IL FOCOLARE

Curiosità e invenzioni in cucina

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    kamo58
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    Sesso: Femminile
    00 07/07/2009 12:51
    L'invenzione del ghiacciolo risale ai primi anni del XX secolo e si deve a una scoperta casuale da parte di Frank Epperson (allora undicenne), che in una notte gelata aveva lasciato sul davanzale della finestra un bicchere di acqua e soda con dentro il bastoncino che aveva usato per mescolare. Il giorno dopo, Frank riuscì a liberare il blocco di ghiaccio formatosi facendo scorrere acqua calda sul bicchiere, e prese a mangiare il primo "ghiacciolo" usando il bastoncino come manico.

    Nel 1923, Epperson ottenne il brevetto per l'idea del "ghiaccio sul bastoncino", e battezzò l'invenzione popsicle. In Italia, i ghiaccioli sono giunti nel secondo dopoguerra, portati dagli americani insieme ad altri dolci di produzione industriale analoghi come i coni gelato.

    p.s. grazie ai rompicapo di Ciokky [SM=g1807565]
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    locandiera75
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    Città: PRATO
    Età: 48
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    00 10/07/2009 11:20
    proprio in merito al ghiacciolo quando dr oste e annasposa con la sua famiglia sono venuti a trovarci siamo a andati a visitare firenze e li abbiamo mangiato una cosa buonissima il gelato a forma di ghiacciolo, ma non il solito succo congelato, ma frutta frullata a forma di ghiacciolo.....una bontà. infatti ieri sono andata al supermercato e visto che annasposa mi aveva detto che esistevano le formine per fare i ghiaccioli e lei le aveva, ieri le ho comprate e quindi presto mi cimenterò in questa cosa poi vi faccio sapere.... [SM=g1854728]
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    dr.oste
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    Città: VENEZIA
    Età: 59
    Sesso: Maschile
    00 10/07/2009 16:49
    buono quel gelato mangiato a Firenze..........
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    kamo58
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    00 14/07/2009 11:38
    L'invenzione del cibo in scatola
    In Francia, ai tempi di Napoleone, fu fatta una scoperta per approvvigionare le armate francesi, per cui i soldati mangiavano meglio e rendevano di più. Gli inglesi insospettiti misero in azione i loro servizi segreti. I vasetti della carne in scatola e dei fagioli bolliti passarono nelle mani di un emissario di Albione e da questo ai tecnici della sussistenza inglese. Il segreto fu scoperto dando vita all'era dei cibi in scatola. L'inventore di tale sistema fu un parigino, Nicolas Appert, inventore del metodo che porta il suo nome, che, pur non essendo un scienziato, bensì prima pasticcere e poi mercante di vini, ebbe l'intuizione che per conservare gli alimenti bastasse rinchiuderli in barattoli di vetro, facendoli poi bollire a lungo in una caldaia. Era il 1795 e più tardi Napoleone proclamerà Appert "benefattore del genere umano". Ma lo sfruttamento industriale della scatoletta andrà agli inglesi che, dalle industrie di Donkin-Hill, a partire dal 1814, si diffuse in tutto il mondo. In Italia fu importato da Francesco Cirio.
    [Modificato da kamo58 14/07/2009 11:39]
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    locandiera75
    Post: 287
    Città: PRATO
    Età: 48
    Sesso: Femminile
    00 14/07/2009 12:10
    Re: L'invenzione del cibo in scatola
    kamo58, 14/07/2009 11.38:

    In Francia, ai tempi di Napoleone, fu fatta una scoperta per approvvigionare le armate francesi, per cui i soldati mangiavano meglio e rendevano di più. Gli inglesi insospettiti misero in azione i loro servizi segreti. I vasetti della carne in scatola e dei fagioli bolliti passarono nelle mani di un emissario di Albione e da questo ai tecnici della sussistenza inglese. Il segreto fu scoperto dando vita all'era dei cibi in scatola. L'inventore di tale sistema fu un parigino, Nicolas Appert, inventore del metodo che porta il suo nome, che, pur non essendo un scienziato, bensì prima pasticcere e poi mercante di vini, ebbe l'intuizione che per conservare gli alimenti bastasse rinchiuderli in barattoli di vetro, facendoli poi bollire a lungo in una caldaia. Era il 1795 e più tardi Napoleone proclamerà Appert "benefattore del genere umano". Ma lo sfruttamento industriale della scatoletta andrà agli inglesi che, dalle industrie di Donkin-Hill, a partire dal 1814, si diffuse in tutto il mondo. In Italia fu importato da Francesco Cirio.



