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Roma Papale

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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:13
    Lettera Quindicesima
    Lettera Quindicesima

    Ancora del Gesuitismo
    Enrico ad Eugenio

    Roma, Aprile 1849.


    Mio caro Eugenio,

    Le rivelazioni che mi fece l’abate P. intorno al Gesuitismo mi aprirono la mente: allora conobbi tante cose che per me erano state un mistero; ma ancora mi rimanevano de’ dubbi. L’abate P. continuò a darmi tutte le spiegazioni che poteva desiderare: ed io, senza rapportarti interamente quello che mi disse, te ne darò la sostanza in questa lettera.

    Il Gesuitismo attuale, sebbene abbia gli stessi principii del Gesuitismo antico, pure ne ha modificata in tal modo la applicazione, da non più riconoscerli. Chi credesse di conoscere i Gesuiti per aver letto tutti que’ libri che furono scritti nel secolo passato per ismascherarli, s’ingannerebbe a partito. Il Gesuitismo d’allora era una guerra manifesta al Vangelo ed alla società; il Gesuitismo attuale è una malattia lenta, ma contagiosa e micidiale, che s’insinua nascostamente; è un veleno che si prende sotto nome di medicina. Oggi i Gesuiti non sono più i confessori de’ monarchi: il confessore oggi non ha più influenza su di essi: non sono più i predicatori di corte, la predica di corte essendo passata di moda. Il loro fine è far dipendere da loro la sorte de’ popoli, e la confessione de’ sovrani e le prediche di corte non sono più i mezzi per raggiungere un tale scopo: e siccome i mezzi sono indifferenti, così essi li hanno cangiati.

    Importava molto ad essi di smentire quanto contro di loro era stato detto prima che fossero stati soppressi: ma come fare a smentire documenti così chiari, processi giudiciali, testimonianze senza eccezione, bolle di Papi, scritti loro propri? Sarebbe stata cosa impossibile per chiunque altro, ma non per essi che ritengono buoni tutti i mezzi purché conducano al fine. A tale effetto hanno adottata una condotta tutta contraria a quella dei loro predecessori; affinché il popolo, che non legge i libri antichi, vedendoli in apparenza di santi creda che le cose dette di loro sieno calunnie de’ Protestanti e de’ liberali: e gli uomini che studiano, dicano: "Se gli antichi Gesuiti erano cattivi, i moderni son buoni." In questa guisa essi si sono riabilitati nella opinione di coloro che giudicano le cose dalla superficie. Così essi han cangiato di mezzi, ritenendo sempre lo stesso scopo. Ecco dunque la differenza fra gli antichi e i moderni Gesuiti: quelli agivano alla scoperta come conquistatori; questi agiscono copertamente come assassini (Nota 1 - Gesuiti antichi e moderni).

    A cosa dunque tendono i Gesuiti? A sentir loro, essi non cercano che la maggior gloria di Dio: ad esaminare i fatti, risulta che essi non tendono che al dominio universale. Essi si sono resi necessari al Papa, che senza di essi non può più esistere, perchè il Cattolicismo è immedesimato in loro (Nota 2 - Il Cattolicismo è gesuitismo). Essi si sono resi necessari ai governi, ed hanno in loro mano le rivoluzioni: ed in questa guisa, o sotto un nome o sotto un altro, sono essi che dominano il mondo (Nota 3 - Potere ed arti de' Gesuiti), che lo hanno ridotto a tali perversioni d’idee che non si può essere nè buon cittadino, nè buon Cattolico, se non si è Gesuita.

    Siccome, secondo la loro massima favorita, per conseguire il fine tutti i mezzi sono indifferenti; così per non essere impediti dalle intelligenze, le impiccoliscono co’ loro studi, co’ loro metodi, con le loro superstizioni (Nota 4 - I Gesuiti vogliono l'insegnamento superiore), con le quali han materializzata e resa carnale la religione. Si fanno chiamare religiosi della compagnia di Gesù, non già per modellarsi in Lui, ma per presentare al popolo un Gesù gesuita: prendi pure qualunque de’ loro libri ascetici, fatti, come essi dicono, per nudrire la divozione, e vi scorgerai non il sublime Gesù del Vangelo, ma un Gesù talmente rimpiccolito da somigliare ad un loro novizio.

    Essi vogliono dominare nella politica: il quarto voto che fanno di obbedire ciecamente al Papa è da loro osservato come un mezzo per giungere al loro scopo: quando si oppone ad esso, sono i preti i più ribelli (Nota 5 - I Gesuiti ribelli al papa - Riti cinesi - Riti malabarici - Non obbediscono alla soppressione). Per rendersi necessari a’ sovrani, essi s’impadroniscono di tutto: le coscienze non de’ sovrani, ma dei popoli sono in mano loro: i preti che non dipendono da loro, che non seguono le loro dottrine, che non insegnano la religione, e non guidano le anime secondo le dottrine gesuitiche, prima erano dichiarati giansenisti; ora preti libertini e rivoluzionari. I Gesuiti predicano la rivoluzione, mentre a parole predicano la obbedienza e la sommessione. Questo ti sembrerà un paradosso, eppure è una verità: essi predicano che si deve ubbidire a tutte le autorità costituite da Dio; ma poi, deplorando la malvagità de’ tempi, parlano contro le libertà come cose attentatorie alla religione, ed insinuano che le autorità che sono da Dio, sono quelle che proteggono la Chiesa. Nel confessionario poi, ove non temono il fisco, parlano più chiaramente: chi non protegge i Gesuiti perseguita la religione: e così agiscono non solo i Gesuiti propriamente detti, ma anche tutti i loro affigliati. In questo modo si rendono formidabili, perchè agiscono come un’ acqua sotterranea che rode le fondamenta, senza manifestarsi. Quando Pio IX nel principio del suo pontificato sembrava avere delle velleità liberali, i Gesuiti facevano delle pessime insinuazioni sul suo conto, ed inculcavano ai loro devoti di pregare per la di lui conversione (Nota 6 - Gesuiti contrarii a Pio IX). Se un sovrano non li protegge, essi insinuano che non è uomo religioso; se gli torna più il conto, allora dicono che il sovrano è buono, ma che i ministri sono cattivi, e discreditano il governo; allora abusano di quel passo della Bibbia: "Bisogna ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini" (Nota 7 - Ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini), ed inventano ed insegnano tutti i sotterfugi per eludere la legge.

    Se poi si tratta di un sovrano o di un governo amato dal popolo, non perciò si scoraggiscono i reverendi padri: allora essi dicono che il popolo è ingannato dalle apparenze; che quel bene che esso vede nel governo, non è che una vernice, una pellicola d’oro sopra una pillola di arsenico; che attrae i popoli per perderli, come la incantatrice sirena della favola; che que’ pretesi vantaggi che il popolo vede non sono che inganni, che furberie di uomini irreligiosi, per togliere dal popolo il prezioso tesoro della religione dei padri: e tanto sanno fare, tanto sanno dire, che creano imbarazzi e dispiaceri al governo, fanno rovesciare i ministeri a loro contrari; fanno introdurre ne’ parlamenti i loro adepti, e paralizzano le libertà ed arrestano i progressi: Nè contenti di ciò, eccitano la reazione in tutti i possibili modi, acciò il paese torni sotto il, per loro beato, despotismo.

    Pellegrino Rossi era il solo uomo il quale potesse in Roma mantenere il governo costituzionale: ma egli era inviso ai Gesuiti. Il di lui assassinio è stato attribuito ai liberali; ma tutti gli uomini di senno in Roma sono persuasi quello essere stato opera tenebrosa de’ Gesuiti, per gettar Roma in una rivoluzione sanguinosa (Nota 8 - Assassinio del Rossi). Rossi fu ucciso, ma altro sangue non fu sparso, ed il progetto di reazione abortì. Allora l’Antonelli, affigliato de’ Gesuiti, ordinò alla guardia svizzera di far fuoco sopra un popolo disarmato che domandava al papa di non essere lasciato senza governo (Nota 9 - Il 16 novembre 1848). Anche questo infernale tentativo svanì, la reazione non vinse: ed allora il partito gesuitico costrinse il Papa a fuggire da Roma, facendogli vedere pericoli ove non ve ne erano; ma quella fuga era il mezzo per giungere al loro scopo, cioè gettar Roma nell’anarchia, allarmare i despoti ed i Cattolici, impadronirsi del Papa per ricondurlo al medioevo. Così presso a poco agiscono da pertutto: il loro dominio è lo scopo a cui tendono; i mezzi per giungervi sono indifferenti: quindi in un paese ove sono Gesuiti, o essi devono dominare, o il paese deve andare in ruina.

    Desidereresti forse sapere come fanno i Gesuiti a procacciarsi tante ricchezze; giacchè non è un segreto che essi sono ricchissimi (Nota 10 - Il padre del cardinal Sala). Rammenta che le loro ricchezze sono per la maggior gloria di Dio; quindi i mezzi per acquistarle sono per essi indifferenti. Noi poveri semplici, chiamiamo certe azioni, furti, rapine, frodi, latrocini ecc.; ma i reverendi padri, con la loro teologia, chiamano quelle cose mezzi indifferenti per giungere al loro fine (Nota 11 - Actiones recipiunt speciem a fine), il quale essendo santo, cioè la maggior gloria di Dio, non può fare a meno di santificare eziandio i mezzi.

    Uno di questi mezzi è la ipocrita povertà che essi affettano: se tu entri nella camera di un Gesuita, fosse anche nella camera del P. Generale, vi trovi una povertà edificante. Il Gesuita non ha mai un soldo in tasca; ma questa grande povertà è una santa ipocrisia per gettar polvere sugli occhi ai semplici, e per rendersi più interessanti. Al Gesuita non manca mai nulla, ma ha all’istante tutto quello che può desiderare (Nota 12 - Povertà de' Gesuiti): il povero è colui che è costretto a soffrire delle privazioni; ma nessun principe ha quanto ha il Gesuita (Nota 13 - Quadro della cena di Emaus): biblioteche ricchissime, musei, specole, oggetti di belle arti, tutto si trova in abbondanza nelle loro case e ne’ loro collegi; la loro tavola ordinaria, senza essere sontuosa, è tale che supera o almeno agguaglia, la tavola ordinaria di qualunque gentiluomo (Nota 14 - Tavola de' Gesuiti).

    Per esercitare la frode, usano un altro mezzo che ha apparenza di santità. Le loro case professe, secondo la loro regola, non possono avere nè fondi nè rendite; ma debbono vivere di elemosina. Non credete però che esse non sieno ricchissime: hanno possessioni, hanno rendite; ma esse non sono intestate alla casa, bensì alla infermeria, per sostenere i Gesuiti infermi; e sotto questo pretesto, sono ricchissimi (Nota 15 - Ricchezza de' Gesuiti nel Belgio), e fingono non aver nulla: è una restrizione mentale: ma siccome spargono nel popolo che la casa è povera, così, per confermare la loro pretesa povertà, vanno per la città questuando (Nota 16 - Questua de' Gesuiti in Roma), e frodano ai poveri le elemosine de’ cittadini. Nelle loro chiese sono famosi per le questue: questuano sotto varii pretesti per le case dei devoti: e sono pochi anni che per abbellire l’ altar maggiore del Gesù spesero centomila scudi romani (540,000 franchi) (Nota 17 - Altare maggiore del Gesù).

    Un’ altra fonte di ricchezza per essi, lo crederesti? sono i paesi protestanti. I Gesuiti educano in Roma alcuni giovani di varie nazioni, tolti da’ paesi protestanti: e questo gli dà il mezzo di poter questuare in que’ paesi, onde mantenere in Roma ed educare i missionari. La sola Inghilterra dà ogni anno ai Gesuiti più migliaia di lire sterline.

    Non dico nulla della famosa opera della propagazione della fede che ha il suo centro in Lione: quelle grandi somme che si raccolgono ogni anno dai Gesuitanti, servono a mantenere il Gesuitismo ove già è, ed a propagarlo ove ancora non è.

