Medieval Total War Italia

L'ultimo Basileus

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    Crusades96
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    Città: GAMBASSI TERME
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    Conte
    00 05/11/2010 20:08
    Raga vorrei sapere tutto ciò che sapete sull'ultimo imperatore bizantino (quello della caduta di Costantinopoli) vorrei scriverci un racconto che sottoporrò alla vostra critica

    [SM=x1140501]









    Quant'è bella giovinezza,
    che si fugge tuttavia!
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.
    Quest'è Bacco e Arianna,
    belli, e l'un dell'altro ardenti:
    perché 'l tempo fugge e inganna,
    sempre insieme stan contenti.
    Queste ninfe ed altre genti
    sono allegre tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'e certezza.



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    Xostantinou
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    Principe
    00 05/11/2010 22:58
    Costantino XI Paleologo Dragasēs
    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
    (Costantinopoli, 8 febbraio 1405 – Costantinopoli, 29 maggio 1453)

    E' considerato santo e martire dalla Chiesa Ortodossa.

    Quartogenito di Manuele II Paleologo e di Elena Dragaš, nipote, per via materna, del principe serbo Costantino Dragaš.
    I suoi fratelli erano Giovanni VIII, anch'egli Basileus, i Despoti della Morea Teodoro II e Demetrio II, Tommaso ed il Despota di Tessalonica Andronico.

    Nel 15 novembre del 1423, Giovanni VIII partì per Venezia, Milano, Mantova ed Ungheria in cerca di aiuti contro la continua minaccia ottomana ma, prima di lasciare la capitale, nominò il fratello Costantino reggente del Trono di Costantinopoli. Durante l'assenza del fratello, sotto la guida della madre Elena Dragaš, Costantino siglò un trattato di pace col Sultano Murad II. Fu poi nominato Despota e gli fu affidata la gestione della costa del Mar Nero, all'epoca ancora romèa, e dell'Acaia, che a partire dalla quarta crociata (1204) era ancora in mani latine.
    Nel novembre 1427 fu accompagnato da Giovanni in Morea per prendere possesso dell'Acaia. Costantino dimostrò immediatamente le sue capacità e profuse il massimo sforzo per la riconquista della regione, iniziando con l'attaccare i domini dei Tocco, signori dell'Epiro e del Peloponneso occidentale. Costantino aveva organizzato un forte esercito, al comando dell'amico fidato Giorgios Sphrantzes, al quale i Tocco non riuscirono a far resistenza. Dopo che la conquista venne ultimata, il passaggio dei poteri venne sigillato con un matrimonio. La figlia di Leonardo II Tocco, Maddalena, fu data in sposa a Costantino. Il matrimonio fu celebrato nel luglio 1428 e Maddalena, secondo le usanze, assunse un nome greco e fu rinominata Teodora. Tuttavia, la sposa morì senza generare eredi appena un anno dopo le nozze.
    Costantino proseguì con la sua politica espansionistica, sollevando così numerose proteste dai signori veneziani e francesi del luogo, che avevano stretto legami matrimoniali con la famiglia dei Paleologi. Nel 1430 l'esercito di Costantino, dopo un lungo assedio, conquistò la città di Patrasso, i cui signori erano legati a Papa Martino V. Finalmente tutta la Morea era riconquistata, ad eccezione delle città veneziane di Corone e Modone.
    Il conflitto tra romèi e franchi in Morea, iniziato nel 1259 era finalmente concluso. Dopo questi successi Costantino, oltrepassato l'istmo di Corinto, entrò in Beozia, territorio appartenente all'Impero Ottomano, ma qui la sua avanzata fu fermata dagli eserciti di Turakhan Bey.
    Ritornato a Costantinopoli, Costantino continuò a esercitare per alcuni anni le funzioni di reggente del Trono Imperiale, mentre il fratello era impegnato in Occidente nel vano tentativo di giungere alla riunificazione delle Chiese cattolica ed Ortodossa, nel concilio di Ferrara. In questo modo Giovanni voleva ottenere aiuti militari contro l'avanzata ottomana sui pochi territori rimasti in mano all'Impero. Affiancato dalla madre Elena, Costantino fronteggiò con forza le tensioni popolari che tale tentativo di riunione, non voluta dal clero e dai fedeli ortodossi, stava sollevando; successivamente esercitò personalmente le funzioni di governo in più occasioni, a causa delle cattive condizioni di salute di Giovanni, tornato in patria nel febbraio 1440.
    A metà del 1440 tornò in Morea per riprendere l'amministrazione dei territori affidatigli e durante il viaggio fece tappa nell'isola di Lesbo, dove Costantino si sposò in seconde nozze con Caterina Gattilusio, figlia del signore genovese Dorino I Gattilusio.
    Anche quest'unione fu tuttavia sfortunata: ella, come la moglie precedente, morì senza dare eredi dopo un anno di matrimonio, mentre Costantino si trovava in viaggio verso Costantinopoli per accorrere in aiuto del Basileus Giovanni VIII, che stava combattendo contro gli Ottomani di Murad II. All'interno della corte romèa due altissimi esponenti erano contrari a qualsiasi patto con i cattolici: Demetrio II, fratello di Costantino, e Luca Notaras, Megas Doux dell'Impero. Demetrio, che sperava d'impadronirsi del Trono, aveva stretto un'alleanza con gli Ottomani, nell'estate del 1442. Ma l'attacco finale non scattò poiché l'esercito di Demetrio si sciolse e Costantino poté quindi tornare in Morea senza colpo ferire.
    Secondo alcune fonti, nel 1443 Costantino avrebbe sposato Caterina Notaras, appartenente a una delle più influenti famiglie bizantine dell'epoca, di cui il membro più importante era il Megas Doux Luca: anche questo matrimonio sarebbe stato di breve durata, a causa della morte della sposa. Le più rilevanti fonti contemporanee, in particolare Giorgios Sphrantzes, non fanno menzione di questo terzo matrimonio.
    Al rientro, Costantino concentrò nuovamente i suoi sforzi nella protezione e nell'espansione dei suoi territori: per prima cosa nel 1443 fece ricostruire le mura di Hexamilion, che erano state distrutte nel 1423; nello stesso anno varcò nuovamente l'istmo di Corinto, conquistò Atene e Tebe, obbligò il duca d'Atene, Nerio II Acciaiuoli, a riconoscerlo come suo signore e a pagargli tributi annuali, invece che agli Ottomani; con questa mossa, Costantino pose nuovamente l'Attica sotto il potere Imperiale.
    Approfittando della temporanea vittoria delle potenze cristiane contro gli Ottomani, Costantino avanzò nella Grecia centrale, nei territori appartenenti all'Impero Ottomano. Ma le cose stavano cambiando, infatti i crociati furono sconfitti nella battaglia di Varna il 10 novembre 1444; Costantino però non si fece intimorire e continuò le sue conquiste, tra cui la Beozia e la Focide, spostando il confine fino al Pindo. Sembrava che Costantino stesse ricostruendo il potere romèo in Grecia. Sfortunatamente per il Despota, Murad II non aveva intenzione di lasciare i suoi territori ai romèi e, nel 1446, si mise alla testa di un grande esercito ed invase i territori appena conquistati da Costantino. Il Despota con il suo esercito si rifugiò sulle mura di Hexamilion, ma la resistenza fu inutile: erano nettamente in inferiorità numerica, mentre gli Ottomani avevano nuovi modelli di cannone. In breve le mura furono sfondate. Era il 10 dicembre 1446: gli Ottomani vincitori iniziarono a razziare la Morea, catturando numerosi prigionieri, impedendo così a Costantino di continuare i suoi progetti ed imponendogli una pace che lo avrebbe costretto a pagare un tributo annuale al sultano.

