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GARAGE CRONENBERG


“Oggi la benzina è rincarata, è l'estate del Quarantasei; un litro vale un chilo d'insalata, ma chi ci rinuncia, a piedi chi va? L'auto, che comodità!”
(Paolo Conte, La Topolino amaranto)

Che David Cronenberg abbia una forte passione per i motori - e in particolar modo per auto e moto italiane - è cosa nota. Alla Mostra del Cinema di Venezia del 2005, presentando la pubblicazione in volume della sceneggiatura di Red Cars, un film sulla Ferrari concepito subito dopo Crash (id., 1996) ma mai realizzato, il regista canadese dichiarò: «Mi piacciono le ruote, mi piace la velocità e la sensazione che questa procura. Ho due bellissime motociclette, di cui una italiana. Sostanzialmente mi interessa tutto ciò che ha le ruote. E mi affascina la tecnologia: ho voglia di capirla a fondo, allontanandomi dal falso mito che la vuole deumanizzante. [...] Smontare un motore per vedere come è fatto è lo stesso lavoro che fa l'artista con la realtà. Un motore ci racconta chi lo ha costruito e il mondo in cui è nato» (1). Una dichiarazione che è quasi un omaggio rinascimentale al genio umano e che si colloca perfettamente nel pensiero estetico-filosofico cronenberghiano rimandando, se si vuole, al concetto di “bellezza interiore” teorizzato da Elliot Mantle, uno dei gemelli di Dead Ringers – Inseparabili, 1988), sia pure in chiave meccanica anziché biologica.
Oltre che nei film incentrati espressamente su di essi Crash, Fast Company [Veloci di mestiere, 1979]), i veicoli a motore, in Cronenberg, paiono sempre rispondere a scelte narrative ben precise, anche quando ricoprono semplici ruoli "di tappezzeria". Avrebbe lo stesso impatto visivo, ad esempio, un veicolo diverso dalla severa Citroen DS nera che conduce Song Liling verso il volo di espulsione dalla Francia in M. Butterfly (id., 1993)? O, ancora, la massiccia, britannicamente burocratica Rover P5 che riporta in manicomio il protagonista di Spider (id., 2002)?
Il fatto è che in Cronenberg anche i veicoli hanno una loro personalità; per cui vale la pena entrare nell'ideale "garage cronenberghiano" e curiosare un po' fra ciò che vi è parcheggiato:

- Motocicletta Ducati, modello imprecisato. Appare in The Italian Machine (1976), un cortometraggio girato per la televisione canadese in cui si parla di due ragazzi che, impietositi dall'immobilità alla quale è condannata, la rubano dalla collezione dov'è tenuta prigioniera per restituirla alle libere corse lungo le strade di Toronto.

- Pontiac Firebird 1977, versione dragster. È la "vedette" di Fast Company. Realizzato fra Rabid - Sete di sangue, 1976) e Brood - La covata malefica, 1979), il film è considerato dai più come una parentesi commerciale, un "corpo estraneo" nell'opera di Cronenberg (anche se il regista lo rivendica, ben a ragione, come parte integrante della sua filmografia). Con l'apparenza di un prodotto della Corman Factory, Fast Company parla di una squadra di piloti e tecnici di dragster, bolidi utilizzati in gare di accelerazione sul quarto di miglio molto popolari in Nord America. I veicoli, nella loro struttura (la carrozzeria è ridotta a un guscio leggerissimo, in contrasto con l'estrema sofisticatezza delle parti meccaniche), fanno pensare a giganteschi insetti, così come insetti sembrano i piloti durante le gare, bardati con tuta, passamontagna ignifugo, occhialoni e casco. Cronenberg abbonda in inquadrature "tecniche", mostrando le operazioni di manutenzione e preparazione dei bolidi, con un'insistenza e una meticolosità sui dettagli meccanici più da documentario di entomologia che da popcorn movie. La struttura narrativa è quasi western (il nomadismo dei protagonisti; la Pontiac sottratta all'Eroe e poi recuperata, quasi fosse il cavallo del cowboy); ma a un certo punto appare una sequenza (puntualmente tagliata nella versione italiana) in cui il secondo pilota del team, dopo aver fatto l'amore con due autostoppiste, versa compiaciuto sui seni di una di loro il contenuto di una lattina di olio per motori. Vaughan è già in circolazione.

