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LA DIFFERENZA FONDAMENTALE TRA L'UOMO E L'ANIMALE

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    00 07/12/2010 22:07
    Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. E’ dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi.
          Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili,  se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane.-                    
          ( Catechismo della Chiesa Cattolica n.2417 )  

    E’ contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre    
          indiscriminatamente della loro vita
    (Catechismo della Chiesa Cattolica n.2418)                                  
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    00 07/12/2010 22:08
    Nell’animale sono assenti le operazioni intellettuali tipiche dell’anima spirituale e ciò si deduce dalla presenza, nell’animale, di un linguaggio – pragmatico – che è sostanzialmente diverso dal linguaggio umano che può essere definito linguaggio – mathetico -.
      L’assenza delle operazioni intellettuali si deduce anche dal comportamento animale che è caratterizzato dal fenomeno della cosiddetta – stagnazione -, termine con cui si esprime l’incapacità di dare vita ad uno – sviluppo – cioè ad un dinamismo realizzativo.
      Strettamente collegato al fenomeno della – stagnazione – è l’altra caratteristica del comportamento animale e cioè il suo essere – non tradizionalista -. Tradizionalista è un termine con cui si intende propriamente la capacità di trasmettere ad altri le conquiste del proprio progresso. La prima invenzione è il primo progresso e il primo progresso, trasmesso agli altri, è la prima tradizione che comincia. La tradizione è un effetto del progresso ma poiché lo conserva e lo trasmette, è essa stessa lo strumento del progresso sociale. Senza tradizione non c’è progresso perché è la tradizione che conserva e trasmette il progresso e solo conservando e trasmettendo il progresso è possibile produrre un ulteriore progresso: senza tradizione, infatti, si dovrebbe sempre ricominciare da zero. Dopo questa sintetica introduzione esaminiamo ogni singolo comportamento da cui si deduce la differenza esistente fra l’uomo e l’animale.

                                         La condotta umana è caratterizzata da uno sviluppo

    La mancanza della funzione simbolica, che nasce dalla capacità astrattiva e dall’autoconsapevolezza dell’intelletto umano ( vedi paragrafo sul – linguaggio mathetico - ), impedisce all’animale di creare cose nuove a partire da cose antiche.
      Anche se l’animale costruisce qualcosa – come l’alveare o come il nido -, questa costruzione è immodificabile perché è completamente determinata dall’istinto innato: non conosce né fasi di sviluppo, né fasi di involuzione. Anche certi comportamenti dei cosiddetti insetti – sociali -, come il sacrificio delle formiche soldato o delle api che muoiono pungendo gli intrusi, sono azioni di pseudo – altruismo in quanto puramente istintive e determinate dalla costituzione genetica: gli insetti non possono modificare, opporsi o rinunciare a tali azioni. (1)
      Il comportamento animale è caratterizzato dal fenomeno della -  stagnazione -: cioè l’animale è incapace di dare luogo ad uno – sviluppo –.  Nell’animale tutto è innato e ciò che viene acquisito     – ad esempio il cane che riporta la preda al padrone – non viene mai compreso in senso intellettuale.  
     Quando si ha qualche variazione nel comportamento animale, esso resta sempre un comportamento istintivo: non si tratta di comprensione ma di istinto imitativo provocato casualmente dall’ambiente o imposto dall’azione del castigo. L’istinto imitativo dà origine ad una trasmissione meccanica, non cosciente, che non dà luogo a progresso cioè a successive elaborazioni: inoltre, la variazione accidentale, una volta persa, non può essere recuperata attraverso l’uso della ragione. Nel corso dei millenni, nessun cane, attraverso la sua discendenza, ha dato origine ad un progresso nell’arte venatoria. Nell’uomo, grazie alla capacità astrattiva e all’autocoscienza, ogni istinto agisce in modo specificamente umano: nell’uomo c’è sempre una spinta al superamento di sé mediante un intervento cosciente che dà luogo ad uno – sviluppo – cioè ad un dinamismo realizzativo.
      Il bisogno di cibo, per esempio, non spinge semplicemente l’uomo a placare la fame. L’uomo è cosciente di questa necessità, la comprende come una condizione di vita e grazie a questa consapevolezza e alla capacità astrattiva dell’intelletto può dare origine ad una attività molto più estesa rispetto alla semplice soddisfazione istintiva della fame, un’attività intellettuale e organizzatrice e la struttura economica della società ne è una manifestazione.
      La capacità, tipicamente umana, di dare luogo ad uno sviluppo, di creare cose nuove a partire da cose antiche, non implica la tesi secondo cui la cultura umana deve sempre seguire una linea ascendente, senza flessioni.
    La cultura umana presenta periodi di declino, ma dimostra,  anche con le sue fasi discendenti, la sua superiorità rispetto al comportamento stagnante dell’animale. Infatti l’uomo è libero di trasmettere il progresso dando origine ad un ulteriore progresso oppure può tradire il progresso ricevuto dando origine ad una fase di regressione. (2)
      Solo l’animale uomo è capace di creare cose nuove da cose antiche e questa capacità creativa è propriamente quella che i greci chiamavano capacità demiurgica dell’artista. Il demiurgo è colui che crea, ovviamente non crea dal nulla – perché solo Dio crea dal nulla –  ma crea a partire da qualche cosa che già esiste. Solo l’uomo è artista, cioè creatore di cose nuove da cose antiche attraverso la forza del braccio guidata dallo spirito: la parola artista deriva da braccio.
      Una delle prime opere dell’uomo, scrive Attilio Mordini, è l’utensile: l’utensile è propriamente un oggetto nuovo, una nuova creazione ottenuta mediante oggetti diversi ordinati in una nuova unità.    
     Uno dei primi utensili è la scure che è costituita da una pietra e da un bastone. La scimmia lancia la pietra e scaglia il bastone, ma tanto la pietra che il bastone rimangono due cose distinte: nessun animale ordina parti di diversa natura in unità per dare origine ad un utensile, cioè alla creazione di un oggetto nuovo. (3)

