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CRISTIANI

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    pedrodiaz
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    00 11/02/2010 17:50
    Lettera sesta

    Lettera sesta

    La Discussione

    Enrico ad Eugenio

    Roma, Febbraio 1847.

    Mio caro Eugenio,

    È pur troppo vero che prima di promettere una cosa bisogna pensarci molto bene: io ti ho promesso di raccontarti fedelmente tutta la discussione che avrei avuta co' miei amici; ed ora son quasi pentito della mia promessa, e desidererei non averla fatta. E sai tu il perchè? Temo che tu, sentendo gli argomenti del Valdese, non ti abbia a confermare ne' tuoi errori protestanti. Ma io mi picco di essere galantuomo, e quindi tengo fedelmente la mia promessa. Solo ti prego a non volermi giudicare precipitosamente. Comprendi bene che non posso in una lettera raccontare tutta la discussione; ed avverrà che in una vi potranno essere gli argomenti dei miei avversarii, in un'altra le mie risposte. Attendi dunque di averle tutte lette, prima di profferire il tuo giudizio.

    Siccome non fu fissato il giorno nel quale dovesse cominciare la nostra discussione, io profittai di questa dimenticanza, e per più giorni non mi lasciai vedere dal sig. Manson: pronto alla circostanza di dare una scusa plausibile del non essere io andato.

    Per parlarti con tutta sincerità, il mio ritardo aveva due motivi plausibili: il primo era per prepararmi alla discussione studiando; il secondo, perchè sperava che nascesse qualche occasione per poter discutere da solo a solo col Sig. Manson, senza la incomoda presenza del Valdese, che, a dirti il vero, mi dava non poca soggezione. Se ciò fosse accaduto, io era certo della vittoria: il Sig. Manson sarebbe divenuto cattolico, e così io sarei uscito con onore da questo affare. Notte e giorno pensava al modo di realizzare un tal progetto.

    Mentre era in tali pensieri, la padrona della casa, ove io era a dozzina, venne nella mia camera, e con tutta gentilezza mi disse che non poteva più ritenermi, e che aveva assoluto bisogno della mia camera. Per quanto facessi onde sapere il perchè avessi meritato di essere scacciato dalla sua casa, non mi riuscì saper nulla; solo chiaramente conobbi che essa obbediva con dispiacere ad un ordine misterioso. Mi venne in mente che il di lei confessore, che è un Padre Gesuita, avesse dato un tale ordine; ma non ne ho nessuna prova. Andai allora in un convento, presi una camera, e vi trasportai immediatamente le mie robe (Nota 1 - Camere di affitto ne' conventi). I miei amici, non vedendomi, andarono a cercarmi; ma la padrona di casa, la quale sapeva dove io era andato ad alloggiare, disse loro di non sapere il mio indirizzo.

    Anche nella scuola era avvenuto un cambiamento a mio riguardo. Il professore non mi guardava più come prima con occhio benevolo; anzi di tanto in tanto lanciava sarcasmi contro i Cattolici amici degli eretici, e metteva in ridicolo coloro che, senza aver compiuto il corso teologico e senza averne avuta missione, pretendevano discutere con essi. Allora lanciava sopra di me uno sguardo assai significante, che non isfuggiva ai miei compagni.

    Tutte queste cose mentre da un lato m'irritavano, dall'altro mi affliggevano, e mi determinavano a non volere più imbarazzarmi nella discussione. Ringraziava Dio di avere cambiata abitazione; perchè così forse i miei amici non mi avrebbero più cercato, ed io ne sarei uscito libero.

    Il convento nel quale io era andato ad abitare non chiudeva la porta che tardi. Una sera, mentre era nella mia camera a studiare, sento picchiare alla porta: apro, e vedo i miei tre amici protestanti: "Povero Signor Abate, mi disse il Valdese stringendomi la mano con grande affezione; voi siete sorvegliato: i vostri buoni Padri Gesuiti non vogliono che voi entriate in discussione con me: ma non temete; io non vi comprometterò vostro malgrado. Siamo venuti a proporvi due partiti, e voi sceglierete quello che meglio vi aggrada: il primo partito è di seguitare, o a dir meglio incominciare, le nostre discussioni; il secondo è di disimpegnarvi dalla vostra parola, quando la vostra coscienza vi permettesse di lasciare nell'errore tre anime che voi credete perdute. Se accettate questo partito, vi prego riflettere che non potete impedirci di pensare che voi temete la discussione, e che i vostri maestri che ve la impediscono han più paura di voi."

    Io accettai di discutere: ed allora si stabilì che, per evitare per quanto era possibile lo spionaggio, essa avrebbe luogo qualche volta nella mia camera, qualche altra volta in qualche altro luogo.

    Stabilite così le cose, il Valdese voleva che s'incominciasse a discutere sulla dottrina della giustificazione, ch'egli diceva essere la dottrina fondamentale del cristianesimo (Nota 2 - Dottrina della giustificazione essenziale al Cristianesimo). Per dirti il vero, io non sono molto forte in quella dottrina, anzi fino ad ora mi sembra la dottrina la più oscura, e la più imbrogliata della nostra teologia (Nota 3 - È la dottrina la più difficile nel sistema romano); e non amava molto che la nostra discussione incominciasse da quella. Proposi dunque che s'incominciasse dalla supremazia del Papa. "Ammesso il primato, diceva io, bisogna per legittima conseguenza ammettere tutta la dottrina cattolica insegnata da colui che è il successore di S. Pietro ed il capo infallibile della Chiesa, stabilito da Gesù Cristo stesso; ed escluso una volta il primato, necessariamente tutto il Cattolicismo deve cadere." Si fecero delle difficoltà; ma poi la mia proposizione fu accettata.

    Allora il Signor Pasquali levandosi da sedere disse, che prima d'incominciare a discutere si doveva invocare l'assistenza dello Spirito Santo, e m'invitò a fare una preghiera. Io mi scusai con dire che noi non eravamo abituati alle preghiere estemporanee. Si rivolse al Signor Manson, il quale disse che non aveva indosso il libro delle preghiere. "Il libro di preghiera del Cristiano è un cuore rigenerato," disse il Valdese; e, levati gli occhi al cielo, fece una preghiera così fervente, così commovente che mi trasse le lacrime dagli occhi. Questa preghiera mi sbalordì. "Come mai, diceva meco stesso, un eretico può pregare con tanta fede, con tanto fervore? Come può con tanta fiducia invocare Gesù Cristo?" Io che non aveva conosciuta la dottrina de' Protestanti che per quello che ne aveva sentito dire da' miei maestri, nelle lezioni e nelle prediche, e per quello che ne aveva letto nei nostri libri (Nota 4 - Il P. Perrone calunniatore de' Protestanti), mi trovava in una posizione assai diversa da quella che mi era immaginata, trovandomi faccia a faccia con questo Valdese.

    Finita la preghiera, il Signor Pasquali ci fece osservare che la verità non potendo essere che una, che, trattandosi di una questione religiosa, non poteva trovarsi che nella Bibbia; ma che siccome i diversi sistemi religiosi interpretavano le dottrine della Bibbia differentemente; così egli credeva che, per bene intendersi ed accelerare la soluzione della questione sul primato del Papa, fosse bene che ciascuno esponesse la sua credenza su quel punto, acciò, confrontando queste diverse credenze con la Bibbia, si potesse venire ad una conclusione certa.