    Un altro mezzo di ricchezza sono le donazioni ed i testamenti (Nota 18 - I Gesuiti carpiscono le eredità). Se un ricco si confessa da un Gesuita, non può uscirne senza aver pagata cara la sua assoluzione: non già che il Gesuita dica: "Dammi denaro, altrimenti non ti assolvo:" ciò sarebbe cosa troppo grossolana, e non la sarebbe da furbo. Il Gesuita parla al suo ricco penitente dell’obbligo della beneficenza, che pesa in modo più speciale sui ricchi: e fin qui fa bene. Ma poi incomincia a dire che bisogna guardarsi dal fare elemosine pubbliche e sottoscrizioni, e che la migliore maniera di fare del bene è quella di farlo per mezzo di persona religiosa che benefichi senza far sapere il nome del benefattore; e la borsa del ricco è per vuotarsi nelle mani del confessore. Un confessore non Gesuita aprirebbe le mani; ma il Gesuita si ricusa, non riceve nulla, dice che gli è vietato toccare denaro; e lo sciocco penitente lo crede, prende maggiore stima dell’individuo e del corpo, e dà al corpo le sue limosine, ma in maggior quantità che non ne avrebbe date all’individuo.

    Quando un Gesuita vede il suo penitente ricco pronto a dare, incomincia a lodare le opere della compagnia, e a dire quanta maggior gloria ne verrebbe a Dio, quando essa avesse più mezzi. Parla della carità, e la distingue dalla filantropia: dice che questa è opera che si fa da’ filosofi e dagl’increduli; ma la carità è l’opera dei Cristiani: per la filantropia si dà all’ uomo, per la carità si dà a Dio (Nota 19 - Carità e filantropia): rammenta che Gesù loda quella donna che versava su lui il balsamo prezioso invece di sollevare con quel denaro i poveri: e conchiude che i denari meglio spesi sono quelli che si dànno per la maggior gloria di Dio, che si dànno a Gesù; e per Gesù intendono loro stessi.

    Se si confessa da un Gesuita un uomo, il quale abbia incominciata la sua ricchezza rubando, e che, divenuto ricco e vecchio, voglia accomodare le sue partite di coscienza, trova subito come accomodarsi col suo confessore: egli ha pronta per questa occasione la parabola del fattore infedele, e citandola, dice a colui: "Fatevi degli amici per mezzo delle inique ricchezze; affinchè quando venghiate a mancare, vi dian ricetto ne’ tabernacoli eterni" (Luc. XVI, 9): e così insinuano di dare quelle ricchezze inique alla Vergine ed a’ santi (per mezzo loro), onde farseli amici, acciò poi lo ricevano nel cielo (Nota 20 - Parabola dell'economo infedele).

    Quando sono al letto dei moribondi ricchi, parlano ad essi della difficoltà che hanno i ricchi per potersi salvare; e quando li hanno ben bene spaventati, soggiungono che a Dio niuna cosa è difficile; ch’egli ha insegnato anche ai ricchi il mezzo sicuro di salvarsi, ponendo i loro tesori nel cielo (Nota 21 - Gesuiti al letto de' moribondi); imperciocchè là ove sarà il nostro tesoro, sarà altresì il nostro cuore. Il ricco, che con una firma si vede aperto il cielo, firma il suo testamento a favore de’ reverendi padri, come se si trattasse di firmare una cambiale. Sono questi alcuni dei santissimi mezzi che usano i Gesuiti onde arricchirsi: e questi sono i mezzi i più pubblici, i più usitati, senza parlare di molti altri che sono un segreto per il pubblico.

    Per acquistare e mantenere le ricchezze a spese del pubblico, bisogna farsi credere dal popolo non solo onesti, ma santi; quindi i Gesuiti affettano una moralità austera, una religione esagerata. In quanto alla moralità, non è già che i Gesuiti sieno di una pasta differente dagli altri frati; ma essi sanno prendere tutte le loro precauzioni per non essere scoperti (Nota 22 - Moralità affettata de' Gesuiti): essi vanno per la città sempre in due almeno, essi camminano ad occhi bassi; non s’intrattengono come gli altri frati ne’ caffè, nelle botteghe, nelle case; insomma mostrano la più grande moralità. Se essi non agiscono in cotal modo, chi sarebbe per loro? Ma e non era precisamente così che agivano i Farisei (Nota 23 - Gesuiti e Farisei)? Però, mentre affettano tanto rigore, non si fanno il più piccolo scrupolo delle tante iniquità che commettono, e che io ti ho accennate: perchè quelle sono mezzi che conducono al fine, e per conseguenza sono cose per loro stesse indifferenti; mentre la corruzione del costume sarebbe un mezzo che allontanerebbe dal fine, e per conseguenza sarebbe cosa cattiva.

    Sarebbe però nocevole al loro fine esigere la osservanza di una morale severa da coloro che si lasciano dirigere da essi, allora avrebbero pochi seguaci: perciò i reverendi padri hanno una morale adattata per tutti i gusti. Non starò qui a ripeterti quanto ha detto con tanta grazia Biagio Pascal nelle sue Provinciali; ma posso assicurarti che la loro morale è, in fondo, la medesima, sebbene siasi alquanto perfezionata, secondo le circostanze.

    Essi affettano una grande religiosità, e la insinuano nei loro penitenti: ma tutta la loro religione consiste in superstizioni, più o meno grossolane; in una religione dei sensi, piuttostochè dello spirito. Il Signore dice che i veri adoratori debbono adorare Iddio in ispirito e verità; ed essi stabiliscono un culto tutto di sensi. Il culto semplice e spirituale, secondo il Vangelo, non dà ai preti nè ricchezze, nè autorità, nè dominio; per giungere al loro scopo, i Gesuiti hanno sempre più materializzato il culto. Gesù Cristo dice che la via che conduce alla vita è angusta, mentre la porta che conduce alla perdizione è larga: i Gesuiti per farsi molti amici dicono precisamente il contrario, e fanno larghissima la via del cielo (Nota 24 - I Gesuiti rovesciano il Cristianesimo); e così ingannano le anime, ma raccolgono il denaro. Gesù Cristo dice che pochi sono quelli che camminano per la via stretta; e lo studio de’ Gesuiti è di presentare un Cristianesimo comodo, affinchè tutti dopo una vita tutt’altro che cristiana, sieno poi salvati.

    Sono essi che hanno condotto al più alto grado il culto di Maria (Nota 25 - La religione de' Gesuiti è la Mariolatria); perchè un tal culto è facile, è aggradevole, è, secondo loro, sicuro, essendo impossibile che un divoto di Maria vada dannato, per quanto scellerata sia stata la sua vita.

    E, quasi tutto ciò fosse poco, hanno inventato una nuova divozione al loro S. Francesco Saverio (Nota 26 - La novena della grazia). Essi dicono che vi è una rivelazione per la quale Dio s’impegna di accordare una grazia qualunque che gli è domandata in nome di S. Francesco Saverio, facendo una novena in suo onore nei giorni stabiliti, che se ben ricordiamo è nel mese di Marzo. I Gesuiti furbi per non essere smentiti, consigliano tutti a domandare la grazia la più essenziale, cioè la salvazione dell’anima; e ne’ giorni di quella novena vedi la immensa chiesa del Gesù piena di divoti a domandare la loro salvezza, e i Gesuiti, in nome di Dio e di S. Francesco Saverio, li assicurano che saranno salvati; e le elemosine al santo empiono tutte le cassette.

    Non mai la finirei se volessi raccontarti quanto l’abate P. mi disse, e quanto io conosco, sebbene non conosca tutto, delle arti gesuitiche. Questi pochi cenni ti bastino, per ora, per guardarti da essi. Nella mia prossima lettera, se piace a Dio, ti parlerò della mia prigionia. Ama sempre il tuo

    Enrico.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:14
    Gesuiti antichi e moderni
    Nota 1. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Chiunque è un poco iniziato nelle ecclesiastiche istorie, sa in qual modo agivano gli antichi Gesuiti. Il famoso fallimento del P. Valletta, i Gesuiti condannati a morte dappertutto per cospirazioni contro i sovrani, le immense loro ricchezze, ed il dominio che avevano in tutte le corti, sono fatti talmente patenti, che ci vuole una superlativa ignoranza nella storia per negarli. I Gesuiti allora agivano scopertamente; e mentre ogni re aveva uno di essi per confessore, un altro per predicatore, altri Gesuiti cospiravano contro la sua vita, e gli usurpavano i dominii.

    Basta leggere le lettere che il venerabile vescovo Palafox scriveva al papa sulle iniquità de' Gesuiti nel Messico, per conoscere chi erano, e come agivano questi santi religiosi. Noi non citiamo le accuse che gl'increduli han fatte ai Gesuiti; esse possono essere esagerate: ma quelle fatte dagli uomini i più cattolici, ed i più rispettabili, come possono non credersi?

    Abbiamo sotto gli occhi un "memoriale presentato al re di Spagna a' 26 novembre 1652 da un religioso di S. Francesco, per la difesa della riputazione, dignità, e persona dell' illustrissimo e reverendissimo D.

    Bernardino De Cardenas, vescovo del Paraguai nelle Indie occidentali, consigliere ec., contro i religiosi della compagnia di Gesù," stampato in italiano a Lugano nel 1760. I fatti più orribili allegati contro i Gesuiti sono in esso confermati con deposizioni giuridiche firmate da più di duecento testimoni. In quel memoriale è provato che i Gesuiti furono amici del vescovo, fino a che questi li lasciò fare; ma quando volle fare la visita episcopale, essi, temendo che i loro imbrogli fossero scoperti, si sollevarono contro di lui: incominciarono a predicare agl'Indiani che il Cardenas non era vescovo legittimo. Poscia, per agire più efficacemente, comperarono il governatore spagnuolo D. Gregorio de Hinestrosa con trentamila scudi, acciò, sotto qualche pretesto sparisse l'importuno vescovo.

    Per dare un aiuto più efficace al governatore, levarono un esercito di 800 Indiani, capitanati da sette Gesuiti: e per allarmare gl'Indiani contro il santo vescovo, predicavano che la visita che il vescovo voleva fare consisteva di andare nelle case, cercarvi per sè e suoi preti le femmine che fossero state di loro soddisfazione, e prenderle. La gesuitica armata assediò il vescovo nella sua chiesa, ne forzò le porte, e lo avrebbe strappato dall'altare, se questi non avesse estratto dal tabernacolo il sagramento, e non se ne fosse armato. Gl'Indiani e gli Spagnuoli non ebbero allora il coraggio di toccarlo, con gran disappuntamento de' reverendi padri.

    Allora il governatore, stimolato dai Gesuiti, fece un decreto di esilio contro il vescovo, dichiarò la sede vacante, ed i Gesuiti fecero vicario capitolare un canonico, che per il suo idiotismo era stato dispensato dal coro. Allora presero il vescovo, e legato sopra una barchetta lo lasciarono in balìa della corrente del rapidissimo fiume, tenendolo certamente per morto. Ma Dio lo salvò, e lo fece approdare più morto che vivo ad ottanta leghe di distanza nella città di Lascorrientes, nella diocesi di Buenosaires.

    Dopo alcuni anni, ritornato per ordine del vice-re il vescovo nella sua cattedrale, i Gesuiti dichiararono cattedrale la loro chiesa; ed il nuovo governatere D. Diego di Escobar andò ad assediarlo nella chiesa.

