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CRISTIANI

Note sul libro dell’ESODO

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    Gian-
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    00 21/04/2011 19:55
    CAPITOLO 17
    Capitolo 17
    «Poi tutta la raunanza dei figliuoli di Israele partì dal deserto di Sin, marciando a tappe secondo gli ordini dell’Eterno, e si accampò a Refidim; e non c’era acqua da bere per il popolo. Allora il popolo contese con Mosè e disse: Dateci dell’acqua da bere. E Mosè rispose loro: Perché contendete con me? Perché tentate l’Eterno?» (vv. 1-2).

    Se non conoscessimo un poco la umiliante malvagità dei nostri cuori, non sapremmo renderci conto della sorprendente insensibilità degli Israeliti di fronte alla bontà, la fedeltà, gli atti potenti del loro Dio. Avevano da poco visto scendere del pane dal cielo per nutrire seicentomila uomini nel deserto ed eccoli di nuovo pronti a lapidare Mosè perché li ha condotti lì per farli morire di sete. Non c’è niente che possa superare l’incredulità del cuore umano, se non la sovrabbondante grazia di Dio.

    Questa grazia solo dà ristoro all’anima in presenza del sentimento sempre crescente della sua natura perversa, messa in luce dalle circostanze della vita. Se gli Israeliti fossero stati trasportati direttamente dall’Egitto a Canaan non avrebbero fornito delle prove così tristi su ciò che è il cuore dell’uomo, e, di conseguenza, non sarebbero stati per noi degli esempi e delle figure così eloquenti. Ma i quaranta anni che hanno trascorso erranti nel deserto sono per noi un’abbondante sorgente di insegnamento. Ci insegnano che il nostro cuore è invariabilmente propenso a diffidare di Dio. Tutto va bene per l’uomo, eccetto Dio. Egli preferisce appoggiarsi sul fragile tessuto delle risorse umane, piuttosto che sul braccio dell’onnipotente e dell’onnisapiente Iddio; e la più piccola nube basta per oscurare la luce del suo volto. È con ragione, dunque, che il cuore dell’uomo è chiamato «un malvagio cuore incredulo» sempre pronto a ritrarsi dall’Iddio vivente (Ebrei 3:12).

    È interessante considerare le due grandi domande sollevate dall’incredulità in questo capitolo e nel precedente. Sono le stesse che si elevano ogni giorno dentro di noi e attorno a noi: «Che mangeremo o che berremo?» (vedere Matteo 6:31). Sono le domande del deserto: Cosa? Dove? Come? Per ciascuna la fede ha un’unica risposta, breve ma decisiva: Dio! Risposta perfetta e preziosa! Piacesse a Dio che chi legge e chi scrive queste righe ne conoscessero in modo più completo la potenza e la pienezza.
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    00 21/04/2011 19:56
    Abbiamo certamente bisogno, quando siamo nella prova, di ricordarci questo: «niuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; or Iddio è fedele e non permetterà che siate tentati al di là delle vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, onde la possiate sopportare» (1 Corinzi 10:13). Ogni volta che siamo posti nella prova, siamo certi che con la prova c’è anche la via d’uscita; una cosa sola ci occorre: la volontà rotta e l’occhio semplice per discernere questa via.

    «E Mosè gridò all’Eterno dicendo: Che farò io per questo popolo? Non andrà molto che mi lapiderà. E l’Eterno disse a Mosè: Passa oltre in fronte al popolo e prendi teco degli anziani di Israele; piglia anche in mano il bastone col quale percotesti il fiume e va. Ecco, io starò là dinanzi a te sulla roccia che è in Horeb: tu percoterai la roccia e ne scaturirà dell’acqua e il popolo berrà. Mosè fece così in presenza degli anziani di Israele. E pose nome a quel luogo Massah e Meribah» (vv. 4-6).

