Versinvena Metamorphosis (pp.56, 10,00€ - per acquistarlo: http://ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=87233)

"Amore liquido" di Z Bauman: critica all'ideologia dell'intimità

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 05/02/2011 20:08
    Sto leggendo "Amore liquido" del sociologo ebreo-polacco Bauman, e per puro caso le tematiche che tratta si riallacciano a quanto emerso in recenti discussioni sulla poesia. Il passo più interessante in questo senso è il seguente:

    "Uno dei risultati più portentosi di questa nuova ideologia fu la sostituzione della nozione di "identità condivisa" con quella di "interessi comuni". La fratellanza basata sull'identità sarebbe diventata -così ammoniva Sennett- una "empatia per un selezionato gruppo di persone alleate tra loro e il rifiuto di quanti non rientrano nella cerchia locale" [...].
    Alcuni anni dopo Benedict Anderson coniò il termine "comunità immaginaria" per spiegare il mistero dell'auto-identificazione con un ampia categoria di ignoti stranieri con i quali si ritiene di condividere qualcosa di abbastanza importante da indurre a riferirvisi con un "noi" di cui io, colui che parla, sono una parte. [...] All'epoca in cui Anderson sviluppò il suo modello di "comunità" immaginaria, la disintegrazione di vincoli e legami impersonali (e con essi, come direbbe Sennett, dell'arte della "civiltà" - dell'"indossare la maschera" che al contempo protegge e consente di godere di una compagnia) aveva raggiunto una stadio avanzato, così che la pacca sulla spalla, la vicinanza, l'intimità, la "sincerità", l"aprirsi fino in fondo", il non aver segreti, la confessione compulsiva e forzata stavano diventando le uniche difese dell'uomo contro la solitudine e il solo filo disponibile per tessere la tanto anelata tela dell'aggregazione. Si potevano concepire totalità più ampie della reciproca cerchia confessionale solo immaginandole come un "noi" gonfiato e ampliato, come un identiticità (sameness) -erroneamente chiamata identità- dilatata. L'unico modo di inglobare gli estranei in un "noi" era riplasmarli come potenziali partner in rituali confessionali destinati a rivelare un "dentro" simile (e quindi familiare) una volta spinti a condividere le loro intime sincerità.

    La comunione di io interiori basata su auto-rivelazioni reciprocamente incoraggiate potrebbe essere il fulcro della relazione d'amore. Potrebbe mettere radici, germinare, germogliare all'interno dell'isola autonoma o semi autonoma delle biografie comuni. Ma così come accade al collettivo morale a 2 -il quale, ogni qualvolta viene allargato per accogliere il terzo, e quindi messo faccia a faccia con la “sfera pubblica”, trovi i propri impulsi e le proprie intuizioni morali incapaci di affrontare e risolvere le questioni di giustizia che la sfera pubblica dissemina- la comunione dell'amore è colta di sorpresa dal mondo esterno, non pronta ad affrontarlo con successo, ignara delle doti richieste a tal fine”