    Il 31 ottobre 1448 Giovanni VIII morì dopo una lunga malattia.
    In attesa dell'arrivo di Costantino, la madre Elena Dragaš dovette assumere il controllo di Costantinopoli per fronteggiare la tentata usurpazione del Trono da parte del figlio Demetrio. Elena inviò a Costantino due emissari, accompagnati dal figlio Tommaso, fedele alla Corona, chiedendogli di ritornare al più presto alla capitale.
    Il 6 gennaio 1449 Costantino organizzò a Mistra, nel centro del Peloponneso, la cerimonia per la sua incoronazione a Basileus dei Romani: non si trattò di un'incoronazione ufficiale, data l'assenza di un Patriarca Ortodosso, ma Costantino ricevette il riconoscimento da parte dell'esercito.
    Nessuno, peraltro, osò, durante il suo regno, tacciare di illegittimità la nomina.
    Il 12 marzo il nuovo sovrano approdò con una nave veneziana a Costantinopoli, dove sua madre gli consegnò le Insegne Imperiali e la chiave delle tesorerie, che aveva nel frattempo protetto dalle mire di Demetrio. Questi fu nominato da Costantino despota della Morea insieme a Tommaso, di cui si fidava, per evitare complotti da parte di Demetrio.
    Divenuto imperatore, Costantino volle trovare un'imperatrice. Nell'ottobre del 1449 affidò quindi al fidato amico Giorgios Sphrantzes la ricerca di una moglie, una principessa o iberiana o trapezuntina.
    Per sbalordire i regnanti con cui contrattare il matrimonio, Costantino diede un grande seguito a Sphrantzes: soldati, nobili, cantori, medici, musici e monaci, con un'ambasceria di doni preziosi. Il primo stato visitato fu l'Iberia, dove Sphrantzes ebbe un'ottima accoglienza: la gente del luogo non aveva mai visto molti degli strumenti che i bizantini possedevano, come l'organo, e per questo in moltissimi si recarono ad ascoltare l'affascinante musica.
    Dopo aver visto la principessa iberiana, Sphrantzes andò al vicino Impero di Trebisonda, nell'omonima capitale, dove trovò un'accoglienza simile a quella iberiana, tanto ché si trovò indeciso sulla scelta per il suo imperatore.
    Mentre Sphrantzes si trovava ancora a Trebisonda, gli giunse la notizia che il sultano ottomano Murad II era appena morto (3 febbraio 1451).
    Al trono dei sultani era salito il giovane e ambizioso Mehmed II, che si capiva avere gli occhi puntati su Costantinopoli.
    Per mantenere i rapporti di pace che si erano venuti a formare con l'Impero Ottomano, durante il regno di Murad II, l'ambasciatore romèo pensò di far sposare al suo basileus la vedova di Murad II, Mara Branković, una principessa serba di Fede Ortodossa. Sphrantzes inviò quindi una lettera al Basileus, avvisandolo anche degli svantaggi, come il fatto che Mara avesse già quarantanove anni e difficilmente gli avrebbe dato un erede, o che fosse stata moglie di un infedele, cosa che poteva essere considerata severamente nella capitale. Costantino capì immediatamente che quella era un'occasione da cogliere senza esitazioni e chiese consiglio ai suoi più alti dignitari: date le condizioni in cui versava l'impero e per la sua stessa sopravvivenza, tutti furono d'accordo con la proposta di Sphrantzes.
    Immediatamente Costantino mandò una lettera a Đurađ Branković, padre di Mara e Despota di Serbia, che si dimostrò entusiasta dell'unione proposta. Neanche la Chiesa si oppose alla scelta del Basileus.
    Il matrimonio però non avvenne, a causa del rifiuto di Mara: dopo la morte di Murad II infatti, aveva preso i voti e si era ripromessa di passare tutto ciò che le rimaneva da vivere in un monastero.
    Sfumato questo progetto, Sphrantzes consigliò di accettare la proposta di nozze del regnante iberiano piuttosto che quella di Giovanni IV Comneno (1429-1459), imperatore trapezuntino. Infatti il re iberiano proponeva come dote di nozze della figlia grandi doni d'oro e d'argento, magnifici gioielli, un immenso guardaroba per la futura imperatrice e 56.000 monete d'oro, oltre all'invio dall'Iberia la somma di 3.000 monete d'oro all'anno, finché ella fosse rimasta imperatrice. Tra settembre e ottobre del 1451, Sphrantzes ritornò a Costantinopoli, seguito da un ambasciatore iberiano, per annunciare la proposta a Costantino. Portava con sé sontuosi regali del re iberiano, tra cui alcuni tessuti preziosi. Costantino immediatamente firmò con l'inchiostro porpora dei Basileis una Bolla d'oro, in cui dichiarava ufficialmente che avrebbe sposato la principessa iberiana. Nella primavera del 1452 il basileus consegnò la bolla all'ambasciatore iberiano, per rendere nota al suo re la sua decisione; incaricò quindi Sphrantzes di andare a prendere la sua futura sposa. Nonostante il rispetto cui Sphrantzes portava al suo amico e Basileus, non voleva condurre questa ennesima ambasceria. Era già stato due lunghi anni fuori dalla capitale e sua moglie minacciava di divorziare e prendere l'abito da monaca. L'imperatore tentò di convincerlo ad andare comunque, promettendogli in cambio grandi favori. Nel frattempo, gli Ottomani si stavano preparando ad assediare Costantinopoli e Costantino fu costretto a rinunciare al matrimonio tanto cercato per difendere la sua capitale.