    Dichiarato scomunicato dal vescovo, e vedendo il popolo ammutinato, lo lasciò. Ma i Gesuiti con un lungo scritto firmato da tutti loro dichiararono nulla la scomunica. I Gesuiti allora eccitarono l'arcidiacono, il quale, per loro consiglio, sparò un'arma da fuoco contro il vescovo: il colpo uccise un servo, ed i Gesuiti uscirono armati dal loro collegio a difendere I'arcidiacono, e lo condussero con loro.
    Basti questo piccolo saggio; imperciocchè noi scriviamo ora una nota, non un libro.
    I Gesuiti moderni però non agiscono più a quel modo: essi si sono dovuti adattare alla civiItà de' tempi ed alle circostanze. I mezzi, essi dicono, sono indifferenti, purchè conducano al fine; quindi li hanno cambiati: invece di agire come conquistatori, agiscono come traditori; e si mascherano sotto il nome di diverse associazioni. Se si presentassero col nome di Gesuiti, tutti se ne guarderebbero; perciò si presentano come Dame del S. Cuore, come monache di S. Giuseppe, come associazioni di S. Vincenzo de' Paoli, o di S. Dorotea e simili, e fanno così i loro affari. Non hanno però mai smesso il loro antico vizio di calunniare tutti quelli che gli fanno ombra; e basta leggere il Gesuita moderno di Gioberti, per trovare fatti innumerevoli in prova di questo.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:14
    Il Cattolicismo è gesuitismo
    Nota 2. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Qui siamo in perfetto disaccordo con Gioberti. Egli, nemico de' Gesuiti, voleva riformare il Cattolicismo, e pretendeva che esso fosse diverso, anzi contrario al Gesuitismo. I neocattolici sostengono la stessa tesi. Noi non vogliamo entrare in una discussione; perchè ora scriviamo una nota: solo faremo alcune riflessioni semplici ed ovvie. Perchè, domandiamo, sono stati dal papa condannati i libri di Gioberti? Egli difendeva il cattolicismo separato dal Gesuitismo: ma al capo della religione cattolica non piace questa dottrina: dunque non è vero che cattolicismo e Gesuitismo sieno separabili. Seconda riflessione: quali sono ai giorni nostri coloro che sono stimati i veri cattolici? Sono forse i Passagliani, i Giobertiani, i Rosminiani, od i liberali moderati che credono potersi emancipare dai Gesuiti? Costoro sono tutti scomunicati; ed alcuni di loro sono chiamati apostati e sciagurati. I veri cattolici sono i Paolotti, i Gesuiti, ed i Gesuitanti: dunque cattolicismo e Gesuitismo sono una stessa cosa. Terza riflessione: chi sono i beniamini del papa, i suoi difensori, i grandi propagatori del suo sistema? chi sono coloro che il papa canonizza con tanta profusione? I Gesuiti. Chi sono coloro a cui il papa commette la istruzione e la educazione di tutti coloro che da Roma debbono portare il Cattolicismo ne' paesi protestanti? Ai Gesuiti è commessa la educazione in Roma del collegio della propaganda, del collegio germanico e ungarico, del collegio greco, e del collegio americano, di quello irlandese, di quello scozzese: in una parola, il cattolicismo che si predica in tutto il mondo è insegnato da' Gesuiti, e per ordine del papa. Con buona pace dunque di Gioberti e di tutti i neocattolici, noi ci crediamo col papa autorizzati di credere che gesuitismo e cattolicismo sieno una stessa cosa. Finalmente tutti i libri di testo teologico che si usano nelle scuole cattoliche, non sono tutti di Gesuiti, o gesuitanti? Il cattolicismo era per cadere nel secolo XVI; ma il papa innestò al vecchio tronco del cattolicismo, il gesuitismo, e l'albero prese nuova vita; e il gesuitismo fu immedesimato al cattolicismo.

    Mi si dirà: Il gesuitismo fu soppresso da papa Clemente XIV, e il cattolicismo è restato: dunque non è ad esso immedesimato. Come i Gesuiti ubbidissero alla bolla di soppressione, lo vedremo nella nota V, ed allora si vedrà che quella soppressione non fu che apparente.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:15
    Potere ed arti de' Gesuiti
    Nota 3. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Come i Gesuiti siensi resi necessari ai governi lo abbiamo detto nella lettera precedente. Essi o visibilmente o invisibilmente sono in ogni paese; e sono divenuti così potenti che dominano dappertutto per mezzo de' loro ausiliari. Nomineremo alcuni di questi eserciti ausiliari de' Gesuiti, affinchè non sia tacciata di esagerazione la nostra proposizione.

    I Paolotti sono ora l'armata la più numerosa e la più potente de' Gesuiti; essi sono sparsi dappertutto, ed hanno affigliati uomini potenti: essi hanno i loro uomini nei dicasteri, nel parlamento... essi avversano ed incagliano le misure liberali del governo; seminano il malcontento nelle classi del popolo; e tutto ciò a nome della religione, e per la maggior gloria di Dio.

    Le Dame del Sacro Cuore sono una potente armata de' Gesuiti; sono essi, ed in loro assenza, i Paolotti, che cercano d'introdurle nelle grandi città, ed introdotte di mantenervele. Il loro istituto è pura emanazione ed istrumento dello spirito gesuitico. Esse si procurano la educazione esclusiva delle giovanette delle alte classi. La educazione di queste ragazze è diretta a fare di esse tante gesuitesse, affinchè il gesuitismo si propaghi nelle famiglie. Finita la loro educazione, e tornate alle loro famiglie, si obbligano a scrivere alla superiora due volte al mese, ed a questo modo si riesce a mantenere lo spionaggio nelle famiglie.

    Le monache del Buon Pastore sono un altro ramo del Gesuitismo: esse si occupano della educazione delle figlie del popolo, e della correzione delle donne perdute; e così insinuano il Gesuitismo nelle classi popolari; e traggono preziosi tesori dalle confessioni di quelle donne.

    Gl'Ignorantelli sono ausiliari potentissimi de' Gesuiti; ma bene spesso per la loro imprudenza compromettono i loro principali; ma trovano sempre e dappertutto protezioni dai numerosissimi affigliati al Gesuitismo.

    Una gran parte del clero sì secolare che regolare è venduto al Gesuitismo; e molti di essi sono tali senza saperlo. Si vergognerebbero di essere Gesuiti, perchè sono onesti; ma appartengono a quelle congreghe dirette occultamente da' Gesuiti, e così sono membra di quel corpo senza avvedersene.

    Vi è poi una congregazione organizzata sotto il nome di S. Dorotea, che è il capo d'opera dello spionaggio organizzato. Essa ha per pretesto di togliere le bambine dal male: ma non si vanno a cercare e raccogliere le bambine che il giorno vanno accattando e la sera facendo di peggio, per toglierle dal male; si vanno cercando le bambine che sono in famiglia, e si aggregano, e si allettano con regali, con passeggiate, con merende. La congregazione è presieduta da grandi signore; sotto di esse sono le ispettrici, o, come altri le chiamano, le anziane; e da queste dipendono le ragazze. Tutte, poi, e dame, ed ispettrici, e ragazze, si confessano dai Gesuiti, o da chi per loro; da qui nascono le inobbedienze ai genitori e a' mariti, per essere fedeli ai doveri della congregazione; le risse e le questioni nelle famiglie, e mille altri inconvenienti. Le ragazze sono tenute a svelare alle anziane tutto quello che accade nelle loro famiglie, e le anziane (che non sono vecchie) devono di tutto fare minuta relazione ai preti direttori della congregazione.

    Ma poichè siamo a parlare di spionaggio e delle arti che usano i Gesuiti per rilevare i segreti più intimi, ne vogliamo rivelare un'altra comunissima in tutte le scuole dei Gesuiti e gesuitanti: i memoriali di S. Luigi.

    I Gesuiti han fatto dichiarare dal papa il loro S. Luigi Gonzaga protettore della gioventù. In forza di questa carica, S. Luigi è mediatore presso Dio dei ragazzi, e presenta a Lui le loro dimande.

    Ogni anno per la festa di S. Luigi, tutti gli scolari de' Gesuiti e gesuitanti debbono fare un memoriale a S. Luigi, nel quale ciascuno, esponendo al santo lo stato di sua coscienza, gli chiede quella grazia che maggiormente desidera. Ogni memoriale è chiuso in apposita busta di seta più o meno ricca, ricamata in oro o no, secondo la possibilità del giovinetto, ed è consegnato al rispettivo maestro. La vigilia della festa, prima dei vespri solenni, i ragazzi accompagnati dai maestri, portano sull'altare del santo, con grande solennità, sopra vassoi d'argento, i memoriali, e li pongono in bell'ordine. Colà restano il giorno della festa.

    Circa un mese dopo, si fa nel giardino una gran festa, ed in essa si portano tutti i memoriali tolti dalle lore buste, e si bruciano solennemente. In quel mese, i Gesuiti hanno avuto il tempo di leggerli tutti, e di conoscere i segreti più nascosti, che il semplicetto credeva rivelare al suo protettore S. Luigi. Iniquità! abusare così della semplicità dei giovinetti!
    Un personaggio di lealtà e pietà specchiatissima, così scriveva all'abate Gioberti intorno al Gesuitismo, specialmente nella Liguria:
    "Colle accennate leve della nobiltà, del medio ceto, del popolo, della magistratura, dei precipui impiegati, concentrano in se stessi le fila di una immensa tela, con cui tendono a padroneggiare, e veramente non havvi chi possa far loro ragionevole resistenza. Pari in qualche modo al monopolio commerciale dell'Inghilterra, posseditrice d'immensi capitali, di meccanismi superiori ad ogni altro paese, che non può venir disturbato o ristretto finchè tutte le altre nazioni non sieno collegate per formare un capitale maggiore dell'inglese, con cui possano lottare e entrare in concorrenza de' profitti e distruggerne l'esclusivo egoismo. Ma nel caso nostro questa unione non è possibile, umanamente parlando; perchè, sebbene in diffidenza col pubblico, i Gesuiti possedono una unità centrale e suprema, in cui tutte raccolgonsi le fila di un ordito che abbraccia l'universo.

    Per la parte opposta, non esistono che sforzi isolati, o di persone, o di famiglie, o di provincie; ma non mai universali. Essi hanno ovunque aderenti secreti, e niuno può averne presso di loro. In ogni tempo i furbi profittarono sui babbei; gli Scribi e i Farisei abusarono della società ebraica ec.; ma quelle sette erano influenti sopra una sola religione, sopra una sola nazione, erano quindi limitate, circoscritte, non avevano un sistema fisso, tenace, costante; qui tutto è calcolo e disciplina; l'azione è universale nel tempo e nello spazio. Senza un miracolo della provvidenza, è impossibile all'uomo por freno a questa irruzione d'ogni errore; ma è rigoroso dovere di chi ha fede e religione svelare la verità a qualunque costo. Sia però costui disposto alle più gravi persecuzioni ed alle più solenni mentite. Citerà documenti che contro di essi esistevano in Propaganda? Quei documenti saranno al certo scomparsi. Citerà i noti processi? Ma questi non si trovano più. Citerà dei fatti? Con testimonianze o compre o ufficiose saranno controversi. Si citeranno persone? Queste o saranno costrette a mentire, o periranno per castigo di S. Ignazio.

    Come fatto municipale, è lecito di riferire che gli uomini veramente sommi che in Genova combattevano colla voce o colla penna il Gesuitismo, l'abate Massa, il canonico Perrone, il P. Spotorno, perirono in questi ultimi anni con sintomi alla cavità del ventre che resistettero ad ogni medicazione (* E la morte dello stesso Gioberti non è stata anch'essa un castigo di S. Ignazio?)

    "Lo spirito di spionaggio è ormai universalmente riconosciuto. Niuno va a confessarsi da costoro, o dai loro affigliati, che non sia interrogato sul nome, cognome, età, stato, condizione, parentela, relazioni ec. A tutti promettono, ed a molti accordano efficace protezione o per riuscire negli affari, vincer liti, sostenere impegni, o per ottenere uffici pubblici che in gran parte passano per le mani loro. I pochi impiegati che non sono ligi loro ne hanno un timore panico. Avendo le Curie dal loro canto, tutti i benefici passano poco per volta agli addetti.