    Qui non si parla di arte, ma il discorso è perfettamente applicabile alla poesia sostituendo alcuni termini. Da notare come Bauman dica “La comunione di io....potrebbe mettere radici” ma “ la comunione dell'amore è colta di sorpresa dal mondo esterno”. Gira tutto qui il problema: la poesia basata sull'auto-rivelazione necessità per rendersi visibile della lingua, strumento non suo, appreso, eteronomo, condizionante e con questo strumento instaura un rapporto a 2 d'amore; quando entra in scena il lettore si ha il dramma: il suo chiedere conto della relazione fra autore e lingua potrebbe mettere in discussione le basi del rapporto, così si aggira il problema chiedendo una cosa al lettore per essere ammesso nella coppia: la fusione mistica con il testo. Secondo questa visione il lettore spogliandosi della propria razionalità (cioè di stabilire connessioni, analogie, differenze) ottiene in cambio la comprensione intuitiva, immediata, totale non del testo (si badi bene) ma del fondo comune e misterioso che lega la rivelazione del sé dell'autore a quella dello spettatore.
    Abolito il rapporto razionale fra testo e artista però si hanno anche altre conseguenze per corollario: la forma in quanto limite e scandalo (essendo veicolo dell'epifania di sé eppure strumento mediato, appreso, sociale in senso lato) viene sovraccaricata di significato oppure svuotata, nel primo caso si ha una rottura con i codici comunicativi e di senso che il linguaggio porta con sé a favore di una ristrutturazione globale, eseguita con criteri personali (arbitrari) che non devono rendere conto che alla necessità della rivelazione dell'io dell'autore (in questo senso si colloca esempio la poesia fatta di urla, nenie e sillabe disarticolate dell'ultimo Artaud), nel secondo caso invece la forma viene trascurata, martoriata, in quanto ciò che le da' valore non è la sua intrinseca bellezza, musicalità, ecc ma il contenuto che è chiamata a veicolare, ossia l'intimo dell'autore (vedi l'ultima Alda Merini).
    Il secondo corollario è la rottura del rapporto tradizionale fra opera e scrittore, che è di tipo paterno-filiale: se nella concezione classica l'opera porta con sé tracce dell'io dell'autore ma è altro autonomo rispetto a quest'ultimo (esattamente come il figlio è altro libero dal padre), questa visione necessariamente veicola un tipo di rapporto in cui lo scritto è estensione fisica dell'io che disvela, ergo la poesia perde la sua possibilità di essere valutata in ragione di se stessa, mentre si chiede alla valutazione di caricarsi di un giudizio sull'io dell'autore, quindi di passare da criteri di tipo estetico a criteri di tipo morale, due ordini assiologici che tradizionalmente venivano nettamente separati. Questo crea anche il fenomeno tutto moderno dell'autore continuamente chiamato a spiegare, render conto, re-interpretare la sua opera per giustificarne l'esistenza che scissa da lui non avrebbe ragione d'essere.

    Ad uno sguardo critico, l'ideologia dell'intimità si rivela tale in quanto è una concezione d'arte e artista che non è originaria come vorrebbero i propugnatori di questo visione, ma un prodotto storico di cui si può facilmente rintracciare la genesi, nemmeno troppo lontana nel tempo: nasce come democraticizzazione (quindi paradossalmente come sotto-prodotto ideologico) del culto dell'io romantico, che come noto si voleva antidoto aristocratico alla massificazione dell'uomo industriale. I romantici inizialmente esaltavano la biografia eccezionale, le passioni estreme, ecc come alternativa percorribile rispetto all'omologazione degli stili di vita della città industriale, il problema è che la biografia d'eccezione per ovvie ragioni è prodotto d'élite per élite, che non poteva in alcun modo farsi merce appetibile per il nascente mercato di massa del libro, di fronte a questo dato di fatto mischiato al progressivo diffondersi delle idee egualitarie propugnate dal liberalismo e dal socialismo, gli artisti trovarono un escamotage che ancora oggi regge senza mostrare troppe crepe: l'eccezione non è più patrimonio di biografie particolari (eroi, dissidenti politici, emarginati, ecc) ma è insita nell'intimità di ognuno di noi, basta saper scavare. Per dare una solida base concettuale a questa intuizione, e nel contempo ancorarla ad una tradizione condivisa ed accettabile, i pensatori romantici attinsero a piene mani dalla mistica cristiana, che aveva il doppio pregio di avere un vasto patrimonio letterario già sedimentato, e nel contempo di essere per sua natura al di sopra dei condizionamenti storici, politici e geografici, di modo che l'eternità ed assolutezza dell'io poteva riposare nella più solida e veneranda eternità ed assolutezza di Dio. Questo ebbe come conseguenza immediata la nascita di nuove attributi per giudicare l'opera d'arte: l'autenticità (l'io eterno che si manifesta deve essere puro, immediato, incondizionato), l'originarietà e l'originalità (per essere autentico l'io deve essere individuabile, inconfondibile, atemporale), l'inscindibilità di opera ed autore (in quanto il secondo sostanzia e da' valore alla seconda). Essendo il romanticismo un movimento estremamente variegato e contraddittorio, già i grandi autori del movimento si accorsero di come questa nuova concezione dell'opera d'arte e dell'artista si scontrava con obiezioni e dati di fatto difficilmente confutabili, come ad esempio l'originalità dell'opera aveva come limite il fatto che il linguaggio non è una creazione individuale ma collettiva, è qualcosa di appreso (quindi condizionato) e non assoluto, ma queste contraddizioni non crearono tensioni irreversibili nel movimento.


    Ecco, per ora questa è la prima parte, nella seconda tenterò una critica più puntuale ai vari principi evocati di sfuggita nell'ultima parte.



    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.






  • OFFLINE
    Francesca Coppola
    Post: 1.652
    00 07/02/2011 11:25
    ora non so, se è il caso di intervenire o farti continuare questa tua analisi o punto di vista "critico", ma preferisco dirti cosa mi è venuto in mente leggendo.