    La situazione religiosa a Costantinopoli era molto confusa. Con il Concilio di Ferrara-Firenze cui aveva partecipato il fratello Giovanni, era stata decisa l'unione delle Chiesa cattolica ed Ortodossa: l'Impero sarebbe così tornato sotto la potestà spirituale del papa. La netta maggioranza dei romèi, tuttavia, era contraria e anche gli altri stati che appartenevano all'Ortodossia si rifiutarono di accettare le decisioni di Costantinopoli. Sul Trono Patriarcale sedeva Gregorio III, patriarca di rito latino e odiato da quasi tutti i romèi poiché considerato un traditore. Gregorio III, che aveva fatto il possibile per far unire le due Chiese fu per questo, in seguito, esiliato a Roma.
    Costantino XI, vista la precaria situazione dell'Impero, non poteva far altro che appoggiare l'unione tra le due Chiese, visto che gli Ottomani erano ormai alle porte di Costantinopoli e, per sperare di salvare la sua capitale, aveva assolutamente bisogno dell'aiuto dei latini: ciò sarebbe stato possibile unicamente tramite l'unione delle due Chiese. La sua coraggiosa posizione però fu pagata a caro prezzo: venendogli infatti a mancare l'appoggio del popolo e del clero, contrari all'unione con la Chiesa di Roma, non poté mai essere incoronato ufficialmente Basileus. Questo però evitò anche lo scoppio di una guerra civile tra la minoranza di coloro che appoggiavano i latini e i sostenitori dell'Ortodossia.
    Appena eletto, Costantino XI tentò di imporre dazi sulle merci d'importazione nel tentativo di risollevare le quasi vuote casse imperiali, suscitando però le proteste della Repubblica di Venezia, che costrinse in breve tempo il Basileus ad abolire le nuove imposte.
    La decisione di cedere alle proteste veneziane fu dovuta principalmente al fatto che la minaccia turca si stava facendo sempre più incalzante, soprattutto dopo la morte del sultano Murad II e la salita al trono del giovane Mmehmed II. Nonostante questi avesse rinnovato il trattato di pace con l'Impero, già siglato dal padre, la sua politica verso Costantinopoli si manteneva ambigua.
    Costantino, non fidandosi di Mehmed II, inviò quindi l'ambasciatore Leontari Briennios a Venezia, Ferrara, Napoli e Roma per chiedere appoggio economico ed eventualmente aiuti militari.
    Le risposte però rimasero vaghe, con promesse che presto furono dimenticate. Il papa Niccolò V promise di impegnarsi nella salvaguardia di Costantinopoli ma richiese quale contropartita il reintegro del patriarca Gregorio III e l'accelerazione del processo di riunificazione delle due Chiese, reso assai difficile dalla forte opposizione dei nobili anti-unionisti e del popolo.
    I sospetti di Costantino sulle vere intenzioni del nuovo sultano furono confermati quando, nell'aprile del 1451, gli Ottomani, per ordine di Mehmed II, iniziarono a costruire una nuova fortezza a pochi chilometri di distanza da Costantinopoli. Già il sultano Bayazet I aveva fatto edificare nel XIV secolo una fortificazione sul lato opposto del Bosforo. Attraverso le due fortezze, Mehmed II avrebbe potuto dominare interamente lo stretto. Oltre a ciò, il sultano si sarebbe trovato in ottima posizione per attaccare la capitale romèa. Dopo la costruzione della fortezza, gli Ottomani si diedero al saccheggio sistematico delle zone limitrofe, che culminò col massacro nel villaggio di Epibation, successivo alla rivolta delle popolazioni locali.
    Il terrore si diffuse a Costantinopoli.
    I Romèi protestarono con gli Ottomani e alle loro voci si aggiunsero anche quelle dei Genovesi della città di Pera.
    A questa ennesima provocazione Costantino XI rispose con l'ordine d'arresto di tutti i Turchi risiedenti in città e con la chiusura delle porte di Costantinopoli. Quando iniziarono i lavori, il Basileus mandò subito due successive ambascerie cariche di doni, per indurre il Sultano a rispettare il trattato vigente e l'integrità dei piccoli villaggi che si trovavano sulle coste del Bosforo.
    Il Sultano però, respinte le ambascerie, oppose un secco rifiuto. I rappresentanti di una terza ambasceria, inviata due settimane più tardi da Costantino, furono giustiziati per ordine del sultano.
    Il 31 agosto del 1451 la costruzione della fortezza ottomana, chiamata Boghaz-Kesen (cioè "tagliatore dello stretto" od anche "del collo" - ancor oggi esistente col nome di Rumeli Hisari, ovvero "Fortezza di Rumelia"), fu completata. Ora le due fortezze dominavano lo stretto e rendevano possibile a Mehmed II il controllo del passaggio di ogni nave e l'eventuale arrivo di forze di terra lungo la costa.
    Costruita la fortezza, Mehmed II cominciò a ordinare perquisizioni sistematiche su tutte le navi transitanti per il Bosforo, a qualsiasi nazionalità appartenessero. Nello stesso tempo lanciò duri attacchi alle città ancora romèe sul mar Nero, con l'obiettivo di isolare il Peloponneso, affidato ai fratelli dell'imperatore Tommaso e Demetrio. Il 26 novembre dello stesso anno, un vascello veneziano proveniente dal Mar Nero che, fidandosi della neutralità della repubblica, non rispettò la disposizione, fu distrutto a cannonate. Dei trenta superstiti che raggiunsero a nuoto la riva, il capitano Antonio Rizzo fu portato a Didymoteicho e impalato, mentre gli altri marinai furono segati in due.
    Vista la gravità della situazione, Costantino moltiplicò le richieste di aiuto all'Europa occidentale sollecitando l'arrivo da Roma del cardinale Isidoro, previsto ad ottobre, per trattare sulla riunificazione delle due Chiese.
    Il papa acconsentì e Isidoro partì da Roma il 20 maggio del 1452 portando con sé una truppa di 200 arcieri napoletani, che furono subito messi a disposizione dell'imperatore.
    Oltre al papa, fra tutte le potenze occidentali solo il Regno di Napoli e le due repubbliche di Venezia e di Genova, e principalmente per motivi molto poco ideali, prestarono aiuto reale al Basileus.
    Gli interessi veneziani e genovesi infatti sarebbero stati toccati profondamente dall'assalto dei Turchi contro la capitale romèa. Se fosse caduta la "Roma d'Oriente", sarebbero andati perduti non soltanto beni e immobili di straordinario valore, che le due repubbliche possedevano a Costantinopoli, ma anche le ricche colonie del Mar Nero: tagliate dai collegamenti con la madrepatria, esse sarebbero divenute ben presto preda degli Ottomani. I Genovesi e la loro colonia di Chios mandarono materiale da guerra ed un'eccellente schiera di guerrieri, che si dedicarono con tutta l'anima all'opera di difesa delle mura di Costantinopoli. Venezia invece, impegnata dalla guerra contro il Ducato di Milano, ricevette gli ambasciatori romèi, fece loro delle promesse, ma poi si limitò a inviare a Costantinopoli solo un paio di navi.
    Intanto Isidoro aveva portato a compimento la missione affidatagli da papa Niccolò V e il 12 dicembre del 1452 (un venerdì), nella basilica di Santa Sofia, proclamò solennemente l'unione della Chiesa d'Oriente con la Chiesa d'Occidente alla presenza di Costantino. Fu così decretata l'unione delle Chiese, già decisa al Concilio di Ferrara dal fratello Giovanni VIII. Ma la festa dell'unione rimase sostanzialmente limitata ai circoli di Corte: non ci furono festeggiamenti, le chiese di rito latino restarono deserte, compresa la stessa Santa Sofia. Anche coloro che erano più strettamente legati al Basileus preferirono assistere a funzioni religiose svolte secondo la Liturgia Ortodossa.