    gran bella invenzione concordo a pieno
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    kamo58
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    00 20/07/2009 14:54
    Storia della pasta e ceci a Roma
    La preparazione della pasta e ceci a Roma si lega alla restrizione sancita dalla chiesa durante il periodo quaresimale e nei giorni dichiarati di "magro" generalmente il venerdì.
    In quei giorni moltissimi alimenti erano vietati in particolare tutto ciò che aveva a che fare con la carne.
    Ancora oggi è rimasta la tradizione di consumare pasta e ceci di venerdì, anche se si è perso lo spirito originario di questa usanza.
    Facendo un passo indietro nella storia antica si apprende che questo legume è uno dei più antichi consumati dall'uomo.

    Originari dell'Oriente, conosciuti in Egitto e cantati da Omero, il loro nome deriva dalla parola latina "aries" (ariete), che richiama la forma del seme.
    Il cece (cicer arietinum) è conosciuto solo in forma coltivata, e gli antichi Romani, che usavano i legumi non solo per il loro valore gastronomico ma anche per dare un nome alle famiglie, con i ceci (ciceri) designarono quella del celebre oratore Cicerone.
    Al cece sono inoltre legati i “Vespri Siciliani”, la rivolta popolare scoppiata a Palermo nel 1282 per porre fine al dominio Angioino. La parola ciceri (ceci) a quel tempo fu usata come discriminante tra la vita e la morte, le persone sospettate di essere francesi travestiti erano costrette a pronunciare il termine “ciceri”: se lo accentavano nella “i” finale, dicendo “cicerì” venivano uccise.
    Coltivato in tutto il bacino del Mediterraneo, questo legume è particolarmente diffuso in Medio Oriente e in India dove rappresenta un alimento di base. Il seme, raccolto tra giugno e ottobre, viene impiegato in cucina allo stato secco, ricavandone farine, minestre e contorni.

    Un rapido salto nel tempo ed arriviamo a Papa Gregorio Magno il quale era solito consumare una frugale zuppa di ceci portatagli da sua madre al monastero di S. Andrea al Clivo di Scauro, in una tazza d'argento che poi il papa donò come elemosina. Era composta da ceci e castagne, nutriente ma molto povera. L'uso delle zuppe di ceci e castagne risale agli etruschi e da quei lontani secoli arrivò fino alla mensa di papa Gregorio.

    La ricetta della pasta e ceci romana però è molto differente.
    Innanzitutto prevede l'uso del rosmarino che è indispensabile nella preparazione di questo piatto.

    La pasta e ceci romana viene anche citata nel cinema, nel film "i soliti Ignoti" nella scena finale, i protagonisti entrati in una casa per sbaglio, trovano nel frigorifero una bella pentola di pasta e ceci alla quale fanno onore consolandosi così per l'insuccesso della rapina.



    qui la ricetta.
    [Modificato da kamo58 20/07/2009 16:07]
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    kamo58
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    00 24/07/2009 19:48
    buono come il pane
    Si dice buono come il pane, per definire una persona dal carattere mite. Il pane è stato per secoli, l’alimento base dell’alimentazione umana, ha tantissimi anni, si può dire che è nato con la civiltà.
    In Italia l'arte del pane iniziò tardi, anche se i nostri panettieri erano i più raffinati. Nacque a Roma nel 168 A. C. quando sconfiggemmo Perseo, re macedone, e i suoi schiavi greci ne importarono la lavorazione. Si narra che nelle case nobili il pane era diverso per ogni occasione a seconda del pranzo e degli invitati; venivano fatte forme ogni volta diverse, mentre i poveri mangiavano soltanto pane scuro.
    Chi inventò il pane fatto con il lievito di birra fu Maria de' Medici. Sposò nel 1600 Enrico IV re di Francia ed esportò in Francia il lievito di birra dando il via al raffinato pane francese.
    Ogni mattina in Italia escono dai forni dei panettieri 10.000 tonnellate di pane. Siamo i maggiori consumatori d’Europa. Ogni regione ha le sue forme e i suoi tipi di pane: ne sono stati censiti almeno 250, alcuni dei quali in via di estinzione.
    Eccone alcuni: il Bauernpaarl di segale dell’Alto Adige, i cucciddatu di carrozza, con grano duro di Trapani, i cicoli con grasso di maiale di Sorrento, la ciriola romana, il gramolato lavorato a mano del Trentino. Proprio per evitare la sparizione,di pani artigianali dalla lunga tradizione, sono stati istituiti i pani D.o.p.: Altamura (BA), Altopascio (LU), Bondeno (FE), Busca (CN), Cantiano (PE), Castelvetrano (TP), Ferrara, Genzano (Roma) e tanti altri.
    La protezione di pani storici, è molto importante,specialmente dopo l’approvazione della legge del 16 febbraio 1999, in tale data infatti, è entrato in vigore un nuovo regolamento che adegua le norme di panificazione italiane a quelle europee, il pane potrà essere fatto con l’aggiunta di qualsiasi alimento.