    "Quanto ai redditi, ecco quanto ho di certo per ora. Nel 1816, un viglietto R. di Vittorio Emanuele impose all'Università (malgrado ogni resistenza) di consegnare ai Gesuiti tutti i beni fondi che possedeva dal 1773, come originari loro, e che dalla Repubblica erano stati solennemente donati all'Università. Dai registri appare che il loro reddito ascendeva a lire 44,000. Da quell'epoca, il reddito comune de' fondi è triplicato. Questo abuso d'autorità ha rovinato l'Università, mentre, non volendo il governo supplire a questa deficienza (sebbene lo avesse in parole promesso il buon Vittorio), non vi è cattedra che abbia più di 1200 lire. I valenti non vogliono quindi esser professori, quei che le accettano le curano assai poco. La deputazione degli studi è tutta composta di affigliati gesuitici.

    "Hanno una quantità di legati pii per messe, esercizi spirituali, missioni, elemosine ec..

    "Dal 1840 hanno cominciato ad andare chiedendo essi in persona l'elemosina in tutte le case. Da gran numero furono respinti: ma non pochi, o per vanità o per paura, dànno loro un regolare sussidio. Da accurate indagini pare ascenda a più di mille lire il mese.

    "Altra sorgente di lucro è questa. Tutte le case magnatizie hanno nel loro bilancio una vistosa somma (20, 30, ed anche quarantamila lire all'anno) per elemosine. Di queste procurano i PP. esserne i distributori.

    "Con questi redditi e colle loro economie, hanno i PP. di Genova acquistato un grandioso tenimento nella provincia di Tortona, nel luogo detto Montebello. Dicesi che monti a diecimila lire.

    "L'istancabilità loro a cercar denari non pare richiegga dimostrazioni. Voci, aneddoti ne corrono molti, ben circostanziati: eccone due. Nel 1844 moriva la vasaia che aveva bottega all'estremità del veicolo Notai, che si reputava danaiosa in grado massimo. Assistita nell'ultima malattia da' Gesuiti, gli eredi nulla rinvennero, e tanto questi come il pubblico credettero tutto fosse passato a mano de' Gesuiti. In aprile 1845 moriva in una casa a fronte della porteria di S. Ambrogio, certo signor Negretto con un asse di settecentomila lire. Gli eredi ne ebbero trecento. Aveva speso per il monastero di Santa Agata (affigliazione gesuitica) lire novantamila; pel buon Pastore, lire ventimila. Il resto è passato nelle mani de' Gesuiti. Una somma vistosa era presso il banchiere Ricci, e gli furono presentati degli assegni in perfetta forma del Negretto morto per versarli al portatore. Esistono due facchini che due volte carichi d'oro, dal banchiere lo portarono a S. Ambrogio (casa de' Gesuiti). Il P. Jourdan era sempre in casa del Negretto. Esiste persona che lo vide uscire da quella casa ed entrare in convento ben carico di scudi.

    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    "Il potere del gesuitismo è il sintomo più evidente della decadenza dello stato civile di una nazione. I PP. han perduto Carlo X, D. Carlo, D. Michele; e perderanno i governi italiani, se questi non vi rimediano."

    I Gesuiti di Genova, di cui si parla nel citato documento, non sono differenti dai Gesuiti degli altri paesi: per tutto si potrebbe dire di essi la stessa cosa: aveva dunque ragione l'abate di dire, che essi, o sotto un nome o sotto un altro, dominano il mondo.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:16
    I Gesuiti vogliono l'insegnamento superiore
    Nota 4. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    In un' altra nota abbiamo già parlato dei metodi usati da' Gesuiti nelle loro scuole per istillare la ignoranza ed i pregiudizi, fingendo insegnare la scienza; ora citeremo un esempio del come essi facciano per impadronirsi quando possono delI'insegnamento superiore.

    Quando il Belgio dopo la rivoluzione del 1830 riconquistò la sua libertà, i Gesuiti previdero che il governo avrebbe stabilita in Brusselles una Università. Sapevano che i professori sarebbero mancati: ed ecco il generale de' Gesuiti a mandare nel Belgio tutti i loro più rinomati professori, sperando che il governo ne profittasse. Ma il sig. De Ram, che conosceva troppo bene i Gesuiti, mandò a cercare professori da pertutto, e neppure un Gesuita fu scelto.

    I Gesuiti, esclusi, dichiararono la guerra alla Univesità. Domandarono all'arcivescovo di Malines il permesso di aprire un collegio, e non lo ottennero. Allora domandarono alla Università il permesso di aprire un corso di teologia pe' loro adepti; e la Università, temendo mostrarsi intollerante, accordò il permesso. Cercarono allora di attirare a loro tutti gli studenti di teologia, ma non vi riuscirono. Misero mano alla solita arma della santa calunnia; ed incaricarono il più famoso fra i loro, il P. Barbieux, a spargere dal pulpito, dal confessionale, e nei particolari colloqui, quanto mai potesse dire contro la Università.

    Non contenti di questo, accusarono d'irreligione i principali professori: sparsero in tutte le famiglie la calunnia che tutti i giovani dell'Università erano attaccati di sifilide, e che l'abate de Cock vicerettore era colui che li medicava. Questa calunnia portò la discordia nelle famiglie, e fu quasi per rovinare la Università.

    Il Signor Paolo Diercxsens di Anversa pubbbicò su questo fatto ne' giornali belgi nel 1846 una sua petizione al Ministro dell'interno, dalla quale tradurremo alcuni brani:

    "Non avendo io giammai avuto alcun rapporto co' Gesuiti, era portato ad amarli come un ordine religioso proscritto; ma quando ho imparato a conoscerli, allora mi sono sentito, come buon cittadino, obbligato a combatterli con tutte le mie forze. Io ho riconosciuto in tutto quello che dicono e fanno i Gesuiti, ne' loro sermoni, nelle loro private conversazioni, ne' loro scritti, ne' giovani educati alle loro scuole, un odio pronunciato contro le nostre istituzioni costituzionali, ed un desiderio, male da essi mascherato, di ricondurci al regime de' secoli passati. Essi spargono la disaffezione ed il disprezzo della libertà che formano il nostro diritto pubblico, i nostri titoli alla stima, e forse anche all'ammirazione dell'Europa. Tutti i miei amici politici, vale a dire tutti gli uornini che comprendono che fra la religione e la libertà non vi è antagonismo, ma armonia, hanno come me riconosciuto nei Gesuiti queste tendenze ostili ai veri progressi della civilizzazione cristiana.

    "Oggi, Signor Ministro, i Gesuiti meditano un'opera, che, se riuscirà loro di metterla ad effetto, avrà conseguenze deplorabili tanto per lo stato sociale del nostro paese, quanto per la religione: essi lavorano a Roma contro la Università di Lovanio, e cercano di farla cadere, per istabilire sulle sue rovine una Università gesuitica; ovvero obbligare i nostri vescovi a dar loro una parte d'influenza su quello stabilimento. Da quando quella Università cattolica fu stabilita, essi le hanno sempre fatto guerra, da principio sordamente e nell'ombra, ma poi con maggiore audacia, dacchè si sono veduti più potenti. Da due anni all'incirca essi non fanno che spargere le più infami calunnie contro la Università; dicono che l'insegnamento è cattivo, che essa è una scuola di liberalismo, che vi si insegna una filosofia eretica, che in essa si depravano i costumi. Sono giunti perfino a denunciare a Roma come eretiche le opere di uno de' più degni professori di essa, un prete venerato da tutti sì per il suo carattere, come per il suo profondo sapere. Roma ha domandato delle spiegazioni al professore accusato, ed egli le ha date tali che Roma stessa ne è restata soddisfatissima. Non ostante una tale sconfitta, codesti figli di Farisei continuano a denigrare quel professore, il cui gran torto consiste nel non volere adottare nell' insegnamento nè il loro metodo, nè le loro opinioni. Essi han fatto anche più: hanno stabilito, contro la volontà de' vescovi un corso di filosofia nel loro collegio di Namur, e con tutte sorti d'insinuazioni si sforzano di attirarvi la gioventù, ed impedirla di andare alla Università, ove, secondo essi, s'insegna la eresia e si corrompono i costumi………

    "Non credete voi, signor Ministro, che il governo debba far uso di tutti i suoi mezzi d'influenza, per impedire la creazione di una Università gesuitica nel Belgio? Un cotale stabilimento sarebbe il semenzaio dei nemici delle nostre istituzioni: i Gesuiti insegnerebbero ai loro scolari a riguardare la costituzione belga come empia e rivoluzionaria. È cosa notoria che i Gesuiti ne' loro collegi nudriscono lo spirito de' loro scolari di prevenzioni contrarie allo stato avanzato di civilizzazione, al quale noi siamo giunti per la grazia di Dio: attualmente cotali prevenzioni si dissipano nella Università; gli spiriti i più snervati per la influenza gesuitica prendono in essa una nuova tempra; ma se la Università cadesse nelle mani dei Gesuiti, non oserei dire dove il male si fermerebbe. Si stabilirebbe nella nostra società uno stato di ostilità fra lo spirito della religione e lo spirito della libertà; i Belgi istruiti ed amanti del loro paese si separerebbero in due campi; gli uni rigetterebbero la religione per amore della libertà, gli altri la libertà per amore della religione. È impossibile immaginare nulla di più funesto per la generazione che si sta formando…… io non esito a dirlo: una Università gesuitica sarebbe uno stabilimento nemico alle nostre istituzioni, nemico del nostro sviluppo morale e sociale; sarebbe uno stabilimento antinazionale."
    Delle superstizioni di cui i Gesuiti empiono le menti de' giovani, ne parleremo in altra nota.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:16
    I Gesuiti ribelli al papa – Riti cinesi – Riti malabarici – Non obbediscono alla soppressione
    Nota 5. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Lo scopo dei Gesuiti è dominare: la ubbidienza cieca che essi professano per il papa, ed alla quale si legano per voto, è un mezzo per giungere al dominio. Essi sanno che un papa non può mai recedere dalle massime di Gregerio VII e di Bonifacio VIII; ma sanno altresì che nessun papa può mettere in pratica quelle massime, dopo il medioevo: si sono quindi legati al papa come potenti ausiliari per dominare eziandio sopra di lui. Che la cosa sia così apparisce dal fatto, che quando la ubbidienza verso il papa li conduce al dominio, essi sono obbidientissimi; ma se in qualche rara occasione il papa comanda loro cose che impediscano il loro dominio, essi divengono ribelli ostinati. Citeremo tre fatti in prova di questa osservazione; il primo, la condanna de' riti cinesi il secondo, la candanna de' riti malabarici; il terzo, la bolla di soppressione.

    Fino dalla metà del secolo decimosesto, i Domenicani prima, poi i Francescani penetrarono nella Cina a predicarvi il Cristianesimo; ma essi annunziavano la religione, senza mescolarsi in politica, e senza fare transazioni con la religione del paese; essi agivano coscienziosamente, ma facevano poco profitto. I Gesuiti vi andarano dopo; studiarono il carattere de' Cinesi, ed avendoli conosciuti uomini amantissimi delle scienze, superstiziosissimi, ed eccessivamente attaccati alla loro religione, mandarono alla Cina gli uomini i più abili nelle scienze naturali, ed i più profondi politici.

    Questi uomini, anzichè predicare il Vangelo, si misero negli affari mondani; i più dotti penetrarono in corte, e furono fatti mandarini; gli altri si diedero al commercio. I Gesuiti si dicevano Cristiani, e per la loro influenza gli altri missionari cattolici non erano perseguitati, e così sotto l'imperatore Xun-chi il Cattolicismo fece dei progressi.

    Per giungere al loro scopo di dominare e di arricchire, davano la più falsa idea del Cristianesimo: essi insegnavano che il Cristianesimo non era altro che la primitiva dottrina religiosa della Cina insegnata da Confucio; e così contentavano l'orgoglio dei dotti che pretendevano essere i maestri del mondo in tutte le cose; inventarono delle storielle, e fecero trovare un famoso monumento per provare che altra volta la Cina era cristiana. Con questi mezzi trassero dalla loro l'imperadore e molti mandarini, ed i Gesuiti vivevano come mandarini di prim' ordine, con tutto il lusso del loro grado alla corte e ne' palazzi, e ve ne furono di coloro che come generali comandarono gli eserciti nelle guerre.