    Costantino ordinò di rafforzare le mura e di bloccare nei porti le navi occidentali, con l'intento di indurre i Veneziani presenti a sollecitare l'aiuto della madrepatria. L'inverno passò senza fatti di guerra; da una parte e dall'altra si fecero con tutte le forze i preparativi per l'anno seguente, che avrebbe dovuto portare allo scontro decisivo.
    Negli ultimi anni la marina ottomana aveva conosciuto un'impressionante espansione. Costantinopoli, che era praticamente imprendibile per via terrestre a causa delle potentissime mura teodosiane, poteva però essere conquistata per fame, attraverso un ferreo blocco marittimo.
    Nel marzo del 1453, a Gallipoli sullo stretto dei Dardanelli, si radunò una enorme flotta turca, forte di circa 250 imbarcazioni, che si attestò davanti alle mura marittime di Costantinopoli. Nel contempo una grande armata terrestre, di circa 100.000 uomini - di cui 60.000 bashi-bazuk - entrò in azione in Tracia, attestandosi davanti alle mura teodosiane.
    Mehmed II aveva anche un'arma "segreta" di cui andava fortemente orgoglioso: un cannone enorme, fabbricato appositamente per lui da Urban di Transilvania, nel gennaio del 1453. Poteva sparare proiettili di sei quintali a una distanza di un chilometro e mezzo ogni novanta minuti.
    Ci vollero duecento uomini per trasportare la bombarda, trainata fino a Costantinopoli da 70 coppie di buoi.
    Il 5 aprile del 1453 Mehmed II, tramite un messaggero, intimò a Costantino di arrendersi. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto salva la vita e sarebbe diventato governatore, risparmiando dai saccheggi e dall'eccidio anche tutta la popolazione di Costantinopoli. Costantino a ciò rispose:
    « Darti la città non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita. »
    Nelle prime ore di venerdì 6 aprile del 1453 il sultano fece aprire il fuoco su Costantinopoli.
    I romèi avevano già previsto questa mossa e tutti i residenti in città, compresa la parte di popolazione solitamente estranea agli armamenti, come donne, anziani e bambini, avevano già iniziato a lavorare per rinforzare le mura cittadine.
    Costantino fece rinforzare inoltre anche le mura marittime che si affacciavano sul mar di Marmara e sul Bosforo.
    Il ricordo della quarta crociata non si era ancora cancellato: i crociati avevano infatti espugnato la città dal mare, evidenziando così un suo punto debole. I rapporti fra Romèi e Latini continuavano ad esser tesi. Pochi giorni prima era stata festeggiata la Pasqua, ma anche per questa importante ricorrenza Santa Sofia era rimasta deserta: la riunificazione delle due Chiese sembrava non volesse assolutamente essere accettata dalla popolazione.
    Nel febbraio del 1453, il senato veneziano, memore della morte di Antonio Rizzo, decise di mandare in aiuto a Costantinopoli due galere con quattrocento uomini l'una e con la promessa di inviarne altre quindici. La loro flotta rimaneva ormeggiata a Negroponte, ma lasciavano tuttavia ai propri mercanti piena libertà di decidere se rimanere neutrali o schierarsi a favore dei romèi. Lodevole fu il comportamento del governatore del quartiere veneziano in città, Girolamo Minotto: egli promise infatti tutto l'aiuto che gli fosse stato possibile dare e assicurò che nessuna nave veneziana sarebbe salpata senza il suo consenso.
    A Costantinopoli erano inoltre ancorate alcune imbarcazioni genovesi provenienti sia da Galata sia dall'Italia, inviate da papa Niccolò V e dalla Repubblica di Genova.
    Fra queste ultime vi erano anche due galere con settecento volontari pronti alla lotta, che avevano abbracciato la causa romèa ed erano pronti a difenderla con la propria vita. Questi uomini d'arme facevano parte dell'esercito privato di Giovanni Giustiniani Longo, appartenente ad una delle più potenti famiglie di Genova ed esperto in poliorcetica. Papa Niccolò V promise di inviare tre navi cariche di uomini e viveri.
    In totale Costantino poteva disporre di dieci navi romèe, otto veneziane, cinque genovesi, una anconetana, una catalana ed una provenzale, per un totale di ventisei navi: una cifra ben modesta se paragonata alle 200 della potente flotta ottomana.
    Ancor più preoccupante era il limitato numero di soldati a sua disposizione: 5.000 romèi, 600 veneziani, 700 genovesi guidati dal Giustiniani, ed una squadra di catalani, per un totale di 7.000 uomini che avrebbero dovuto difendere ventidue chilometri di mura da un esercito di 160.000 Turchi.