    Piacque a tutti una tale proposta, ed io incominciai ad esporre in poche parole la dottrina cattolica sul primato del Papa, riserbandomi di dimostrarla a suo tempo. Dissi dunque, che Gesù Cristo aveva dichiarato S. Pietro capo e principe degli Apostoli; che lo aveva costituito suo Vicario, ed in questa qualità lo aveva lasciato per capo visibile della sua Chiesa; dissi che la dignità di S. Pietro non era cosa personale, ma da trasmettersi ai suoi successori: e siccome il romano Pontefice è il successore di S. Pietro, così egli ha le medesime prerogative che Gesù Cristo ha date a S. Pietro, e che questi ha trasmesse ai suoi successori, cioè il primato e la infallibilità. "Questa è la dottrina della Chiesa cattolica, che sono pronto a provare con la Bibbia."

    "Io convengo, disse il Signor Manson, in quanto al primato di S. Pietro: ammetto nel Vescovo di Roma la successione apostolica, e lo riconoscerei anche per capo della Chiesa, qualora però la sua autorità non fosse arbitraria, ma regolata dai canoni ecclesiastici, stabiliti dai concili. La sua infallibilità però non posso ammetterla; perchè i monumenti dell'antichità ecclesiastica dimostrano che molti Papi hanno errato" (Nota 5 - Papi eretici).

    "In quanto a me, disse il Signor Sweeteman, non ammetto tante cose. Nelle cose di religione non conosco altra autorità che quella della Bibbia e quella della Chiesa, la quale non credo possa essere rappresentata da un solo uomo. Il Vescovo di Roma è un Vescovo come tutti gli altri: egli può essere considerato come il Primate d'Italia; ma non lo crederò mai il capo, ossia il monarca della Chiesa. Se si trattasse soltanto di un primato di onore, non troverei grandi difficoltà ad accordarglielo; ma un primato di autorità giammai. L'autorità della Chiesa la riconosco nell'episcopato, e non in un solo uomo."

    Il Valdese trasse allora di tasca una Bibbia e, posandola sul tavolo, disse: "Ora ciascuno di voi ha esposto ciò che crede intorno all'autorità del Papa, io dovrei esporre la mia dottrina. Ma io non posso esporne alcuna, perchè nelle cose religiose la Bibbia è la mia UNICA autorità. I sistemi religiosi sono per lo più fallaci; la sola Bibbia non inganna mai: atteniamoci dunque puramente e semplicemente ai suoi insegnamenti. E credo che, con questo metodo, se discutiamo in buona fede, potremo facilmente trovarci d'accordo; perciocchè tutti e quattro confessiamo che ogni dottrina religiosa deve avere il suo fondamento nella Bibbia."

    Dopo cotale preambolo, egli disse che trovava nella Bibbia quattro cose intorno alla questione attuale; cioè: Primo, che Gesù Cristo ha stabilito fra gli Apostoli una perfetta uguaglianza, acciocchè non vi fosse fra loro uno maggiore di un altro. Secondo, che, di più, Gesù Cristo ha assolutamente e precettivamente esclusa la idea di un primato fra loro. Terzo, che gli Apostoli non hanno riconosciuto in S. Pietro che un collega, e giammai un superiore, nè il capo della Chiesa. Quarto, che Gesù Cristo è l'unico capo della Chiesa, ad esclusione di qualunque uomo. "Miei cari amici, soggiunse; questa è la dottrina che io trovo nella Bibbia intorno al capo della Chiesa: potrei ingannarmi; ma permettetemi che vi esponga semplicemente i passi della Bibbia che dimostrano le dottrine che vi ho accennate, e poi vi prego indicarmi se, e dove, io prendo abbaglio."

    Detto ciò, aprì la sua Bibbia, e lesse: "E Gesù, accostatosi, parlò loro (cioè agli Apostoli), dicendo: Ogni podestà mi è data in cielo, e in terra. Andate adunque, ed ammaestrate tutti popoli, battezzandoli nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo; insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandate. Or ecco, io son con voi in ogni tempo, infino alla fin del mondo" (Matt. XXVIII, 18-20). Fece osservare su questo passo, che Gesù Cristo dà a tutti gli Apostoli una podestà eguale; che non confida il suo potere a nessuno; che non lascia nessuno di essi in sua vece, ma che anzi promette di essere Egli stesso sempre con loro. Lesse il vers. 15 del capo XVI di S. Marco. Lesse i versetti 21, 22, 23, del capo XX di S. Giovanni, per provare che Gesù Cristo aveva dato eguale potere a tutti gli Apostoli, e ne conchiudeva ch'Egli li aveva costituiti eguali, e non aveva stabilito uno per essere nè loro principe, nè loro capo.

    Dal Vangelo passò agli Atti degli Apostoli, e lesse il vers. 14 del capo VIII, ove è detto che gli Apostoli mandarono Pietro e Giovanni in Samaria: e da quel passo deduceva che S. Pietro non era superiore, egli avrebbe mandato, o sarebbe andato volontariamente, e non sarebbe stato mandato. Lesse quindi i vers. 1 del capo V della prima lettera di S. Pietro, ove quell'Apostolo si chiama un anziano come gli altri, nè più nè meno (Nota 6 - Falsificazione di M. Martini).

    Qui io lo interruppi, facendogli osservare che S. Pietro parlava in quel modo per umiltà. "È egli lecito, mi rispose, mentire sotto pretesto di umiltà? È egli lecito ad un Apostolo insegnare una falsa dottrina per essere umile? Ma S. Pietro, se fosse stato il principe degli Apostoli, avrebbe mentito dicendosi un semplice anziano; avrebbe, per comparire umile, insegnata la dottrina presbiteriana, che la vostra Chiesa ha dichiarato essere dottrina eretica."

    Credei bene tacere per allora, riserbandomi di rispondere a suo tempo. Ed egli riprese l'argomento, e, leggendo nel capo XII della seconda lettera ai Corinti, citava quel passo ove S. Paolo dice non essere da nulla meno de' sommi Apostoli il passo del capo secondo ai Galati ove S. Paolo dice non aver ricevuto nulla nè da Pietro nè da Giacomo, salvochè la mano di associazione: anzi per quello che riguarda S. Pietro, S. Paolo si gloria di avergli pubblicamente resistito in faccia e di averlo pubblicamente ripreso. Dalle quali cose il Valdese pretendeva dimostrare la assoluta eguaglianza che esisteva fra tutti gli Apostoli, secondo la istituzione del Signore.

    Per la seconda delle sue proposizioni, che cioè Gesù Cristo avesse assolutamente vietato ogni primato fra gli Apostoli, e nella Chiesa, egli pretendeva dimostrarla co' seguenti passi, cioè (Matt. XVIII, 15-17): "Se il tuo fratello ha peccato contro a te, va', e riprendilo fra te e lui solo; se egli ti ascolta, tu hai guadagnato il tuo fratello. Ma se non ti ascolta, prendi teco ancora uno, o due... e, s'egli disdegna di ascoltarli, dillo alla Chiesa." "Questo discorso, egli diceva, era da Gesù Cristo indirizzato a S. Pietro: Gesù Cristo dunque aveva talmente sottoposto lo stesso S. Pietro alla Chiesa, che anche, per una offesa personale, doveva ricorrere ad essa, e stare al suo giudizio: non lo aveva dunque costituito capo di essa. Quello che qui è detto a S. Pietro è detto a tutti: dunque Gesù Cristo non ha voluto che nella Chiesa vi fosse un primato."