    Credo che sia un limite, quello di ricercare nel passato, percorsi del presente. Ossia, penso che tutt'oggi vi possa essere dell'originalità che non combacia per forza con correnti note del passato. Non si deve, a mio avviso, indagare le tematiche con uno sguardo troppo critico e distaccato. In tutto ciò che si scrive, si può provare empatia, non è detto ovviamente, ma può accadere senza precludersi volontariamente niente. Certe volte, ho imparato che bisogna pure lasciarsi travolgere, "influenzare" senza per forza cercare appigli e motivazioni.

    Non esistono "grandi tematiche" o linee già scritte, e credo che noi scriviamo di noi per gli altri e non si tratta, per forza, di egocentrismo. Un pittore ti dipinge un paesaggio e puoi pensarlo fattore oggettivo e invece no, molte volte ti mostra quello che vede, come lo vede. E molte altre, è invece un paesaggio esclusivamente interiore e molti "studiosi" magari, non lo colgono tale, perchè è agli altri che noi rimettiamo, noi stessi.
    Possiamo scrivere, dipingere, scolpire ecc. ma il significato più profondo, rimane in noi e dagli altri non viene colto, o almeno quasi mai.
    E tu allora, mi dirai, che senso possa avere. Ed io ti rispondo, che ci sono molte persone che tentano di coinvolgere altre nel proprio sentire, magari per liberarsi di qualche tormento, per condividere uno stato d'animo, per quell'illusione vana di farsi conoscere e non sentirsi più soli. Noi gettiamo delle corde invisibili, perchè semplicemente abbiamo bisogno di estrinsecare il nostro mondo/punto di vista e ci regaliamo agli altri. Ora, uno ci può entrare in punta di piedi e "cercare di capire" e così stabilire una connessione, o può sviscerare/vivisezionare mancando il bersaglio, che si trova nella totalità.

    [Modificato da Francesca Coppola 07/02/2011 19:42]


    "i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
    www.francescacoppola.wordpress.com
  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 15/02/2011 11:15
    Mi scuso per la il lungo tempo che ci ho messo per rispondere, ma ho avuto gli esami all'università e solo ora sono libero di pensare senza gli affanni delle scadenze. Allora: ci sono dei limiti abbastanza evidenti nel pensiero che esponi, che segnalo velocemente. Prima cosa: confondi la poesia con la lirica (cioè l'espressione di sentimenti, emozioni, fatti autobiografici, ecc dell'autore) che è un sottogenere della prima, non la poesia tout court, così come il ritratto e il paesaggio sono sottogeneri della pittura, che per molti versi sono l'equivalente della lirica nella poesia, anche se con alcuni distinguo che non vale la pena di sviluppare in questa sede.

    Secondo punto: l'uomo vive nella storia e nella cultura del suo luogo d'origine, se togliamo lo sfondo storico all'uomo, quello che esprime risulta incomprensibile o -per paradosso degli opposti- infinitamente rielaborabile, perché gli si taglia ogni radice che rimandi a qualcosa di concreto, ad una precisa visione del mondo che necessariamente si ha vivendo in un dato spazio e in un dato luogo. Esempio: oggi molti poeti della nostra generazione usano nella loro lirica parole come "precario", "instabile", "a tempo determinato", ecc se noi li legessimo eliminando ogni riferimento esterno al mondo che ci circonda avremmo grosse difficoltà a capire il perché ricorrono continuamente questi lemmi e a che concetti si riferiscano, perché è vero che la precarietà è un tema ricorrente anche in "Porto sepolto" di Ungaretti, ma la precarietà del soldato al fronte è molto diversa da quella del lavoratore a termine; oppure, seguendo un'altra possibilità del tuo ragionamento, dovremmo concludere che decine di io indipendenti gli uni dagli altri si sono accorti improvvisamente che la precarietà è parte fondamentale dell'esistenza, ma siccome lo sviluppano ognuno all'interno del proprio mondo ermeticamente chiuso in sé, non possiamo stabilire alcuna connessione fra una poetica e l'altra e quindi la conclusione è che tutti parlano di precarietà, ma sotto questa parola non c'è nessuna realtà esterna a quella dei singoli io.

