galileo trascorse “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”. Egli dovrebbe per mestiere vigilare sui confini tra scienza e filosofia stabiliti dal fisico pisano e ribaditi dal logico austriaco, ad impedire scorribande da una parte all’altra. E invece che fa?Confonde la prima, che per suo metodo non si occupa di senso, con la seconda, che è la sola sede legittimata a porre le domande che lo riguardano; mischia la teleonomia, che è il piano di ricerca delle cause efficienti appartenente alla biologia, con la teleologia che è lo spazio di speculazione delle cause finali proprio della filosofia. Pievani pretende che siano “le conoscenze scientifiche attuali” a mostrare l’evidenza del “non senso dell’evoluzione”, come chi si stupisse di non vedere l’intero spettro luminoso attraverso lenti filtranti! Io invece ho la “limpida apparizione” opposta: riscontro nell’evoluzione dell’Universo culminata nella specie umana – “la sola specie nell’universo capace di utilizzare un sistema logico di comunicazione simbolica” (Jacques Monod) – una biogenesi coestensiva alla cosmogenesi fin dai primi istanti del Big Bang, rappresentata da una geometrica freccia di senso, con coda a 14 miliardi di anni fa e punta a 140.000… Ma non dirò che questa intuizione mi deriva dalle “conoscenze scientifiche”. Ammetto senz’altro che si tratta di un’interpretazione della mia Weltanschauung.

    Una Weltanschauung “è qualcosa di totale e universale a un tempo, […] consiste di idee, manifestazioni supreme ed espressioni totali dell’uomo, […] delle posizioni ultime che l’anima occupa, […] delle forze che la muovono” (Karl Jaspers). Tutti hanno diritto ad una propria Weltanschauung. E a tutti i docenti universitari, darwinisti e no, può accadere di confondere la propria concezione del mondo con un fatto o una teoria scientifica: perché, diciamo la verità, la tecno-scienza è bella per chi ne legge, ammaliante per chi la pratica, utile a tutti; ma la concezione di vita è molto di più: solo questa ci scalda l’anima… e nei risultati scientifici ci trascina a trovare un conforto alle nostre scelte esistenziali. C’è però una differenza, almeno di stile, tra Weltanschauung e ideologia militante. Quando la confusione tra metodi e domini disciplinari impronta intere pagine della cosiddetta divulgazione scientifica (vedi, sulla scia ritardata dei new atheist loro maestri, “Creazione senza Dio” di T. Pievani, o “La scienza non ha bisogno di Dio” di E. Boncinelli), gli autori usano impropriamente risultati scientifici per propagandare la loro visione naturalistica. Una concezione uguale e contraria a quella creazionisticad’Oltreoceano da essi tanto criticata: entrambe usano infatti un assunto (l’esistenza o assenza di Disegno nella biosfera) per proporre una teoria dell’evoluzione (il creazionismo o il darwinismo) fuori dal canone galileiano.

    Lobby e pregiudizi, questi due parassiti della scienza moderna furono segnalati 50 anni fa da Imre Lakatos. Mostrando maggiore realismo rispetto al suo maestro, Lakatos corresse l’“ingenuità” popperiana d’un progresso scientifico guidato solo dalla competizione epistemica tra teorie, con la dimostrazione che la scienza avanza anche tramite lo scontro 1) di gruppi e programmi, legati a interessi economici e 2) di contrapposte Weltanschauung, che fanno da scenario concettuale generale alle teorie più vicine allo Zeitgeist di ogni epoca.