    Ma quello che poi, secondo lui, escludeva affatto un primato fra gli Apostoli erano i passi seguenti: "E Gesù, chiamatili a sè (i suoi discepoli), disse: Voi sapete che i principi delle genti le signoreggiano, e che i grandi usano podestà sopra esse. Ma non sarà così fra voi; anzi chiunque fra voi vorrà divenir grande sia vostro ministro; e chiunque fra voi vorrà divenir grande sia vostro ministro; e chiunque fra voi vorrà esser primo sia vostro servitore" (Matt. XX, 25-27). "Vorrei che i Papi che si chiamano re dei re, ed i cardinali che si chiamano successori degli Apostoli e principi eminentissimi della Chiesa, considerassero quest'ordine di Gesù Cristo, che essi chiamano loro maestro!" (Nota 7 - I cardinali).

    "Il passo perentorio, continuò, per tacerne altri tanti altri, è il seguente: "Ma voi, non siate chiamati, Maestro; perciocchè un solo è il vostro dottore, cioè, Cristo; e voi tutti siete fratelli. E non chiamate alcuno sopra la terra, vostro padre; perciocchè un solo è vostro padre, cioè, quel ch'è ne' cieli... E il maggior di voi sia vostro ministro" (Matt. XXIII, 8-11). A me pare che per ammettere fra gli Apostoli uno che fosse maggiore degli altri, che fosse il padre de' fedeli, il dottore universale, sia necessario dire che Gesù Cristo ha mentito; lo che è una bestemmia."

    "Eppure, interruppe il signor Manson, tutta l'antichità ha riconosciuto un primato in S. Pietro." "Cotesta antichità che voi adducete, riprese il Valdese, è anteriore o posteriore al Vangelo?" "Oh! sicuramente è posteriore," rispose il signor Manson. "Ebbene allora, diceva il Pasquali, anche in ragione di antichità, i miei argomenti sono migliori dei vostri; i miei sono più antichi, ed i vostri sono di alcuni secoli più moderni dei miei."

    La terza delle sue osservazioni essendo negativa, disse che bastava a dimostrarla l'argomento negativo; che cioè non può citarsi un solo passo della Bibbia per provare che gli Apostoli avessero riconosciuto S. Pietro per loro superiore. "Altronde, egli disse, se la dottrina del primato fosse stata un domma necessario a salvezza, come insegna la Chiesa romana, gli Apostoli lo avrebbero insegnato ne' loro scritti che hanno lasciato per la istruzione delle Chiese. Ma negli scritti apostolici non vi è neppure una parola che faccia allusione al primato di S. Pietro; anzi esso è evidentemente escluso. S. Paolo parla di tutti i gradi del ministero stabilito da Gesù Cristo nella sua Chiesa (I Cor. XII, 28; Efes. IV, 11.), e non parla punto nè del primato di Pietro, nè di un Papa. Se un teologo romano, parlando ex professo della gerarchia ecclesiastica, dimenticasse parlare del Papa, farebbe come se un astronomo, parlando del sistema solare, dimenticasse di parlare del sole, anzi neppure lo nominasse."

    "Per la quarta delle mie proposizioni, disse, non avrei bisogno citare alcun passo della Bibbia per dimostrarla. Chi conosce quel libro divino sa, che la dottrina di Gesù Cristo capo UNICO della Chiesa, è insegnata in esso frequentemente ed evidentemente. Ciononostante citerò alcuni passi:" e lesse nel capo I della lettera agli Efesi i vers. 22, 23; i vers. 14-16 del capo IV; ed il vers. 18 del capo I ai Colossesi (Nota 8 - Gesù Cristo capo della Chiesa); e sarebbe andato innanzi citando altri passi, se io non lo avessi interrotto.

    "Perdonate, signor Pasquali; ma voi perseguitate un'ombra. Chi di noi niega che Gesù Cristo sia il capo supremo della sua Chiesa? Tutti i passi da voi citati, e quelli che potreste ancora citare a questo proposito, non escludono punto la dottrina cattolica del primato del Papa. Certo Gesù Cristo è il capo della Chiesa; ma egli è glorioso nel cielo alla destra del Padre, ed il Papa sostiene le sue veci in terra: Gesù è il capo principale ed invisibile, ed il Papa è il capo visibile; Gesù è il capo celeste, il Papa il capo terrestre: ad una Chiesa visibile è necessario un capo visibile."

    "Il signor Abate, rispose, non ha riflettuto che la Chiesa è una; che essa è il corpo di Gesù Cristo; corpo ben composto, come dice la Bibbia: ora se la Chiesa è un sol corpo, come può avere due teste, una visibile, l'altra invisibile; una primaria, l'altra secondaria? Ma ricordiamoci che noi non dobbiamo disputare nel modo che si fa nelle scuole; bensì cercare la verità nella Bibbia. Perciò vi prego citarmi un sol passo ove sia detto che il Papa è il capo visibile della Chiesa."

    Il signor Manson prese allora la parola e disse: "Per me confesso che non ho mai trovato nella Bibbia un passo che stabilisca espressamente ed in termini questa distinzione: però la sacra antichità ammetteva il primato del Papa. S. Ireneo per esempio...." "Lasciate il vostro S. Ireneo, interruppe il Valdese, e parlatemi della Bibbia. Ma quand'anche fosse chiaro come la luce del sole (lo che non è) che la Chiesa primitiva ammettesse una tale dottrina, io vi risponderei che la vera Chiesa primitiva è la Chiesa de' tempi apostolici; ed i monumenti di essa sono nelle lettere degli Apostoli. Quando con la vostra pretesa sacra antichità giungeste a dimostrarmi una dottrina in opposizione a quello che hanno scritto gli Apostoli, mi avreste dimostrato un errore antico, ma sempre un errore."

    Sebbene, mio caro Eugenio, io avessi tutti i motivi per chiamarmi malcontento de' Padri Gesuiti; ciononostante non poteva fare a meno in questo momento di rammentarmi le parole del mio professore che mi parvero essersi verificate sopra di me; che cioè quando un Protestante si attacca alla Bibbia, non vuole più intendere altra ragione. Io veramente, attaccato all'improvviso, aveva de' passi biblici per provare il primato di S. Pietro e del Papa, ma non ne aveva pronti per distruggere quelli citati dal Valdese; perciò era ben contento di veder entrare in lizza il signor Manson. Ma questi si tacque alla risposta del Valdese, il quale continuò così:

    "Niuna cosa è nuova sotto il sole: fino da' tempi di S. Paolo il mistero d'iniquità incominciava ad operare; e mi sembra che nel capo quinto della lettera agli Efesi S. Paolo abbia preveduta questa distinzione che i teologi romani avrebbero inventata di capo visibile e capo invisibile, capo principale e capo ministeriale, capo terrestre e capo celeste; e che la abbia voluta confutare quando ha detto: "Il marito è capo della donna, siccome Cristo è capo della Chiesa." Cosa ve ne sembra? Continuò; si potrebbe di una moglie onesta dire che essa riconosce il suo marito come suo capo principale, ma che ne ritiene un altro come capo secondario, ovvero come vicario? Non vuole forse dire S. Paolo che siccome il marito è il capo unico della donna, così Gesù Cristo è il capo UNICO della Chiesa? Ma non basta: sentite cosa è scritto nel capo III della prima ai Corinti vers. 11. "Niuno può porre altro fondamento che quello ch'è stato posto, il quale è Gesù Cristo." In un edificio, unico è il fondamento.