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    00 07/12/2010 22:09
     L’uomo è un essere tradizionalista


    Gli studi di etologia e le conseguenze subite dai bambini allevati dagli animali dimostrano, per esempio, che gli esseri umani  ereditano solo la predisposizione al portamento eretto e alla parola ma il modo di esercitare queste capacità deve essere appreso. La posizione verticale distingue il corpo umano da tutti i corpi degli animali. Il corpo umano presenta la predisposizione al portamento eretto ma questo non è un fatto acquisito fin dalla nascita. I bambini allevati dagli animali non sono in grado di camminare in posizione eretta. La posizione verticale è il frutto di un atto libero e cosciente che deve essere tramandato e che viene imparato con fatica. La posizione verticale e l’andatura eretta racchiudono importanti connotazioni simboliche: sono segno di vita, di salute, di forza, sono simbolo della capacità di andare oltre la materia. Le città fanno a gara nel costruire gli edifici più alti, i sovrani salgono sul trono e tutti i popoli considerano il cielo come il luogo dove abita la divinità. (4)
      L’etologo e biologo Pier Paul Grassé osserva che ciò che separa radicalmente la psicologia umana dal comportamento animale è la mancanza nell’uomo dei complessi istintivi. Cioè l’uomo eredita solo gli istinti – il fondo – ma non il modo di esercitarli – la forma -: nell’uomo il modo di esercitare gli istinti o di non esercitarli deve essere appreso. Nell’animale anche il modo di esercitare gli istinti è ereditario: è ereditaria la forma del raggruppamento, l’ordine nello spostarsi, il modo di fare il nido, la maniera di cacciare ecc.
      Se l’uomo viene privato dell’educazione trasmessagli da un altro uomo, non può svilupparsi pienamente come uomo. (5)
      Il linguaggio animale è un linguaggio – pragmatico – cioè è solo un suono che serve a manifestare un istinto: serve per richiamare al volo, alla corsa, al cibo, al sesso ma non per capire una cosa, non per nominare una cosa. Anche se l’animale vive in stato d’isolamento, se viene sfamato egli possiede il suo linguaggio pragmatico identico a quello di tutti gli animali della sua specie. Il linguaggio umano è stato definito dal John Eccles, premio nobel per la neurofisiologia, come un linguaggio – mathetico-, cioè un linguaggio che serve per capire le cose e quindi per nominarle.   
      L’uomo che non riceve la parola da altri uomini non riesce a formularla da solo. (6) L’uomo eredita la predisposizione alla parola ma questa capacità deve essere appresa attraverso una tradizione. Ogni parola, appena trasmessa, ha una validità universale in quanto è adoperata da molti uomini per indicare l’essenza di molte cose della stessa specie o dello stesso ordine ed essa ha, in genere, un corrispettivo in ogni lingua. Ogni parola è sempre universale in due sensi: per rapporto alle cose e per rapporto alle intelligenze. (7)
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    00 07/12/2010 22:10
    Il linguaggio  mathetico