    Il principale errore religioso che insegnavano era questo: essi insegnavano che i Cinesi potevano essere Cristiani, continuando ad osservare la più parte de' riti della loro religione nazionale. I principali di questi riti, che i Gesuiti dicevano compatibili col Cristianesimo, erano i seguenti.

    Le leggi della Cina obbligavano tutti i Cinesi a celebrare almeno due volte all'anno, cioè ne' due equinozi, una cerimonia religiosa in onore de' loro antenati, ed un'altra, che doveva celebrarsi specialmente dai mandarini e dai dotti, in onore di Confucio.

    Ecco in che consistevano queste cerimonie. Vi sono nella Cina molti templi dedicati a Confucio: negli equinozi i mandarini devono unirsi in questi templi, e fare sacrifici di porci e di capre; libazioni di vino, offerte di candele, di fiori, d'incenso. La ceremonia religiosa da celebrarsi in onore degli antenati, consisteva in questo: i ricchi Cinesi innalzano delle pagode in onore dei loro antenati; i poveri celebrano la ceremonia nella loro casa; gli uni e gli altri conservano in una tavoletta più o meno ricca i nomi degli antenati, e credono che in quella riposi la loro anima ed innanzi a quella prostrati offrono sacrifici di carni, profumi d'incenso, libazioni di vino, ed accendono candele. I Gesuiti permettevano tutte queste cose, e le dicevano conciliabili col Cristianesimo, gli altri missionari non le permettevano; da qui la discordia.

    La quistione fu portata dai Domenicani avanti il papa Innocenzo X, nel 1645, ed il papa solennemente pronunciò contro i Gesuiti, ed ordinò a tutti i missionari, sotto pena di scomunica da incorrersi immediatamente, di ubbidire a quel decreto. L'ubbidienza passiva, che i padri professano per voto solenne al papa, doveva aver finita la questione; ma i Gesuiti ubbidiscono quando fa loro comodo; e se avessero ubbidito questa volta, addio alla loro influenza, al loro dominio, ed alle loro ricchezze nella Cina. Non si diedero per intesi del decreto pontificio e continuarono come prima, senza fare niun caso delle scomuniche papali nelle quali erano incorsi. Intanto però i Gesuiti in Roma brigavano acciò il decreto di condanna fosse ritirato; e tanto seppero fare che nel 1656 ottennero dal papa Alessandro VII che quel decreto non fosse ritirato; ma in tal modo modificato da renderlo inutile.

    I Domenicani scrissero allora de' libri per provare che la S. Sede era stata ingannata; che i Gesuiti avevano falsamente esposte le cose; che quei riti erano veramente religiosi, e non civili o politici. I Gesuiti impiegarono per difendersi le migliori loro penne, e fecero scrivere in loro difesa il P. Bartoli ed il P. Le Tellier. I missionari della Cina non Gesuiti mandarono in Roma un celebre missionario domenicano, il quale pose alle forche caudine il papa con questo semplicissimo quesito: "È egli ancora in vigore il decreto di papa Innocenzo X, del 1645?" Se il papa avesse risposto che non era di nessun valore, avrebbe negata la infallibilità del suo predecessore; se avesse risposto che era in vigore, i Gesuiti in forza di esso erano scomunicati: se ne uscì con una solita risposta sibillina che cioè era in vigore tanto il decreto di Innocenzo X, come quello di Alessandro VII; ma che dovevano applicarsi secondo le circostanze.

    La questione dopo questo decreto divenne più viva; perchè ciascuno dimostrava che le circostanze erano in suo favore. Allora il papa pensò di mandare sul luogo una persona di sua fiducia, con pieni poteri per decidere. Si trovò che vi era in quelle parti un vescovo francese nè Domenicano, nè Gesuita; uomo dotto e pio, che esercitava la carica di vicario apostolico. A lui fu commessa la cura di esaminare la causa e decidere come Legato del papa. Il Legato pronunciò contro i Gesuiti; ma questi ebbero tanto potere da non far ratificare dal papa il giudizio del suo Legato.

    Il papa istituì allora una congregazione per esaminare in Roma questo affare; e, dopo undici anni di discussioni, papa Clemente XI confermò il primo decreto d'lnnocenzo X, e condannò di nuovo quei riti. Mandò poi alla Cina il cardinal di Tournon, acciò facesse da tutti osservare il decreto. Ubbidiranno ora gli ubbidientissimi Gesuiti? Neppure per ombra. Appena il Tournon giunse alla Cina, e pubblicò il decreto, fu per la influenza de' Gesuiti orribilmente perseguitato; poi chiuso in un carcere, vi fu fatto morire fra mille stenti.

    Papa Clemente XI allora credè poter metter freno a tanta audacia, promulgando nel 1715 una solenne costituzione, nella quale, confermando tutti gli antecedenti decreti, solennemente condannava i riti cinesi, ed ordinava la osservanza assoluta di quella costituzione, condannando altresì qualunque sotterfugio, qualunque pretesto. Ma i Gesuiti restarono ancora ostinati nella loro ribellione.

    Il papa allora mandò Carlo Antonio Mezzabarba di Pavia, patriarca di Antiochia, come suo legato nella Cina; ma appena giunto fu talmente minacciato, che, non avendo il coraggio di morir martire per opera de' Gesuiti, prese un temperamento: permise alcuni di que' riti togliendo ad essi tutto quello che vi poteva essere di religioso, e riducendoli a puri usi civili; ma lo fece con molte precauzioni, fra le quali vi era quella che la sua pastorale nella quale vi erano questi permessi non dovesse easere pubblicata, non dovesse essere tradotta, ma dovesse solo servire per uso de' missionari, servendosi di quei permessi solo in caso di necessità. Dopo ciò, il Mezzabarba partì insalutato hospite, per non fare la fine del suo predecessore. Intanto il vescovo di Pekino, partigiano de' Gesuiti ed istigato da essi, pubblicò i permessi del Mezzabarba in lingua volgare, poi con un' altra pastorale ordinò che fossero messi in esecuzione come ordini.

    Papa Clemente XII nel 1735 condannò la pastorale del vescovo di Pekino, ed ordinò di nuovo la osservanza della costituzione di Clemente Xl senza i permessi dati dal Mezzabarba.

    Per un secolo i Gesuiti perseverarono nella loro ostinata disobbedienza al papa. Nel 1742 Benedetto XIV nella sua bolla ex quo singulari, tessendo la storia di questa questione, condanna di nuovo i riti cinesi, ordina la osservanza delle costituzioni e decreti precedenti, ed obbliga tutti i missionari a giurarne solennemente la osservanza. I Gesuiti si piegarono apparentemente, poi venne la soppressione. Ecco come essi ubbidiscono al papa! come esservano il loro quarto voto solenne!

    Un altro fatto di formale ed ostinata disobbedienza al papa per parte de' Gesuiti, avvenne nella questione sui riti malabarici. Quando, ai tempi di Gregorio XV, i Gesuiti si stabilirono nel Malabar, per rendersi benevoli i nobili, come nella Cina si erano resi favorevoli i mandarini, accondiscesero a fargli ritenere molte superstizioni; e fra le altre, se un paria diveniva Cristiano, lo continuavano a considerare come persona spregevole, a segno che non andavano nella sua casa neppure quando era moribondo per somministrargli i conforti della religione.

    Una tale condotta dispiacque a tutti gli altri missionari, e specialmente i Cappuccini ricorsero al papa acciò ponesse rimedio a tanto male. Il papa mandò colà un patriarca col potere di suo Legato, acciò esaminasse la cosa sul luogo, e, pesate le ragioni da una parte e dall' altra, decidesse secondo coscienza.

    Il Legato, dopo avere tutto bene esaminato, con decreto del 23 giugno 1704, condannò la dottrina de' Gesuiti; ed il papa in Roma confermò solennemente il decreto del suo Legato. Ma ubbidirono i Gesuiti? Tutt' altro: essi sparsero per tutte le Indie la falsa notizia che il papa aveva annullato il decreto del suo Legato; e guadagnarono il vescovo di Meliapour, affinchè nascondesse la risposta del papa confermatoria di quel decreto. Il papa scrisse una seconda volta a quel vescovo, ed il secondo breve ebbe la sorte del primo. Allora scrisse al vescovo di Claudiopoli, ordinandogli di notificare con tutte le solennità legali il suo breve al vescovo di Meliapour, e di pubblicarlo nelle Indie.

    Incominciarono allora i cavilli gesuitici per interpretare a loro modo quel breve e non ubbidire. Papa Benedetto XIII, per togliere ogni appiglio, fece di nuovo esaminare la questione; poi solennemente confermò il decreto del suo Legato, e ne vietò le interpretazioni. Il breve fu pubblicato nelle debite forme; ma non fu intimato ai Gesuiti colle formalità legali, perchè non si usa: perciò i Gesuiti continuarono nella loro ostinata disubbidienza. Roma si lagnava della loro ribellione; ed essi, aggiungendo ad essa la menzogna, dissero di non saper nulla del breve di Benedetto XIII, perchè non gli era stato legalmente consegnato; e seppero cosi ben fare, che ottennero dal papa Clemente XII, che la questione fosse di nuovo esaminata, come se mai fosse stata decisa. Per quanto brigassero i Gesuiti, la decisione riuscì loro contraria, e Clemente XII fece lagalmente intimare il suo ordine a tutti i vescovi ed a tutti i missionari, obbligandoli a pubblicarlo.

    I Gesuiti lo pubblicarano, ma seguitarano a non ubbidire. Allora Clemente XII fece un altro breve, ordinando ai vescovi ed ai missionari, sotto precetto di ubbidienza e sotto le più severe pene, di osservarlo esattamente ed alla lettera, senza permettersi alcuna interpretazione. Ordinò di più, che chiunque volesse restare al suo posto di vescovo o di missionario, si obbligasse con solenne giuramento, di cui egli dava la formula, di osservarlo; e chi non giurava era perciò stesso decaduto dal suo impiego. I Gesuiti giurarono, ma continuarono a fare come prima. Benedetto XIV nel 1744 dovè rinnovare gli ordini de' suoi predecessori; e se i Gesuiti non fossero stati soppressi, continuerebbe ancora la loro ostinata disubbidienza.

    Il terzo fatto che ci siamo proposti d'indicare per mostrare quanto sia grande la obbedienza de' Gesuiti verso il papa, è il come essi ubbidirono alla bolla di soppressione di Clemente XIV. Quel papa aveva distrutta la compagnia, ed aveva ordinato ai Gesuiti di sciogliersi, e di non più esistere come comunità religiosa. Come ubbidirono i Gesuiti? Essi accettarono la protezione di Federico re di Prussia, protestante di nascita ed incredulo di professione, e della famosa Caterina di Russia, scismatica e dissoluta, per essere da costoro protetti contro gli ordini del papa.

    Federico, per mantenere il suo dispotismo nella Silesia e nella Polonia, aveva bisogno de' Gesuiti; ma il papa li aveva soppressi, aveva loro vietato sotto precetto di ubbidienza di non riunirsi più in comunità: il precetto era formale; ma l' interesse de' Gesuiti portava di non ubbidire, ed essi si riunivano nella Prussia protestante, sotto la protezione di un re ufficialmente protestante, realmente incredulo, e presero la direzione de' collegi, e riassunsero il loro abito, anche a dispetto del papa; e non solo di papa Clemente XIV che li aveva soppressi, ed aveva loro ordinato di ubbidire sotto pena di scomunica, ma anche a dispetto di Pio VI che gli aveva permesso di riunirsi in comunità nella Prussia, ma gli aveva espressamente vietato di riassumere il loro abito.