- Lincoln Continental Convertible 1962. È forse il veicolo più famoso di tutti. In Crash, è l'auto su cui viaggia e compie le sue gesta Vaughan. Scelta perché richiama il modello su cui si trovava il presidente Kennedy al momento della sua uccisione, è la chiave di volta del pensiero ballard-vaughaniano (2). Autentico boudoir su ruote (3), è l'espressione mcluhaniana di Vaughan, così come Vaughan lo è della vettura. Estensione del suo guidatore, ma anche armatura, nerovestita come lui e come lui coperta di cicatrici e ammaccature, grazie alla sua mole anni Sessanta sovrasta abbondantemente le più piccole, odierne auto nel traffico cittadino e, con la mascherina aggressiva benché "sdentata", sembra un leviatano sempre pronto a piombare sulla preda. Sopravvissuta al suo demiurgo, dimostra, pur pesantemente incidentata, di sapere ancora il fatto suo, come e più della Christine king-carpenteriana.

- Motocicletta Ural (replica sovietica anni Sessanta della Bmw). È il mezzo di trasporto della dolce, tenace Anna, l'infermiera che si prende cura della neonata alla quale il boss vorrebbe fare la pelle in Eastern Promises - La Promessa dell'Assassino, 2007). Ereditata dal padre, e per questo amorevolmente mantenuta e usata, la Ural simboleggia tutto un mondo di valori familiari contro la spietatezza della mafia russa londinese in un film che, di fatto, è il remake cronenberghiano di Three Godfathers - In nome di Dio, 1948) di John Ford. Non a caso, nel film questa moto è un tocco di colore d'epoca che contrasta positivamente la stolida, volgare monotonia degli scuri berlinoni Bmw e Mercedes tirati a lucido e prediletti dai gangster.

- Ferrari 156 Fl. Le due monoposto, soprannominate "Shark Noses" per il particolare disegno del muso e legate alle glorie, ma anche alle tragedie del Campionato di Formula Uno del 1961 (l'americano Phil Hill si laureò campione del mondo nel Grand Prix di Monza di quell'anno, ma il compagno di scuderia Wolfgang von Trips trovò la morte in quella stessa corsa), dovevano essere le auto di Red Cars. Cronenberg prende una delle pagine più dolorose (4) della storia del Cavallino Rampante, sceglie di basarsi su un forte contrasto di personalità (il nervoso, ambizioso pilota americano; il posato, blasè pilota europeo) per imbastire un grande mèlo sportivo, permeato, secondo le dichiarazioni dello stesso Cronenberg, dell'atmosfera di quel periodo, ma anche di patriottismo, delle relazioni fra Enzo Ferrari e i suoi piloti e di rivalità agonistiche (5). Ma è lecito pensare che, se e quando il film si farà, le vere protagoniste saranno gli Squali rossi.

(1) Intervista riportata in Cinemazone.castlerock.it.
(2) Interessante leggere un altro scritto di James G. Ballard, autore del romanzo dal quale il film è tratto: «Poiché si trattava della prima gara di produzione automobilistica che si disputasse per le strade di Dallas, partecipavano sia il Presidente che il Vicepresidente. Sulla linea di partenza il Vicepresidente Johnson aveva preso posizione dietro Kennedy. La rivalità tra i due, per quanto dissimulata, destava grande interesse fra il pubblico. Nella folla molti sostenevano il pilota di casa, Johnson. [...] Kennedy affrontò la discesa in velocità. Un funzionario di gara, allarmato, tentò di salire sull'automobile, che continuò invece per la sua strada affrontando la curva su due ruote. All'ospedale, Kennedy fu squalificato per aver affrontato la curva in modo errato» (James Ballard, “L'assassinio di John Fitzgerald Kennedy considerato come una automobilistica in discesa”, in id., La Mostra delle Atrocità, Feltrinelli, Milano 2001).
(3) «Una camera da letto mobile», chiosa lo stesso Cronenberg. «Forse è per questo che la gente rifiuta ancora i mezzi pubblici: se in metropolitana ci fossero delle piccole cuccette isolate, magari sarebbe diverso...» (Chris Rodley, “Interview with David Cronenberg”, Sight & Sound, giugno 1996).
(4) E meno pacificate: pare che qualcuno, in Ferrari, abbia fatto un salto sulla poltrona, a sapere che il regista di Crash ci stava lavorando.
(4) Un approccio "umanistico" che, sia detto en passant & senza offesa, differenzia nettamente Cronenberg da un altro collega "fissato" con le automobili, Quentin Tarantino; sul quale, alla conferenza stampa di presentazione del volume Red Cars, il Canadese a domanda ha risposto: «Tarantino parla solo di altri film. Un giorno avremo un regista che citerà Tarantino. Ma così non si va da nessuna parte».
Arturo Invernici, Cineforum n.477