    Ma, per togliere ogni appiglio alle distinzioni scolastiche sul capo della Chiesa, S. Paolo, o meglio lo Spirito Santo per bocca sua, ci dice cosa era S. Pietro in cotesto edificio: ecco cosa dice nel vers. 9 del capo secondo a' Galati: esso era una colonna, non un fondamento secondario o subordinato; ma una colonna nè più nè meno di quello che lo erano Iacopo e Giovanni, e gli altri Apostoli.

    Del resto, miei cari amici, io non voglio ostinarmi, non voglio fare una controversia: esaminiamo la Parola di Dio, e seguiamo la dottrina che essa c'insegna, che è la sola infallibile."

    Siccome io voleva studiar meglio la questione prima di azzardarmi con un tal uomo che conosceva così bene le Sacre Scritture, così dissi che la sera era molto avanzata e che il convento si chiudeva: si prese l'appuntamento per il giorno dopo, ed essi se ne andarono.

    Appena partiti, io sentiva bisogno di consiglio; non poteva più domandarlo al mio professore senza espormi ai più acerbi rimproveri, e forse peggio: pensai dunque domandarlo al Lettore di teologia (Nota 9 - Maestri ne' conventi) del convento ove io dimorava. Andai nella sua camera, esposi il caso dal principio; ed egli, dopo aver ben bene riflettuto, mi disse: "Il rimedio per trarvi dall'imbarazzo è facilissimo, ed è il solo che dovete seguire: domani mattina andate al palazzo dell'inquisizione, e denunciate il Valdese, lasciate poi operare il santo tribunale; esso vi toglierà d'ogni imbarazzo."

    Io inorridii a tale consiglio: ma il P. Lettore sosteneva che il Valdese, essendo italiano, era soggetto a tutte le leggi del S. Uffizio, ed io era obbligato in coscienza a denunciarlo.

    "Egli non è un semplice eretico, ma un eretico dommatizzante, e voi dovete assolutamente denunciarlo, altrimenti voi stesso sarete denunciato come fautore d'eretici, e sarete anche sospetto di eresia" (Nota 10 - Dommatizzanti e sospetti di eresia).

    Passai la notte senza poter mai prender sonno, tanta era la mia agitazione: avrei sofferto qualunque cosa piuttosto che fare una cattiva azione; e cattiva azione mi pareva quella di denunciare il signor Pasquali, e farlo gettare nelle carceri dell'inquisizione. Dall'altro lato diceva a me stesso: "Ma se è vero che io sia obbligato in coscienza ad accusarlo; se, non accusandolo, io commetto un peccato mortale, non dovrò io accusarlo a qualunque costo?"

    La mattina tornai di nuovo dal P. Lettore per chiarire meglio la cosa. "Figlio mio, questi mi disse, io non vi farò danno; ma ve lo potrebbe ben fare qualcun altro denunciandovi. Voi siete forestiere, non conoscete Roma, e vi siete messo a parlare di religione con Protestanti, come avreste fatto nel vostro paese: qui la cosa è assai diversa."

    "Ma, diceva io, non mi pare aver commesso un delitto degno dell'inquisizione, per aver cercato di convertire tre Protestanti alla nostra religione."

    "Caro amico, riprese, voi giudicate questa cosa sotto il vostro punto di vista, e come se foste nel vostro paese. Colà, ove la santa religione cattolica non domina, la Chiesa non può spiegare tutta la sua energia: ma qui in Roma, sebbene per prudenza debba adattarsi alquanto ai tempi, ciononostante può eseguire le sue leggi. E sapete nel caso vostro quali sono le leggi? Eccole. La nostra santa Chiesa ha il diritto di mandare e mantenere i suoi missionari e di far proseliti da per tutto; perchè essa sola è nella verità, e perciò ad essa sola appartiene la libertà di manifestare e di propagare le sue dottrine, perchè sono le sole vere: ma se un eretico vuol spargere le dottrine dell'eresia, la santa Chiesa ha il diritto di gastigarlo, ed i Cattolici hanno l'obbligo di denunciarlo; specialmente se l'eretico ardisca dommatizzare ove esiste il tribunale della santa inquisizione. Il santo tribunale però agisce con tutta prudenza, e non è così crudele come si dice: per esempio, se l'eretico dommatizzante è inglese o francese, allora si fa esiliare dalla polizia sotto un altro pretesto; se poi appartiene ad una piccola nazione che non faccia paura, allora si usa verso di lui il salutare rigore delle leggi. Sicchè, credete a me, il vostro caso è più serio che voi non immaginate, e specialmente in questi tempi ne' quali Pio IX ha ordinato al santo tribunale di agire con tutto il rigore. Voi non lo sapete; ma io ve lo assicuro: alla morte di Gregorio XVI, le carceri del santo Uffizio erano quasi vuote (Nota 11 - Il S. Uffizio ai tempi di papa Gregorio), ma ora non lo sono più."

    "Ma Padre mio, soggiunsi, il canonico T., segretario del Vicariato, mi ha dato il permesso di disputare con cotesti Protestanti...." "Il canonico T., interruppe, è un buon uomo; egli non conosce le leggi dell'inquisizione: del resto, fate come volete; ma ricordatevi che io vi ho avvertito."

    Caro Eugenio, io non posso credere che sia vero tutto quello che mi ha detto questo Padre: credo che lo abbia detto per ispaventarmi. No, non è possibile che la santa Chiesa cattolica che è madre amorosa abbia sentimenti così crudeli. Però io mi avvidi che ogni volta che andava a domandar consigli ne riceveva dispiaceri: quindi mi determinai di continuare la discussione senza più domandar consiglio a nessuno; così andai all'appuntamento.
    Nella prossima lettera ti dirò il resto. Addio: ama il tuo

    Enrico.