    La famosa Caterina di Russia si servì de' Gesuiti per combattere il papa, ed essi si prestarono assai volentieri alle di lei voglie: a dispetto del papa, e per favorire i Gesuiti, essa eresse l' arcivescovato di Mohilew; pose in quella sede un uomo il quale si era ribellato al papa impugnando la soppressione de' Gesuiti. La czarina in cotesta circostanza con ukase del 27 settembre 1795 ordinò: primo, che tanto il metropolitano come i suffraganei dovessero essere sempre nominati da lei e suoi successori (scismatici); secondo, che i vescovi cattolici non potessro ricevere ordini che da lei e dal suo governo; terzo, i vescovi non patessero pubblicare nè eseguire alcuno scritto che venisse da Roma, se prima il suo governo non lo avesse diligentemente esaminato ed approvato; quarto, che i vescovi solennemente dichiarassero che essi non dipendevano in verun modo da alcuna autorità fuori dell' impero, e si impegnassero a non avere corrispondenze con lo straniero per cose ecclesiastiche, le quali corrispondenze sono nell' ukase qualificate criminali; quinto, finalmente si proibiva, sotto gravissime pene, al clero cattolico di fare proselitismo fra i Russi sotto qualunque pretesto.

    I Gesuiti in questo caso non solo si mostrarono ribelli al papa col fatto di non volere ubbidire al breve di soppressione; ma mostrarono in qual conto tenevano il papa e le sue leggi nell' approvare la condotta di Caterina, e forse ancora ispirando ad essa l' ukase. Che i Gesuiti lodassero la condotta di Caterina, lo dicono essi stessi in un loro libro stampato in Roma nel 1814 (Gloria posthuma Soc. Jes.), nel quale dicono che "la eccellente imperatrice Caterina si servì in quella occasione con grande prudenza del diritto che hanno tutti i principi di rendere felici i loro popoli, vietando ai Gesuiti di ubbidire al papa," e dicono che essi si mostrarono così sudditi fedelissimi. Ecco come i Gesuiti ubbidiscono al papa! e questa è storia.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:17
    I Gesuiti contrarii a Pio IX
    Nota 6. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Chi era in Roma ne' principii di Pio IX, quando esso affettava liberalismo, sa ed ha sentito colle sue proprie orecchie che i Gesuiti in tutte le loro prediche facevano allusioni, che le intendevano perfino i fanciulli, contro il liberalismo del papa.

    Il nostro Gioberti pubblica fra gli altri un documento che si sparse a migliaia di copie fra il popolo, e che noi ripubblichiamo perchè è quasi dimenticato.

    "Carissimi fratelli! La nostra religione è presso al suo languire. L' intruso pontefice Mastai ne è l' oppressore. Appartiene esso alla Giovine Italia; parlano bastantemente le sue gesta. Vigilanza adunque, prudenza e coraggio, o fratelli: se vi è cuore, come credo, la religione dell' Unigenito Dio umanato trionferà. Il cielo ci assisterà, giacchè oltre le braccia divine abbiamo quelle del mondo, la destra di Ferdinando I (d' Austria) e la sinistra di Ferdinando II (di Napoli). Non cessate pertanto di rammentare ai fedeli che il germe divoratore resiste indarno ai voleri dell'Atissimo. Il germe divoratore alludente a colui (il papa), sarà il nostro gergo. Vi sarà poi fatto noto il giorno tremendo della nostra gloria. Il cielo ci assisterà nella impresa.

    "Pesaro, 10 settembre 1846
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:17
    Ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini
    Nota 7. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    "Bisogna ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini." Questo passo è la grande arma de' bigotti, dei fanatici, degli uomini di malafede, i quali ipocritamente vogliono coprire la loro ribellione col manto della religione. Ogni volta che il governo ordina una qualche cosa che contrari i loro interessi, i loro comodi, il loro potere, li sentite ipocritamente ripetere quel passo; ma il loro Dio a cui professano ubbidire, non è l' Iddio del cielo, è il papa di Roma, è il loro comodo, il loro ventre, la loro ambizione. Una moglie bigotta trasgredirà gli ordini di suo marito, perchè sa a mente quel passo; ma il suo Dio allora è il suo confessore.

    Ma, ci si dirà: È egli vero, sì o no che gli Apostoli insegnassero quella massima? E se è vero, quale è il vero senso di essa?

    Gli Apostoli, rispondiamo, per ben due volte proclamarono quella massima davanti al sinedrio; ma quelli stessi Apostoli insegnavano altresì che ogni persona, sia pur vescovo, prete o papa, deve essere sottoposta alle potestà, non solo per timore, ma per coscienza e per amor del Signore (Rom. XIII, 1-7; 1 S. Pietr. II, 13-17): o si dovrà dire dunque che essi fossero come certuni che una cosa dicono e l' altra fanno, o quella massima santissima degli Apostoli, o meglio dello Spirito Santo, deve avere un senso opposto a quello che le si dà dai bigotti? Quale sarà dunque il suo vero senso? Non andiamo a cercarlo ne' commentatori, perchè non ve ne è bisogno alcuno; essendo uno de' passi più facili di tutta la Bibbia. Gli Apostoli avevano ricevuto ordine espresso da Gesù Cristo di annunziarlo prima in Gerusalemme, poi per tutta la terra (Matt. XXVIII, 19, 20: Atti I, 3): essi eseguivano quest' ordine, quando il concistoro, chiamatili innanzi a sè, "ingiunse loro che del tutto non parlassero e non insegnassero nel nome di Gesù" (Atti IV, 18). Gli Apostoli si trovavano qui fra due ordini opposti: Dio comandava loro di predicare, gli uomini glielo vietavano: da qui quella bella risposta: "Giudicate voi, s' egli è giusto nel cospetto di Dio d' ubbidire a voi, anzichè a Dio;" e gli Apostoli continuarono a predicare. I sacerdoti li chiamarono di nuovo e gli dissero: "Non vi abbiamo noi del tutto vietato d'insegnare in cotesto nome?" e gli Apostoli risposero: "Conviene ubbidire anzi a Dio che agli uomini" (Atti V, 28, 29); che è quanto dire: Dio deve essere ubbidito in preferenza di qualunque uomo.

    Ora ecco il senso chiaro e netto di quel passo: Dio ordina di ubbidire alle autorità create dagli uomini, ai re, ai magistrati ec.; ma Dio comanda altresì che si ubbidisca ai suoi ordini immediati: quando dunque una autorità umana si mettesse in contraddizione con Dio, comandando di non fare ciò che Dio ordina, o di fare ciò che Dio vieta, allora il Cristiano è in obbligo di soffrire, senza ribellarsi, tutte le pene della legge o dell' arbitrio, piuttosto che disubbidire a Dio. Quest' atto non dà mai il diritto al Cristiano nè di rivoltarsi, nè di cospirare contro la legittima autorità, ma di soffrire obbedendo a Dio.

    Il nodo della questione sta nel sapere se ubbidire al papa, al confessore o al prete, sia ubbidire a Dio, e se ciò autorizzi a recalcitrare contro la legge. A noi pare che non vi sia bisogno di essere grandi teologi per isciogliere una tale questione. Gli Apostoli avevano ricevuto da Dio l'ordine espresso di predicare Gesù Cristo, e gli uomini volevano impedirglielo: il papa non è Dio, ma uomo; quando dunque un sovrano, un magistrato comandasse cose evidentemente contrarie al Vangelo, allora il Cristiano deve servirsi di quella massima come se ne servirono gli Apostoli, senza mormorare, senza ribellarsi, senza cospirare; ma se si tratta di ordini di uomini, sieno essi papi, sieno Concilii, allora si deve ubbidire a Dio, che dice: "Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori," cioè alle autorità create dagli uomini, come spiega S. Pietro.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:18
    Assassinio del Rossi
    Nota 8. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    L' assassinio di Pellegrino Rossi è ancora un mistero: i retrogradi lo attribuirono ai liberali; ma tutto dice che esso fu opera del gesuitismo. I Gesuiti lo odiavano perchè loro nemico dichiarato; essi d'altronde non sono novizi nell' arte di sbarazzarsi da' loro nemici'. Citeremo su questo fatto il giudizio moderatissimo di uno storico contemporaneo, di un uomo che gode meritatamente la stima di tutti, e che non solo era presente in Roma quando accadde l'assassinio del Rossi, ma era in posizione di poter conoscere bene le cose. Questo storico è il maggior generale Federico Torre, il quale nelle sue memorie istoriche sull' intervento francese in Roma, tomo 1 pag. 23 e seg., parlando di quel fatto, dice così:
    "Nel breve esercizio del suo ministero (Rossi), erano chiuse le Camere, e quando alla riapertura del dì 15 novembre 1848 egli veniva salendo le scale per entrarvi a dar conto della sua passata gestione e dell' avvenire, una mano sconosciuta il trafisse di pugnale alla gola, e fatti pochi passi spirò. Noi, deplorando il delitto e ignorandone tuttavia l' autore e i complici, se ve n' ebbe, non sappiamo condannare la coloro opinione che avvisano doversene accagionare i retrogradi. Conciossiachè, dicono, avendo già essi riacquistata la fiducia del papa, e per mezzo della Camerilla governandolo, come governare si lascia un fanciullo imperioso e potente a chi gli sappia lusingar le passioni, sperassero colla morte del Rossi condurlo a farla finita co' liberali, e mettere ogni cosa a loro discrezione. Avrebbero la prima cosa licenziato le Camere, poi richiamato le truppe dalla Venezia, poi stretto alleanza coll'Austria, poi aspettato il destro di abolire lo Statuto. Poco la vita di un tant' uomo importava a gente avvezza a santificare pe' loro fini il delitto. Non furono forse confortati in confessione dei padri gesuiti gli assassini dei re di Francia e di Portogallo? Nè sappiamo fin qui che essi mai abbiano mutato morale; e scolari de' Gesuiti sono tutti i retrogradi. Senzachè nulla costoro lasciarono d' intentato per impedire che il papa scegliesse a suo ministro il Rossi, e nei loro parlari il mordevano e straziavano con incredibile rabbia appena ebbe imposto un debito di quattro milioni sul patrimonio del clero; debito che da loro stessi, tornati dopo la ristaurazione all' antico potere, è già stato subito annullato. Finalmente i liberali nella rivoluzione del maggio dopo la famosa enciclica del 29 aprile potevano, se avessero amato la vendetta, saziarsi del sangue di tutti quanti i cardinali e retrogradi già nelle proprie abitazioni arrestati dal popolo; e in quella vece si adoperarono a gara a salvar loro la vita. Ora a qual prò imbrattarsi nella strage di un uomo che alla fin fine illiberale non era, non retrogrado, e lui estinto restava sampre al Pontefice vicina la rea Camerilla, onde ogni opposizione veniva alla guerra della indipendenza italiana? O dunque, conchiudono, la morte del Rossi fu vendetta privata di alcuno per supposta ingiuria o per vera, o, se dobbiamo considerarla come opera di un partito, non possiamo ragionevolmente ascriverla che al partito retrogrado, perchè l'unico alle cui passioni e interessi una tal morte giovava."

    Passa poi a parlare dei pregi e dei difetti del Rossi come uomo politico, e ne conchiude che se egli non era molto amato dal partito liberale, non era però odiato, nè potersi giammai presumere che la sua morte fosse opera di parte liberale.