    John Eccles, premio nobel per la neurofisiologia, spiega che negli antropoidi è presente il linguaggio pragmatico ma è assente il linguaggio mathetico. Gli antropoidi non usano il linguaggio per capire le cose e per trasmettere ciò che hanno capito.  Dice Eccles che nel linguaggio delle scimmie non c’è nulla di equivalente al pensiero umano. Mathetico ha origine dal sanscrito – mati -, da cui deriva anche matematica, che significa pensiero. Anche dopo le più diligenti procedure d’insegnamento, le scimmie rimangono prive del linguaggio mathetico. Il linguaggio pragmatico è solo un suono che serve per manifestare un istinto: serve per richiamare al volo, alla corsa, al cibo, al sesso ma non per capire una cosa, non per nominare una determinata cosa.
      Nell’uomo il suono diventa parola, cioè simbolo della coscienza di sé e quindi della consapevolezza della propria conoscenza: quando si parla di conoscenza non si intende la semplice conoscenza sensitiva ma la conoscenza nella sua completezza, con l’intervento della facoltà intellettuale. I sensi hanno il compito di registrare come le cose si presentano ma l’intelletto si chiede perché una cosa esiste e perché esiste in quel modo e, solo dopo aver definito le cose,   – essenza -,  può  esprimere dei giudizi e ragionare.
      Gli animali, non sapendo di essere, non hanno intenzione di capire l’essenza delle cose  – procedimento che, vedremo, avviene attraverso l’astrazione –  né di trasmettere le proprie definizioni.
      L’uomo, quando fa uno sforzo fisico o mentale, quando lotta attivamente contro forze opposte, scopre sorgere in sé una forza interiore che gli dà l’esperienza della volontà: la scoperta della volontà e la scoperta dell’io sono intimamente legati. Gli animali sono coscienti ma non autocoscienti: gli esseri umani, invece, non solo percepiscono le cose ma sanno di percepirle, esistono e sanno di esistere, soffrono e sanno di soffrire, muoiono e sanno di morire. Solo gli uomini, Dio e gli Angeli possono dire una frase che è il simbolo e la manifestazione dell’autocoscienza: - io sono -.
      L’autocoscienza è la conoscenza riflessa o riflessione: una facoltà puramente corporea ha una estensione e può conoscere solo secondo la dimensione dell’estensione, al più una parte può ripiegarsi sull’altra ma non il tutto sul tutto. Per esempio, l’occhio, da solo, senza lo specchio, non può vedere se stesso, il dente, da solo, non può mordere se stesso. L’intelligenza, invece, è cosciente di se stessa, riesce a piegarsi completamente su stessa perché può porsi da punti di vista diversi: soggetto conoscente in alcune operazioni e oggetto conosciuto in altre.
      Negli anni ’70, Allen e Beatrice Gardner insegnarono allo scimpanzé femmina Washoe il linguaggio dei muti, supponendo che l’incapacità degli animali a parlare fosse solo fonetica.   
      Incoraggiati dai Gardner, i coniugi A. J. E D. Premack adottarono altri sistemi di comunicazione muta con lo scimpanzé Sarah. Duan M. Rumbaugh addestrò lo scimpanzé femmina Lana a battere i tasti di un computer nei quali erano incisi segni che venivano associati ad azioni e oggetti vari. R. S. Fouts, seguendo il metodo dei Gardner, ammaestrò più scimpanzé e Francise Patterson addestrò un gorilla femmina di nome Koko, sempre con il metodo dei Gardner.
      Nel 1979 H. S. Terrace, professore di psicologia alla Columbia University di New York, convinto da questi esperimenti che gli antropoidi potessero apprendere il linguaggio umano, pensò di addestrare un piccolo scimpanzé nel dipartimento di psicologia della Columbia University: lo scimpanzé fu chiamato Nim Chimpsky, quale allusione canzonatoria al celebre linguista Noam Chomsky, il quale riteneva il linguaggio essere esclusivo dell’uomo. L’addestramento fu condotto sull’esempio dei Gardner e dei Fouts. Terrace riesaminò tutti i films e le registrazioni delle espressoni apprese da Nim e si rese conto che Nim non aveva mai dimostrato alcun progresso nelle sue espressioni. In 19 mesi, Nim non fece alcun progresso di contenuto: i progressi, invece, con tre bambini normali e due muti erano stati imponenti. Inoltre Terrace notò che lo scimpanzé non conversava ma gesticolava quasi fosse solo e le espressioni più significative, in realtà, erano suggerite dall’addestratore stesso. Terrace, a questo punto, riesaminò anche gli esperimenti dei Gardner evidenziando la stessa situazione. Nessuno si sarebbe accorto di questa realtà se non si fossero analizzate le trascrizioni filmate perché queste osservazioni sfuggono nel momento in cui si sperimenta. Rumbaugh e collaboratori spinsero più avanti la critica dimostrando che gli antropoidi non sanno arrivare al simbolo: essi pervennero a tali conclusioni nel 1980, dopo sette anni dal progetto Lana. (8)
