00 19/10/2010 15:01
di Charles Bukowski

Appena completato l’ultimo rigo di questo libro, una volta alzati gli occhi dalla pagina non si può tornare a guardare “la gente” con gli stessi occhi di prima. Perché Bukowski ci introduce in un universo underground parallelo al nostro, che si innerva nella nostra quotidianità con le sue leggi e i suoi protagonisti, in cui si agitano misogini, pittori, assassini, poeti, stupratori, disoccupati senza ideali, asociali con velleità artistiche, inetti beoni che si lasciano scorrere addosso la vita, e in cui ognuno galleggia nella propria isola senza mai riuscire a gettare un ponte fra sé e gli altri.
Questo mondo (di cui lo stesso autore fa parte) può generare diverse reazioni: disgusto, riprovazione morale,
amore fraterno, sensi di colpa, semplice interesse antropologico, ma in ogni caso Bukowski ha il grande merito di gettare un raggio di luce
su una porzione di umanità che vive un’esistenza buia, dura, fatta di piccoli gesti quotidiani e di meschina accettazione.
E in questi 35 racconti sviscera tutta una gamma di umanità che con le sue mille sfumature può darci contemporaneamente tutte queste sensazioni, a seconda del nostro background emotivo e culturale, e della nostra disponibilità ad accettare le debolezze di questi “eroi” come umane, e quindi per nulla anormali. Se da un lato, infatti, colpisce e quasi irrita la perfetta immobilità di tutti i personaggi, la cui unica preoccupazione sembra quella di procurarsi in qualche modo i soldi per l’affitto e per il bere (unico rimedio alla durezza della vita), dall’altro non si può non provare tenerezza per dei fratelli che non hanno la forza di rialzarsi dal baratro in cui si sono cacciati (con le proprie mani o per casualità), e rimestano le proprie vite cercando di tacitare la loro anima che urla, richiedendo una vita che valga la pena di essere vissuta. Per zittirla, quindi, si rinchiudono in una corazza fatta di estrema solitudine, a volte spezzata dal piacere che può dare la compagnia d’un altro compagno di disavventure e da fugaci incontri in cui il sesso si mostra solo come merce di scambio, o al più una momentanea sospensione del dolore. Anche l’amicizia non esiste, poiché non esiste comprensione reciproca. Tutto questo non fa che aumentare
la percezione del distacco tra i due mondi, quello “normale”,
fatto di lavoro, di progressione, di speranza e di amore, e questo “anomalo”,
asfissiante nella sua immutabilità, sciatto, cinico, dove il pensare al domani è un lusso per i sognatori, o per i folli.

Una lettura piacevolmente scandalosa (come sempre in Bukowski), che senza manifestarlo esplicitamente getta in noi il seme del dubbio sul valore dato allo scorrere della vita, sulla nostra capacità di essere solidali, sulla cosiddetta “normalità.



- "a me personalmente è piaciuto molto, anche se a volte ti sorprendi di come uno scrittore di classe e cultura, può lasciarsi andare alle bassezze terrene a cui tutti noi andiamo in contro"


Jessica