    "Di qui è facile comprendere che la sua morte non ebbe dai Romani il compianto che certo non gli sarebbe mancato in privata fortuna. Fu però osservato che n' erano lieti assai i retrogradi, e non è affatto vero ciò che abbiamo letto in alcuni fogli francesi, essere cioè stata festeggiata per le vie con canti infernali la morte del Rossi. Appena pochi mascalzoni mandarono vicin della casa dell'estinto alcuni gridi senza alcun eco dispersi dal vento…… Alcuno disse che quelle notizie le sparsero a bello studio i retrogradi per distornare l'attenzione del pubblico dal cercare fra loro il colpevole. In Roma stessa chi riferivano maggior copia di aneddoti sulla morte del Rossi, erano i retrogradi: essi che il papa ne aveva qualche sentore dalla mattina e pregò il Rossi non andasse alla Camera; essi che un prete venne in persona dal Rossi a scongiurarlo si astenesse per quella mattina di comparire in pubblico; essi che una dama gli scrisse un vigliettino poche ore prima del caso avvisandolo del pericolo; essi che il cameriere dell' estinto s' inginocchiò davanti a lui persuadendolo a non uscire in quella mattina di casa; ed essi altre storielle infinite che più non rammemoro (* Se costoro, come oggi stesso raccontano per mezzo de' loro storici e romanzieri, conoscevano prima che accadesse quel fatale avvenimento, perchè, domandiamo noi, non sventarono la criminosa trama, o almeno, se deboli erano a tanto, perchè assolutamente non costrinsero quell'infelice ministro a tenersi celato in tanto pericolo della vita? Per lo meno essi sono colpevoli di non avere impedito quell'atroce assassinio.)… I liberali più avversi al Rossi lamentavano quel misfatto, anche perchè li privava del trionfo da essi sperato di combatterlo a piè fermo in parlamento, e forse la somma abilità del ministro mal bastava a sottrarlo da una caduta ordita con tanta unione da risoluti spiriti italiani. E giovi qui l' avvertire che in quella stessa fatal mattina del 15 novembre, quasi tutti i deputati della Camera si erano posti a sedere dal sinistro lato. O avrebbe egli dunque parlando conciliatosi la fiducia, o dovuto dimettersi, ovvero ricorrere all' usato spediente di chiudere la Camera. Qualunque di questi tre risultati fosse per uscire da quella importante sessione, è certo che il paese educavasi sempre meglio alle novelle istituzioni civili, e ciò solo appagava i liberali sinceri."

    Egli è dunque chiaro che la morte del Rossi non può essere attribuita ai liberali: ma se quell' assassinio è opera di un partito (come è evidente, non avendo avuti il Rossi altri nemici personali all' infuori de' Gesuiti) esso è opera del partito gesuitico.

    L' allegrezza mal celata dei retrogradi dopo quell' assassinio, le brighe nelle quali fu da essi passata la intera notte per assicurarsi del militare, e per sedurre il basso popolo di Trastevere e de' Monti a prendere le armi in favore del papa, mostrano chiaramente che l'assassinio del Rossi aveva per iscopo di gettare Roma in una rivoluzione sanguinosa.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:18
    Il 16 novembre 1848
    Nota 9. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Sembrò cosa evidente che in quella circostanza Pio IX e la sua Camerilla cercassero tutte le vie per far nascere i più terribili disordini. Rossi fu assassinato la mattina del 15 novembre, e fino al dopo desinare del 16 il papa si ostinava a non voler dare al paese un governo nè provvisorio nè stabile, e vi volle una rivoluzione del popolo che domandava di essere governato, per obbligare il sovrano a dare un governo.

    Appena morto il Rossi, i ministri suoi colleghi si rimpiattarono e si resero invisibii: la polizia se ne stette inoperosa ed inerte; l' assassino, che ferì in mezzo ad una folla di popolo, di carabinieri, di agenti di polizia, non fu veduto da nessuno e miracolosamente sparì: il papa si beava ne' piagnistei, i retrogradi aumentavano l' imbarazzo del pusillanime principe, sperando così convincerlo a distruggere il regime rappresentativo. Così passò il resto del giorno 15.

    Nella notte, il Circolo popolare, vedendo il pericolo del paese lasciato a sè stesso in momenti così solenni, si unì per consultare sul da farsi, e si statuì per la mattina vegnente una imponente dimostrazione popolare, e, poichè il papa non si determinava a comporre neppure un ministero interino, si stabilì proporre al papa la nota dei soggetti aggraditi al popolo per il nuovo ministero. Il papa poteva scongiurare la tempesta, perchè di tutto era informato: se la mattina avesse pubblicato un ministero, la dimostrazione non aveva più ragione di essere, e non sarebbe stata fatta. Il cardinal Soglia dapprima, poi Monsignor Pentini consigliarono il papa a ciò, ma egli se ne sdegnò; il Galletti uomo assai liberale andò anch' egli dal papa per lo stesso oggetto, ma nulla ottenne.

    Suonarono le dieci, e, mentre la dimostrazione partiva in bella ordinanza dalla piazza del Popolo, senza un' arma, il papa era a consiglio sul da farsi co' due presidenti e vice-presidenti delle Camere, ed i colonnelli della guardia nazionale, e tutti consigliavano al papa di dare subito un governo: ma il papa non accondiscese; anzi sembrava aspettasse esser difeso dai popolani di Trastevere e de' Monti, e così si sarebbe dalla sua finestra goduta la strage de' suoi dilettissimi figli.

    Il popolo giunse in buon ordine e silenzioso, ed empiè la immensa piazza del Quirinale. La intera Camera de' deputati era nella dimostrazione, e cinque di essi furono destinati a presentare al papa i desideri del suo popolo. Il papa non volle neppure riceverli, anzi li fece accomiatare con parole dure. Andò allora dal papa il Galletti; ma il papa fu durissimo. Il Galletti arringò allora il popolo, e sarebbe forse riuscito a quietarlo, ed a sciogliere la dimostrazione; ma questo non era il conto della Camerilla, a capo della quale era il cardinal Antonelli.

    Erano le tre quando il Galletti arringava il popolo. Il cardinal Antonelli, prefetto allora del palazzo, ordinò ad una sentinella svizzera che era nella torretta di far fuoco. A quel primo colpo di fuoco partito dal sacro palazzo, il popolo come per incanto sparì; ma pochi minuti dopo era tornato con le sue armi, e perfino con un cannone: la zuffa prese serie proporzioni, ed il papa tremò; e chiamato il Galletti, gli ordinò di annunziare al popolo che egli accordava tutto.

    Il Galletti, che conosceva bene Pio IX, non si fidò della parola santissima, ma volle uno scritto che il papa fece all' istante. Il popolo non appena parlò il Galletti depose le armi, e ne fu lieto e tranquillo: il papa innanzi al corpo diplomatico protestava contro la patita violenza, e chiamava i suoi Romani traditori e scellerati. Ma chi fu che volle la violenza? chi costrinse il popolo a farla? perchè il papa attese fino a quel punto? Perchè sperava che il popolo de' rioni reagisse in suo favore; perchè, in una parola, sperava una carneficina.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:18
    Il padre del cardinal Sala
    Nota 10. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Non voglio parlare delle ricchezze che gli antichi Gesuiti cavavano dalle loro missioni, che erano per essi vere miniere: sono troppi i libri che sono stati scritti su questo soggetto: ricorderò solo un fatto. Poco prima della soppressione de' Gesuiti, giunsero alla dogana di Roma alcune casse di caffè provenienti dalle Indie, ed indirizzate al padre generale de' Gesuiti. Fra i facchini di dogana, vi era un tale chiamato Sala di cognome, il quale, per lunga pratica che aveva ne' pesi, movendo quelle casse, gli parve che pesassero troppo per essere piene di caffè. Era nell'estate: dall' una alle quattro gl'impiegati andavano allora a desinare e riposare, e restava un facchino di guardia al magazzino! quel giorno volle restarvi il Sala: e restato solo aprì quelle casse, le frugò, e vi trovò delle verghe d'oro sotto al caffè; levò l'oro e richiuse le casse. I Gesuiti non reclamarono, e non scoprirono l'autore del furto. Qualche tempo dopo il Sala lasciò il faticoso suo mestiere, ed educò assai bene i due figli che aveva. I Gesuiti furono soppressi. Dei suoi due figli uno, il maggiore, divenne il factotum della Dateria, l'altro divenne cardinale.

    Quando l' ex facchino Sala morì, chiamò a sè il figlio maggiore, e gli confessò l'origine della sua ricchezza: allora i Gesuiti non esistevano; ma il padre ordinò al figlio che tornando i Gesuiti restituisse ad essi quarantamila scudi prodotto della vendita della vendita delle verghe d' oro. I Gesuiti tornarono, ma il Sala, sebbene bigotto, non restituì il denaro. Venuto a morte nel 1835, salvo errore, confessò la cosa al fratello cardinale, che dichiarò suo erede, coll' obbligo di lasciare alla sua morte i quarantamila scudi ai Gesuiti: così i Gesuiti presero i quarantamila scudi nel 1838 alla morte del cardinal Sala.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:19
    Actiones recipiunt speciem a fine
    Nota 11. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Secondo i principi de' Gesuiti, la moralità delle azioni non è l' azione stessa; imperciocchè essa è considerata come un mezzo per raggiungere lo scopo; ed i mezzi, come abbiam veduto, sono in loro stessi indifferenti. Il gran teologo San Tommaso d' Aquino, in molte cose precursore dei Gesuiti, insegna che le azioni ricevono la loro qualità morale dal fine che l'agente si propone: actiones recipiunt speciem a fine. In conseguenza di questi principii, il furto stesso, quando è fatto con buona grazia, cioè senza esporsi ai rigori del fisco, quando è fatto per buon fine, non solo non è cosa cattiva nella dottrina gesuitica, ma spesse volte è un' opera santa. Ad illustrare questa dottrina potremmo citare gli esempi di eredità carpite dai Gesuiti; ma di queste ne parleremo in un' altra nota. Per ora ci basti citare il giudizio teologico del padre Casnedi Gesuita, il quale nel Tomo I, pag. 278 della sua opera intitolata Giudizi Teologici, dice così: "Dio non proibisce il furto se non che quando esso è riconosciuto come cattivo; ma quando è considerato come buono, non è vietato."
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:19
    Povertà de' Gesuiti
    Nota 12. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    La povertà dei Gesuiti ha una bellissima apparenza, ma non è che apparenza. Si può dir povero solo colui a cui manchi qualche cosa e che debba strazziarsi per fornirsi alla meglio del necessario. Povero è colui che non può soddisfare a tutti i suoi bisogni, sia nella sanità che nella malattia, e che deve privarsi di molte cose che pur gli sarebbero necessarie.

    Il Gesuita è vestito con modestia, ma non soffre punto il freddo; è alloggiato con modestia, ma non piove nè entra vento nella sua camera e non manca in essa nessuno dei comodi.

    Ma a conoscere meglio la povertà dei Gesuiti, giovi considerare ciò che dice uno di loro, il gran maestro dell' ascetica gesuitica, il padre Alfonso Rodriguez, il quale ha scritto tre grossi volumi in quarto sulla perfezione religiosa, e li ha scritti principalmente per i Gesuiti. Nel trattato sulla povertà religiosa, dice che essa consiste nella intenzione, anzichè nell' azione: basta di essere fermamente persuasi che nulla di quello che il Gesuita ha sia cosa sua propria, ma che ne abbia soltanto l' uso, si è osservata la povertà. Dice che il più ricco sovrano, Salomone, per esempio, avrebbe potuto esercitare la povertà in tutta la sua perfezione, malgrado le sue immense ricchezze, purchè avesse pensato che quelle cose Dio gliele dava soltanto per servirsene e non già per esserne padrone. Dice che Davidde, che lasciò al figlio tanti milioni e che abitava in una magnifica reggia con tutte le delizie immaginabili, osservava la povertà in tutta la sua perfezione, in forza di quella restrizione mentale. Dice che un povero che muore dalla fame e dal freddo mendicando il suo pane sulla via, è ricco se si crede padrone dell'elemosine che accatta. Tale è la teoria sulla povertà insegnata dai frati, quindi non dove far meraviglia se si veggono frati ricchissimi che non si fanno alcuno scrupolo sul voto di povertà, ed ingannando loro stessi si credono osservarlo in mezzo ad ogni sorta di delizie.

    Vi sono in Roma dei frati che tengono persino carrozze, che abitano in magnifici appartamenti, che hanno servi, che vivono nel lusso, e credono in buona fede (così almeno essi dicono) di osservare il voto di povertà.