    In passato il pane è stato l’alimento base per generazioni, e alla sua preparazione sono legati riti, che purtroppo con l’industrializzazione si sono persi.
    Un tempo, nel periodo di novembre-dicembre, tutti i valdostani si recavano al forno del villaggio per produrre lo pan ner, ovvero il pane nero, che sarebbe servito per tutto l'inverno. La panificazione durava intere settimane senza interruzioni, per evitare che il forno si raffreddasse e risparmiare così un po' di legna. Quando una famiglia terminava il lavoro, subito un'altra le succedeva, continuando il lavoro anche di notte. Tra gli abitanti del villaggio c'era un rapporto di mutua collaborazione: ogni famiglia faceva trovare a quella successiva l'acqua calda ed il lievito madre per l'impasto, si socializzava, ci si aiutava e il tutto veniva fatto in allegria.
    In tutto il mondo il pane è sinonimo di tradizione: i canadesi benedicono sempre il pane prima di infornarlo; mentre gli ebrei gettano una pallina di pasta di pane nel forno, prima di cuocerlo, per offrire il primo pezzo a Dio. In Russia si fanno gli auguri con il pane perché chi mangia pane da qualcuno è in debito con lui e non lo deve tradire mai; mentre in Polonia , la sposa, finita la messa, dà agli invitati delle bambole fatte di pane con all'interno una moneta come augurio. In Calabria c' è una tradizione chiamata dei "panpepati" che sono pani modellati a mano con cui si fanno oggettini per pellegrinaggi o ex voto, oppure si fanno figure per il presepe fatte di mollica colorata. Esistono poi anche aneddoti e leggende intorno al pane.
    Lo sapevate perché mettere il pane capovolto a tavola è oggi considerato, soprattutto dai più anziani, un atto di maleducazione, quasi un gesto che può "portare male"? Per capirne il significato dobbiamo risalire all'inizio del XV secolo. In quel tempo il re di Francia, Carlo VII, aveva sancito una tassa in natura a favore del boia. Il pane destinato dai panettieri a questo non simpatico personaggio veniva posto sul bancone rovesciato, in modo che fosse ben evidente la destinazione.
    Vi sono anche feste locali legate al pane: Il 28-29 aprile a Castelvetere Sul Calore, vi è la "festa del pane miracoloso" dedicata a Maria Santissima Delle Grazie. Le ragazze del paese sfilano in processione indossando numerosissime collane e monili. Portano il pane in chiesa, che dopo la benedizione, viene distribuito di casa in casa.
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    kamo58
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    00 30/07/2009 11:56
    L'origine della colomba pasquale
    Eccovi alcune leggende.
    La colomba, intesa come dolce, ha profonde radici nell’epoca medioevale, quando Re Alboino calò in Italia con le sue orde barbariche per assalire Pavia. Dopo un assedio di tre anni, arso da un forte desiderio di vendetta, finalmente Alboino riuscì ad entrare in città, alla vigilia della Pasqua del 572.
    Ma secondo una leggenda, la città fu salva per uno stratagemma di un vecchio pasticcere.
    Il re era ancora indeciso se vendicarsi o no, anche se aveva già ricevuto in segno di sottomissione vari regali fra i quali anche dodici meravigliose fanciulle. Fu allora che, davanti al trono ubicato nel sagrato della basilica, si presentò un vecchio artigiano : "Alboino, io ti porgo questo simbolo, quale tributo di pace nel giorno di Pasqua.”
    Il pasticcere aveva offerto al re un dolce a forma di colomba, così buono ed invitante che “costrinse” il sovrano ad una promessa: "Pace sia e rispetterò sempre anche le colombe simbolo della tua delizia". Quel dono presentato ad Alboino, nascondeva però un sottile inganno. Infatti, quando il re prese ad interrogare le fanciulle che gli erano state regalate, domandando a ciascuna il proprio nome, scoprì che rispondevano tutte a quello di “Colomba”. Alboino comprese l’arguto raggiro che gli era stato giocato, ma rispettò lo stesso la promessa fatta, salvando sia la popolazione dalla sua vendetta che le "Colombe" dalla sua bramosia sessuale.