    La mattina del 6 aprile tutti i cristiani erano ai propri posti di combattimento. Costantino e Giovanni difendevano la parte più vulnerabile delle mura, dove probabilmente si sarebbe riversato l'attacco musulmano, ossia la porta di San Romano. Le mura marittime erano quasi deserte: i pochi soldati presenti erano adibiti per lo più a compiti di vedetta e di controllo degli spostamenti delle navi ottomane.
    Mehmed II progettava di attaccare le mura di Teodosio, che proteggevano il lato della città non bagnato dall'acqua. Procedendo dall'esterno verso la città si trovava dapprima un fossato largo 18 metri e profondo 7, seguito da un parapetto. Poi, intervallato da un ampio terreno, si incontrava un muro, detto Muro Esterno. Era alto 7 metri e spesso circa 3, e vi si trovavano numerose torri. Ancora uno spazio, e si arrivava al Muro Interno, alto 12 metri e spesso un po' meno di 5 metri, munito di torri alte 16-18 metri.
    Il Sultano disponeva dei più grandi cannoni esistenti al mondo a quel tempo, e con essi fece bombardare le mura terrestri di Costantinopoli con una violenza sconosciuta fino a quel tempo nella storia degli assedi.
    Al termine di quella prima giornata gli Ottomani avevano demolito buona parte delle mura nei pressi della porta Charsia e tentato ripetutamente di penetrare in città attraverso le brecce che si erano create, ma senza successo. I grandi cannoni potevano sparare pochi proiettili al giorno (le notevoli dimensioni e i lunghi tempi di ricarica ne limitavano l'efficacia) e quindi nella notte, mentre i musulmani riposavano nei propri accampamenti, la popolazione usciva a riparare le brecce.
    Nel tentativo di aprirsi la strada nelle fortificazioni teodosiane, Mehmed II inviò anche una squadra di artificieri in un passaggio allestito sotto le mura, per farle saltare con dell'esplosivo; il tentativo venne però frustrato dall'accortezza delle sentinelle di fazione, che si accorsero delle manovre e riuscirono a sventarle causando un gran numero di vittime tra i sabotatori.
    Anche i tentativi della flotta turca di entrare nel Corno d'Oro, l'insenatura in cui si trovava il porto della città, furono frustrati da una gigantesca catena che ne chiudeva l'ingresso. Allora il Sultano impose ai suoi uomini un'impresa colossale: per aggirare la catena, fu costruita una passerella di legno lunga due chilometri, sopra la quale gli schiavi spinsero a forza di braccia le navi per raggiungere le acque dall'altra parte. Gli assediati, al vedere l'impresa, furono colti dal panico: pare che un'antica profezia annunciasse che Costantinopoli sarebbe caduta solo "quando le navi avessero navigato sulla terra". Anche un'eclissi lunare che si verificò la notte del 22 maggio fu interpretata come un cattivo auspicio dai difensori della città.
    Nonostante la coraggiosa resistenza, alimentata da voci sull'arrivo delle navi promesse dal papa, appariva chiaro che i difensori sarebbero riusciti soltanto a prolungare di qualche giorno la difesa della città.
    Il Sultano, scoraggiato, decise allora di sospendere l'assedio e di attendere l'arrivo di rinforzi.
    Questi arrivarono l'11 aprile in numero ingente, per un totale di 60.000 uomini oltre alle forze già spiegate.
    A questo punto il sultano progettò di assaltare e distruggere le mura direttamente con la forza, sapendo che i difensori si sarebbero stancati prima delle sue truppe. L'attacco finale sarebbe stato sferrato il 29 maggio, in quanto degli astrologi gli avevano predetto che quel giorno sarebbe stato fortunato per lui. La sera del 27 maggio Maometto II fece la seguente orazione ai suoi uomini, promettendo loro una doppia paga:
    « La città e gli edifici sono miei, ma i prigionieri e il bottino, i tesori d'oro e di bellezza li lascio al vostro valore: siate ricchi e siate felici. Molte sono le province del mio impero: l'intrepido soldato che arriverà per primo sulle mura di Costantinopoli sarà ricompensato con il governo di quella più bella e più ricca, e la mia gratitudine accumulerà i suoi onori e i suoi beni oltre la misura delle sue stesse speranze. »
    Il discorso diede slancio e ulteriori motivazioni alle truppe turche.
    Fu ripreso il fuoco, che durò ininterrottamente per quarantotto giorni, e provocò crolli continui di mura in due punti diversi nei pressi del fiume Licino. Le brecce che si creavano venivano però sempre riparate dai cristiani nel corso della notte.
    In quei giorni arrivarono dallo stretto dei Dardanelli le tre navi genovesi promesse dal Papa, accompagnate da una nave da trasporto carica di grano ed inviata da Alfonso V d'Aragona.