    Il generale degli eremiti di S. Agostino ha per suo uso un piccolo appartamento di ventidue camere; e così in proporzione sono gli altri superiori dei frati. Io ho conosciuto un frate domenicano a Napoli, il quale aveva con grandissime spese fatto lastricare di marmi fini il pavimento del suo salotto; tutto all' intorno vi mantenea in tutto l' anno delle magnifiche giardiniere con i fiori i più rari; nel mezzo del salotto avea fatta fare una fontana che gettava in alto uno zampillo perenne di acqua che ricadeva in una bellissima tazza di alabastro giallo orientale nella quale guizzavano rari pesciolini; e costui osservava il voto di povertà, perchè pretendea non aver che l' uso di quelle cose. Ho conosciuto un altro, frate in Roma che aveva la passione per le belle incisioni, e ne aveva empito il suo appartamento, e gliene ho vedute comprare due al prezzo di ottanta scudi.

    Per tornare ai Gesuiti: il P. Rodriguez nel trattato sopra citato fa vedere, ed a ragione, che i Gesuiti nella loro grande povertà, anche individualmente parlando, sono più ricchi di qualunque principe: ed eccone la ragione che ne adduce il reverendo padre. Nessun principe per quanto ricco egli sia può avere subito come possiamo averlo noi tutto quello che ci abbisogna. Se un principe viaggia, bisogna che vada alle lacande, perchè non ha casa dappertutto; ma noi troviamo la nostra casa in qualunque paese. La povertà dei frati dunque e dei Gesuiti non è che una illusione ed una ipocrisia.
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    00 16/04/2011 19:20
    Quadro della cena di Emaus
    Nota 13. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Un giorno che io ero andato al Collegio Romano a trovare il Padre Perrone, lo rinvenni nella ricchissima biblioteca di quel collegio. Nell' entrare in essa, vidi una cosa che non aveva veduta le altre volte: vidi un magnifico quadro di Gherardo dalle notti rappresentante la cena di Emaus con le figure di grandezza naturale. Stupito alla vista di quell' oggetto insolito e così maravigliosamente bello, domandai al padre Perrone come lo avesse acquistato; ed egli mi disse che un tal fratello Serafini laico Gesuita di professione pittore lo aveva scoperto in un magazzino; lo aveva ristorato e che gli erano stati offerti dodicimila scudi se avessero voluto venderlo. Io ingenuamente gli dissi che con quei dodicimila scudi si sarebbero potuti comprare dei belli libri per arricchire la biblioteca, lasciando che il quadro arricchisse una galleria. Il padre Perrone sorridendo mi rispose che la biblioteca avea abbastanza fondi per comperare tutti i libri nuovi che si pubblicavano, e che quindi non avevano bisogno di vendere il quadro. Non è egli evidente che codesti uomini sono poverissimi?
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:20
    Tavola de' Gesuiti
    Nota 14. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Abbiamo detto nel testo che la tavola ordinaria del Gesuita, senza essere sontuosa, è tale che supera o almeno agguaglia la tavola ordinaria di qualunque gentiluomo. Ecco in che consiste l' ordinario dei Gesuiti: incomincia con una abbondante e succolenta minestra, col suo formaggio; poi viene una porzione di carne del peso di mezza libra detratto l' osso; e questa è accompagnata da erbe o patate od altri legumi saporitamente apprestati; il secondo piatto si compone di altra eguale porzione di carne diversamente apprestata con altri diversi intingoli; poi vi è formaggio e frutta in abbondanza, pane a discrezione, ed un mezzo litro di buon vino. La sera vi è zuppa o insalata a scelta, una porzione di carne come quella di pranzo; poi frutta, pane e vino come a desinare. Per la colazione ognuno va a suo comodo nella sala chiamata del caffè, ove prende ciò che vuole. Questo è l'ordinario; ma gli straordinari sono frequentissimi: ogni piccola festa si conosce in refettorio; e più le feste son grandi, più cresce il numero delle pietanze. Nei giorni di digiuno, come abbiamo detto in un' altra nota, vi è a desinare una pietanza di più.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:20
    Ricchezze de' Gesuiti nel Belgio
    Nota 15. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Le ricchezze dei Gesuiti non sono un mistero per nessuno. Noi non parliamo dei Gesuiti prima della soppressione, parliamo dei Gesuiti attuali; e per non dilungarci citeremo un solo fatto. Appena arrivati i Gesuiti nel Belgio, comperarono a Bruxelles una casa per centoventimila franchi, incominciarono a fabbricare, e spesero in poco tempo più di un milione. In pochi anni aveano comperate tutte le case della via delle Orsoline, e domandarono al governo il permesso di fare delle gallerie sotterranee di comunicazione. Un giorno il padre Boone superiore dei Gesuiti di Bruxelles, trovandosi ad un desinare ove erano alcuni senatori e deputati, disse che egli potea essere senatore quando voleva: ora, secondo la Costituzione del Belgio, non si può essere senatori se non si hanno personalmente tanti fondi da pagare mille fiorini all'anno di imposta di rendita.

    Pedro
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    00 16/04/2011 19:21
    Questua de' Gesuiti in Roma
    Nota 16. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Quello però che è il colmo dell' ipocrisia consiste nella questua che van facendo i Gesuiti per le città e specialmente in Roma. Vi sono due sorta di questua gesuitica: una che si fa tutti i giorni, l' altra che si fa alcune volte all' anno. La questua che si fa tutti i giorni consiste in questo: i Gesuiti hanno i loro devoti sottoscritti che si obbligano a pagare una quota mensile; i Gesuiti questori vanno nelle case a riscuotere la quota. Ma siccome i devoti che pagano sono molti, così i gesuiti questori sono obbligati a girare tutti giorni. L'altra questua si fa così: tre Gesuiti escono dal convento ciascuno con una bisaccia di tela bianchissima sulle spalle, percorrono le vie della città che sono state loro assegnate; quello a destra s' affaccia a tutte le botteghe che sono dal suo lato, quello a sinistra fa altrettanto dalla sua parte, quello che è nel mezzo abborda tutti i passanti. Non vi è bottegaio nè persona del basso popolo che prima del 48 avesse ricusato l' elemosina ad un Gesuita. Il popolo sa che essi non questuano per bisogno, ma gli si fa credere che lo facciano per umiltà, e che si acquisti indulgenza nel dar l' elemosina al Gesuita.
    Pedro
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    00 16/04/2011 19:21
    Altare maggiore del Gesù
    Nota 17. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Abbiamo detto nel testo che i Gesuiti raccolsero centomila scudi romani per riabbellire e rimodernare l' altar maggiore della Chiesa del Gesù. Dobbiamo però a questo proposito svelare un aneddoto che noi conosciamo molto bene.

    I Gesuiti nel fare quell' altare volean fare una cosa che superasse ogni immaginazione e vi riuscirono. Il Signor Paolo Rolli zoofilo e farmacista alla Madonna dei Monti possedeva un grosso pezzo informe di murra. La murra, come ognun sa, è quella sostanza preziosa, la cui natura è poco conosciuta, colla quale si facevano alcune preziosissime tazze per gli imperatori romani, nel tempo del gran lusso romano. I Gesuiti, invogliatisi di quel tesoro senza prezzo, esaminarono la pietra e gettarono alcuni dubbi sul valore intrinseco di essa, dicendo che temevano con fondamento che fosse guasta dentro. Mandarono poi alcuni archeologi affigliati, i quali persuasero al Rolli che dentro era tutta guasta, e lo consigliarono ad offrirla ai Gesuiti che forse l'avrebbero comprata. Il buon Rolli credè ingannare i Gesuiti, ma fu egli l' ingannato: essi comperarono per sole cento doppie romane, poco più di duemila franchi, quell'oggetto inestimabile, lo segarono in piccole lastre, ed incrostarono con esse tutto il davanti dell' altare.

    L' altare di S. Ignazio nella stessa chiesa è di tale ricchezza che è impossibile calcolarne il prezzo. La statua di S. Ignazio è colossale, tutta d'argento, colla pianeta ornata di pietre preziosissime. Pio VI la fece fondere per pagare il prezzo della pace di Tolentino, e fece ad essa sostituire una statua di legno inargentato. Tornati i Gesuiti nella loro esemplare povertà, in pochi anni rifecero la statua di argento. Le sole ricchezze dei poveri Gesuiti di Roma basterebbero forse a riparare lo stato deplorabile delle finanze italiane.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:22
    I Gesuiti carpiscono le eredità
    Nota 18. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    Se si volesse fare una storia delle donazioni e dei testamenti carpiti dai Gesuiti a danno dei legittimi eredi, bisognerebbe fare un grosso volume. I tribunali sono pieni di cause che dimostrano la avidità dei Gesuiti per impadronirsi delle eredità altrui. Il Giudeo errante di Sue è un romanzo, ma contiene molte verità sul fatto dell'avidità gesuitica. Molte volte i legittimi eredi sono stati dispersi, molte volte sono stati accalappiati nei monasteri, altre volte calunniati, fatti cacciare nelle prigioni e condannati alle galere, insomma nulla si è lasciato intentato dai Reverendi padri per appropriarsi alla maggior gloria di Dio le eredità altrui. Gioberti nel suo Gesuita moderno porta un numero bastevole di fatti in prova di questa verità, ed i tribunali del Belgio nello scorso anno doverono giudicare la Causa di un infelice fatto dai Gesuiti scacciare dalla casa paterna a forza di calunnie: per le stesse calunnie candannato alla galera ed alla perdita dei diritti civili, il tutto affinchè i Reverendi padri potessero godersi in pace la vistosa di lui usurpata eredità.

    Quando si stabilisce per principio la maggior gloria di Dio e la indifferenza dei mezzi, ogni iniquità può divenire opera meritoria.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 16/04/2011 19:22
    Carità e filantropia
    Nota 19. alla lettera quindicesima di Roma Papale 1882

    È verissimo che la carità è superiore alla filantropia; ma è falso che sia carità il dare danari ai Gesuiti. La filantropia significa amor dell' uomo: quando ci moviamo a compassione dell' altrui miserie, degli altrui dolori, e ci sforziamo a sollevarli, siamo filantropi. La filantropia è propria di ogni uomo di buon cuore sia credente o no: un Turco, un Ebreo può essere ed è bene spesso filantropo. Ma il cristianesimo ha sollevato fino a Dio questo nobile sentimento dell' uomo, e lo ha, direm quasi, divinizzato. Quando l' uomo vede nel suo simile sofferente Gesù Cristo; quando solleva il suo simile non solamente perchè è tale, ma perchè Gesù Cristo ha detto: "Tutto quello che avrete fatto all' ultimo di questi fratelli lo avrete fatto a me;" allora quell' atto non è più filantropia, ma carità. Ma dare ad un panciuto e ricco frate non è carità, nè filantropia, anzi è opporsi all' una e all'altra.

    Non vi è dottrina più malmenata dai frati quanto la dottrina della carità: essi sacrilegamente si mettono al posto di Dio, ed a nome di Dio tolgono i danari ai poveri per gavazzare alla barba di essi. I Gesuiti specialmente per carpire danaro abusano di quel passo dell' Evangelo, nel quale Gesù Cristo loda quella donna che versava il balsamo sopra di Lui; ma essi ne abusano sacrilegamente. Gesù Cristo non dice di spendere per Lui invece di spendere pei poveri: Gesù Cristo loda quella donna perchè la sua azione era un' azione profetica che prediceva la sua sepoltura, ed aggiunge: "Voi avrete i poveri sempre con voi, ma non avrete sempre me." Onorare Iddio con le elemosine non vuol dire dar danaro a preti e frati, non vuol dire abbellire le chiese e coprirle di oro e pietre preziose; ma vuol dire sovvenire ai poveri e procurare coi mezzi che il Signore ci ha dati l'avanzamento del regno di Dio. Questa è carità evangelica, l' altra è carità gesuitica.
    Pedro
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