00 11/10/2010 15:00

L'illusione di autosufficienza e le fantasie di onnipotenza


Cronenberg doveva essere assai stufo di tutte le chiacchiere sulla poetica della nuova carne, parole che si sono appiccicate ai suoi lavori sin dall’inizio e che per la verità rappresentano solo in parte le tematiche ben più profonde di cui la sua opera è portatrice. E deve essere per questo che ha prodotto un lavoro talmente profondo da offrire altre possibilità di interpretazione. Ma se per alcuni il punto è la misoginia dei personaggi e per altri il film è incentrato sul doppio, è comunque difficile non notare il reale sottotesto presente in tutto il racconto, che rappresenta il punto di incontro della paura di vivere con il desiderio di essere nel tempo, nel senso che i due fratelli coltivano sia l’illusione di potere data dal desiderio di controllo che esercitano sulle donne, che il culto della staticità all’interno di un’illusione di autosufficienza che verrà negata con forza nel finale dove la morte è il tentativo ultimo di mantenere un illusorio status quo.
Elliot e Beverly Mantle rappresentano un’illusione, quella maschile di autosufficienza, che spesso si traduce in fantasie di onnipotenza con relative condotte socialmente pericolose. Dapprima il desiderio è quello di esplorare il corpo della madre con la ginecologia, poi quello di distruggerlo, attraverso l’uso di strumenti ginecologici per donne mutanti. Infine, nel disperato tentativo di riprodurre l’incesto uroborico i due sostituiranno la madre con la droga, elemento letale per eccellenza, e in un ultimo tentativo di superare la dualità il più debole dei due ucciderà l’altro. La condizione di incesto uroborico è il desiderio di restare in una fase di indifferenziato psichico, fase che si produce nella primissima infanzia nel legame indissolubile tra madre e bambino. L’indifferenziato psichico è un concetto filosofico piuttosto che religioso, deve in parte al mondo delle idee platoniche, è il luogo delle origini da cui tutti proveniamo ed a cui si finisce per ritornare attraverso la via naturale, vivendo fino alla morte, o come nel caso dei gemelli Mantle negando la vita per evitare fantasmaticamente la morte.
Fintanto che si parla di bambini siamo nella norma, il fatto però che i due protagonisti di questa storia siano adulti e come tali aspirino ad una condizione di staticità rende mortifero il tutto. Dopotutto la coesistenza degli opposti è un punto di arrivo, ma qua siamo piuttosto dalle parti di quello di partenza: la simbiosi con la madre, che è oggetto di nostalgia per tutta la durata del film. Inoltre il ruolo di Claire è solo in superficie vivificante, dal momento che come madre ella è impossibile, essendo affetta da una strana malformazione (ha un utero triforcuto) che la rende sterile. Non sarà la madre quindi la soluzione al problema dei gemelli simbiotici alla costante ricerca di una condizione di staticità, bensì essa farà da catalizzatore per la tragedia, che si compirà in un lasso di tempo brevissimo in cui lei non sarà presente. L’abbandono che Beverly vive a livello psicologico lo spingerà ad agire e se dapprima la droga gli sembrerà un degno sostituto, poi solo la negazione del legame col fratello attraverso la morte gli darà un senso illusorio di sollievo, che verrà alla fine negato dalla sua stessa sconfitta. Nella parte più chiarificatrice del film, quella del sogno in cui Claire strappa a morsi il cordone ombelicale che lega i fratelli, abbiamo una rappresentazione ideale delle fantasie di chi vive una relazione simbiotica, in una sorta di messa in scena del dramma dell’ambivalenza egli spera che sia sempre un altro ad assumersi la responsabilità di recidere il legame. Cosa ovviamente impossibile dal momento che la simbiosi dei due protagonisti è la loro unica strategia di sopravvivenza nella condivisione dell’illusione di trascendere la morte.
Cronenberg ci offre un magistrale campionario di deliri visivi e contenuti inconsci e con la cattiveria dell’onestà non ci nasconde nulla, motivo per cui se all’inizio della storia possiamo aver sperato che Beverly riuscisse a separarsi dal fratello per amare da solo Claire, alla fine sarà con sollievo che lo vedremo compiere il destino di morte che i gemelli avevano negato e rincorso per tutta la durata del film. I due Mantle, uno strepitoso Jeremy Irons, sono la parte più infantile di tutti noi, rappresentanti di quell’infanzia che Freud definì “perversa e polimorfa” e che pertanto realizza le fantasie di potere presenti in ognuno di noi. Normalmente il destino di queste pulsioni è quello di finire relegate nell’inconscio e là continuare a vivere nei sogni e nelle fantasie, o nel caso di persone particolarmente dotate, di rivivere attraverso una rappresentazione artistica. Cronenberg mette in atto al meglio questa possibilità, con la maestria di chi conosce bene l’animo umano e non si fa problema alcuno a raccontarne le parti più torbide e regressive, e il tutto è affidato alla recitazione di un potentissimo Jeremy Irons la cui performance trascende i generi, per regalare l’emozione di una follia assai affascinante e nel contempo inquietante. Per trovare un’interpretazione di pari livello nella filmografia di Cronenberg dovremo aspettare molti anni dopo l’ottima prova di Ralph Fiennes in Spider, che resta a tutt’oggi la migliore interpretazione della follia dell’ultimo ventennio.
Anna Maria Pelella, bloomriot.org