      Nel 1969 Gordon Gallup, Jr, che lavorava con il – test dello specchio-, per esplorare il tema dell’autoconsapevolezza  nelle scimmie, presso il Delta Regional Primate Research Center della Tulane University, concludeva che gli scimpanzé avevano consapevolezza di se stessi perché riuscivano ad imparare che l’immagine riflessa nello specchio era una rappresentazione di se stessi.
      Daniel J.Povinelli rimase colpito dalle ricerche di Gallup e, convinto del fatto che le scimmie erano dei – bambini pelosi -, cominciò a studiare il comportamento di questi animali fin dall’età di 15 anni.  Povinelli oggi è considerato il massimo esperto mondiale nello studio della vita degli scimpanzé. Ha conseguito il dottorato in antropologia biologica alla Yale University e dirige la divisione di biologia comportamentale al New Iberia Research Center della Southwestern Louisiana University. Dopo 30 anni di studio e di esperimenti dalla scoperta di Gallup, Povinelli, nel 1999, è giunto alla conclusione che gli scimpanzé non hanno consapevolezza di se stessi. Il superamento del test dello specchio, per gli scimpanzé, non significa che questi animali hanno consapevolezza psicologica di se stessi ma soltanto che riescono a mettere in relazione con il proprio corpo i segni colorati che vedono nell’immagine riflessa. Gli scimpanzé hanno un immagine mentale esplicita della posizione e del movimento del proprio corpo: un’immagine cinestesica del proprio corpo.
      Gli scimpanzè hanno bisogno di avere un’immagine cinestesica del proprio corpo ad alto livello perché devono saltare da un ramo all’altro. I Gorilla, invece, che sono i più grandi primati non umani, non superano il test dello specchio perché, essendo enormemente pesanti, vivono sul terreno e non hanno bisogno di eseguire i complessi movimenti necessari per trasportare il loro corpo da un ramo all’altro. Dice Povinelli:- ci è voluta una grande pazienza da parte degli scimpanzé. Ma alla fine mi hanno insegnato che non sono bambini pelosi-. ( 9 )
      Gli esperimenti fatti dimostrano che gli scimpanzé non comprendono il simbolo; ma cosa è propriamente il simbolo?  Simbolo significa mettere insieme: in Grecia il simbolo era il contrassegno che si otteneva mettendo insieme le due metà spezzate di un anello o di una tessera in terracotta e la parte intera serviva da segno di riconoscimento. Quindi simbolo significa mettere insieme due realtà: il simbolo è un segno sensibile, materiale che rimanda ad un significato immateriale, ad un concetto mentale. Per capire la natura del concetto mentale bisogna distinguere la conoscenza intellettiva dalla semplice conoscenza sensitiva che è l’operazione con la quale l’animale si mette in contatto con la realtà per mezzo dei sensi.
      Conoscere nel senso intellettuale non consiste nel semplice prendere, toccare, sentire o vedere le cose con i sensi e con il cervello che è il centro di integrazione dei sensi: il cervello, infatti, è dotato di immaginazione riproduttrice  – capacità di riprodurre l’oggetto visto -, immaginazione associatrice – capacità di associare le immagini degli oggetti visti – e memoria – capacità di conservare le immagini-. I sensi hanno il compito di registrare le cose come si presentano ma solo l’intelligenza ha bisogno di porre la domanda: che cos’è questo ? Questa domanda è il segno che, per l’uomo, nei dati provenienti dai sensi resta un oggetto da conoscere che i sensi non possono cogliere. Qual’ è dunque questo oggetto? Questo oggetto è l’essenza di una cosa, ciò per cui una cosa è quella che è: il perché esiste e perché esiste in quel modo.
