00 17/09/2008 18:40

I CORPI INSAZIABILI DI CRONENBERG

Televisori che pulsano, macchine da scrivere come insetti parlanti, incidenti eccitanti, orgasmi artificiali, mosche, mostri, crani che scoppiano, arnesi ginecologici.
C’è un aspetto del cinema che inquieta e affascina allo stesso tempo; questo aspetto è David Cronenberg (1943). Un regista che ha saputo sfruttare magistralmente la mdp per affrontare questioni spesso puramente filosofiche, sociali, quel tipo di “affari” che interessano più i saggisti che i cinefili. Eppure Crash (1996) sarebbe piaciuto a Marinetti e probabilmente Kubrick avrà trovato molti appigli al suo cinema, molti spunti per continuare a ragionare su quel corpo incontrollato e iperattivo che caratterizza molti suoi personaggi. Che cos’è Crash se non uno sguardo angosciante su un “altro luogo”, così lontano, così irreale, che si rivela invece essere assolutamente presente?
Macchine, sesso con macchine, metallo, ferite, scontri automobilistici. L’uomo si trasforma (si è già trasformato?) in un essere artificiale e artificioso, incapace ormai di saziarsi naturalmente, troppo affascinato da quegli strani strumenti che lui stesso ha creato che, per un perverso complesso di Edipo, si sente attratto da un’automobile, magari sportiva, magari con un bel motore, idea di potenza, grande controllo, superiorità, fino a raggiungere la perfezione.
Ad un futurista una splendida automobile così come una centrale elettrica erano ben più gradite di una donna. La femminilità, feticcio e musa ispiratrice essa stessa di tanti artisti, era nulla in confronto alla perfezione, all’impeccabilità di un complesso macchinario.
I personaggi di Crash sono svuotati della loro pseudo-umanità, non si bastano più da soli, sono spinti dalla necessità di trovare nuova fonte di ispirazione sessuale, fisica. La mente serve a progettare artificialità, a creare nuovi feticci. Non più carne, ma macchine. Così i crash test sono dei veri e propri video a luci rosse, i set reali di incidenti, gli scontri in autostrada, i corpi mutilati diventano una sorta di peep show, le cicatrici sul corpo di un amante sono un tasto che accende l’eros. All’essere umano non resta che trasformarsi, mutilarsi e sostituire le parti mancanti con altre costruite dalla sua mente, come ad un pit stop, come dal meccanico. L’ospedale ideale è l’officina, e i corpi nudi delle vetture (il motore, le portiere squarciate, …) sono uno spettacolo per adulti.
L’uomo è spaventato ma terribilmente attratto dal mostro che, (è), sta diventando. Lo scienziato che per errore si trasforma in una mosca (The Fly, 1986) diventa una sorta di feticcio per se stesso. Nonostante il ribrezzo verso quel corpo che col passare dei giorni va a pezzi, Seth Brundle non può fare a meno di sentirsi pieno di sé, forte, energico, una sorta di superuomo. E così anche in Videodrome (1982), Max Renn si ritrova ipnotizzato e morbosamente legato a quel video capace di “entrargli nel cervello” al punto da doversi fondere con uno schermo televisivo. In questo caso, in particolare, Cronenberg è ancora più “presente” di quanto non lo sia con Crash: in Videodrome, dopo tutto, soprattutto, si parla di televisione. Quante volte ci è capitato di guardare la tv senza vederla? Per esempio stando di spalle rispetto allo schermo, intenti a lavare i piatti o a preparare la tavola, eppure consapevoli di vedere delle immagini che sono soltanto nella nostra testa, come se ci fosse un tubo catodico capace di riflettere sulla nostra retina, come se gli effetti di quelle strane trasmissioni in Videodrome fossero per noi la quotidianità di un rapporto malato, di un patto ossessivo fatto con il nostro televisore. Se poi aggiungiamo che, di fatto, i televisori crt più diffusi sono dannosi, rilasciano qualcosa non lontano dalle onde elettromagnetiche di un microonde, ci accorgiamo che Videodrome siamo noi. E gli spot pubblicitari ci si installano in testa come i cookies col pc. E ci rendiamo conto, allora, che probabilmente non siamo molto diversi da un computer il quale, anzi, può proteggersi con l’anti-spamming.
L’uomo, da solo, non si basta più. Non ha abbastanza memoria per il sovraccarico di informazioni che riceve quotidianamente, così la trasferisce all’agenda del telefonino o del notebook. Non ha abbastanza tempo, così delega la maggior parte delle sue operazioni ad una macchina. Non è soddisfatto, e crea dei paradisi “digitali” in cui perdersi. La vita analogica è finita, spazio all’interpretazione algoritmica della realtà.
Cronenberg ci vuole ricordare che, probabilmente, l’uomo non si accontenta del proprio corpo. Vuole essere più veloce, vuole volare, vuole aumentare la durata di un rapporto sessuale. La chirurgia estetica è un esempio di “uomo-mostro”, Michael Jackson ne è un emblema. Il regista canadese non ha avuto bisogno di farne un film: l’ex rockstar sembra una sua creatura finita nel mondo (reale?).
La carrellata di spunti e riflessioni sul cinema di Cronenberg potrebbe continuare a lungo; pensiamo ad eXistenZ, per esempio. Un pod, dispositivo semiorganico collegato ad un cordone pseudombelicale inserito nel corpo dei giocatori mediante un foro nella spina (facile intendere l’allusione), è una nuova consolle per giocare, una playstation che vive di corpi. I protagonisti diventano i personaggi di un videogioco che li coinvolge dall’interno e che sembra raggiungere l’orgasmo a contatto con la carne. La regia ci suggerisce la difficoltà di distinguere fino a che punto sono (siamo) in uno schema di gioco simulato, mandando in tilt la capacità di “uscire dal gioco”, visto che il videogame siamo noi.
Morte dei sentimenti, dell’istinto (Crash), morte della realtà, che si fonde con simulazione (eXistenZ), morte del corpo umano (The Fly), morte (anzi, nuova vita) dell’allucinazione (Videodrome).
Il cinema di David Cronenberg offre numerose riflessioni sulla condizione dell’essere umano verso la fine del ventesimo secolo. Una visione totalmente pessimistica, che non risparmia nessuno, gli attori in primis. Corpi maciullati, teste squartate, penetrazioni chirurgiche, esperimenti, virus, turbamenti mentali, tutto gira intorno e dentro al corpo per finirlo, per neutralizzarlo, come se non avesse più speranza, come se non bastasse più.
Un cinema complesso e assolutamente attuale che, in più occasioni, sembra ragionevolmente continuare, con una visione per certi versi più splatter, certe “indagini” iniziate da Kubrick; si pensa all’uomo come “pedina”, al complesso edipico (v. Spider, 2002), ai conflitti interni al corpo (la violenza degli scimmioni di 2001 o dei drughi di Clockwork Orange, i personaggi “isterici” di Dr Strangelove, Humbert Humbert di Lolita), il ritorno alla fisicità (Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut), le immagini preesistenti e persistenti (Shining), …
Una fantascienza biologica, una radiografia del mondo, dell’essere che ha sfruttato al meglio le possibilità fornite dal medium cinema. Un’interpretazione originale e di altissimo livello, al punto che i film del regista canadese vanno oltre la visione, oltre il pensiero. Forse anche loro corpi, alla ricerca di una forma.

Fabio Migliorati, duellanti.splinder.com
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:27]