00 24/01/2011 18:39
Ripropongo l'intervista gia postata sul vecchio forum:


Il Fantasy Minimalista e finemente focalizzato di
Ian C. Esslemont
By Jeremy L.C Jones

Traduzione a cura di Korlat



Ian C. Esslemont ha vissuto dentro e fuori Malaz fin dal 1982. E si vede.
Le persone respirano, il mare imperversa ed il tempo si estende lontano in ambo le direzioni.
Malaz è un mondo ampio, un mondo vasto nato nei romanzi di Esslemont Night of Knives e Return of the Crimson Guard e nei nove di Steven Erikson, a partire da Gardens of the Moon fino al più recente Dust of Dreams.

Malaz può essere bieco, fosco e violento. Nelle mani di Esslemont, Malaz è sempre intenso e reale. “In lontananza una macchia oscura apparve “, scrive Esslemont in Night of Knives, "Ma la figura proseguì la sua faticosa marcia, senza sosta sotto un cielo che restava nebuloso e offuscato, in cui forme somiglianti ad uccelli volavano alte nelle nubi."

Ci sono distanze e macchie scure, ma Esslemont si occupa maggiormente dei singoli personaggi, delle persone e dei loro continui sforzi. Ed è li, nei suoi personaggi, che Esslemont costruisce per la maggior parte il suo mondo, raccontando la storia di un universo intero attraverso le vite dei suoi personaggi.

"Spero che ciò che scrivo contenga tutto—altrimenti non darebbe la sensazione di una narrativa completa (se sapete cosa intendo)," dice Esslemont. "Più specificatamente, suppongo di scrivere a proposito di obiettivi e piani contesi, dell’evoluzione di miti, credenze, leggende, degli sforzi dell’individuo di trovare se stesso o stessa e di capire e venire a patti con il mondo ed il proprio ruolo in esso (di tutto, in altre parole)".

Malaz è un mondo costruito attraverso dialoghi tra amici di vecchia data, e leggere i romanzi di Esslemont ha una certa intimità, una certa vicinanza che è tanto stimolante quanto reale.

Attualmente Esslemont vive in Alaska con la sua famiglia mentre sta concludendo un Master e lavorando ad altri romanzi ambientati a Malaz.


Cos’è che ti piace della scrittura?

Ciò che preferisco maggiormente dello scrivere è il processo di creazione nella scrittura creativa. La sorpresa e la scoperta che viene con lo spingersi avanti nella pagina bianca: qualunque cosa può accadere, e qualche volta accade.

[Scrivere]è come qualsiasi arte creativa —pittura, scultura— c’è sempre altro da imparare, talenti da affinare ulteriormente. E inoltre si può sempre scegliere di rischiare, se così si desidera.

Sono lieto di vedere che [la scrittura narrativa] viene ora considerata più come un’ 'abilità' rispetto al modo in cui è stata considerata in passato: una sorta di dono mistico divinamente concesso, in cui uno aspetta che l’ispirazione lo folgori, come un fulmine. Davvero, è più come un lavoro. Il novanta per cento dello scrivere è piazzare il sedere su una sedia per quattro, sei ore al giorno.


Che cosa ti insegnò (o ti ha) insegnato il gioco di ruolo a proposito dello scrivere narrativa?


Parecchio, penso. Nella tua interview with Robert Redick, egli ha confessato di essere un fan dei GDR. Come Robert, credo abbia contribuito ad insegnarmi il dialogo, lo sviluppo del personaggio, la costruzione della trama, il ritmo, come organizzare una scena... quasi tutto. Al tempo stesso mi sono studiato febbrilmente fantasy e fantascienza (come, ne sono certo, fece anche lui) .Per me, il GDR vecchio stile, con una banda di amici riuniti attorno a un tavolo, ha fornito un auto-selezionato circolo di lettori con opinioni simili (un’ audience) per mettere alla prova il materiale.

Inoltre, come ogni hobby o attività, il GDR può essere maneggiato malamente o abilmente. Monotone campagne e partite che non ispirano sono tanto comuni quanto pietanze mal preparate al ristorante, film stupidi o prodotti elettronici scadenti. Suppongo di essere stato fortunato ad incontrare un gruppo così abile, intelligente e scrupoloso come quello che ho trovato alla University of Manitoba negli anni 80. Le partite erano stimolanti, sorprendenti, dinamiche, elettrificanti perfino . Così belle come lo è — o dovrebbe esserlo, ogni storia fantasy.