        Per esempio, mentre con l’occhio vedo molte piante particolari, diverse le une dalle altre, con l’intelletto sono capace di fare astrazione delle differenze delle piante particolari e di formare il        – concetto – di pianta che posso applicare a tutte le piante, dall’insalata al pino: primo processo astrattivo che coglie l’unità estraendola dalla diversità. L’animale vede  una pianta particolare ma è incapace di concepire la caratteristica unitaria che accomuna tutte le piante. In virtù di questa capacità astrattiva l’uomo può dire: la pianta appartiene al regno vegetale e non a quello animale, come il cane, né a quello minerale come il ferro. Può, cioè, formulare giudizi che si applicano a tutte le piante, a tutti gli animali, a tutti i minerali. Per noi esseri umani questa operazione di astrazione intellettuale è talmente naturale che non ci rendiamo conto dell’esistenza di questa capacità per il semplice fatto che la mettiamo continuamente in funzione in modo del tutto naturale, così come mettiamo in funzione i nostri cinque sensi. Questa capacità astrattiva è più evidente nei concetti quantitativi di ordine fisico – matematico, cioè in quei concetti dove definiamo la misurabilità delle cose per la loro grandezza. La lunghezza, per esempio, è una parola che serve ad indicare una proprietà comune delle cose – gli oggetti sono più o meno lunghi -, ma anche ad esprimere l’idea o modello della lunghezza che possiede la proprietà della lunghezza al massimo grado, cioè l’infinitamente lungo. Questa misura massima è un’idea o modello che i sensi non possono conoscere perché nessun oggetto che noi vediamo o tocchiamo possiede totalmente questa proprietà ma la riceve solo in parte da qualcosa che trascende le cose stesse: secondo processo astrattivo che riesce a cogliere l’essenza di un oggetto senza l’oggetto particolare, che riesce, cioè, a cogliere l’idea direttrice, il progetto da cui ha avuto origine la proprietà di una cosa.
      Il nostro intelletto, dunque, non solo conosce una proprietà comune delle cose, per cui affermiamo che gli oggetti sono più o meno lunghi – primo processo astrattivo che coglie l’unità estraendola dalla diversità - ma riesce anche ad estrarre da questa proprietà unitaria la sua misura massima.
       Dopo la conoscenza sensitiva, dunque, l’intelletto è capace di ottenere una ulteriore conoscenza e riesce a vedere, per esempio,  non solo che le cose sono più o meno belle, ma anche a concepire l’idea della bellezza assoluta, riesce a vedere non solo che le cose sono più o meno lunghe, ma anche a concepire l’idea dell’infinitamente lungo.
      Quando definiamo le cose, la definizione presenta le cose nella loro essenza e questa essenza viene estratta fuori dalla materia, liberata dalla materia, - detemporalizzata -, - despazializzata -, sradicata dal suo contesto materiale, particolare, limitato, finito. Per esempio, quando dico che l’uomo è un animale razionale “- la definizione dell’uomo – animale razionale - non implica, in sé, né dimensioni, né colori, né età, né lingua, nulla cioè di ciò che caratterizza i singoli individui e che quindi non è comune a tutti gli uomini. Quando definiamo le cose, la nostra intelligenza prescinde totalmente dalla materia sensibile. La definizione presenta le cose nella loro essenza e astrae da tutto ciò che è sensibile e materiale. Questo prova che l’anima umana strappa le essenze dal mondo della natura e le – detemporalizza- e – despazializza-“-. ( 10)
      Ogni volta che nominiamo una cosa in realtà la definiamo: la parola, verbale o scritta, è il simbolo sonoro, grafico o gestuale – nel linguaggio dei muti -  che racchiude e trasmette un concetto interiore - verbum mentis - .
     “- Guardo le cose attorno a me. Quando ne parlo, se voglio comunicare con te, sono obbligato, affinché tu possa capire il mio pensiero, a sradicarle dal loro contesto materiale. Io ti comunico la loro essenza, e tu, a tua volta, ricevi questa comunicazione – in un modo che un animale non potrebbe mai ricevere- come despazializzata e detemporalizzata. In chi fa l’azione di strappare una realtà al contesto spazio-temporale, e anche in chi riceve questa comunicazione, esiste la capacità di stabilire un linguaggio che si pone al di sopra dello spazio e del tempo”-. (11)
      San Tommaso d’Aquino spiega che quando comprendiamo una cosa, allo stesso tempo la definiamo e quando la definiamo, contemporaneamente la nominiamo: le parole sono segni o espressioni dei concetti. Un errore o un’imprecisione nella comprensione intellettuale di una cosa comporta un errore o un’imprecisione nella espressione orale o scritta. Nello stesso tempo un uso improprio delle parole e un disordine nella grammatica rendono difficile la comprensione intellettuale della realtà. (12 )
      Mentre il linguaggio animale è un linguaggio pragmatico che serve per manifestare un istinto, il linguaggio umano è un linguaggio mathetico. Il linguaggio matethico è il linguaggio che serve per capire una cosa e quindi per definirla nominandola.

