Si può dire a tutti coloro che propugnano questa erronea e funesta teoria che dimenticano il posto che Amalek occupa nella storia del popolo di Dio. Se gli Israeliti avessero immaginato che, sparito l’esercito di Faraone, il combattimento sarebbe finito per loro, sarebbero rimasti ben confusi quando Amalek marciò su loro. Il fatto è che per essi il combattimento incominciò solo allora. Per il credente è anche così: «Tutte queste cose avvennero loro per servire d’esempio e sono state scritte per ammonizione di noi che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi» (1 Corinzi 10:11). Ma non potrebbe esservi né figura, né esempio, né avvertimento in queste cose per uno la cui vecchia natura fosse stata rinnovata. In realtà, un tale uomo non avrebbe bisogno di queste provviste di grazia che Dio ha fatto, nel suo regno, per i suoi sudditi.
La Scrittura ci insegna chiaramente che il credente ha, dentro di sé, ciò che corrisponde ad Amalek, cioè la carne, il vecchio uomo, i pensieri carnali (Romani 6:6; 8:7; Galati 5:17). Ora, se il cristiano, sentendo la presenza della sua vecchia natura, incomincia a dubitare di essere cristiano, non solo diventa estremamente infelice, ma si priva dei vantaggi della sua posizione davanti al nemico. La carne c’è nel credente, e vi rimane fino alla fine. Lo Spirito Santo riconosce pienamente la sua esistenza come molti passi del Nuovo Testamento dimostrano.
In Romani 6:12 è detto: «Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale». Un simile comandamento non sarebbe necessario se nel credente la carne non ci fosse. Dirci che il peccato non deve regnare in noi, sarebbe fuor di logica se, in pratica, non abitasse in noi. C’è una gran differenza fra regnare e abitare. Il peccato abita nel cristiano, ma nell’infedele regna.
Tuttavia, benché il peccato abiti in noi, noi possediamo, per la grazia di Dio, un principio di potenza su di esso: «Il peccato non vi signoreggerà perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia» (Romani 6:14). La grazia che, per il sangue della croce, ha tolto il peccato, ci garantisce la vittoria e ci dà una potenza attuale sul principio del peccato che abita in noi. Noi siamo morti al peccato; di conseguenza esso non ha potere su noi. «Perché colui che è morto è affrancato dal peccato» (Romani 6:7). «Sapendo questo, che il nostro vecchio uomo è stato crocefisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato onde noi non serviamo più al peccato» (Romani 6:6). «E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente». Tutto era vittoria, e la bandiera dell’Eterno sventolava sull’esercito trionfante portando questa bella e incoraggiante scritta: «Jehovah - Nissi» (L’Eterno, mia insegna o l’Eterno è la mia bandiera). La certezza della vittoria dovrebbe essere completa come quella del perdono, dal momento che ambedue sono fondate sul grande fatto che Gesù è morto e risuscitato. Il credente possiede una coscienza purificata e soggioga il peccato, nella potenza di queste cose. La morte di Cristo ha soddisfatto tutte le esigenze di Dio riguardo i nostri peccati, e la sua risurrezione diventa la sorgente della potenza per tutti i particolari della lotta alla quale, in seguito, siamo chiamati. Egli è morto per noi ed ora vive in noi. La morte di Cristo ci dà la pace; la sua vita, potenza.