    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 11/02/2010 17:50

    Camere di affitto ne' conventi

    Nota 1. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Quasi tutti i conventi che sono in Roma affittano camere ed appartamenti. I conventi sono grandi: i frati sono pochi, e tirano profitto degl'immensi locali che occupano. Le persone che vanno ad abitare ne' conventi sono, studenti che vi vanno per ispendere poco; vecchi devoti che vi vanno per avere la chiesa e le loro devozioni senza avere l'incomodo di uscire di casa; e debitori, per evitare il carcere. Bisogna sapere che in Roma i conventi godono la immunità; ogni inquisito che si rifugia in un convento non può essere toccato. Per i gravi delitti si dà il permesso di estrazione, ma per i piccoli no. In quanto ai debitori, poi non si dà mai il permesso di estrazione. Quando dunque un commerciante fallisce, anche con dolo, si ritira in un convento, e vi prende in affitto una camera. L'arresto in materia commerciale non può essere eseguito che dalle 8 del mattino al calar del sole, ne' giorni ne' quali vi è tribunale; quindi il ritirato entra in convento prima delle 8 e ne esce la sera; i suoi creditori lo vedono al teatro, lo incontrano nelle conversazioni, nei caffè, e non possono dirgli nulla. Se un creditore venisse a vie di fatto, guai a lui. I giorni di feste e di vacanze, è interamente libero. Così la immunità de' conventi è un incentivo ai fallimenti dolosi.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 11/02/2010 17:51

    Dottrina della giustificazione essenziale al Cristianesimo

    Nota 2. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    La dottrina della giustificazione è la dottrina essenziale del Cristianesimo. Il Cristianesimo non è una dottrina; il Vangelo non è un codice di morale, come lo proclamano i Sociniani, i Razionalisti, i Renanisti; esso è la rivelazione dell'unico mezzo di salvezza che resta all'uomo dopo il peccato; cioè la soddisfazione intera e completa data alla giustizia di Dio da Gesù Cristo Dio ed uomo insieme. Gesù Cristo ha soddisfatto alla divina giustizia, ha pagato per intero il debito che noi avevamo verso di essa; e per la fede in Lui ci ha dato il mezzo di ricevere il suo beneficio; e così è che il peccatore è giustificato per fede dinanzi a Dio. Tanto è essenziale questa dottrina al Cristianesimo, che senza di essa si nega Gesù Cristo, unico fondamento del Cristianesimo.

    Poniamo difatti che per ottenere la nostra giustificazione avanti a Dio, il perdono de' peccati, la vita eterna, noi dovessimo meritarla con le nostre opere; a che si ridurrebbe l'opera di Cristo? Ad un semplice aiuto; dunque egli non sarebbe il nostro Salvatore, ma un semplice aiuto: la sua opera non sarebbe perfettissima; dunque non sarebbe l'opera di Dio; dunque si negherebbe la sua divinità.

    Stabilita una volta la dottrina della giustificazione per grazia, e non per opere, cadono tutte le dottrine che la Chiesa romana ha aggiunte al Vangelo; Gesù Cristo è il tutto del Cristianesimo: quindi le opere buone del Cristiano non disonorano più l'opera di Cristo, perchè non fatte per meritare quello che Gesù ci ha già dato, ma fatte per dimostrare e testimoniare che noi da morti siamo stati fatti viventi, dalle tenebre siamo passati alla maravigliosa luce de' figli di Dio. Le opere fatte nello scopo di meritare la grazia ed il perdono de' peccati, son altrettanti peccati, perchè sono insulti che si fanno a Dio; perchè con esse si ricusa il dono di Dio in Gesù Cristo, e si pretende soddisfare alla divina giustizia; e con ciò si avvilisce e si annulla l'opera di Cristo. Stabilita dunque la dottrina della grazia, cadono tutte le dottrine sui meriti umani; quindi cadono le opere dette di soddisfazione, le indulgenze, la confessione al prete, i pellegrinaggi ecc. ecc.

    Quando la dottrina della grazia è ben compresa, Gesù Cristo diviene il tutto del Cristianesimo; egli ne è l'unico mediatore, l'unico sacerdote; quindi cade la invocazione e la intercessione de' santi, i santuari, le reliquie ec.: cade il sacerdozio umano, che non può esistere senza derogare al sacerdozio di Cristo: cade il preteso vicariato di Cristo nel papa, e tutte le altre dottrine aggiunte al Vangelo. Ecco il perchè il Valdese voleva incominciare la discussione da questo punto, per mettere, cioè, la scure alla radice dell'albero, e fare una controversia che non tendesse solo ad abbattere, lasciando poi un vuoto nel cuore; ma una controversia che, direttamente edificando, abbattesse indirettamente, e come per legittima conseguenza, tutte le dottrine aggiunte al Vangelo.
    Pedro
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    pedrodiaz
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    00 11/02/2010 17:51

    È la dottrina la più difficile nel sistema romano

    Nota 3. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Certo per uno studente di teologia nella Chiesa romana non vi è questione più difficile a sciogliersi, ed impossibile ad essere compresa, quanto la questione della giustificazione. I teologi romani ammettono la necessità delle opere per la giustificazione, e condannano come eretici i Pelagiani che ammettono la stessa dottrina. Essi vogliono ammettere la giustificazione per pura grazia, perchè questa dottrina è evidente nella Bibbia; ma vogliono altresì che la giustificazione dipenda dalle opere, per salvare la dottrina del merito, quella delle opere supererogatorie; e quindi quella del purgatorio, delle indulgenze ec. È impossibile conciliare ragionevolmente queste due dottrine contraddittorie; quindi hanno inventate una quantità di distinzioni scolastiche, le quali non fanno altro che confondere la mente degli studenti di buona fede. Perciò il nostro Enrico con tutta ragione dice che la dottrina della giustificazione è la dottrina la più imbrogliata della romana teologia.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:52

    Il P. Perrone calunniatore de' Protestanti

    Nota 4. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Fa pietà nel vedere quale orribile abuso facciano della storia e del buon senso i preti romani, quando parlano de' Protestanti: le più atroci calunnie, le mille volte confutate, sono da essi, con faccia di bronzo, le mille volte ripetute.

    Perchè i nostri lettori possano averne un saggio, citeremo alcuni brani dell'operetta popolare che il più grande teologo romano vivente, il P. Giovanni Perrone gesuita, pubblicava nel 1852 col titolo "Catechismo intorno al Protestantesimo ad uso del popolo."

    "Il nome di protestante, e di protestantesimo viene adoperato a significare la ribellione di tutte le moderne sette contro la Chiesa cattolica fondata da Gesù Cristo, ovvero, ciò che riesce al medesimo, la ribellione degli uomini orgogliosi contro Gesù Cristo fondatore della medesima Chiesa." Il Protestantesimo dunque, secondo insegnano i teologi romani, non è una religione, ma una ribellione contro Gesù Cristo.

    La riforma del secolo XVI non fu occasionata dagli abusi della Chiesa romana, come tutti gli storici ne convengono; ma, secondo il P. Perrone, "gli abusi non furono che il pretesto di cui si servirono i perversi per proclamare la libertà della carne, e far setta." Gli abusi, secondo lui, "furono sempre combattuti dalla Chiesa, la quale non mai cessò dal condannarli."

    Parla l'esimio teologo (pag. 14,25-28) de' riformatori nel modo il più calunnioso ed indecente. Lutero non era che un furibondo declamatore, un apostata, che rapì una monaca per farsene una moglie; un uomo che dopo aver passata l'ultima giornata di sua vita a Islebia sua patria in lauto banchetto tra buffonerie e molte risate, fu colpito la sera di apoplessia, e morì in breve ora impenitente. Calvino era un uomo diffamato per le sue disonestà, "e per ultimo morì disperato, bestemmiando e invocando il diavolo, di una malattia la più vergognosa, roso da' vermi" (pag. 14, 28). Zuinglio era un prete e curato apostata, falso profeta, e morto impenitente sul campo di battaglia (pag.14, 27). Melantone era un ipocrita, un simulatore crudele, un bestemmiatore (pag.26). Beza fu un pubblico dissoluto, un ingannatore; uno sfacciato falsificatore della Bibbia (pag.26,27). Insomma la culla del protestantesimo "è stata quella di una greggia di Epicuro sotto ogni rispetto, ed i Protestanti di qualsivoglia colore e generazione dovranno sempre vergognarsi rivolgendo i loro occhi ed il loro pensiero ai loro primi apostoli" (pag.28). Con tali veri colori sono dipinti i riformatori dal più grande teologo romano contemporaneo!