    Da una quarantina d’anni, un numero crescente di scienziati – biologi, fisici, matematici, medici, chimici, computer scientist, epistemologi,… –, nelle scuole medie attratti dalla semplicioneria darwiniana, se ne sono gradualmente emancipati dopo la laurea. Da S. Kauffman a C. Woese, da G. Dover a L. Kruglyak, da L. Margulis a S. Newman, da J. Fodor a M. Piattelli Palmarini a E. Jablonka a E. Koonin a T. Nagel, essi hanno toccato sul campol’inadeguatezza esplicativa d’un paradigma bidimensionale, recintato da caso e selezione naturale. Superando i “dogmi” della Sintesi cosiddetta moderna – basati su una fisica antica, quella contemporanea a Darwin, secondo cui le ultime particelle hanno proprietà esclusivamente meccaniche – stanno ricercando ulteriori dimensioni, basate sulla complessità e l’elettrodinamica quantistica, ed anche su nuovi principi. Divertito davanti ai tentativi con cui i darwinisti del XX secolo insistevano a cercare i “segreti della vita” nella fisica del XIX, David Bohm scriveva nel 1969: “Proprio quando la fisica si allontana dal meccanicismo, la biologia e la psicologia vi si avvicinano. Se questo trend continua, accadrà che la biologia guarderà agli esseri viventi ed intelligenti come a meccani, mentre la fisica considererà la materia inanimata troppo complessa e sottile da cadere nelle categorie limitate del meccanicismo”.

    Perché insistono anche nel XXI secolo? Perché, lakatosianamente, hanno una visione naturalistica del mondo da difendere contro ogni coerenza e da diffondere contro ogni resistenza; e per questo ideale supremo ogni mezzo è buono, compreso l’uso improprio della scienza.

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    00 22/04/2013 08:51

    Telmo Pievani dimostra che Odifreddi ha torto

    Il darwinismo porta alla negazione della fede in un Dio Creatore? A rispondere affermativamente sono rimasti ormai solo Piergiorgio Odifreddi e pochi altri anziani  dell’ateismo.

    Fortunatamente le “nuove” leve del proselitismo laicista hanno preso le distanze da queste convinzioni preistoriche. Telmo Pievani ad esempio afferma che«La scienza non può dimostrare la non esistenza di Dio. Con l’evoluzione la scienza offre una spiegazione della vita molto plausibile. Ci dà una opportunità. Chi vuole, può trovare nell’evoluzionismo una risposta esaustiva. Ma altri potranno, se vogliono, integrarla con un credo religioso». Grazie per la concessione, Telmo.

    Proprio Pievani ha avuto il merito di confutare la tesi citata inizialmente, cioè l’incompatibilità tra fede e darwinismo, attraverso “Lettere sulla religione” (Einaudi 2013), dove ha raccolto alcune lettere del naturalista Charles Darwin, padre del darwinismo, in cui parla del suo rapporto con il cristianesimo. Il suo distacco dalla fede e l’approdo ad un agnosticismo leopardiano avvenne principalmente a causa della morte della figlia e non per le sue scoperte scientifiche. Anche il male e la violenza presente nella natura erano per lui scandalo alla fede, enfatizzato da una società protestante non cattolica, come quella vittoriana, abituata all’interpretazione letterale dell’Antico Testamento.

    Lui stesso, tre anni prima di morire, scrisse: «Il mio giudizio è spesso fluttuante, e persino nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato ateo nel senso di negare Dio. Credo che in generale, ma non sempre, la mia posizione possa essere descritta più appropriatamente con il termine agnostico» (C. Darwin, “Autobiografia”, 1879). Nei momenti migliori, invece, mentre rifletteva sull’uomo, arrivava ad affermare: «Quando rifletto su questo, mi sento in dovere di guardare ad una Prima Causa avente una mente intelligente in qualche misura analoga a quella dell’uomo; e merito perciò di essere chiamato un Teista» (citato in Quoted in The Life of Charles Darwin, [1st Edition - 1902], Francis Darwin – author. London: Senate, 1995, reprint, p. 60).

    Odifreddi, autore di “In Principio era Darwin”, noto per le sue epiche “odifreddure”, non è certo difficile da mettere alle strette, lo ha fatto di recente in modo goliardico anche un nostro lettore. Probabilmente però non si sarebbe mai aspettato questo brutto tiro da Pievani, si è scoperto che in questi giorni si è chiuso in casa per giocare online al videogioco SimCity…evidentemente non l’ha presa per nulla bene.

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