    Terza obiezione: l'arte coinvolge l'uomo nella sua completezza, quindi sia la parte sentimentale (o irrazionale, come preferisci) sia quella razionale (o critica)... se noi eliminiamo una delle 2 parti, l'arte non è più quel miracolo che ricrea l'unità dell'uomo compromessa dal reale, ma diventa la trasposizione su un altro piano della scissione che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni; se noi eliminamo la parte razionale dall'arte, cioè tutto quella che la ricollega ad una realtà oggettiva, storica, condivisa finiamo per fare dell'arte una forma di mistica, in cui esperienze talmente eccezionali e private si rivestono di un linguaggio insufficiente ad esprimerle (appunto perché il linguaggio fino a prova contraria è convenzione comunemente accettata) e l'unica possibilità che ha di fronte il lettore è quella di abbandonarsi totalmente al testo, tentando di cogliere l'assoluto che vi traspare. Se questa posizione ha senso davanti alle epifanie del divino (o presunto tali), più difficile mi riesce collocarlo di fronte alla narrazione di fatti auto-biografici, che si svolgono in un preciso contesto storico e culturale, e si esprimono in un linguaggio che si presume condiviso, perché se tu scrivi "pane" io penso ad un composto di granaglie mangiabile, ma se "pane" nel tuo mondo interiore diventa tagliaerba, allora salta ogni piano condiviso e l'unica mia possibilità è il silenzio estatico di fronte a qualcosa di incomprensibile.


    Detto questo preciso una cosa: quando parlo di ideologia, non lo faccio nel termine dispregiativo comune che intende "falsità, raggiramento, ecc" ma nel suo significato originale di verità parziale che si pretende totale, astorica, inconfutabile... le posizioni che tu esprimi sono oggi abbastanza comuni in certe correnti della critica dell'arte (e tu dirai "eccome, sono pensieri miei!" e io ti rispondo con le obiezioni di prima), e hanno la loro validità quando interpretano tutto quel movimento che và sotto il nome di post-modernismo, il problema è quando si avventurano ad analizzare con i loro criteri l'arte passata (anche quella di 50 anni fa), mostrando di non riuscire a comprendere come fosse possibile ad esempio per Giotto credere che i suoi dipinti rappresentassero la visione del mondo e della storia di tutti i cistiani, e non una suo personale punto di vista su una cultura condivisa (il cattolicesimo) presa come pretesto per esprimere il suo io interiore.

    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.






  • OFFLINE
    Francesca Coppola
    Post: 1.652
    00 16/02/2011 21:55
    io colgo limiti in quello che esponi e di rimando, invece di capire il senso reale delle mie parole, ne scorgi altri nel mio punto di vista.

    Leo, io ti ho fatto degli esempi, tu quando parli non ti accorgi (presuppongo) della saccenza che metti in ciò che dici e sai, ad un certo punto può pure sfiancare. Io non confondo poesia con lirica e conosco benissimo le varie arti, se non altro per la mia laurea umanistica, quindi, non ho bisogno di una spiegazione in merito, ma posso offrirmi semmai per una lezione supplementare [SM=g8217] .

    Mi sembra di non aver mai staccato lo scrittore dal "suo" presente, ho piuttosto detto che va "sentito" con ogli occhi odierni e non con uno sguardo critico del passato. Che oggi scriviamo così, vent'anni fa no e tra venti neanche (e quindi, diciamo la stessa cosa in modi diversi).

    Per tutto il resto, non ho mai parlato di assoluto, ma di "molte persone" e naturalmente, non stacco l'io razionale ed emozionale sempre! ma talvolta, accade in fase di scrittura! e dovrebbe accadere anche in lettura. La poesia necessita anche (soprattutto) di emozione quando la si legge e non solo di uno sguardo killer, pronto a vivisezionare ogni virgola. Con questo tipo di approccio, ricordo mi fu presentata la POESIA al liceo e la odiai, profondamente.




    [Modificato da Francesca Coppola 16/02/2011 21:56]


    "i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
    www.francescacoppola.wordpress.com
  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 16/02/2011 22:32
    Sì, io di fondo ho un'impostazione di fondo sociologico-filosofica, per cui tendo a sviluppare in maniera serrata il discorso, ripetendomi più di qualche volta, è diciamo un difetto professionale. Il problema è che non ci capiremo mai finché io sviluppo in discorso logico-critico e tu mi dici che è limitato perché è incapace di ascolto; allora per semplificare il malloppo e capirsi al volo, la tua opinione mi interessa su questi punti concreti

    1) cosa significha ascolto dell'opera, in quali contesti è appropriato e in quali no.