    Mehmed II aveva commesso un errore: aveva lasciato sguarnito lo stretto dei Dardanelli e le quattro navi latine erano entrate nel mar di Marmara indisturbate. Era la mattina del 20 aprile. L'ammiraglio ottomano, Solimano Baltoğlu, non riuscì ad impedire che le navi raggiungessero la città...e pagò con la vita.
    Dopo ciò, il Sultano escogitò un metodo per far entrare le sue navi nel Corno d'Oro, cioè sotto la città. Chiese ai suoi ingegneri di progettare una strada dietro Galata, che dal mar di Marmara avrebbe raggiunto l'attuale piazza Taksim per poi sboccare nel Corno d'oro.
    I fabbri ottomani iniziarono a costruire subito ruote di ferro e binari di metallo, mentre i carpentieri si impegnarono a fabbricare intelaiature di legno tanto grandi da poter racchiudere la chiglia di una nave di media grandezza. Era un'opera colossale, pagata dalle ricche casse ottomane.
    Quando i romèi videro le navi ottomane nel Corno d'oro rimasero sbalorditi. Ora la situazione si era aggravata: il porto non era più sicuro e nemmeno le mura, sottoposte ai bombardamenti, erano più difendibili, essendo malconce in più punti. Nei primi giorni di maggio, Costantino aveva ormai capito che la fine era vicina: i viveri scarseggiavano e le navi promesse da Venezia non giungevano.
    Qualche speranza però ancora vi era: da Venezia era partita quella spedizione che era stata promessa.
    Il 3 maggio, un po' prima di mezzanotte, un brigantino battente bandiera turca e con un equipaggio di dodici volontari travestiti da Ottomani uscì silenziosamente dal mar di Marmara.
    La notte del 23 maggio fece ritorno il brigantino. Il capitano della spedizione chiese di parlare con urgenza con Costantino XI e con Girolamo Minotto e riferì di aver setacciato per tre settimane il mar Egeo, ma di non aver trovato traccia della spedizione promessa dai Veneziani. Poi il capitano disse che l'equipaggio si era riunito e che un membro aveva proposto di tornare a Venezia, ma fu messo a tacere. Gli altri undici, invece, avrebbero voluto tornare a riferire all'imperatore ciò che era stato scoperto. Costantino allora volle ringraziare i marinai uno a uno, ma con la voce soffocata dalle lacrime, anche i suoi più fidati avevano le lacrime che scendevano sul loro viso.
    Dopo questi fatti, i Ministri ed i Senatori scongiurarono l'imperatore di abbandonare la capitale e mettersi in salvo. Ma l'imperatore con determinazione rispose:
    « So che avrei vantaggi se abbandonassi la città, ma via non posso andare... Non vi lascerò mai. Ho deciso di morire con voi!»
    Sabato 26 maggio Mehmed II riunì il consiglio di guerra e annunciò che l'attacco finale sarebbe stato sferrato il giorno 29 maggio, preceduto da un giorno di riposo e di preghiera (28 maggio). Quando il giorno di pausa giunse, tutto tacque e gli Ottomani iniziarono a pregare e a riposarsi in vista del giorno successivo, quando avrebbero scatenato la battaglia decisiva. Mentre i suoi soldati dormivano, il Sultano fece un lungo giro di ispezione, tornò tardi al campo e solo successivamente andò a dormire.
    Le mura delle città erano ormai in cattivo stato per i continui cannoneggiamenti, ed il Basileus, per pagare le sue truppe, fu costretto dalla carenza di denaro a spogliare le chiese della città.
    In quella notte del 28 maggio fu celebrata nella basilica di Santa Sofia l'ultima messa cristiana, a cui assistettero sia i romèi che i latini. In quei giorni fecero sfilare in processione l'immagine della Vergine delle Blacherne, protettrice della Città, sperando invano che Ella li avrebbe salvati dalla capitolazione. Ma in una di queste processione l'icona cadde a terra. Il segno venne interpretato come il peggiore dei presagi.
    Costantino XI e Giustiniani Longo si misero a presidio della porta di S. Romano. Nell'occasione, il Basileus tenne un discorso ai difensori che è giunto fino a noi in questa forma, sicuramente enfatizzata nel corso dei secoli:
    « Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani.»
    In quell'ultimo lunedì della Costantinopoli Cristiana, furono dimenticate tutte le liti e i contrasti tra Romèi e Latini. Per l'occasione si svolse una lunghissima processione spontanea che si snodò in ogni angolo di Costantinopoli. I fedeli attraversarono le vie della capitale con le icone più adorate.
    Il Basileus riunì per l'ultima volta, davanti a Santa Sofia i suoi comandanti, e disse a loro:
    « So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo... Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.»