Poi incontrai Steve [Erikson] e lo introdussi ai giochi di ruolo e da li le cose decollarono. Più giocavamo e meno facevamo rifermento alla meccanica e all’armamentario del gioco e più venivamo solo per parlare. Abbiamo trascorso partite intere solo con dialoghi fra i numerosi personaggi che litigavano, si punzecchiavano e competevano fra loro lungo tutta la notte.
La maggior parte della nostra fiction ha come protagonisti i nostri personaggi di quei giochi —e perfino gli stessi scenari che usammo.



Sia tu che Steven Erikson avete svolto lavori di tipo archeologico. Esistono somiglianze tra essi e la scrittura ? E tra essere dottorando e scrivere narrativa?


Parecchie somiglianze, ritengo. Io sento l’essere scrittore come un dottorando perpetuo— non finisci mai!. Almeno con una dissertazione (tesi) uno finisce il libro e può dedicarsi ad articoli e simili, ma nello scrivere c’è sempre il libro successivo! E poi c’è la ricerca di supporto, ecc. Ma probabilmente sono stato un dottorando per così tanti anni che forse è ciò a cui sono abituato.

E per l’archeologia, si, molte. L’analogia è senza dubbio calzante: uno dissotterra cose, scava quel che può essere scavato, crea connessioni e stabilisce contesti, costruisce il tessuto di una società, di una cultura. È tutto li.



C’è qualcosa di Manitoba in Malaz? O dell’ Alaska?


Hmm. Domanda interessante. Dato che sia io che Steve siamo cresciuti a Winnipeg deve esserci parecchio di Manitoba in Malaz. Non direttamente però, nessuna controfigura geografica. Steve ed io abbiamo deliberatamente cercato di evitare il vecchio cliché fantasy della regione a nord di tipo ‘Scandinavo’, della regione ‘Celtica’, e di quella ad est di tipo ‘Cinese’ o ‘Mongola’ o dei popoli ad esse corrispondenti.

E per Manitoba, beh, c’è un grande affetto per il territorio, come foresta, e pianura, che speriamo si percepisca, e che è forse dovuto all’essere stato allevato sulla prateria. È un paesaggio che lascia un’impronta su una persona, questo è certo.

Ora, per quanto riguarda l’Alaska, beh, la questione del popolo indigeno vs. popolo invasore è centrale nel mondo di Malaz, come lo è la questione di colonialismo e imperialismo nelle sue differenti forme storiche. Alaska è una regione nella quale tutto ciò si sta ancora rappresentando.




Il mondo di Malaz cominciò come setting per un gioco di ruolo casalingo. Come ha influenzato il mondo questo fatto?


In una maniera fondamentale si potrebbe dire che l’abbandono del singolo eroe tradizionale, della singola linea narrativa protagonista, in favore di quella del complesso multi-personaggio è forse tracciabile alle radici mie e di Steve nel GDR. In Malaz, abbiamo deliberatamente messo da parte il concetto (ridicolo ,col senno di poi) che un singolo individuo possa sconfiggere un’armata o capovolgere la storia. Quello del “Grand’uomo” è il vecchio modello di storia che davvero non regge una volta esaminato da vicino.

Malaz si è evoluto partendo dal bisogno di un ambiente per il nostro GDR. Abbiamo riversato tutto quello che avevamo in esso, tutte le nostre idee, tutto il nostro entusiasmo e creatività. Avrebbe potuto facilmente vacillare o ‘fallire’ (se lo scomparire conta come fallimento) in qualsiasi momento. Francamente era improbabile che I Giardini della Luna vedesse mai la luce del giorno. Solo la cocciutaggine e la perseveranza di Steve hanno visto oltre l’ostacolo fino alla stampa— senza nulla togliere alla qualità della scrittura, è solo che l’hanno rifiutato in così tanti…troppo lungo, troppo complicato, troppi personaggi, troppo condensato, troppo poche spiegazioni per i lettori …la lista proseguiva ancora e ancora.