                                                     
                                                            
    ( Bruto Maria Bruti )
     

                                                                  
      bibliografia


    cfr John Eccles, Daniel Robinson, La meraviglia di essere uomo, trad. italiana, Armando, Roma 1985,  p.89
    cfr Joseph Nuttin, Psicanalisi e personalità, trad. italiana, ed. Paoline, Roma, 1984, pp.219-221, nota n.3 di p.220 e pp. 283-284
    cfr Attilio Mordini, Verità del linguaggio, Volpe, Roma, 1974, p.177
    cfr Battista Mondin, L’uomo: chi è? Elementi di antropologia filosofica, editrice Massimo, Milano, 1982, p.35
    cfr  Vittorio Marcozzi, Le origini dell’uomo, Massimo, Milano, 1983, p.84; cfr John Eccles, Daniel Robinson, op. cit., pp.41-42
    cfr J. Eccles, D. Robinson, op. cit., p.24
    cfr Guido Sommavilla, Il pensiero non è un labirinto, dialettica e mistero, Jaca Book, Milano, 1981, pp.40-41 e p.52.
    cfr Vittorio Marcozzi, Alla ricerca dei nostri predecessori, ed. Paoline, Milano 1992, pp.106-110; cfr J. Eccles, D. Robinson, op. cit., pp. 22-25 e 120-122
    cfr Gli animali possono essere empatici, Si di Gordon Gallup, Jr, Probabilmente No di Daniel Povinelli, Le Scienze Dossier, n.1, 1999, ristampa, pp.76-86, citazione p.86
    Pierre-Marie Emonet O.P., Mirella Lorenzini O.P., Conoscere l’anima umana, elementi di antropologia filosofica, edizioni Studio Domenicano,Bologna, 1997, p.71
     ivi, p.72
    cfr San Tommaso d’Aquino Summa Teologica I, q.13, a 1;  
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    00 03/05/2016 21:58

    Filosofia vegana e vegetariana:
    i rischi per la salute e per l’etica

    animalismoPerché occuparsi di diete alimentari? Perché non si tratta solo di questo, purtroppo. Vegetarismo eveganismo sfociano spesso in vere e proprie filosofie etiche, arrivando a parlare di “religione verde”.