    La creazione della colomba pasquale è legata però anche ad un’altra leggenda. Questa è fatta risalire al tempo di Federico Barbarossa e della Lega dei Comuni lombardi (XII° sec.).
    L’idea sarebbe nata ad un condottiero del Carroccio che, osservando durante la battaglia due colombi posarsi sopra le insegne lombarde, decise d’infondere ai suoi uomini il nobile spirito di quegli uccelli, facendo confezionare dai cuochi dei pani a forma di colomba.
    I primi ingredienti di questo dolce pasquale erano molto semplici: uova, farina e lievito. In seguito ne furono aggiunti di più ricchi: burro, zucchero, mandorle e canditi.
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    kamo58
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    00 26/11/2009 20:59
    Qualche notizia sul riso
    Secondo un'antica leggenda cinese la nascita del riso fu conseguenza di una terribile carestia, quando il Buon Genio della campagna, impotente e disperato perché non sapeva come sfamare il suo popolo, si strappò i denti e li gettò al vento. Finirono in una palude, dove si trasformarono in semi. E i semi diventarono tante piantine verdi, i cui frutti (tolta la buccia) erano migliaia e migliaia di chicchi di riso che per il loro candore rievocavano i denti dello spirito benefico. Così sarebbe nato, secondo i cinesi, il prezioso cibo che da allora non ha smesso di consolare le loro mense.

    Il suo uso alimentare, sul territorio nazionale, può esser fatto risalire alla fine del quindicesimo secolo. All’epoca, tuttavia, da noi la produzione era ancora piuttosto scarsa ed il riso era cibo di lusso conosciuto soprattutto (anzi, quasi esclusivamente) sulle mense principesche. Si trattava, perciò, di una situazione ben diversa da quella di tempi più recenti, quando il riso ha incominciato ad incunearsi saldamente nella tradizione gastronomica nostrana.

    Le ricette italiane più tipiche, consegnano ai buongustai un’ampia scelta di piatti d’ogni città e regione. Qualche esempio? Il “riso con le grive” (tordi) delle zone risicole del Piemonte che regalano anche la “panissa” vercellese e la “paniscia” novarese (due gustose variazioni su un unico tema, riso e fagioli), il “riso con le luganeghe” o salsicce, il celebre cinquecentesco “risotto alla milanese”, il mantovano “risotto alla pilota” con le salamelle soffritte nel burro (“pilota” era il “maestro della pila”, la fabbrica dove un tempo si procedeva a scortecciare il riso).