    Dalle persone passando alle dottrine, egli insegna che il Protestantesimo "consiste nella piena ed assoluta indipendenza della ragione di ciascuno da ogni autorità in materie religiose o di fede" (pag.14). Non è possibile che un uomo dotto, il quale è il P. Perrone, possa confondere il razionalismo col Protestantesimo: è dunque evidente ch'egli travisi e falsifichi con malafede la natura del Protestantesimo per renderlo odioso.

    I Protestanti, secondo lui, non solo non hanno alcuna fede, "ma non la possono neppure avere per due motivi: primo perchè mancano di certezza intorno alla divinità e interezza della Bibbia; secondo perchè mancano di certezza sopra il vero senso della Bibbia inteso da Dio" (pag.17). E se essi spargono le Bibbie, lo fanno per impostura, per spargere la polvere negli occhi degl'ignoranti, e dànno Bibbie troncate e corrotte a modo loro, "come si dànno i fantocci ai fanciulli perchè con essi si trastullino" (pag. 18). Perciò 'il farsi protestante non è altro che un'aperta apostasia dalla religione cristiana, ed un rigettare la fede della vera dottrina di Gesù Cristo, degli Apostoli, della Chiesa" (pag. 18). Nel Protestantesimo "si cangia dottrina può dirsi ad ogni cangiar di luna. Ella poi è tanto varia, quanta è la varietà del cervello di ogni protestante, avendo ognuno una dottrina propria, differente da quella di un altro" (pag. 19).

    I Protestanti non sono obbligati a seguire una professione di fede, "perchè ogni protestante, in virtù della libertà di esame, può colla Bibbia foggiarsi altri articoli diversi da quelli che si contengono nella professione comune, e niuno può essere astretto da qualsivoglia simbolo di fede" (pag. 21). "Se vi fate a domandare ad un protestante se Gesù Cristo sia Dio, vi risponderà di sì; se lo domandate ad un altro, vi risponderà di no; se lo chiedete ad un terzo, vi risponderà che Gesù Cristo storico, qual ci vien descritto da'santi Evangeli, non è neanco esistito, e che tutta la sua storia è un mito, ossia una favola. E ciò che si dice di questo articolo fondamentale del Cristianesimo, molto più si verifica d'ogni articolo del simbolo apostolico cominciando dal Credo in Dio Padre fino alla vita eterna. Amen" (pag. 23). Il protestantesimo non è soltanto una vera Babele; ma "esso contiene una dottrina orribile in teoria, ed immorale in pratica, cioè una dottrina oltraggiosa a Dio, oltraggiosa all'uomo, dannosa alla società, e contraria al buon senso ed al pudore... nè i pagani, nè i turchi sono mai giunti a tanta empietà di dottrina" (pag. 23, 24). Noi non perdiamo il tempo a confutare cotali asserzioni: certi gioielli gesuitici, sono come le carogne; basta mostrarle per eccitare il ribrezzo: solo i corvi e gl'insetti schifosi vi accorrono con piacere.

    Ma non basta al P. Perrone di calunniare i protestanti nella dottrina; egli, fidando nella più grossolana ignoranza che suppone nei suoi lettori, dipinge i protestanti come altrettanti Torquemada. "Essi (i protestanti, dice a pag. 36, 37) hanno incrudelito con tale isquisitezza di supplizi e di tormenti contro i Cattolici, che vinsero in crudeltà gli stessi imperatori pagani. Il ferro, il fuoco, gli eculei, le ruote, i lacci, tutto fu messo in opera contro i Cattolici fedeli al loro Dio, e alla loro religione. I protestanti non perdonarono nè a donne, nè a fanciulli. Istituirono inquisizioni tremende per iscoprire se si appiattassero nei loro paesi preti e religiosi. Si stabilì in varii regni la pena di morte contro qualsiasi prete che vi avesse passata una notte."

    I peggiori fra i protestanti, ed i più persecutori, non sono già quei protestanti indifferenti che restano nel Protestantesimo solo perchè vi sono nati; "ma quelli che sono protestanti per principio (cioè per convinzione), questi sono i peggiori. Fomentano costoro gli odii inveterati, fanno leghe ed associazioni per opporsi ai Cattolici, a fin di privarli d'impieghi, di lavoro, di commercio, di servizio, e perfin del pane, se fosse loro possibile, come si è fatto sempre per lo passato, e come si va ora facendo in varii paesi di Germania, nell'Olanda, in Inghilterra, in Ginevra, ed altrove...... il protestantesimo non vive che di odio; l'odio è quello che lo anima e che lo informa" (pag. 40).

    Sembra impossibile che un teologo romano, con la storia della inquisizione sullo stomaco, con la storia del S. Bartolommeo, dei dragoni, delle stragi di Merindolo, delle Calabrie e della Valtellina, possa avere il coraggio di parlare cesì de' protestanti! Ma questo dimostri in qual modo s'insegna la teologia e la storia in Roma.

    Da teologo il P. Perrone passa a recitare la parte di profeta di sventure; e predice alla società che da cotesti giovani evangelici essa "ha da aspettarsi ogni più rea sciagura. Possono essi considerarsi come rivoltosi nati, i quali son sempre pronti ad ogni novità; e ad ogni sommossa che si ecciti vi accorrono ad occhi chiusi, senza calcolare nè i pericoli loro, nè i danni altrui... Questo puro Vangelo è il veicolo della immoralità e la sentina d'ogni male domestico, religioso e politico. Questo puro Vangelo, come lo chiamano, ossia il protestantesimo, non è altro che la irreligione e la scostumatezza mantellata di belle parole, è il più terribile flagello che pesi sopra la umanità; esso conduce la società sordamente all'anarchia, allo scioglimento; e va infine a terminare nel più spiegato dispotismo, come sempre la esperienza lo fece vedere e toccare con mano" (pag. 44, 45). Ci vuole una sfrontatezza senza pari per insegnare e pubblicare cotali cose in pieno secolo XIX!

    Nella ottava lezione, il P. Perrone diviene scrutatore de' cuori, e svela i più occulti pensieri di coloro che in Italia cercano propagare in Vangelo. Essi non lo fanno per zelo religioso. "Oh! Pensate, se cotal genìa incredula e scostumata ha premura della religione! Nulla lor cale della religione; e si servono del nome di religione riformata, di puro Vangelo, di Cristianesimo primitivo solamente per far velo alle loro turpitudini, ed alle novità di altro genere che si propongono introdurre. Il protestantesimo non è nelle mani di costoro se non se un mezzo a recare più facilmente nell'Italia l'irreligione e la licenza, il libertinaggio e l'incredulità; ed infine il comunismo ed il socialismo" (pag. 45, 46). "Gli Anglicani propagatori non sono nella loro propaganda che emissari politici." (pag. 55): "la Chiesa anglicana, di cui il re, o la regina, è il capo, non sa, nè cosa creda, nè che cosa non creda; i così detti Vescovi son tanti vili schiavi che s'ingrassano colle enormi entrate che loro si pagano dal governo medesimo... per la morale poi i protestanti presi nella loro generalità, sono i più dediti alla scostumatezza de' sensi, ai furti, agli omicidi e suicidi, come risulta dalle loro statistiche" (pag. 56).