    Anzi, proprio alla base di queste convinzioni si intravede l’ideologia riduzionista che eleva eticamente l’animale a livello dell’uomo, rendendolo un nient’altro che, privandolo della sacralità di figlio di Dio, creato a Sua immagine e somiglianza. Come è stato giustamente sottolineato, sul sito www.eticanimalista.org si legge: «alcune religioni indicano l’uomo come immagine e somiglianza della divinità», eppure, «non credo che nell’animo umano vi siano sentimenti di generosità e di altruismo e quindi neppure che esso possa essere emanazione di volontà divina». Per cui, «molto meglio allontanarsi da quelle religioni che predicano l’antropocentrismo come discendenza divina» e avvicinarsi al «pensiero animalista, che è concreto e contestuale, libero da dogmi e da retaggi storici».

    Non è un caso se i principali teorici dell’ateismo sono anche vegetariani e si battono per estendere agli animali i diritti umani, da Dawkins a Veronesi, da Luis Zapatero e Peter Singer. Proprio quest’ultimo scrive: «Lo scopo del mio argomento è di elevare lo status degli animali piuttosto che di abbassare lo status di qualsivoglia gruppo umano» (P. Singer, Etica pratica, Liguori editore 1988, p. 74), perché «chiamare “persona” un animale può sembrare strano solo perché è un segno dell’abitudine considerare la nostra specie rigidamente separata dalle altre» (p. 99). Checché ne dica il suo estimatore italiano, il filosofo vegano Leonardo Caffo, bastano poche righe perché Singer tragga le dirette conseguenze«sono caratteristiche come la razionalità, l’autonomia e la coscienza di sé ad essere rilevanti. I neonati non hanno queste caratteristiche e ucciderli non può essere equiparato ad uccidere esseri umani normali, o qualsiasi altri esseri autocoscienti», tanto meno agli animali, che hanno capacità razionali maggiori degli umani disabili (compresi i Down). Infatti, «se per una donna l’onere di prendersi cura del bambino disabile comporta l’impossibilità di far fronte a un terzo figlio, e se la morte di un bambino disabile può portare alla nascita di un bambino con migliori prospettive di vita, allora la quantità totale di felicità sarà maggiore se il bambino disabile viene uccisoLa perdita della vita del bambino disabile è più che compensata dal guadagno di una vita più felice del bambino sano» (p. 186).

    E’ l’animale che va sacralizzato, non la dignità umana. Lo stesso ragionamento era alla base della legge nazista sui diritti degli animali varata dal Führer, vegetariano militante, nel 1933 –portata recentemente alla luce da La Stampa-, in cui si legge: «E’ proibito operare o trattare animali vivi a scopo sperimentale in modo che possa essere loro provocato sensibile dolore». Un divieto che fa riflettere se si pensa all’ampio uso di cavie umane -anche bambini- usate senza scrupolo per gli esperimenti scientifici nei lager. A proposito del legame tra i “verdi” e le violente ideologie, proprio la settimana scorsa un ministro del governo svedese, Mehmet Kaplan, si è dovuto dimettere dopo che sono emersi stretti legami tra il suo partito, i Verdi, e la coalizione terroristica dei Fratelli musulmani.

    Tutto questo ovviamente non significa certo avvallare la gratuita violenza contro gli animali, il sano ecologismo infatti nasce e si giustifica in ambito cristiano, ed è stato il cristianesimo ad eliminare i sacrifici animali (e umani) ampiamente promossi dalle civiltà pre-cristiane. Ancora oggi la Chiesa cattolica è la prima alleata in questo ambito, come è stato ricordato anche da noti ambientalisti: «la Chiesa sta contribuendo sensibilmente alla maturazione del concetto di responsabilità ecologica». Proprio recentemente, ad esempio, i vescovi cattolici dell’India hanno bandito l’uso dell’avorio negli oggetti di culto per scoraggiare lo sterminio degli elefanti.

