Riporto questa parte di Celtica, di Luigi Balocchi, Ed. Atlantide. E' ricchissima a mio parere, e bellissima...
Premetto che il capitolo che ne parla tratta della profonda Armonia che vi era fra i celti e la Natura, "natura naturans", come la definisce l'autore. Armonia che faceva partecipare l'uomo della Natura e che faceva sì che la Natura stessa fosse vicina all'uomo e ne condividesse le vicende. Per questo in certe occasioni, alla morte di guerrieri ed eroi che erano stati Re Sacri, la Natura stessa compiangeva e lamentava tali rari uomini. L'autore chiama queste morti, le "Morti Luminose", simile a quella di Artù, in riferimento alla quale, appunto, si dice che un raggio di sole attraversò la sua carne insieme alla lancia di Mordred... "
il raggio di sole, segno dell'immanente presenza del divino".
Sempre di Morti Luminose si parla quando la Natura, poco prima serena e soleggiata, si scatena in un istante con tutte le sue forze, oscurandosi e divenendo tempestosa, quando muore qualcuno che con lei aveva stretto un ufficiale o silenzioso Patto Sacro.
In questo pezzo si parla anche dei Cavalieri rimasti vivi alla morte di Artù, e se ne dà una visione a dir poco splendida.
A quanto ho capito, la fonte usata come riferimento è I Romanzi della Tavola Rotonda, di Boulenger.
"Artù va alla morte circondato dai simboli che attestano, in corpo e spirito, la sua funzione di re sacrificale.
A strage ultimata, tutti i cavalieri della tavola rotonda erano uccisi.
Accanto ad Artù ne rimangono quattro. Lucano, il coppiere, è distributore delle bevande di corte.
Il liquido alcolico, sia esso vino, idromele o birra, è strettamente collegato allo stato di ebbrezza sacra tale da permettere la comunicazione con l'Aldilà. Per tal motivo Lucano esprime una specificazione divina. E' l'evidente incarnazione di un'ancestrale funzione druidica.
Keu, fratello di latte di Artù,
è l'araldo dell'insegna reale, colui che in battaglia innalza agli occhi di tutti il visibile segno della regalità. Ambedue i cavalieri del re dei britanni indicano la sacralità del suo agire, cui è condizionata la prosperità della terra e la felicità delle genti.
Artù è sacro, come del resto tutti i re celti, non in quanto diretta espressione della divinità, bensì quale incarnazione del patto di fratellanza, di rispetto e armonia, stabilito fra tutti gli uomini del regno e gli elementi cosmici, rivelazione del divino. In ciò è evidente la funzione sacrificale del re. Sua è la responsabilità del mantenimento di quanto suggellato con il cosmo. Conseguente, gli deriva l'obbligo di agire in rispetto delle leggi che regolano l'evoluzione armonica della manifestazione.
Lui, colui che il piano umano deve rendere conforme a quello divino, in primo luogo rendendo se stesso sacro. Accetto, cioè, alla divinità, e fautore del perpetuo rinnovamento dei cicli di vita.
Dodinel, detto "Il Selvaggio", è figlio del re Belinan di Sorgalles. Con più ardore di qualsiasi altro uomo insegue i cervi e i cinghiali delle foreste.
Il suo essere focoso, congiunto all'amore per la violenza della caccia, riporta alla mente l'ancestrale figura del selvaggio dei boschi, frutto della primordiale vitalità della natura e archetipo sciamanico. E' figlio di Belinan, e ciò lo collega alla discendenza divina del dio Belenos, ispiratore della festa druidica di Beltane, i fuochi di Bel, simbolo del perpetuo rinnovarsi della natura nel passaggio stagionale dall'inverno alla primavera. Belenos, il raggiante, divinità solare per eccellenza, ha pieno diritto di cittadinanza nelle avventure arturiane.
(...) Ma un'altra ancestrale presenza accompagna il re alla morte. E' Giflet figlio di Do. Nel tragico scenario del compimento, assiste il signore morente, da questi ricevendo la spada meravigliosa. Escalibur, un tempo estratta dalla pietra. Nei racconti eroici dell'antico Cymru, il suo nome è Gilvaethwi, figlio di Don, la dea madre delle antiche tribù britanne, stesso ceppo della Dana gaelica da cui, i Tuatha de Danann, gli dei poggi e dell'Altromondo irlandese, derivano.
(...) Artù sente prossima la fine. Affida a Giflet il visibile segno della sovranità. E' Escalibur, la lama che unisce la terra e il cielo, l'uomo al divino, estratta dalla viva, eterna sapienza della roccia misteriosa. (...) lo strumento di giustizia, la visibile teofania dell'essere cosmico, che solo il figlio meraviglioso, colui che in sè unisce l'armonia degli elementi, può possedere.
(...) Nell'istante in cui Escalibur sta per affondare nelle acque lacustri, una mano, dalle profondità, viene svelata. Afferra la lama e, per l'ultima volta, la brandisce al cielo. Per sempre, Escalibur, giace nel fondo del lago. La sapienza divina, che era stata visibile strumento di pace e prosperità tra gli uomini, torna ad essere occultata. Il lago, ventre della forza primordiale, e la mano che ne fuoriesce, azione attiva del divino, nel tempo a venire custodiranno il potere benefico che la spada
buona e bella ha reso al mondo. L'acqua primordiale da cui tutto,
ad aeterno, venne generato. La lama del fuoco, origine del mondo e divenire del tempo. Giacché, alla fine, solo il fuoco e l'acqua avranno dominio."
Una miriade di spunti bellissimi...