    Il “risotto alla milanese”, forse il più famoso tra i risotti gialli, ha una storia che s’intreccia strettamente con quella della risicoltura nella Pianura Padana. E, va da sé, anche con quella dello zafferano che gli conferisce l’inconfondibile colore ed è giunto fino a noi dall’Oriente seguendo in parte la stessa strada del riso.
    Il felice connubio tra questi due elementi risalirebbe ad una data ben precisa, legata ad una vicenda sviluppatasi nell’ambiente della “Fabbrica del Duomo” di Milano. La decisione di dotare la cattedrale di grandi vetrate aveva richiamato nella città lombarda uno stuolo di artisti. Fra questi c’era il fiammingo Valferio Perfunavalle, di Lovanio, che tra gli altri colori intensi utilizzava lo zafferano per dare brillanti toni di giallo alle vetrate (a lui si devono, fra il 1572 e il 1576, quelle dedicate alla vita di S. Giuseppe, alla storia di S. Martino e alla presentazione della Vergine).
    Costui aveva una figlia, la pittrice Prudenzia, che si sposò nel 1574. Ed è a questo punto che entra in ballo il risotto alla milanese. Vale a dire il risotto, squillante di giallo come certe stupende vetrate, che si videro servire i commensali al pranzo di nozze.
    Cos’era accaduto? Null’altro che uno scherzo, magari un po’ stupido, ma certo saporito! Già, perché - con successiva soddisfazione di tutti i presenti e di non pochi posteri - un aiutante di Mastro Valerio, non per caso soprannominato “Zafferano”, aveva convinto il cuoco a trasferire l’impiego del croco dai ponteggi del Duomo alla cucina.
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    kamo58
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    00 06/12/2009 18:34
    Pentola a pressione
    L'idea della pentola a pressione si basa sul fatto che il punto di ebollizione dell'acqua varia in funzione della pressione. In alta montagna, dove la pressione atmosferica è minore rispetto a quella a livello del mare, l'acqua è in grado di bollire a temperature inferiori ai 100° C, mentre se la pressione è maggiore, l'acqua è in grado di bollire a temperature superiori.
    In qualsiasi pentola tradizionale, l'ebollizione dell'acqua avviene ad una temperatura di circa 100° C, e non è possibile portare le pietanze ad una temperatura più alta di questa. Infatti, al momento di bollire, l'acqua evapora e, come dimostrano le leggi della fisica, sottrae calore al liquido ed alla pentola. Fin tanto che ci sarà liquido in grado di evaporare e fuoriuscire, quindi, nessuna fonte di calore dovrebbe poter innalzare la temperatura al di sopra dei cento gradi, non almeno in condizioni di pressione atmosferica normale. È vero che chiudendo la pentola con un coperchio tradizionale si potranno ridurre le perdite di calore, ma ciò non porterà mai ad un sensibile innalzamento della temperatura.
    Con la pentola a pressione è invece possibile bloccare più o meno completamente la fuoriuscita di aria e vapore, sicché vi sarà al suo interno un notevole aumento della pressione, anche a 2 bar (sarà dunque doppia rispetto a quella riscontrabile nell'atmosfera). Il punto di ebollizione dell'acqua, a livelli di pressione talmente alti, sarà innalzato a valori di 120° C o superiori (vedi collegamenti esterni, The Physics of Pressure Cooker): raggiungendo tali temperature, le pietanze potranno cuocersi in tempi considerevolmente ridotti.
    Il prototipo fu inventato dal fisico Denis Papin nel 1691, si chiamava digesteur e non ebbe nessun successo commerciale.
    Egli aveva anche inventato la valvola di sicurezza per evitare lo scoppio in caso di aumenti incontrollati di pressione.
    Nel 1927, la ditta tedesca Silit commercializzò un suo modello, ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale iniziarono la diffusione e lo sviluppo di questo metodo di cottura. La ditta francese SEB brevettò in seguito un modello perfezionato, e a partire dagli anni cinquanta nacquero modelli sempre nuovi e sempre più diversi tra di loro.
    Il vantaggio principale di questo tipo di cottura sta senza dubbio nel risparmio di tempo. Il consumo di energia viene ridotto in misura drastica (anche perché le perdite di calore sono minime e la cottura procede dunque a fuoco basso). Inoltre, la pentola a pressione aiuta in genere a risparmiare diversi tipi di sostanze nutritive.
    Uno svantaggio del sistema di cottura a pressione sta indubbiamente nel ristretto ambito di uso, dato che non tutti i cibi possono esser preparati con questo metodo.

    Tra i cibi più adatti, vi sono senza dubbio, i cereali e le patate. Lo stesso discorso vale per i legumi, dato che le alte temperature possono distruggere in maniera ottimale le sostanze nocive che si ritrovano nel seme crudo. È un metodo adatto anche a spezzatini e bolliti.

    La pentola a pressione è sconsigliabile per i grassi sensibili al calore come l'olio di girasole, per tutti gli alimenti a cottura rapida e per quelli che richiedono un alto grado di precisione nel tempo di cottura.

    Per quanto riguarda la perdita di vitamine durante la cottura, il discorso va differenziato a seconda del caso. Se da un lato le temperature più alte ne favoriscono la distruzione, va detto che grazie all'accelerazione dei tempi di cottura, la cottura a pressione può benissimo risultare più indicata per preservare questi preziosi elementi nutritivi: infatti la temperatura viene maggiorata di poche decine di gradi, mentre i tempi di cottura possono essere ridotti, per esempio, ad un terzo di quelli necessari per la cottura tradizionale.


    [Modificato da kamo58 06/12/2009 18:35]
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    kamo58
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    00 11/12/2009 10:22
    La Moka,




    comunemente chiamata anche caffettiera, è un apparecchio per la preparazione del caffè, ideato da Alfonso Bialetti nel 1933. Il corpo è fatto di alluminio e le maniglie di bakelite[1]. Esistono diverse taglie di moka, che possono produrre l'equivalente in caffè di una fino a diciotto tazzine.