    Poi Costantino lì abbracciò tutti, aggiungendo:
    « Vi chiedo scusa per ogni eventuale sgarbo, che io ho compiuto verso di voi senza volerlo.»
    Dopo di che il basileus si voltò verso la folla adunata davanti a Santa Sofia, e disse:
    « Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la fede, la patria, la famiglia e il basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrificio della mia stessa vita.»
    In fine si rivolse ai Latini e li ringraziò per tutto ciò che avevano fatto per aiutare Costantinopoli, dicendo:
    « Da oggi Latini e Romani sono lo stesso popolo, uniti in Dio; e con l'aiuto di Dio salveremo Costantinopoli.»
    Anche le differenze religiose furono dimenticate: tutta la popolazione di Costantinopoli si riversò nella chiesa di Santa Sofia, simbolo da quasi un millennio del Cristianesimo d'Oriente.
    Fu l'ultima liturgia cristiana celebrata nella cattedrale e, probabilmente, la più commovente di tutta la storia dell'Impero. Poi, a liturgia non ancora finita, fece il suo ingresso in chiesa Costantino, che si inginocchiò e chiese perdono dei suoi peccati. L'imperatore ricevette l'eucarestia.
    Tornato nella sua reggia, il palazzo delle Blacherne, salutò per l'ultima volta i familiari e la servitù e, verso mezzanotte, ispezionò a cavallo tutte le mura di terra, accompagnato dal suo migliore amico, il fedele Giorgios Sphrantzes.
    Martedì 29 maggio del 1453 fu l'ultimo giorno di vita della Costantinopoli "romana". All'una e mezza di notte Maometto II diede l'ordine di attaccare e le campane delle chiese presero a suonare per avvisare la città che la battaglia finale era iniziata.
    Mehmed II sapeva che se voleva vincere non avrebbe dovuto concedere tregua ai cristiani, in modo tale da evitare di concedere loro occasione e possibilità di potersi riorganizzare. I primi soldati che il sultano mandò all'attacco furono i bashi-bazuk, male armati e peggio addestrati, sospinti a colpi di nerbo di bue e di mazze di ferro.
    Per due ore e mezza i bashi-bazuk continuarono ininterrottamente ad attaccare i cristiani finché, alle quattro del mattino, Mehmed II ordinò alla seconda schiera di combattenti di intervenire. Questa era costituita da reparti di soldati arruolati in Asia Minore, molto ben equipaggiati e addestrati. Questi ultimi furono però subito circondati dalla Guardia, comandata personalmente da Costantino, e conseguentemente annientati.
    Gli ultimi ad intervenire nella battaglia furono i reparti di élite degli Ottomani, i giannizzeri. Romèi e latini erano spossati: combattevano ormai da cinque ore ininterrotte e non avrebbero potuto resistere a lungo.
    La situazione precipitò poco dopo l'alba: il capitano Giovanni Giustiniani Longo fu ferito e, nonostante le esortazioni di Costantino a restare, si ritirò in città attraverso una porta del muro interno. Privi di guida, veneziani e genovesi prima indietreggiarono e poi fuggirono verso il porto. Sembra che Giustiniani sia riuscito a fuggire a Chio, dove morì due giorni dopo. La sua fuga suscitò sospetti di tradimento, non si sa quanto fondati. Mehmed II si accorse di ciò, e ordinò ai giannizzeri di concentrare l'attacco sulle postazioni genovesi. I romèi iniziarono ad arretrare e, trovandosi accerchiati, vennero quasi tutti massacrati. Il Basileus Costantino tentò di guidare un contrattacco, alla testa dei suoi uomini e degli spagnoli di Don Francisco di Toledo, ma scomparve nella mischia.
    Le fonti relative alla morte di Costantino XI si fanno a questo punto discordanti: il Mega Logoteta Giorgios Sphrantzes, fedele amico del Basileus, che in quel momento era lontano dalla battaglia, dice unicamente:
    « Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè! »
    Secondo alcuni cronisti l'imperatore sarebbe rimasto ucciso mentre si dirigeva verso la porta Aurea; altri sostengono invece che cadde nei pressi di Santa Sofia.
    La maggior parte dei cronisti, oltre che gli storici attuali, sono quasi certi nel sostenere che Costantino XI perdette la vita nei pressi della porta di San Romano: dopo aver lasciato le Insegne Imperiali, egli si gettò nella mischia con valore assieme ai suoi ultimi compagni ancora in vita, e scomparve per sempre dopo aver ucciso, si dice, l'iperbolica cifra di ottocento Ottomani. Sembra che le ultime parole di Costantino prima di morire, siano state:
    « Non c'è un cristiano, qui, disposto a prendersi la mia testa?»
    La Chiesa Ortodossa lo considerò in seguito santo e martire.