    Ci era venuta un tantino la voglia di rispondere per le rime al P. Perrone sull'articolo della moralità, citando specialmente le statistiche, alle quali egli fa appello, e che testimoniano precisamente il contrario; ma ci siamo ricordati che scriviamo una nota, e non un libro. Invitiamo perciò i nostri lettori che volessero essere pienamente edificati su questo punto di leggere la eccellente opera di Napoleone Roussel intitolata: "Les nations catholiques et les nations protestantes comparées sous le triple rapport du bîen-être, des lumieres, et de la moralité." In quell'opera si dimostra con abbondanza di documenti cattolici e di statistiche che il benessere, la istruzione, e la moralità, è di gran lunga superiore ne' paesi protestanti.

    Niuno può negare che i Gesuiti sono i veri Farisei del Cattolicismo: come i loro padri mentivano, denigravano e calunniavano gli Apostoli ed i primi Cristiani; così i degni loro successori calunniano coloro che lasciano la Chiesa romana, per seguire il Vangelo. Chi sono costoro, secondo il piissimo e caritatevolissimo Gesuita? "Sono la schiuma della ribalderia e della immoralità in ogni paese... non hanno altra convinzione che quella della carne, che lor diede la loro donnetta... è il rifiuto d'Italia, è il sozzume più vile degl'Italiani che passa nelle file de' barbetti. Tutti i malviventi che non osservano nessuna pratica religiosa, tutti i settari venduti al diavolo anima e corpo, tutti gli atei ed increduli che vivon da bestia, sono le reclute le più preziose del protestantesimo in Italia... Se costoro prevalessero, l'Italia diverrebbe un campo di guerre civili le più accanite; il sangue cittadino scorrerebbe per le città e per le campagne; scomparirebbero tutte le istituzioni di carità e di beneficenza cristiana; si farebbe scempio di tutti i buoni; si manderebbero in rovina i più superbi edifizi de' quali ora va altera la nostra penisola; si perpetuerebbero odii scambievoli. Tutto ciò avvenne nella Germania, nell'Olanda, ne' paesi del Nord, nell'Inghilterra... È certo di certezza di fede che quanti Cattolici si fanno protestanti, tutti sono dannati... e basta il non essere ateo per esserne persuaso... essi sono peggiori degli stessi pagani ed infedeli... debbono aversi in orrore ed abominazione, altrimenti voi siete perduto... essi sono nell'ordine religioso e morale ciò che la peste e gli appestati sono nell'ordine fisico... dovete trattarli, dall'odio in fuori, come si trattano i ladri e gli assassini... e questo è l'atto più esimio della carità" (pag. 68, 70, 71, 73, 98, 99, 101, 104, 105, 107, 108).

    Il P. Perrone, lo ripetiamo, è il più grande teologo vivente della Chiesa romana, egli ha stampate queste cose, ed i preti di tutti i paesi d'Italia spargono a piene mani quel libretto. Se gli Evangelici in Italia non sono fatti a pezzi, ciò non dipende dalla bontà de' Gesuiti; ma dal buon senso degl'Italiani.

    Nè si creda che il P. Perrone sia colui che calunnia gli Evangelici più degli altri suoi colleghi; egli è forse il più moderato. I predicatori specialmente ne' piccoli paesi, ed i confessori nel confessionale dicono anche di peggio.

    Questo P. Perrone era il maestro del nostro Enrico; quindi non è meraviglia, se, istruito da tale maestro, avesse così cattiva opinione del protestantesimo.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:53

    Papi eretici

    Nota 5. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Ecco una nota di alcuni papi i quali hanno errato in materia di fede.
    Papa Zeffirino, nel principio del terzo secolo, approvò la dottrina de' Montanisti, già infallibilmente condannata da' suoi predecessori infallibili come lui.
    Papa Marcellino, verso la fine del terzo secolo, diede tale prova della sua infallibilità che, come dice il pontificale di Damaso ed il breviario romano, giunse fino alla completa apostasia, sacrificando agl'idoli.
    Papa Liberio, nel quarto secolo, secondo la testimonianza di S. Atanasio, di S. Ilario e di S. Girolamo, divenne ariano, e sottoscrisse la confessione di fede ariana.
    S. Girolamo attesta lo stesso di papa Felice II.
    Papa Vigilio, nel sesto secolo, approvò l'eresia eutichiana che negava in Cristo le due nature, la divina e la umana.
    Papa Onorio I, nel settimo secolo, insegnò la eresia de' Monotèliti, e fu condannato come eretico monotèlita dal sesto Concilio generale.
    Papa Niccolò I, nel nono secolo, insegnò che non era necessario battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
    Papa Stefano VI condannò infallibilmente e ferocemente il suo infallibile predecessore papa Formoso, annullando tutti i suoi atti, e dichiarando con ciò che la validità de' sacramenti dipenda dalla persona del ministro, che è una eresia nella Chiesa romana.
    Papa Sergio, successore di Stefano, seguendo infallibilmente l'errore del suo infallibile predecessore, riabilitò Formoso, dichiarò valide le sue ordinazioni, e dichiarò nulle quelle di papa Stefano.
    Papa Giovanni XXII insegnava solennemente che le anime dei santi non entreranno in cielo, se non dopo l'universale giudizio: dottrina condannata come eretica dalla Chiesa romana.
    Papa Giovanni XXIII fu condannato come eretico dal Concilio di Costanza, e deposto dal papato.
    Questi non son che pochissimi de' molti fatti che si potrebbero addurre contro la assurda dottrina della infalliblità de' papi.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:53

    Falsificazione di M. Martini

    Nota 6. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Il Martini con una manifesta falsificazione traduce quel passo così: "I sacerdoti dunque che sono tra di voi, gli scongiuro io consacerdote." Diciamo manifesta falsificazione, sia che si riguardi il testo greco, sia che si riguardi la Volgata latina, la quale in questo passo è stata fedele. Il testo greco dice presbuterouz che significa anziani, e non sacerdoti; se si riguarda la Volgata latina dalla quale traduceva il Martini, essa dice: seniores qui in vobis sunt obsecro consenior. Non si può dunque in nessuna maniera scusare il Martini per tale falsificazione, che evidentemente è stata fatta appositamente, e con mala fede.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:53

    I cardinali

    Nota 7. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Quali sìeno le pretensioni de' papi, e quali le dottrine che insegnano i teologi ed i canonisti sulla podestà suprema del papa, lo abbiamo esposto con citazioni nel capo primo del nostro libro pubblicato ultimamente sul papa, al quale rimandiamo quelli che fra' nostri lettori volessero essere edificati su quelle strane dottrine. Diremo ora qualcosa dei cardinali.