    Per fare il caffè con questa macchina, si riempie d'acqua il bollitore (A), e si inserisce il filtro metallico a forma di imbuto (B). In quest'ultimo si introduce il caffè macinato, poi viene avvitata la parte superiore (raccoglitore, dotato di un secondo filtro). Mettendo sul fuoco la moka, l'acqua si riscalda e si produce così vapore nel bollitore. Il vapore, espandendosi, esercita la sua pressione sulla superficie dell'acqua, la cui massa viene spinta così verso il basso (vedi figura). Trovando uscita solo attraverso l'imbuto del filtro, l'acqua sarà costretta a salire attraverso quest'ultimo (A → C). Giunta a metà strada, passerà attraverso la massa del caffè producendo la bevanda per infusione. Infine, il caffè andrà a depositarsi nel raccoglitore passando attraverso una cannula detta "camino".
    caffettiera moka

    La pressione raggiunta con questo metodo è leggermente superiore a quella atmosferica, sicché è possibile raggiungere temperature più alte che con altre caffettiere quali la napoletana.

    Quando il processo è giunto a termine, solo aria e vapore passano dal bollitore al raccoglitore superiore, dato che il livello di acqua nel bollitore sarà sceso al livello dell'entrata del filtro ad imbuto. L'acqua residua nel bollitore impedirà un surriscaldamento.

    Una guarnizione assicura la sicurezza dell'avvitamento ed una valvola di sicurezza previene un aumento eccessivo della pressione nell'apparecchio (dovuto di solito a otturamenti).

    L'origine del nome dell'apparecchio risiede nel nome della città di Mokha in Yemen, una delle prime e più rinomate zone di produzione di caffè, in particolare della pregiata qualità arabica. Di questa qualità speciale troviamo curiosa testimonianza nel capolavoro di Voltaire, Candido, quando il protagonista, in viaggio nell’allora Impero Ottomano, viene ricevuto da un ospite che, tra le altre cose, gli offre una bevanda preparata «con caffè di Moca non mescolato con il cattivo caffè di Batavia e delle Antille».

    Il decalogo di un buon caffè le regole ogni italiano le sa, ma non fa mai male a ripassarle.

    La moka va sempre sciacquata senza detersivo e riposta smontata per impedire la formazione di cattivi odori.

    Riempire il filtro in modo uniforme e senza pressare il caffè; comprimerlo ma solo leggermente se si desidera un caffè piu' forte.

    Si puo' mettere meno miscela (mai meno di 2/3) per un caffè più leggero

    L'acqua deve essere sempre fredda, non calcarea o salmastra; nel dubbio usare acqua minerale naturale, ma non bollita e raffreddata.

    Il livello dell'acqua deve essere a filo del filtro senza superarne il fondo.

    La fiamma del fornello deve essere media.

    Il coperchio della moka dovrebbe essere aperto per fare si che la condensa non ricada nel caffè modificandone il gusto.

    Impedire al caffè di bollire, togliendo la moka dal fornello appena tutta l'acqua è passata attraverso il filtro; l'ideale sarebbe spegnere la fiamma qualche istante prima.

    Mescolare il caffè

    Versarlo subito nelle tazzine.
    [Modificato da kamo58 11/12/2009 10:25]
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    kamo58
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    00 27/12/2009 15:47
    Il forno a Microonde



    Non sembrava proprio che avrebbe avuto questo successo quando nel 1947 Percy Spencer, impiegato della Raytheon, mentre realizzava magnetron per apparati radar si trovò squagliata nella tasca una barretta di cioccolato. Capì che non era un caso. Provò a cuocere nello stesso modo il pop corn, con successo, poi un uovo che tristemente esplose. Nel 1946 la Raytheon brevettò il processo di cottura a microonde e nel 1947 realizzò il primo forno commerciale, chiamato Radarange: 1,8 metri di altezza, 340 Kg, 5mila dollari, non proprio un gadget. Bisognerà aspettare il 1967 per un modello casalingo a 500 dollari, il 1975 perché per la prima volta il microonde superasse in vendite il forno tradizionale, l'anno successivo perché entrasse nel 60 per cento delle case Usa.

