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La ruota del destino

Una tranquilla serata di fine ottobre. Una fiera di contea. La persona che ami lì accanto, la sua presenza rassicurante. Una maschera a due facce, Jeckyl e Hyde, luce e oscurità, speranza e destino. Lo stesso destino che si incarna in una ruota, con il suo moto ipnotico, il suo progressivo rallentare a svelare numeri che rappresentano la sorte. Nelle narici un odore insolito, come di copertoni bruciati, un odore che rimanda a un vago ricordo che si perde nei meandri della memoria. Un ricordo proveniente dall'infanzia. Come un presagio. Poi, una salsiccia avariata, forse; o, più probabilmente, un altro tassello di quello che è il terribile disegno che sta per compiersi. Una corsa in macchina, verso casa di lei. Va meglio, sembra; ma è un illusione. Un'altra crudele illusione, dopo la vincita alla ruota. Un taxi in arrivo: non giungerà mai a destinazione, ma ancora nessuno può saperlo. Un ciao detto con leggerezza, un bacio lanciato dalla punta delle dita che sarà anche l'ultimo per oltre quattro anni. Poi, la corsa in taxi, dove infine il destino si concretizza: ha la forma di due fari accecanti, occhi spalancati nella notte. Uno schianto terribile. Poi, il buio, un buio destinato a protrarsi per quattro anni e mezzo. E, al risveglio, un mondo totalmente cambiato; ma, più di ogni altra cosa, è qualcosa dentro ad essere definitivamente cambiato. Nella mente. Un dono che forse è una maledizione. L'unica cosa sicura è che il destino non ha ancora finito di fare il suo corso. Anzi, è appena all'inizio.

Con questo romanzo, uscito nel 1979, Stephen King ci presenta un altro dei suoi personaggi "speciali"; individui dotati di un particolare potere che, loro malgrado, li rende persone ai margini, impossibilitate a vivere una vita come gli altri: gente guardata con diffidenza mista ad avida curiosità dalla gente "normale", osservata a distanza come si osserva un fenomeno da baraccone; persone condannate dal loro stesso dono, emarginate, "perdenti" non meno di quanto non lo saranno i sette giovani protagonisti di It. Personaggi come la Carrie del romanzo omonimo, come la piccola Charlie de L'Incendiaria, come il salvifico John Coffey de Il Miglio Verde, o come il misterioso viaggiatore che risponde al nome di Ted Brautigan nella novella Uomini bassi in soprabito giallo, contenuta in Cuori in Atlantide. Gente dal destino quasi sempre segnato, almeno in questo mondo, dove non sembra esserci spazio per loro. Gente, tuttavia, destinata a lasciare una traccia, a giocare un ruolo importante prima della fine.

Ed è proprio nella natura di questo ruolo che risiede la prima importante peculiarità del protagonista di questo romanzo. John Smith è un nome qualsiasi, tanto comune da sembrare quasi falso; un po' come potrebbe essere un "Mario Rossi" in Italia, il suono stesso dell'anonimato. Una persona qualunque che all'improvviso sente su di sé il peso di una responsabilità enorme, di un compito speciale che "qualcuno" gli ha affidato. Quando, durante un comizio elettorale, Johnny stringe la mano a Greg Stillson, politico in ascesa dal torbido passato, nella sua mente si disegna un'immagine spaventosa, che lo investe con tanta forza da lasciarlo senza fiato: il giuramento di Stillson, futuro presidente degli Stati Uniti, seguito da terribili e inequivocabili immagini di distruzione e morte. Una vera e propria rivelazione, unita alla drammatica consapevolezza, da parte di Johnny, che la sua vita non potrà essere più la stessa, e che qualsiasi residua illusione di "normalità" è destinata a crollare. Le parole di sua madre, pronunciate sul letto di morte, riecheggiano come un'ossessione nella mente del protagonista ("Fa' il tuo dovere, Johnny", è la severa esortazione che Vera Smith, metodista praticante fin quasi al fanatismo, rivolge al figlio durante la loro ultima conversazione); e, unita ad esse, una domanda che man mano si fa strada nella mente di Johnny, assurgendo a un'importanza vitale: se potessi tornare indietro nel tempo, fino a prima della seconda guerra mondiale, uccideresti Hitler? Il quesito ne nasconde un altro di portata ben più vasta, con implicazioni etiche e filosofiche di non scarso rilievo: può l'uomo farsi carico di un compito del genere? Chi è Johnny Smith per poter interferire con il destino? Per poter cambiare i suoi piani? La domanda tormenta il protagonista per i mesi successivi alla sua visione, trasformandosi in un'autentica ossessione.