    Ogni mormorio porta ad una nuova manifestazione della più perfetta grazia. Vediamo le acque ristoratrici sgorgare dalla roccia colpita, bella figura dello Spirito dato come frutto del sacrificio compiuto da Cristo. Il cap. 16 ci presenta una figura di Cristo che discende dal cielo per dare la vita al mondo; nel cap. 17 abbiamo quella dello Spirito Santo, «sparso» in virtù dell’opera compiuta da Cristo. «Bevevano alla roccia spirituale che li seguiva; e la roccia era Cristo» (1 Corinzi 10:4). Ma chi avrebbe potuto bere prima che la roccia fosse colpita? Israele avrebbe potuto contemplare la roccia e, contemplandola, morire di sete: finché non è stata colpita dalla verga di Dio, non ha potuto dissetare Israele. Ed è chiaro: il Signore Gesù era il centro di tutti i consigli d’amore e della misericordia di Dio. Per mezzo di lui tutte le benedizioni dovevano riversarsi sull’uomo. È dall’«Agnello di Dio» che i fiumi della grazia dovevano sgorgare; ma, perché così avvenisse, bisognava che l’Agnello fosse sgozzato, che l’opera della croce divenisse un fatto compiuto. Così, quando la Rocca dei secoli è stata colpita dalla mano dell’Eterno, le riserve dell’amore eterno furono aperte completamente, e i peccatori assetati e moribondi furono invitati, con la testimonianza dello Spirito Santo, a bere abbondantemente, a bere gratuitamente. «Il dono dello Spirito Santo» (Atti 2:38) è il risultato dell’opera compiuta da Cristo sulla croce. «La promessa del Padre» (Luca 24:49) non poteva realizzarsi prima che Cristo si fosse seduto alla destra della maestà nei cieli, dopo aver compiuta ogni giustizia, risposto a tutte le esigenze della santità, magnificata la legge, sopportata tutta la collera di Dio contro il peccato, distrutto il potere della morte e spogliato il sepolcro della sua vittoria. Compiuto tutto questo è «salito in alto, ha imprigionato la prigionia e ha fatto dei doni agli uomini» (Salmo 68:19) (*). «Or questo “è salito” che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra? Colui che è disceso è lo stesso che è salito al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse ogni cosa» (Efesini 4:9-10).

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    (*) Questa traduzione è più esatta della versione Luzzi che dice «hai menato in cattività dei prigionieri, hai preso doni dagli uomini».
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    00 21/04/2011 19:56
    Questo è il vero fondamento della pace, della felicità e della gloria della Chiesa, per sempre. Fino a che la roccia non fu colpita, il fiume era ritenuto e l’uomo era senza forza. Quale mano umana avrebbe potuto far scaturire acqua da una dura roccia? E quale umana giustizia avrebbe avuto la potenza di aprire i tesori dell’amore divino? Qui è messa alla prova la capacità dell’uomo: egli non poteva né coi suoi atti, né colle sue parole, né coi suoi sentimenti, dare a Dio un motivo per mandare lo Spirito Santo. Ma, grazie a Dio, ciò che l’uomo non poteva fare, Dio lo ha fatto. Cristo ha compiuto l’opera; la vera roccia è stata colpita e le acque ristoratrici sono sgorgate di modo che le anime assetate possano dissetarsi. «L’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna» (Giovanni 4:14). E ancora: «Or nell’ultimo giorno, il gran giorno della festa. Gesù stando in piè esclamò: Se alcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Or disse questo dello Spirito che dovevano ricevere quelli che crederebbero in lui; poiché lo Spirito non era ancora stato dato poiché Gesù non era ancora stato glorificato» (Giovanni 7:37-39. Vedere anche Atti 19:2).

    Così, come nella manna abbiamo trovato una figura di Cristo, nell’acqua che scaturisce dalla roccia Dio ci presenta una figura dello Spirito Santo. «Se tu conoscessi il dono di Dio (cioè Cristo venuto in grazia), tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva» (cioè lo Spirito Santo) (Giovanni 4:10).

    È questo, dunque, l’insegnamento che l’uomo spirituale riceve dalla roccia colpita; però il nome dato a quel luogo è un monumento perenne all’incredulità dell’uomo. «E pose nome a quel luogo Massah (tentazione) e Meribah (contesa) a motivo della contesa dei figliuoli di Israele e perché avevano tentato l’Eterno dicendo: L’Eterno è egli in mezzo a noi, sì o no?» (v. 7). Dopo tante assicurazioni e tante dimostrazioni evidenti della presenza dell’Eterno, sollevare una questione così dimostra che l’incredulità è radicata profondamente nel cuore dell’uomo. In effetti significava tentare l’Eterno; ed è ciò che i Giudei fecero il giorno della presenza di Cristo in mezzo a loro; lo tentarono domandandogli un «segno dal cielo». La fede non agisce mai così; essa crede alla presenza divina e ne gode, non per mezzo di un miracolo ma per la conoscenza che ha di Dio stesso. Essa sa ch’Egli è presente perché si goda di lui: e ne gode.
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    00 21/04/2011 19:57
    Accordaci, Signore, una fiducia più semplice in te!