    In Italia tutto fu più lento, anche perché negli anni '80, quando il microonde fu lanciato sul mercato con grande pubblicità, molti lo accusarono se non di uccidere con fantomatici veleni i cibi, sicuramente di cancellare con oltraggio il sacro rito del pranzo nelle famiglie. Ma le abitudini sono più forti delle paure, come si sa. Inesorabili i cambiamenti di stile di vita anche da noi, giornate più lunghe di lavoro, pranzi fuori e veloci, donne non più associate per tradizione alla preparazione dei pasti. Così il microonde non solo è sopravvissuto alle ingiurie, ma ha migliorato le sue performance tecniche e conquistato appassionati difensori tra le nuove generazioni e anche tra le più ortodosse delle casalinghe.
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    kamo58
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    00 01/02/2010 19:45
    L'invenzione del tovagliolo

    Alla fine del Medioevo i nostri antenati non solo non conoscevano il tovagliolo, ma usavano pulirsi bocca e mani con la tovaglia.
    Un gesto ai nostri occhi rozzo e dozzinale che a quel tempo accomunava ricchi e poveri, contadini e re di tutto il mondo.
    Fu solo alle porte dell’età moderna, e più precisamente nel 1491, che il tovagliolo iniziò ad approdare timidamente sulle tavole dei signori per merito del grande genio Leonardo Da Vinci.L’amore di Leonardo per la tavola era talmente grande che vedere l’incuranza e la sporcizia durante i banchetti del suo signore, Ludovico Sforza “il Moro”, gli procurava un profondo senso di fastidio.
    D’altra parte basta osservare la sua “Ultima Cena” per comprendere quando importante fosse per Leonardo l’ordine in tavola e quanto, invece, fossero lontane da quell’ordine e pulizia le mense dell’epoca.
    L’inciviltà alla quale assisteva durante i banchetti, portarono Leonardo a pensare che se ognuno avesse avuto una sua piccola tovaglia, nessuno si sarebbe più pulito la bocca e le mani sulla tovaglia grande che in questo modo sarebbe rimasta pulita.

    Fu così che il genio di Leonardo partorì l’idea del tovagliolo, così chiamato proprio perché ricordava una tovaglia in miniatura.
    A testimonianza di quanto il problema della sporcizia toccasse Leonardo, ci sono numerose lettere inviate da Pietro Alemanni, ambasciatore Fiorentino a Milano, al signore di Firenze in cui lo informa che per risolvere il dilemma del tovagliolo, il maestro decise di accantonare momentaneamente le sue abituali attività di scultore, pittore e matematico.

    C’è da dire, però, che la pazienza e la dedizione di Leonardo nei confronti di questa invenzione, non diedero inizialmente i frutti sperati: durante la prima apparizione pubblica del tovagliolo sulla tavola di Ludovico il Moro, i commensali non capirono a cosa servisse quella piccola tovaglia posta di fronte e loro ed iniziarono a tirarsela addosso l’un l’altro, ci si soffiarono il naso, ci si sedettero sopra ed alcuni, addirittura, lo utilizzarono per avvolgervi il cibo da portare via.
    Alla fine del banchetto, la tovaglia era sporca come sempre e Mastro Leonardo non riusciva a capacitarsene perché aveva pensato che la sua invenzione avrebbe riscosso un grande successo.

    L’intraprendente Leonardo, però, non gettò la spugna e per dimostrare quanto ci tenesse al progetto dei tovaglioli, ideò una lunga serie di schemi che spiegavano come piegarli in modo da ottenere diverse forme che ricordassero dei fiori, degli uccelli o dei palazzi.

    Ma non è finita qui perché Leonardo ideò degli interessanti macchinari ruotanti per asciugare i tovaglioli dopo il lavaggio che potevano essere manovrati dagli uomini e, non è ancora chiaro in che maniera, dalle api.

    fonte: giallo zafferano
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    kamo58
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    Sesso: Femminile
    00 30/06/2010 09:34
    La cucina della Roma antica

    Gran parte delle ricette a noi pervenute sono dovute al " De re coquinaria" un ricettario composto da 10 libri, tramandatoci dal gastronomo Marco Gavio Apicio che scriveva ai tempi dell'imperatore Tiberio quando la cucina romana aveva perso quel carattere di frugalità che l'aveva contraddistinta nei secoli fino alla fine della repubblica ed era il vanto di quel Catone che tanto amava le antiche tradizioni. E' una raccolta di 450 ricette per tutti i gusti e tutte le fantasie, che ha permesso di conoscere i vari tipi di prodotti utilizzati nella cucina romana; questa raccolta, coadiuvata dalle molte scoperte archeologiche, prime fra tutte quella di Pompei e di Ostia antica, ha permesso di ricostruire non solo i vari piatti dell'epoca, ma anche l'ambiente dove venivano consumati, anche sulla base di quanto raccontatoci da personaggi come Plinio, Giovenale, Marziale, Petronio e di altri scrittori classici latini che spesso accennavano nei loro scritti a scene di vita quotidiana.

