00 15/10/2008 13:15







RENATO CARETTONI




I SOGNI DI GLORIA E LE ... PALLE AL PIEDE DEI REDIVIVI
NEW YORK KNICKS.




Fra tredici giorni parte la NBA con i Boston Celtics che cercheranno di difendere con i denti lo storico titolo conquistato a giu­gno e che mancava al club più titolato del ba­sket USA dal 1986, ovvero da 22 lunghissimi anni! La scorsa stagione Boston ha compiuto il più grosso miglioramento rispetto alla sta­gione precedente, quando non si qualificò nem­meno per i playoff, a dimostrazione che nel ba­sket bastano pochi «innesti» per trasformare una squadra perdente in una formazione di vertice. In un telaio costruito attorno alla star Paul Pierce i Celtics avevano inserito due altri atleti di primissimo livello come Ray Allen e Ke­vin Garnett, giocatori affamati del titolo NBA, già un pochino in là con gli anni e che non ave­vano nessuna intenzione di aggiungersi al nu­trito elenco di grandi campioni che in carriera non hanno mai vinto niente. Questo tipo di gio­catore può essere individualmente un mostro, ma non essere al contempo in grado di gioca­re per la squadra. O ancora un grandissimo al­l’apice della propria carriera che però ha sem­pre trovato una squadra migliore sulla sua stra­da (classico l’esempio di John Stockton e Karl Malone che con i Jazz hanno deliziato tutti con il loro grandissimo basket ma che in due fina­li NBA consecutive dovet­tero arrendersi al termine di sfide epocali contro i grandi Bulls di Michael Jordan).
Ad Allen, Garnett e Pierce, tre numeri uno della tipo­logia «individualista», hanno semplicemente fat­to comprendere che per vincere bisogna difendere e giocare assieme. Non è stata impresa facilissima: i Celtics non hanno lasciato niente di intenta­to e hanno ingaggiato un allenatore specifico per la difesa, quel Tom Thibodeau che ha co­struito con la grande difesa Celtics l’arma de­cisiva per la riconquista del titolo NBA. Si ri­peteranno? Avrà inizio una nuova dinastia? È presto per dirlo: quanto hanno fatto la scorsa stagione con l’innesto di grandi forze nel «ro­ster » non sembra averlo fatto nessuno, anche se diverse squadre sono forti e agguerrite, come i Lakers, arrivati la passata stagione un po’ a sorpresa in finale, i quali dispongono di note­voli margini di miglioramento e che sono una squadra giovane. Shaquille O’ Neal ha annunciato il suo ritiro per la fine della stagione e vorrebbe lasciare il segno vincendo un anello con una terza squa­dra dopo i tre vinti con i Lakers e quello vinto nel 2006 con Miami: a Phoenix ci sperano ma sarà dura! I San Antonio Spurs sono la squa­dra più vincente del «dopo Michael Jordan» e cioè dell’ultimo decennio: però non hanno mai vinto due titoli di fila… E quest’anno potrebbe­ro confermarsi rivincendo dopo un anno di pau­sa. Poi c’è sempre la squadra che non ci si aspet­ta, come due anni fa quando i Cavs arrivaro­no alla finalissima obbligandoci a visitare una città definita come la più brutta degli Stati Uni­ti (anche se abbiamo visto di peggio). Una co­sa è certa: tutti aspettano i New York Knicks che non vincono l’anello da ben 35 anni, dal lontano 1973, l’equivalente di una vita intera. Malgrado ciò New York è una città importan­tissima per il basket. Il Madison Squadre Gar­den registra sempre e comunque il tutto esauri­to e in questi anni i Knicks hanno compiuto un primo passo avanti verso la rinascita dopo aver toccato il fondo: i «Knickerbockers» sono infat­ti riusciti a liberarsi di Isiah Thomas che come allenatore e dirigente si è rivelato un vero disa­stro. In panchina siede ora Mike D’ Antoni, giun­to da Phoenix, mentre dall’ Italia è arrivata la giovanissima promessa Danilo Gallinari che è alle prese con qualche problema fisico e con una sorta di mobbing al quale difficilmente un gio­vane proveniente dall’estero può sfuggire in una città come la «Grande Mela». Se riuscirà con i fatti – e potrebbe anche esserne capace – a di­mostrare di essere un giocatore determinante per i Knicks avrà presto tutti dalla sua parte, ma l’impatto con la realtà della NBA, anche per uno dal carattere forte come lui, è stato duris­simo. New York, per diventare una squadra vin­cente almeno come quella che a due riprese ar­rivò alla finale NBA negli anni ’90 (perdendo con Houston e San Antonio che vinsero contro New York il loro primo titolo NBA), deve ora li­berarsi di un’altra palla al piede: Stephon Mar­bury, uno che fa parte di quella categoria di gio­catori fortissimi ma che non sanno vincere. Poi ci vogliono innesti di spessore.
Insomma, a New York dovranno pazientare an­cora: non è tagliando qualche rametto secco che si trasforma una delle squadre peggiori del­la lega in una compagine da titolo. Il Madison Squadre Garden, uno dei templi dello sport «made in USA», sarà sempre «sold out», ma per il titolo NBA bisognerà attendere ancora.




© Corriere del Ticino



[Modificato da !maro! 24/12/2008 09:42]