Il mondo è stato costruito attraverso un processo di dialogo, di collaborazione. Steve avrebbe gettato qualcosa sul tavolo ed io ci avrei costruito sopra, oppure io avrei gettato qualcosa sul tavolo e lui poi avrebbe preso l’idea e l’avrebbe svolta. A volte ciò che provavamo non funzionava, o non piaceva all’altro, e quell’elemento avvizziva. Naturalmente, gli elementi che ci sono piaciuti sono quelli che abbiamo sviluppato. Ritengo che questo processo di selezione naturale renda le cose molto salde e coese (o così spero).




Quale parte di Malaz senti più tua? O, messa in maniera differente, dov’è più evidente la tua impronta, il tuo zampino?


Oh-oh, stai cercando di fomentare guai tra Steve e me, qui?
È davvero difficile dirlo poiché abbiamo originariamente sviluppato ogni regione insieme. Adesso, ad anni di distanza, mentre ‘ingrassiamo’ alcune parti, si può dire che queste sono mie o di Steve, come per Letheras,ingrandita parecchio da Steve. Eppure non è così semplice perché i fratelli Tiste Edur erano originariamente i miei personaggi…

O, ad esempio, potrei dire che il subcontinente di Korel, o quello di Fist, hanno la mia impronta. Ma di nuovo non sarebbe interamente vero— è un buon esempio di come abbiamo condiviso la messa a punto. Tutti i nomi di città e paesi sono stati inseriti da Steve, lasciandomi decidere cosa farne. In maniera simile ho compilato i nomi delle aree a sud di Genabackis, tra cui Darujhistan (escludendo Bastion e le zone che Steve ha aggiunto in seguito), e pianificato il subcontinente a sud di Korel.




Molto di Night of Knives avviene in un giorno e una notte. Che cosa ti ha lasciato fare questa limitata struttura temporale? Ti sei mai sentito costretto da questa cornice temporale abbreviata?


Ho posto questo limite temporale volutamente. È stata la mia risposta creativa ad una critica del fantasy simile a quella sollevata durante la tua intervista con Robert Redick. In quell’intervista egli cita Kim Stanley Robinson motivando la sua avversione per il fantasy: "Come egli disse, in un mondo dove tutto è possibile, nulla è interessante." In effetti credo che questo implichi che non ci sono limiti nel fantasy e quindi non c’è sfida creativa (nella pittura, ad esempio, ogni tela ha un confine).

La mia idea era che il fantasy potesse lavorare altrettanto bene nel minimale e nel finemente focalizzato. Da qui il limite delle ventiquattro ore. Di ciò esistono ben noti precursori e modelli letterari, ma non scenderò nel dettaglio. Basti dire che a parer mio il fantasy può essere un mezzo altrettanto effettivo per indagare il vicino e l’intimo quanto qualsiasi altro genere.

Ho imparato una straordinaria quantità di cose scrivendo Knives. Esso è stato la mia prova di apprendistato, si potrebbe dire. Mi sono fatto le ossa, insomma. Tutto ciò che ho imparato li è poi andato in Return of the Crimson Guard . Principalmente ritengo di aver imparato a fidarmi più di me stesso e a prendermi il mio tempo ... e su quelle dure lezioni sto ancora lavorandoci.




Su cosa stai lavorando adesso e come si sviluppa in rapporto ai precedenti libri e al mondo di Malaz?


Ho un contratto con la Bantam per altri quattro romanzi Malazan. Sono davvero entusiasta di avere l’opportunità di proseguire con quelli. Il primo riguarda il subcontinente di Korel, o quello di Fist. È incentrato sulle vicende Malazan li, sugli Stormriders, e su un culto religioso locale. Dopo di esso mi volgerò verso Darujhistan, e poi verso eventi sul continente di Jacuruku, e finalmente concluderò rivelando Assail. Questi quattro completano e rientrano nell’arco principale mio e di Steve per il mondo nel suo intero.




Sei mai sopraffatto dalle pure dimensioni del mondo che tu e Steven Erikson avete costruito ?

No, per niente. Infatti mi è piaciuto immensamente; è metà del divertimento! C’è così tanto da raccontare; e aggiunge solo alla ricchezza.




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(Perchè fustigare la luogotenente quando puoi fustigare il boss?^^)
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