    Questa per esempio è una delle sue ricette, che potrebbe benissimo essere riproposta oggi

    Budinetti di farro
    Metti a bagno 200 gr. di farro on molta acqua per almeno 12 ore. Lava, frantuma grossolanamente (alica), aggiungi 50 gr. di pinoli e 50 gr. di mandorle spellate, lessa fino a che il farro è morbido. Aggiungi 50 gr. di uva passa, mezzo bicchiere di Marsala all'uovo, lavora fino ad omogeneità, versa in tegamini individuali e spargi di pepe spezzato. Servi freddo.

    Il condimento per eccellenza, usato su tutte le pietanze era il garum.
    Il garum è una salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti primi piatti e secondi piatti. Il vocabolo è di etimologia incerta.
    Le notizie su questo condimento sono molto frammentarie e talvolta contraddittorie, di conseguenza c'è incertezza su cosa fosse e come si preparasse.
    Alcuni sostengono fosse simile alla pasta d'acciughe, altri al liquido della salamoia delle acciughe sotto sale che nella costiera amalfitana ed in particolare a Cetara si può gustare anche oggi con il nome di "colatura".

    Apicio nel De re coquinaria, condisce con il garum almeno 20 piatti. Il garum era così comune che Apicio dà per scontata la ricetta e nel suo libro non ce l'ha tramandata; accenna soltanto che è un prodotto della fermentazione delle interiora di pesce e pesce al sole, senza neanche dire che erano preventivamente salate. Dice che dalla fermentazione di queste interiora, si separa un solido e un liquido che chiama liquamen.

    Nelle Geoponiche per esempio, di autore ed epoca ignoti, è scritto: gettare in un recipiente interiora di pesce e piccoli pesci con sale e lasciare al sole e mescolando frequentemente. Filtrare grossolanamente la salamoia in una cesta, dove rimane l’allec, la parte solida. Alcuni aggiungono anche due misure di vino vecchio per ogni misura di pesce. Se si ha bisogno di usare subito il garum senza tenerlo tanto al sole, si cuoce rapidamente mettendo il pesce in acqua di mare concentrata in modo che un uovo vi galleggi, fino a quando non sia ridotto abbastanza di volume, quindi si cola. Ma il fiore del garum si ottiene con le interiora, il sangue ed il siero dei tonni sopra cui si sparge sale e si fa macerare per due mesi.

    Gargilio Marziale nel De Medicina et de virtute herbarum scrive: "si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di 1/3, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri. Sul fondo della stessa vasca fare un alto strato di erbe aromatiche disseccate e dal sapore forte come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano. Su questo fondo disporre le interiora e i pesci piccoli interi, mentre quelli più grossi vanno tagliati a pezzetti. Sopra si stende uno strato di sale alto due dita. Ripetere gli strati fino all’orlo del recipiente. Lasciare riposare al sole per sette giorni. Per altri venti giorni mescolare di sovente. Alla fine si ottiene un liquido piuttosto denso che è appunto il garum. Esso si conserverà a lungo".

    Plinio il Vecchio in Naturalis historia (pagine 31, 93 e seguenti), enumera il garum fra le sostanze saline, come un liquor exquisitus ottenuto dalla macerazione di interiora di pesce: da qui nasce l’aneddoto che il garum sia "pesce marcio di materie in putrefazione", perché se non si metteva abbastanza sale invece che una fermentazione si otteneva una puzzolente putrefazione. Plinio disse anche che il garum più buono è il garum sociorum, fatto con gli sgombri e proveniente dalla Spagna, prodotto da una società tunisina di origine fenicia, che esportava soprattutto in Italia. Questo era costoso come un profumo. Anche in Italia, in Campania, a Pompei, Clazomene e Leptis Magna esistevano fabbriche famose di garum. Si commerciavano anche una specie di garum senza condimenti, il gari flos, e una specie fatta di pesce a scaglie, il garum castimoniale. Il garum sociorum essendo essenzialmente una salamoia satura in cloruro di sodio in presenza di enzimi proteolitici, oltre a essere un buon digestivo, presentava qualità disinfettanti, (paragonabili alla tintura di iodio e a blandi antinfiammatori). Dunque veniva usato come medicinale contro la scabbia degli ovini, le ustioni recenti, i morsi dei cani e del coccodrillo, per guarire le ulcere, la dissenteria e i malanni delle orecchie.