00 23/09/2009 23:10
La prima volta è accaduto lì, sui gradini della metro, in un afoso agosto di una Milano surreale e stanca: poca gente in giro, eccetto i fortunati lavoratori. Sono salita trafelata e sudata già alle 7,30 di mattina, di corsa come sempre, tanto da spargere i fogli del plico verde contenente l'abstract dell'ennesimo burocatico progetto sul pavimento. In altri momenti mi sarei vergognata, arrossendo e collezionando altre figuracce a raffica, con questo egecentrico senso di essere sempre negli occhi di tutti. Quella mattina non c'era quasi nessuno, quindi potevo tranquillamente riordinare tutto. Mi sono chianata, il mio vestito leggero colorato di blu ha mosso l'aria come un'onda, e ho iniziato a raccogliere i fogli. E mentre le mani a terra radunavano pensieri, ho incontrato i suoi occhi, in alto sopra di me. Uno sguardo intenso, color nocciola, uno sguardo che mi sembrava di conoscere già. "Ti aiuto", mi ha detto sottovoce. Io sotto di un tono ho solo risposto "Grazie". Tutto è tornato al proprio posto, nel plico verde ed io pure, nel sedile accanto al vetro. Lui scende sempre un paio di fermate prima di me, ma lo avrei scoperto dopo. Sono andata in ufficio, i fogli che erano caduti e raccolti dallo sconosciuto mi sembravano profumati, di un'aria fresca, quasi un brivido che percepivo. Come sentivo quello sguardo in cui il mondo, il mio mondo per un attimo si era fermato. La mattina successiva avevo già bisogno di quegli occhi nocciola da indossare. Così sono salita sulla stessa carrozza, la numero tre, del giorno prima. Questa volta non sono inciampata nel gradino, bensì nei suoi occhi, fissi nei miei, da due sedili opposti e paralleli. Anche questa volta è sceso due fermate prima della mia. Il terzo giorno mi ha guardato sfrontatamente, con i suoi occhi addosso ho sentito una vampata di calore bruciarmi sul viso, sul collo e altrove. Quasi una piacevole mancanza di ossigeno. Sono scesa, e Milano mi sembrava addirittura colorata. A lavoro non c'è molto da fare, io penso a quello sconosciuto che si siede di fronte, mi guarda, mi fa sentire desiderata, e mi perdo a ricordare da quanto tempo non accadesse. Nella seconda settimana ho iniziato a guardarlo anche io da sfacciata: non sono una persona libera, non so cosa vorrei, forse solo parlargli. Incontrarlo. E diventa un pensiero ossessivo, ricorrente. Un giorno ho sentito la sua voce, mentre era al telefono. Ha una voce calda, sorride e ride spesso. E a guardarlo viene da ridere anche a me. Mi fa sembrare il mondo migliore. Ha spesso grandi buste piene di libri. A volte ascolta la musica con l'i-pod, spesso troppo alto di volume, e in fondo mi piace pensare che tenga la musica alta perchè me la stia dedicando. Penso a lui spesso, anche quando torno a casa, sdraiata sul divano, mentre affetto i pomodori, davanti a un film,o camminando per qualche sagra. Penso a lui spesso, e sento di desiderarlo, sento che mi brucia dentro, oltre la pelle stessa, in quell'intimità di pensieri che esulano dal puro desiderio. Lo sento come il fuoco, come il pericolo, come una droga a cui non si può rinunciare. Ogni tanto mi siedo lontana da lui, tentando ingenuamente e senza volontà di disintossicarmi. Ma dopo è anche peggio: ci ritroviamo occhi negli occhi, i respiri ad un passo dallo sfiorarci, in un limite tra l'orizzonte e il tempo. Non credevo potesse accadere, non volevo che accadesse. In fondo non è accaduto niente. Ma intanto è autunno, Milano si veste di foglie accartocciate, la metro straripa di gente nella propria fretta. Lui c'è sempre. Io non resisto più. Ho bisogno di varcare questa soglia, di rompere il silenzio. Perchè mi opprime questo trattenersi, questo esserci ed evitarsi, come un respiro troppo lungo sott'acqua che poi fa scoppiare d'aria. So di essere infondo debole, e infondo di non sentirmela. Di non squilibrare le reti finemente intessute che sono il mio microcosmo. Così adesso salgo sulla carrozza numero 10. E non lo vedo più. Ciò non significa che non lo pensi, ma si soffre di meno, ed è più facile. E mi manca: il gioco sottile di sguardi, un appartenersi senza stringersi, le fantasie che fluttuano, la sua presenza, il suo profumo, il colore nocciola in cui mi sentivo semplicemente bene. In fondo erano gli unici occhi in cui non mi dispiaceva restare a lungo. Tutto è tornato apposto: le strade affollate, Milano in bianco e nero, le piogge di Settembre, i fogli dell'abstract. So tuttavia che da allora qualcosa dentro di me invece è ancora sparso sussurrante sul pavimento dell'anima, senza trovare un posto: bruciano sottili ceneri, e non è silenzio.
_________________________________
La vera autenticità non sta nell'essere come si è ma riuscire ad assomigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi. (P.Almodovar)