Versinvena Metamorphosis (pp.56, 10,00€ - per acquistarlo: http://ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=87233)

Diario

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 04/05/2010 23:16
    Visto che nessuno si fa avanti, comincio io, con l'introduzione al mio lavoro



    Primo problema da affrontare: come suddividere questo diario?
    Per argomento avrebbe poco senso: non si può sapere in anticipo la direzione del pensiero, dove l’Essere mi chieda di esplorare. La data è un sistema illusorio: i pensieri non iniziano né terminano, non seguono il tempo lineare di nascita, sviluppo e morte, ma quello a spirale di un continuo intersecarsi di nascita e morte a piani ascendenti (e perché no? Discendenti).
    E se rinunciassi a qualsiasi suddivisione? Non ce la farei, sono un frammentario sistematico, uno di quei pervertiti per cui il culto della scheggia presuppone la conoscenza del legno che l’ha lasciata andare alla deriva.
    Per comodità sceglierò dunque la data, giusto come segnalibro, un’orecchietta lasciata su pagine lette e rilette, e che pure mi costringono continuamente a tornarci sopra, come se il piano mentale su cui lavoro traballasse senza le gambe fornite dal pensiero altrui.

    Che senso ha questo diario? Delimitare, ricostruire, lasciare una traccia del pensiero e del suo farsi. A volte pare che un pensiero mi attraversi, scelga il mio corpo (non il cervello, o almeno, non solo quello) per trovare espressione, una forma con cui comunicarsi all’altro; è strano che questa forma presupponga una compressione del fiato, un’accelerazione del cuore, una febbre celebrale che si spegne non appena le parole fluiscono e trovano un ordine, per quanto provvisorio, traballante, frammentario quasi non vedessero l’ora di rompere il congelamento forzato ritornando a pulsare nel corpo.



    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.






  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 09/05/2010 09:28
    14/05/2010

    Il problema dell’abbandono: in Tondelli è il filo rosso dello scrivere, la traccia fondamentale che in “Altri libertini” rimaneva nascosta, che si fa evidente in “Rimini”, con l’epifania dell’Assoluto che muove le storie, la ricerca di una dimensione altra che giustifichi l’esistenza individuale e la porti oltre i binari di una vita prestabilita, inutile, votata al’autodistruzione.
    L’epifania si muove secondo un doppio registro: è un ritrovarsi, rimettersi in contatto con l’Essenza dell’universo, attraverso l’ebbrezza, lo shock sentimentale o il sesso come nel brano

    "Si baciarono ancora a lungo finché Aelred non disse: "Voglio che sia ora". Bruno lo accarezzò nella fessura fra le cosce, gli andò dietro e lo percorse con la lingua salendo fino alla schiena e scendendo fino alla punta del cazzo che stringeva ripiegato sotto. Aelred cominciò a muoversi e Bruno sentì che era giunto il momento. Lo bagno. Poi risalì, lo abbracciò e cominciò a spingere.
    Avvinghiati l'uno alle spalle dell'altro, le nuche sovrapposte, il respiro veloce, i gemiti, gli ansimi, le grida soffocate, le parole che Bruno sussurrò all'orecchio infuocato di Aelred, i sospiri, i singhiozzi, tutto si fuse come una corda che vibra e il cui suono si riverbera nella cassa armonica del mondo. Il loro movimento divenne il gesto dei loro nervi, i loro sospiri il canto dell'universo. Quando Bruno finalmente entrò nel corpo di Aelred, qualcosa tra loro esplose e li scagliò insieme in un'avventura solamente loro, in quel momento e in quell'ora, potevano vivere in nome dell'umanità. I loro gesti si fecero più rapidi, la mano di Bruno si sovrappose a quella di Aelred stretta attorno alla colonna del proprio sesso. Erano in orbita. Tutto scomparve. Restò un solo brusio, continuo e monodico, come emesso da una cassa di amplificazione accesa, un brusio che fece tremare le loro orecchie ed era la voce del loro viaggio. Il brusio divenne più forte fino a scoprire, oltre a quella vibrazione, un accordo nuovo, unitario e totale che viaggiò in completa sintonia con il loro silenzio interiore. [...] Aelred scoppiò per primo, gridando. Bruno sentì la propria mano inondata da quel succo caldo, aprì gli occhi e vide un secondo schizzo lanciato in alto che si apriva come un fiore. [...] Bruno si abbandonò sul letto e ringraziò Dio per avergli fatto conoscere, attraverso il corpo di Aelred, la preghiera nascosta e universale delle sue creature"