    In mattinata i difensori furono definitivamente sconfitti e gli ottomani iniziarono con le razzie. Le mura di Costantinopoli erano piene di morti e di morenti, di quelli che avevano difeso le mura, non era quasi rimasto più nessuno vivo. I cittadini erano tornati nelle loro case, per difendere la famiglia dalle razzie, i veneziani erano andati al porto, e i genovesi si erano imbarcati verso l'ancora sicura colonia di Galata. Mentre il Corno d'oro era quasi deserto ed i marinai turchi stavano pensando a razziare, il comandante Girolamo Minotto prese il rimanente della marina, e cioè otto navi veneziane, sette genovesi, e sei romèe, e portò le navi stracolme di profughi in salvo.
    A mezzogiorno le strade di Costantinopoli erano ingombre di cadaveri, le case erano vuote, visto che gli ottomani stavano uccidendo e catturando donne e bambini, che le cronache cristiane diranno essere stati stuprati e poi impalati. Le medesime cronache affermano anche che le chiese furono distrutte, le icone tagliate, i libri bruciati. Il Palazzo Imperiale delle Blacherne era deserto, e l'icona più venerata dagli Ortodossi, la Vergine Odigitria, fu tagliata in quattro pezzi.
    In Santa Sofia i sacerdoti stavano celebrando la messa mattutina; quando sentirono gli Ottomani arrivare, allora sbarrarono la grande porta di bronzo, ma gli ottomani la ruppero a colpi d'ascia: i preti furono uccisi mentre celebravano la messa, sgozzati anche sopra l'altare. In chiesa vi era una grande massa di gente che, venuti a sapere che i Turchi stavano per arrivare si erano raccolti in chiesa nella attesa vana di un angelo che, secondo una tradizione, avrebbe cacciato i turchi da Costantinopoli quando l'avrebbero espugnata.
    Una leggenda racconta che una parete si aprì e si richiuse dopo che vi erano entrati due preti con i calici e le patere, per riprendere la messa dal punto in cui l'avevano interrotta solo quando Costantinopoli fosse tornata in mano cristiana.
    I saccheggi durarono solamente un giorno, visto che Mehmet II si accorse che se avesse lasciato la città in mano dei suoi uomini per i tre giorni che aveva promesso, Costantinopoli sarebbe stata rasa al suolo; quella sera stessa Santa Sofia divenne una moschea.

    Probabilmente il corpo di Costantino XI fu riconosciuto grazie agli stivali che indossava, color porpora, che solo gli imperatori bizantini avevano il diritto di portare. Mehmed II lo fece seppellire in una fossa comune, per evitare che i cristiani potessero erigere un mausoleo alla sua memoria, o che potesse diventare luogo di pellegrinaggio dall'Europa; ma prima di essere sepolto, sembra che al corpo di Costantino fosse mozzata la testa e fatte tirar fuori gli intestini, per ordine del Sultano. La testa fu poi affissa sopra la colonna di Costantino I, in modo da umiliare l'impero millenario che era appena caduto
    Infine Mehmed II fece imbalsamare la testa, che girò gli angoli del suo impero.
    Costantinopoli era ormai perduta e l'Impero Romèo, erede della grande Roma, aveva cessato di esistere, bagnato dal sangue di un manipolo di eroi.



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    Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
    Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
    Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





    "Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
    So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
    Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

    "Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
    Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

    "La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

    "Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
    E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
    Per spalancare la murata porta d'Oro;
    E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
    Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
    Cercherò riposo sui miei antichi confini."

    "Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”