    Nella sua enciclica “ecologista”, la Laudato SìPapa Francesco ha scritto che tutto «questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità». Come spiegavamo inizialmente, anche il Papa avverte«l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi. Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani». Ed infine:«è evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito», tramite l’aborto, ad esempio. Il Papa delinea bene l’ideologia che vive dietro all’animalismo sfrenato e all’ideologia del veganismo come scelta motivata da filosofie riduzioniste.

    Bisognerebbe mettere anche in discussione il presunto effetto salutare di queste diete alimentari, poiché esse comportano l’assenza di vitamina B12 (non presente nel mondo vegetale, che abbassa i livelli di omocisteina), il ridotto apporto di Ferro e Calcio (con tutte le varie conseguenze, come l’alto rischio di osteoporosi), l’eccesso di acido fitico (che riduce l’assorbimento di zinco, calcio, magnesio e ferro), l’eccesso di ossalati (che inibiscono l’assorbimento di ferro, magnesio e calcio), la carenza di alcuni aminoacidi e grassi essenziali (ad esempio l’omega 3), fondamentali per la salute ecc. Basterebbe ricordare che la vegana più famosa al mondo, Jordan Youngerha iniziato a mangiare pesce e carne perché rischiava la vita a causa dei bassissimi livelli nutritivi.

    Non stupisce nemmeno il proliferare di studi che rilevano che vegetariani e vegani sono “meno sani” e con una minor lunghezza di vita (in particolare: maggiore incidenza di cancro, allergie e disturbi di salute mentale, maggiore necessità di assistenza sanitaria e più povertà della qualità della vita). L’ultimo è apparso pochi giorni fa, pubblicato su “Molecular Biology and Evolution” dalla Cornell University: è emerso, infatti che, l’abitudine ad un’alimentazione vegetariana ha portato, nel corso dell’evoluzione, un cambiamento del Dna di alcune popolazioni, che aumenta il rischio di infarti e cancro. Confrontando la popolazione vegetariana di Pune (India) con quella carnivora del Kansas (Stati Uniti), gli studiosi hanno osservato un aumento del rischio di malattie del cuore e dei tumori del colon nelle popolazioni in cui sono presenti variazioni genetiche legate alla dieta vegetariana. Senza considerare, afferma un terzo studio, che la dieta vegetariana potrebbe essere più dannosa per l’ambiente in termini di emissioni di gas serra, e c’è chi fa notare che anche le piante soffrono e cercano di aiutarsi, altri osservano che hanno una vita di relazione che viene brutalmente soppressa dagli animalisti: «Vi sono i vegetariani che rinunciano al rispetto della vita vegetale per proteggere quella animale», ha scritto ironicamente Umberto Eco (In cosa crede chi non crede?, Liberal 1996, p.9).

    «I veri barbari»ha spiegato il filosofo laico Fernando Savater, docente presso l’Università di Madrid, «sono coloro che non distinguono uomini e animali. Caligola, che fece senatore un cavallo e uccise centinaia di persone che non apprezzava, quello era un barbaro. Perché trattava gli uomini come gli animali e gli animali come gli uomini»Claudio Magris ha ben sintetizzato«La nostra esistenza e la nostra morale si basano su una radicale distinzione tra gli uomini e le altre creature viventi. Non è possibile applicare l’ etica kantiana agli animali né porre sullo stesso piano il genocidio di esseri umani e la distruzione di specie animali. Per l’universo, la Shoah e l’estinzione dei dinosauri sono probabilmente due fenomeni non troppo diversi, ma per noi no. Non è la religione ma sono l’etica e l’umanesimo a venir messi in crisi da un naturalismo radicale e a costringerci a separarci, nettamente e anche violentemente, dalla totalità dell’universo vivente, da tutte le altre creature».