    2) Perché e in quale modo autore e opera sono intimamente legati

    3) Il giudizio su un opera su quali categorie deve basarsi: Estetico-formali, morali, storico-sociologiche, ecc? Si possono mixare i vari approcci o sono incompatibili?

    4) In che rapporto sta il sottogenere lirica con gli altri sottoinsiemi (esempio epica), quali i punti di contatto e quali le differenze?


    ovviamente le 4 domande sono aperte a tutti.








    [Modificato da Nihil. 16/02/2011 23:00]
    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.






  • OFFLINE
    Francesca Coppola
    Post: 1.652
    00 17/02/2011 12:04

    così mi pare più sensato:

    1. ascoltare l'opera e non semplicemente leggerla, significa lasciarsi trasportare dalle emozioni/suggestioni/atmosfere che emana. Vuol dire, andare oltre la forma, la strutturazione e il significato apparente. Questo non significa necessariamente non supervisionare anche l'aspetto formale, ma guardare anche altro. Spesso in un verso si racchiude moltissimo. Tu, Leo, secondo il mio parere non riesci ad accostarti alla poesia con "magia" e ti dico anche che probabilmente il tuo approccio è dovuto al tuo leggere molto, (sì, paradossalmente sì) e ciò si riflette anche in quello che scrivi che appare sempre molto distaccato, quasi un esercizio.
    E così le molte parole che affollano ciò che leggi perdono di significato e di quel "non so che" che fa di un'accozzaglia di parole, una poesia degna di essere "sentita".
    In quale contesto dici? per me, la poesia in senso letterale del termine va sempre ascoltata, sia che parli d'amore, di politica, di ribellione, di fede, d'intimità, di natura, di storia, di riflessione ecc.



    2. perchè opera e autore sono legati? mi sembra lapilissiano. E' come chiedere perchè sullo stesso tema, io mi esprimo in una data maniera e tu in un'altra. Se parlo della solitudine ad esempio, io l'approccio in maniera diversa da te, perchè differente è il mio punto di vista, perchè diverse sono le mie esperienze, la mia cultura di base, la mia sensibilità. L'opera è legata sempre all'autore, perchè la scrive lui, perchè la "sente" e la "vede" in quei termini, perfino quando parla degli altri, è il "suo occhio" a parlarne. Poi naturalmente può accadere che tale situazione empaticamente venga accolta e compresa dagli altri, ma parte da un punto soggettivo e il fine diciamo dovrebbe essere quello di renderlo universale. Perchè Leo, tu credi che quanto scrivi non sia legato a te, piuttosto ti vorrei chiedere.

    Oppure più semplicemente, diciamo che oggi facciamo che ognuno scrive della propria città e diciamo che io e robby, pur appartenendo alla stessa, ne scriveremo in maniera diversa, magari affrontandola da spunti differenti. La differenza non è data solo dal contesto, ma soprattutto da ognuna di noi.


    3. Il giudizio su un'opera su quali categorie deve basarsi: Estetico-formali, morali, storico-sociologiche, ecc? Si possono mixare i vari approcci o sono incompatibili?
    l'ideale sarebbe quello di farne un mix, ma diciamo che dovrebbe essere naturale. Es. tu invii una raccolta di tue poesie per farla recensire a critici diversi, perchè mai ognuno ne parlerà in maniera diversa? magari ci saranno aspetti in comune, certamente, ma ognuno si approccerà secondo il suo metodo, scelto o no. Davvero interessante sarebbe l'analisi a tutto tondo, diciamo che quanti potrebbero riuscirci?


    Per la quarta ho bisogno di più tempo.




    "i ritorni hanno rugiada sulla bocca e sorrisi fra mani confuse"
    www.francescacoppola.wordpress.com
  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 19/02/2011 13:41
    1- E' proprio la quantità che fa sorgere il bisogno di un discrimine: siccome ci sono centinaia di poeti sul web e altrettanta migliaia su carta stampata (si contano 500.000 libri di nuovi poeti stampati negli ultimi 10 anni) necessariamente bisogna darsi dei criteri, perché leggere tutto non si può, e anche se si potesse il mio terrore è fare la fine di alcuni critici musicali che frequentavo ai tempi dell'università di filosofia, che avevano migliaia di gruppi nell'hard disk e quando gli chiedevi di fare una cernita, di passarti il meglio, ti rispondevano che è impossibile scegliere fra tanti stili, estetiche, ecc e ti davano l'intero hard disk dicendo "ascolta"... nel giro di un anno questo sistema mi ha portato alla nausea per la musica. Poi c'è un altro problema: leggere in profondità un testo significa usare risorse cognitive che una persona possiede in quantità molto limitata, sprecarle per testi che non valgono la pena sarebbe come dare un occhiata di fuggita alla Cappella Sistina e poi stare un ora ad osservare il policromismo nel disegno di un bambino delle elementari.