E alla fine, la risposta arriva, terribile nelle sue implicazioni ma inequivocabile: Johnny Smith è qualcuno. L'accettazione definitiva della propria condizione, unita alla consapevolezza di avere un compito da svolgere, pone il protagonista in una nuova prospettiva; non più vittima di una sorta di maledizione da cui nascondersi, ma soggetto attivo di un dramma il cui esito finale è incerto, ma in cui lui è ben deciso a fare la sua parte fino in fondo. Ed è proprio questa, come si diceva, la svolta che King ha voluto imporre a questa tipologia di personaggio: mentre Carrie veniva usata dal suo potere, innocente presenza incapace di porre un freno alla propria stessa furia distruttrice, Johnny consapevolmente usa questa sua facoltà, dono o maledizione che sia; e lo fa dopo averla accettata pienamente come parte di sé, come l'inscindibile Hyde che convive accanto a Jeckyl nella maschera che tanto terrorizza la giovane Sarah Bracknell all'inizio del romanzo. "Non allontanarti da lui, Johnny, non nasconderti in una caverna come Elia", lo aveva ammonito Vera Smith poco prima di morire in un letto d'ospedale, e alla fine Johnny decide di seguire le parole di sua madre, che nonostante il suo fanatismo aveva visto chiaro nel futuro del figlio.

Forse tutto quello che il protagonista passa e dovrà passare è davvero frutto del disegno di una mente superiore, Dio o comunque la si voglia chiamare: ma Johnny è ben consapevole che senza il suo apporto, senza la sua trasformazione in azioni del volere di questa entità superiore, il disegno in questione è destinato a fallire miseramente. Il protagonista è consapevole anche delle inevitabili conseguenze a cui andrà incontro con il suo gesto, e del male che certamente farà alle persone che gli sono accanto; ma è comunque risoluto a fare quello che deve, per quanto alto possa essere il prezzo da pagare. Greg Stillson, la pericolosa "tigre che ride", sarà infine messo nell'impossibilità di fare del male; ma, ironicamente, questo accadrà in modo totalmente incruento per lui. Inquadrato nel mirino del fucile di Johnny, Greg si farà infatti scudo con il corpo di un bambino strappato dalle braccia della madre: quest'ultimo atto di vigliaccheria, immortalato dalla foto scattata da un fotografo dilettante presente sul posto, gli precluderà per sempre la via della scalata al potere. Quando Johnny, ormai agonizzante dopo essere stato colpito a morte dagli uomini di Stillson, riesce infine a toccare per l'ultima volta il suo nemico, la sensazione che ne riceve è inequivocabile: Stillson è un uomo finito; toccarlo, per Johnny, è, per usare le parole dello stesso King, "come toccare il vuoto. Una pila inerte. Un albero crollato. Una libreria nuda. Bottiglie di vino vuote." La tigre ha smesso di ruggire, e non potrà più mordere nessuno.

Il personale discorso sulla religione portato avanti da King, affrontato già in Le Notti di Salem e soprattutto ne L'Ombra dello Scorpione, torna con forza in questo romanzo: è una religiosità fortemente laica, quella dell'autore, insofferente ai dogmi e alle formule, con uomini la cui fede vacilla di fronte a una divinità i cui piani risultano oscuri, spesso apparentemente crudeli; eppure, la presenza di un'entità superiore benigna si avverte con forza in questi tre romanzi, in cui sono soprattutto gli uomini, con le loro scelte e le loro azioni, a determinare la vittoria delle forze della luce su quelle dell'oscurità (rappresentate di volta in volta da Barlow, da Flagg, e da Stillson); predestinati, forse, ma non certo semplici strumenti nelle mani dell'entità in questione; al contrario, individui pensanti che operano delle scelte, scelte che si riveleranno determinanti per la sconfitta del Male, qualunque forma esso possa assumere.

Questo romanzo si rivela particolarmente importante nella bibliografia kinghiana anche per altri due motivi: è la prima "visita" dell'autore alla cittadina di Castle Rock, da allora in poi teatro di innumerevoli orrori (ma anche della splendida elegia dell'innocenza perduta che risponderà al nome de Il Corpo); e, motivo strettamente collegato con quest'ultimo, il romanzo inaugura la tendenza dell'autore a riutilizzare luoghi e personaggi di altre sue storie (ricordiamo il personaggio del giornalista David Bright, che giocherà un ruolo fondamentale nella vicenda narrata in Le Creature del Buio, e il cinico redattore di un settimanale scandalistico, Richard Dees, che diverrà protagonista del racconto Il Volatore Notturno, contenuto nell'antologia Incubi e Deliri). Una tendenza particolarmente gradita ai fans: per tutti noi, aprire un libro e ritrovare gli stessi luoghi, e spesso anche gli stessi personaggi, di un altro letto in precedenza, è un po' come sentirsi a casa. Sembra una piccolezza, ma non è così: il segreto della buona narrativa sta innanzitutto nel coinvolgimento del lettore, e tornare in luoghi frequentati in precedenza (in cui magari si sono svolte vicende che hanno appassionato migliaia di persone), è sicuramente una garanzia in questo senso. Un'ulteriore prova (l'ennesima, se ce ne fosse bisogno) che siamo di fronte a un narratore di altissimo livello, sotto tutti i punti di vista.
Marco Minniti, Inside View

[Modificato da |Painter| 10/06/2010 19:11]