    Papa Innocenzo III nel capo per Venerabilem, riportato nel diritto canonico (decr. Greg. IX, lib. IV, tit. 17), prendendo occasione di spiegare il passo del Deuteronomio cap. XVII, vers. 8-13, dice così, parlando dei cardinali: "I nostri fratelli, i cardinali, sono i sacerdoti della nazione di Levi; i quali per diritto levitico sono i nostri coadiutori nella esecuzione del diritto sacerdotale." Sopra questo testo canonico, abilissimi canonisti hanno insegnato, che il collegio de' cardinali esiste per diritto divino, e che era figurato nel sinedrio dell'antica legge. Papa Eugenio IV nella sua costituzione che incomincia non mediocri, sostiene la stessa dottrina d'Innocenzo III e de' canonisti. Papa Sisto V va anche più innanzi, e nella sua costituzione che incomincia post quam verus sostiene che "i cardinali della sacrosanta Chiesa romana rappresentano gli Apostoli, i quali erano attorno a Cristo il Salvatore quando predicava il regno di Dio, ed operava il mistero della umana salute."

    Il teologo e canonista Lucio Ferraris nella sua biblioteca canonica ec. alla parola cardinales art. 1 n. 2 sostiene che "dopo l'ascensione del Signore, quando S. Pietro esercitava gli uffici pontificali, gli altri Apostoli lo assistevano, e cooperavano nel regime di tutta la Chiesa, come esercitando il cardinalato; inguisachè essi prima di esercitare l'episcopato, esercitando in Roma il cardinalato." E, per sostenere un cotale paradosso, il P. Ferraris si appoggia alla autorità de' canonisti che cita; e particolarmente alla autorità del cardinal Pietro d'Alli che dice: "Da questo si può inferire che gli Apostoli prima di essere Vescovi furono cardinali... al senato degli Apostoli succede il sacro collegio de' cardinali, in quanto che gli Apostoli erano tutti intorno a S. Pietro, prima che fossero Vescovi di Chiese particolari."

    In quanto alla dignità de' cardinali, i papi Eugenio IV, Leone X, e Sisto V dichiarano che dopo il papa non vi è dignità maggiore del cardinalato; essi sono superiori ai vescovi, arcivescovi, patriarchi, quand'anche i cardinali non sieno neppure preti. Essi sono eguali ai re; difatti scrivono e ricevono per il primo dell'anno lettere dai re cattolici, che chiamano col titolo di cugini.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:54

    Gesù Cristo capo della Chiesa

    Nota 8. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Questa dottrina di Gesù Cristo capo unico della Chiesa, ad esclusione di qualunque altro capo, comunque si voglia chiamare, l'abbiamo sufficientemente discussa nel nostro libro sul papa part. 1, capo 2: al quale rimandiamo i nostri lettori.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:55

    Maestri ne' conventi

    Nota 9. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    I frati non mandano i loro studenti nè alle università, nè ne' seminari; ma ogni convento ove sono studenti ha le sue scuole. Il frate che insegna filosofia si chiama lettore di filosofia, e quello che insegna teologia lettore di teologia. In alcuni ordini religiosi vi sono anche i padri mestri; ma questi sono fra i Domenicani, gli Agostiniani, ed i Conventuali. I padri maestri si stimano più avanzati de' lettori; per esempio fra' Domenicani non si diviene P. maestro (ordinariamente) che dopo avere per dodici anni esercitata la carica di lettore. Nei principali collegi dell'ordine un P. maestro è prefetto degli studii, e si chiama reggente.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:55

    Dommatizzanti e sospetti di eresia

    Nota 10. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Potrà a taluni parere una esagerazione la dottrina di questo padre lettore, il quale dice che il nostro Enrico è assolutamente obbligato a denunciare alla inquisizione il sig. Pasquali, sotto pena di essere denunciato egli stesso come fautore di eretici e sospetto di eresia. Dobbiamo giustificare le asserzioni che poniamo nella bocca del P. lettore.

    Noi possediamo un libro raro e prezioso che fa testo nella teoria e nella pratica dell'inquisizione romana: è il libro dell'inquisitore Fr. Nicola Eymeric intitolato: "Directorium inquisitorum." È un volume in foglio di circa 800 pagine, che contiene il testo, e le note di Monsignor Francesco Pegna uditore della S. Rota Romana, dedicato al papa, e stampato con approvazione e privilegio in Roma nella tipografia del Senato Romano. Da questo libro trarremo le nostre citazioni.

    Il sig. Pasquali era eretico dommatizzante. I dommatizzanti, chiamati anche eresiarchi, sono coloro i quali non solo ritengono dottrine condannate come eretiche dalla Chiesa romana, ma che le insegnano sia in pubblico, sia in privato (part. 2 quest. 39 comm. 64); cotali eretici debbono assolutamente essere denunciati; e colui che non li denuncia diviene fautore di eretici, e sospetto di eresia. I fautori degli eretici sono coloro che li favoriscono: "in tre modi si possono favorire gli eretici: primo, per omissione o negligenza; secondo, per il fatto o la cooperazione; terzo, per consigli" (quest. 53 com. 78). Se si parla di magistrati ogni negligenza nel perseguitare gli eretici li rende fautori di essi; in quanto poi ai privati, se essi non li denunziano divengono fautori per la loro negligenza (ibid.).

    Il delitto di essere sospetto di eresia si commette in tre maniere; o a meglio dire nella giurisprudenza inquisitoriale vi sono tre diversi gradi di sospetto: il primo è il sospetto lieve levis suspicio, e si dice lieve perchè è basato sopra lievi congetture; come per esempio se un individuo andasse in riunioni segrete, nelle quali non si sa cosa si faccia. Il secondo è il sospetto veemente vehemens suspicio, che nasce da congetture più forti; come per esempio colui che occultasse gli eretici o si associasse con essi, dasse o ricevesse doni da loro, o cose simili, sarebbe sospetto de vehementi, secondo il frasario inquisitoriale. Il terzo grado si chiama sospetto violento violenta suspicio; come per esempio se alcuno ricevesse volentieri le consolazioni spirituali dagli eretici, frequentasse le loro riunioni ec. Nel sospetto di primo grado si è chiamati al S. Uffizio e si è obbligati a fare l'abiura; nei sospetti del secondo grado si procede alla carcerazione, e fino alla tortura: per il terzo grado devono essere trattati come eretici (part. 2 direct. quest. 55, comm. 80; 3 part. quest. 61, comm. 110). Questa giurisprudenza inquisitoriale non è punto abolita in Roma.
    Pedro
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    00 11/02/2010 17:56

    Il S. Uffizio ai tempi di papa Gregorio

    Nota 11. alla lettera sesta di Roma Papale 1882

    Questo fatto è una verità; eppure quando Pio IX aveva la fama di liberale nessuno lo voleva credere. Gregorio XVI era un uomo terribile per le cose politiche: nel suo tempo il S. Uffizio si occupava molto per iscoprire i liberali per mezzo della confessione, come dimostreremo in un'altra nota; ma per le cose religiose era piuttosto tollerante, di quella tolleranza che nasce da indifferenza. Quando egli morì, nelle carceri del S. Uffizio non vi era che l'arcivescovo Cashur, di cui avremo occasione di parlare; ma, appena divenuto papa Pio IX, le carceri del S. Uffizio incominciarono a riempirsi. È vero che a ciò contribuì anche la morte del P. Olivieri commissario della inquisizione, uomo dotto e molto liberale, che per quanto era in lui addolciva il rigore di quel terribile tribunale. Il suo successore ignorante e fanatico avea bisogno di farsi perdonare molte cose, e perciò affettava ed affetta zelo e religione.

    Pedro