    2- Il discorso che tu hai fatto va bene per la lirica, ma come la mettiamo per l'epica? In più anche in lirica esistono capolavori che sono opere collettive, come ad esempio la poesia di Saffo, le prime raccolte surrealiste, ecc come è possibile se ognuno ha il suo mondo possa scrivere con altri, e fra l'altro degli indiscussi capolavori? E' un problema che tu non hai affrontato. Per quanto riguarda la mia poesia, la cosa è abbastanza semplice: sebbene il genere letterario che adopero di solito è la lirica, i presupposti di fondo con cui scrivo sono anti-lirici... sembra una contraddizione, ma non lo è, anzi è una casa abbastanza comune presso altre tradizioni letterarie, ad esempio la lirica tedesca (anche femminile). Io più che fare poesia dipingo icone con la parola, e uno dei criteri fondamentali dell'icona è la spersonalizzazione dell'autore di fronte al soggetto ritratto, questo non significa che nell'icona non c'è il suo autore, solamente che la sua presenza è così rarefatta che si fonde con il soggetto rappresentato, invece di sovrastarlo o addirittura sostanziarlo.

    3- Un'analisi a tutto tondo è impossibile, appunto perché critica significa squadrare un oggetto secondo determinati criteri, che per loro stessa natura sono variabili e demolibili, ma non arbitrari, ed è qui che sta il bello. Io squadro un'opera secondo criteri storico-sociali e estetico-formali, combinando due approcci nati in differenti contesti ma i cui canoni non entrano in conflitto fra loro, mentre se volessi seguire quella linea estetica il cui miglior esponente è Deridda, che sostiene l'assoluta autonomia del testo da qualsiasi logica estrinseca al testo stesso, dovrei necessariamente rinunciare ai primi due approcci, perché logicamente incompatibili col terzo. La critica non è arbitraria perché i criteri scelti servono ad estrarre dall'opera cose che nell'opera sono presenti, portandole alla luce, e tale estrazione viene eseguita attraverso metodi accettati perché condivisibili... esempio: io posso giudicare un sonetto in base al suo rispetto dei canone tradizionali di questo componimento, è un punto di vista parziale e limitato, però è condivisibile. Se io giudico il valore di una poesia in base a quante "I" e "U" sono presenti nel testo, vengo preso per un imbecille, perché il criterio che utilizzo non ha alcun rapporto logico col testo che ho di fronte.
    Ed è appunto l'ultimo esempio una delle possibili conseguenze del tuo ragionamento: se saltano i criteri logici condivisi per squadrare un testo, e lo si prende come parto autonomo strettamente legato al suo autore, esistono solo 2 modi per leggerlo: o seguendo il proprio gusto personale, per cui ogni criterio è valido ed equiparabile ad ogni altro, oppure seguendo le indicazioni date dall'autore stesso, creando dei cortocircuiti al limite del tragicomico.
    Prendo questo esempio per tutti: un giovani autore di romanzi mandò la propria opera prima al celebre critico e linguista Massimo Arcangeli, perché gliela recensisse. Il nostro critico (essendo un linguista) fece una recensione di tipo formalista, notando come il lessico e le forme usate corrispondessero ad un tipo di letteratura giovanilistica pre post-moderna, ecc insomma stroncò garbatamente il libro. Poco dopo gli arrivò una lettera del suddetto autore, in cui quest'ultimo sostenva che l'Arcangeli non avesse capito nulla della sua opera, che andava giudicata secondo i canoni della canzone rap! Al ché il nostro buon Massimo rimase al quanto turbato, dato che aveva sempre ritenuto che romanzo e canzone rap fossero due forme comunicative differenti, con storie e forme diverse, e lo scrisse al giovane autore... che a stretto giro di posta gli rispose che se lui ha scritto il suo romanzo come una canzone rap, l'unico modo per giudicarlo era quello di applicargli le categorie della canzone rap. Dopo questa lettera, Arcangeli gettò la spugna e scrisse un bel libro sull'impossibilità di criticare un autore contemporaneo.


    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.