    Questo capitolo ci presenta un’altra figura che ha per noi uno speciale interesse. «Allora venne Amalek a dar battaglia a Israele a Refidim. E Mosè disse a Giosuè: Facci una scelta di uomini ed esci a combattere contro Amalek; domani io starò sulla vetta del colle con il bastone di Dio in mano» (v. 8-9). Il dono dello Spirito Santo porta al combattimento; la luce riprende le tenebre e le combatte (vedere Efesini 5:7-14; 6:12). Dove tutto è oscurità non c’è lotta, ma la più debole lotta preannuncia la presenza della luce. «La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro in guisa che non potete fare quel che vorreste» (Galati 5:17). Vediamo questo anche nel nostro capitolo. Vediamo la roccia colpita e le acque che scaturiscono, poi subito dopo leggiamo: «Allora venne Amalek a dar battaglia a Israele».

    È la prima volta che Israele si trova di fronte a un nemico esterno. Fin qui il Signore ha combattuto per lui, come vediamo al cap. 14: «L’Eterno combatterà per voi e voi ve ne starete quieti»; ma qui è detto: «scegliti degli uomini». Dio combatterà ora in Israele. C’è differenza tra il combattimento di Cristo per noi e quello dello Spirito Santo in noi. Il primo è terminato, grazie a Dio; la vittoria è riportata e ci è assicurata una pace gloriosa ed eterna. Il secondo, invece, dura tuttora.

    Faraone e Amalek rappresentano due differenti potenze: Faraone è la figura di ciò che si oppone alla liberazione di Israele fuori d’Egitto; Amalek di ciò che ostacola il cammino di Israele con Dio nel deserto. Faraone sfruttava le cose dell’Egitto per impedire che Israele servisse l’Eterno; rappresenta dunque Satana che si serve del presente secolo malvagio (Galati 1:4) contro il popolo di Dio. Amalek è una figura della carne: è il figlio di Esaù che preferì una minestra di lenticchie al diritto alla primogenitura (Genesi 36:12). Fu il primo ad opporsi agli Israeliti dopo il loro battesimo nella nuvola e nel mare. (1 Corinzi 10:2). Questo mostra chiaramente qual’è il suo carattere. Sappiamo, inoltre, che Saul fu rigettato e deposto dal trono di Israele per non avere distrutto Amalek (1 Samuele 15). E Haman è l’ultimo degli Amalekiti menzionato nella Scrittura (Ester 3:1). Nessun Amalekita poteva entrare nell’assemblea dell’Eterno; e infine, nel capitolo che ci occupa, l’Eterno dichiara che ci sarà sempre guerra contro Amalek (Deuteronomio 25:17-19).
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    00 21/04/2011 19:57
    Tutte queste circostanze ci mostrano chiaramente che Amalek è una figura della carne nel credente. L’accostamento fra la battaglia che Amalek sferrò a Israele e l’acqua che scaturisce dalla roccia, è molto istruttivo e in perfetta armonia con la lotta che il credente deve sostenere con la sua natura malvagia; lotta che, come sappiamo, deriva dal fatto che possediamo una nuova natura nella quale abita lo Spirito. Il combattimento incomincia solo quando Israele è in pieno possesso della redenzione e ha mangiato la carne spirituale e bevuto alla roccia spirituale (1 Corinzi 10:3-4). Fino all’incontro con Amalek non ha avuto niente da fare. Non furono gli Israeliti a lottare contro Faraone e a distruggere la potenza dell’Egitto rompendo le catene di schiavitù; non furono loro a dividere le acque e a far annegare Faraone e tutto l’esercito suo; e neppure a far scendere pane dal cielo o scaturire acqua dalla roccia. Non hanno fatto e non potevano fare niente di tutto questo; ma, adesso, devono lottare contro Amalek. Tutte le precedenti battaglie erano avvenute fra l’Eterno e il nemico. Gli Israeliti non avevano avuto altro da fare che «stare tranquilli» a contemplare i trionfi clamorosi del braccio teso dell’Eterno e godere i frutti della vittoria. L’Eterno aveva combattuto per loro; adesso, invece, combatte in loro e per mezzo di loro.