    Rimini, pag 621 (Bompiani, Opere)

    qui Dio si manifesta nell’eros omosessuale, guida il rapporto come fosse un’elevazione verso Sé, nell’abbandono del corpo dell’altro si ha la rivelazione della propria insufficienza, della creaturalità di un Io scisso che nell’altro trova il compimento, la chiave per muoversi su un piano superiore dell’esistere, che poi è il nostro piano naturale (non a caso appena ne siamo espulsi torniamo a cercarlo, presi dalla nausea di una vita artificiale, scandita dal ritmo dell’orologio –della civiltà?- che contrasta con il tempo biologico/divino in cui la nostra esistenza ritrova il suo senso)

    ma l’epifania è anche il senso di perdita, di vuoto, l’angoscia del perduto che non ritorna, uno strappo non ricomponibile dalla ragione, che arranca di fronte ad una luce che non può generare da sé, ma solamente succhiare dall’esterno

    "Verso mattino Alberto raggiunse la pensione. I suoi passi erano faticosi. Impiegò molti minuti per salire le rampe di scale. Quando fu sul pianerottolo, gettò lo sguardo sulla verso la porta da cui tante volte era provenuta quella luce calda e femminile. Quella mattina, per la prima volta era spenta. La porta chiusa. Milvia era partita il giorno prima con i suoi figli. Era arrivato il marito e se li era portati via con sé. Fu la prima volta che sentì una profonda, dolorosa nostalgia per quella luce che non c'era più. Barcollò fino alle tende, in fondo al corridoio che trattenevano la luce del giorno. Si aggrappò e tirò con tutta la sua forza. Il chiarore entrò nel corridoio come un lampo. Strinse gli occhi. Pensò che annegare forse doveva essere la stessa cosa: dissolversi rabbiosamente nella luce troppo forte di un nuovo mattino."

    Rimini, pag 683 (Opere complete, ed Bompiani)

    qui l’abbandono è la rivelazione della propria insufficienza, l’angoscia di un paradiso perduto che nella vita si dà per sottrarsi inevitabilmente, in un movimento che non è dialettico ma polare (o a pendolo, come sembra suggerire la storia di Bruno May, che trova in due opposti non riconciliabili la pace, nell’eros e nel suicidio).

    L’interessante è che in Tondelli l’Assoluto non si trova nell’arte (sia musica, scrittura o pittura), da questa può solo essere registrato, comunicato con approssimazione, ma nell’esperienza vitale, che nell’arte trova lo sbocco naturale per farsi forma, quindi memoria. La memoria è allontanamento da sé, recupero sul piano razionale del vissuto, una sorta di punteggiatura che separa in blocchi il flusso magmatico della vita, così Bruno May scrive il romanzo del proprio amore con Aelred solamente quando questo è finito, e lo fa per separarsene, per incasellarlo come capitolo nella (auto)narrazione della propria esistenza… ma questo lo porterà alla morte, poiché la lacerazione della separazione che su foglio trova la propria ragione e le proprie modalità espressive, nella vita non trova una sua ricomposizione, si esprime solo in tentativi disperati di ritrovare un senso che sempre sfugge, anche quando il dimenticare sembra essere un sollievo (alcolismo).



    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.






  • OFFLINE
    Nihil.
    Post: 711
    00 07/01/2011 01:02
    Si può dire che in scrittura ho un ossessione, una sola: l'eliminazione dell'io dal testo. Nel 900' questo è stato tentato in vari modi: abolendo l'suo del pronome, facendo delle cose il soggetto che descrive il mondo, inserendo nella lirica parti, ritagli, montaggi di conversazioni, pubblicità, ecc altrui per mettere in crisi l'idea dio un io che organizza e orienta il mondo... io ho scelto un'altra strada: l'io come personaggio lirico rimane, ma il mondo in cui si muove è uno spazio metafisico (anche quando ha i tratti della realtà quotidiana) a lui ignoto, in cui si muove secondo leggi che non conosce, tentando un dialogo con entità che non rispondono (Dio) o che non comprendono, perché vivono su di un altro piano (la donna). In questo spazio ignoto l'unica condizione che l'io sperimenta è quella della tragedia, dello scacco metafisico, della sconfitta che non può essere riassorbita in alcun polo positivo (fede, amore, ecc) perché le leggi che governano queso mondo non sono umane, e non sono pensate per l'umano. Da qui si potrebbe dedurre logicamente che ho scarsa fiducia nelle possibilità della parola di afferrare il reale e comunicarlo all'altro, invece non è così: paradossalmente la parola rimane l'ultima possibilità di creare un ponte, poiché l'uomo immerso nell'incomprensibile ha come ultima possibilità la condivisione della sua condizione con l'altro. E' un paradosso che la cultura giapponese ha eretto a civiltà: io due concetti cardine della tradizione del Levante sono l'on e il giri, ossia il rito e il dovere, creazioni culturali riconosciute come artificiali (non c'è alcun concetto di umanità né umanesimo nella cultura orientale) e che pure nella loro arbitrarietà creano quel legame solidale che se venisse meno lascerebbe ogni individuo immerso nel vuoto dell'esistenza.




    "Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

    No Copyright: copia, remixa, diffondi.