    Per la Chiesa di Dio è la stessa cosa. Le vittorie su cui sono fondate la sua pace eterna e la sua felicità sono state riportate da Cristo solo per lei. Egli è stato solo sulla croce e solo nella tomba. Il gregge era disperso; come avrebbe potuto trovarsi là? Come avrebbe potuto vincere Satana, sopportare l’ira di Dio, o togliere alla morte il suo pungiglione? Tutto questo era al di sopra della potenza dei peccatori ma non della potenza di Colui che venne per salvarli, che solo era capace di portare sulle sue spalle il peso di tutti i loro peccati e di gettarlo lontano, per sempre, grazie al suo sacrificio perfetto; e lo Spirito Santo che procede dal Padre, in virtù dell’espiazione perfetta compiuta dal Figlio, può abitare nella Chiesa, collettivamente, e, individualmente, in ognuno dei suoi membri.
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    00 21/04/2011 19:58
    Quando, così, lo Spirito Santo abita in noi, per la morte e la risurrezione di Cristo, incomincia la lotta per noi. Cristo ha combattuto per noi, lo Spirito Santo in noi. Il fatto stesso che godiamo di questo primo e prezioso frutto della vittoria, ci pone in ostilità immediata col nemico. Ma la nostra consolazione e il nostro incoraggiamento è che siamo vincitori prima ancora di arrivare sul campo di battaglia. Il credente va combattendo in prima fila e canta: «Grazie siano rese a Dio che ci dà la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (1 Corinzi 15:57). Non combattiamo nell’incertezza come chi batte l’aria, mentre cerchiamo di mortificare il nostro corpo e di renderlo schiavo (1 Corinzi 9:26-27). Noi siamo più che vincitori in Colui che ci ha amati (Romani 8:37). La grazia nella quale ci troviamo, toglie alla carne ogni potere su noi (Romani 6). Se la legge è la forza del peccato (1 Corinzi 15:56), la grazia ne è l’impotenza. La legge dà al peccato della potenza su di noi; la grazia ci dà della potenza sul peccato.

    «E Mosè disse a Giosuè: Facci una scelta di uomini ed esci a combattere contro Amalek: domani io starò nella vetta del colle col bastone di Dio in mano. Giosuè fece come Mosè aveva detto e combatté contro Amalek; e Mosè, Aaronne e Hur salirono sulla vetta del colle. E avvenne che quando Mosè teneva la mano alzata, Israele vinceva; e quando la lasciava cadere, vinceva Amalek. Or siccome le mani di Mosè s’eran fatte stanche, essi presero una pietra, gliela posero sotto, ed egli vi si mise a sedere; e Aaronne e Hur gli sostenevano le mani: l’uno da una parte, l’altro dall’altra; così le sue mani rimasero immobili fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente, mettendoli a fil di spada» (vv. 9-13).

    Vi sono qui due cose distinte: la battaglia e l’intercessione. Cristo è in alto per noi mentre lo Spirito Santo combatte potentemente in noi. Queste due cose vanno di pari passo: man mano che per la fede realizziamo la potenza dell’intercessione di Cristo in nostro favore, noi trionfiamo nella nostra natura malvagia.

    Certe persone vogliono negare la lotta del cristiano contro la carne presentando la rigenerazione come un cambiamento o un rinnovamento completo della vecchia natura. In base a questo principio risulterebbe, necessariamente, che il cristiano non avrebbe da lottare per nulla. Se la mia vecchia natura è rinnovata, con cosa ho da lottare? Con niente. Dentro di me non c’è nulla della carne, se la mia vecchia natura è fatta nuova e nessuna potenza dal di fuori mi può toccare perché non trova presa in me. Il mondo non ha attrattiva per colui la cui carne è completamente cambiata e Satana non ha niente per mezzo del quale e sul quale possa agire.
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    Gian-
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    00 21/04/2011 19:58
    Si può dire a tutti coloro che propugnano questa erronea e funesta teoria che dimenticano il posto che Amalek occupa nella storia del popolo di Dio. Se gli Israeliti avessero immaginato che, sparito l’esercito di Faraone, il combattimento sarebbe finito per loro, sarebbero rimasti ben confusi quando Amalek marciò su loro. Il fatto è che per essi il combattimento incominciò solo allora. Per il credente è anche così: «Tutte queste cose avvennero loro per servire d’esempio e sono state scritte per ammonizione di noi che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi» (1 Corinzi 10:11). Ma non potrebbe esservi né figura, né esempio, né avvertimento in queste cose per uno la cui vecchia natura fosse stata rinnovata. In realtà, un tale uomo non avrebbe bisogno di queste provviste di grazia che Dio ha fatto, nel suo regno, per i suoi sudditi.

    La Scrittura ci insegna chiaramente che il credente ha, dentro di sé, ciò che corrisponde ad Amalek, cioè la carne, il vecchio uomo, i pensieri carnali (Romani 6:6; 8:7; Galati 5:17). Ora, se il cristiano, sentendo la presenza della sua vecchia natura, incomincia a dubitare di essere cristiano, non solo diventa estremamente infelice, ma si priva dei vantaggi della sua posizione davanti al nemico. La carne c’è nel credente, e vi rimane fino alla fine. Lo Spirito Santo riconosce pienamente la sua esistenza come molti passi del Nuovo Testamento dimostrano.

    In Romani 6:12 è detto: «Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale». Un simile comandamento non sarebbe necessario se nel credente la carne non ci fosse. Dirci che il peccato non deve regnare in noi, sarebbe fuor di logica se, in pratica, non abitasse in noi. C’è una gran differenza fra regnare e abitare. Il peccato abita nel cristiano, ma nell’infedele regna.

    Tuttavia, benché il peccato abiti in noi, noi possediamo, per la grazia di Dio, un principio di potenza su di esso: «Il peccato non vi signoreggerà perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia» (Romani 6:14). La grazia che, per il sangue della croce, ha tolto il peccato, ci garantisce la vittoria e ci dà una potenza attuale sul principio del peccato che abita in noi. Noi siamo morti al peccato; di conseguenza esso non ha potere su noi. «Perché colui che è morto è affrancato dal peccato» (Romani 6:7). «Sapendo questo, che il nostro vecchio uomo è stato crocefisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato onde noi non serviamo più al peccato» (Romani 6:6). «E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente». Tutto era vittoria, e la bandiera dell’Eterno sventolava sull’esercito trionfante portando questa bella e incoraggiante scritta: «Jehovah - Nissi» (L’Eterno, mia insegna o l’Eterno è la mia bandiera). La certezza della vittoria dovrebbe essere completa come quella del perdono, dal momento che ambedue sono fondate sul grande fatto che Gesù è morto e risuscitato. Il credente possiede una coscienza purificata e soggioga il peccato, nella potenza di queste cose. La morte di Cristo ha soddisfatto tutte le esigenze di Dio riguardo i nostri peccati, e la sua risurrezione diventa la sorgente della potenza per tutti i particolari della lotta alla quale, in seguito, siamo chiamati. Egli è morto per noi ed ora vive in noi. La morte di Cristo ci dà la pace; la sua vita, potenza.
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    Gian-
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    00 21/04/2011 19:58
    È edificante notare il contrasto che c’è fra Mosè sul colle e Cristo sul trono. Le mani del nostro grande intercessore non possono mai appesantirsi; la sua intercessione non è mai interrotta. «Vivendo egli sempre per intercedere per loro» (Ebrei 7:25). La sua intercessione è incessante e onnipotente. Avendo preso posto nei cieli nella potenza della giustizia divina, agisce per noi in base a ciò che è e all’infinita perfezione di ciò che ha fatto. Le sue mani non possono appesantirsi, non ha bisogno che un altro le sostenga. La sua intercessione perfetta è basata nel suo sacrificio perfetto. Egli ci presenta a Dio, rivestiti delle sue proprie perfezioni di modo che, pur avendo sempre di che nascondere la nostra faccia nella polvere (nel sentimento di ciò che siamo realmente), lo Spirito Santo rende testimonianza di noi in base a ciò che Cristo è per noi e a ciò che noi siamo in lui. «Or, voi non siete nella carne ma nello Spirito» (Romani 8:9). Per quanto riguarda la nostra condizione, siamo nel corpo, però, quanto al principio della nostra posizione, non siamo nella carne. Inoltre la carne è in noi, ma noi non siamo nella carne perché viviamo con Cristo.

    E, per finire, notiamo ancora che Mosè aveva con sé, sul colle, il bastone di Dio, col quale aveva colpito la roccia. Esso era il simbolo e l’espressione della potenza di Dio che si manifesta nell’espiazione e nell’intercessione. Quando l’opera dell’espiazione fu compiuta, Cristo si sedette nel cielo e mandò lo Spirito Santo perché abitasse nella chiesa; di modo che esiste un legame indissolubile tra l’opera di Cristo e quella dello Spirito Santo. In ambedue c’è l’applicazione della potenza di Dio.