00 07/07/2008 17:00


Un articolo molto interessante sulle Spezie che usavano gli Ellenici
[SM=g27821]


Spezie ed erbe aromatiche nell' Antica Grecia.
Testo di Ivana Tanga


Mare e terra, terra e mare: un’accoppiata presente sulle tavole degli antichi greci in un trionfo di colori, in un tripudio di sapori, di odori mediterranei. Odori e sapori quasi ancestrali, dalla memoria antica, antichissima. Sensazioni che si perdono nella notte dei tempi, seguendo il filo del cammino umano.

Sapori e odori che sanno di mare e di mirto, di sabbia e di sudore, di miele e di poesia. Una cucina essenziale, quasi archetipica, quella dei greci antichi. Una cucina sicuramente “autoctona”, nella quale pulsa l’anima, l’essenza mediterranea, con tutto il suo corollario di suggestioni, di fragranze, di umori, di sentori, frutto di una terra generosa, di una terra impastata di sole e di mare.

Una terra antica e ricca insieme, che gli antichi chiamavano “madre”.
Quella “Grande Madre” potente, potentissima divinità mediterranea, dal grembo fecondo, generosa dispensatrice di doni. Doni che, spesso, proprio perché spuntati dal corpo della divinità primigenia, si relazionano con il mito. Pensiamo all’ulivo, alla vite e al grano, “sacra triade” mediterranea dall’origine mitica, ma anche alla struggente storia della ninfa Myntha o alle cipolle di Latona o alle mele di Afrodite, soltanto per citare alcuni esempi.
Senza dubbio, sulle tavole dell’antica Grecia l’elemento sacro era il convitato d’onore, presenza dominante di un consesso in bilico tra cielo e terra.



Un posto di tutto riguardo, nella cucina greca antica, avevano le spezie e le erbe aromatiche, tanto che Sofocle le definisce “artumata”, “condimenti della nutrizione”. Spuntate dal corpo della Grande Madre, avevano una funzione importante nei rituali di iniziazione, nonché, nelle pratiche funebri.
Con l’origano, la menta e il rosmarino si usava frizionare i cadaveri, per preservarli più a lungo. Una pratica, questa, mutuata dalla tecnica culinaria di aromatizzare le carni prima della cottura.
L’uso delle erbe è una delle prerogative della cucina greca antica.

Oltre a quelle sopra citate, ritroviamo, in una girandola di odori e profumi mediterranei, il mirto caro ad Afrodite, il lauro apollineo, il timo sacrificale, l’odorosa maggiorana, il carvi dei prati, il sedano afrodisiaco, il digestivo finocchio, i semi di papavero, il costosissimo pepe, il raro terebinto e il lentisco di Dictymna. Mancavano dalle tavole greche il prezzemolo ed il basilico, usati per scopi ornamentali e per scacciare gli insetti.

Molto diffuse nella cucina greca erano due erbe, il Silfio e il Cipero, oggi scomparse. Celebre era una “salamoia al silfio” con la quale Archestrato condiva gli amatissimi pesci.
Il gastronomo prediligeva una cucina semplice, senza “untumi” e altre “diavolerie”, basata sulle “odorose erbe”.
Un’altra salsa famosa nell’antichità prevedeva “olio, cumino, ed erbette spiranti odor soave”.Sempre Archestrato consigliava di cuocere la torpedine in olio, vino ed erbe aromatiche. Mentre, la razza era ottima condita con cacio e silfio.
Un’altra erba oggi scomparsa, la cosiddetta “erba pazienza”, era, invece, utilizzata per stuzzicare l’appetito. Invece, la malva e l’asfodelo, come ci ricorda Esiodo, venivano consumate in tempo di carestia. Nelle “Opere e giorni”, decanta “il beneficio della malva e dell’asfodelo” rispetto ad un tenore di vita artificioso, fatto di ingordi doni. Due erbe umili, dunque, emblema di una vita parca, semplice. Per questa ragione erano predilette da Pitagora che le mangiava bollite.

Teofrasto, invece, consigliava di mangiare i bulbi di asfodelo triturati e mescolati ai fichi.
Mentre, da Dioscoride sappiamo che i greci consumavano i bulbi di asfodelo cotti sotto la cenere. Siamo in presenza di una cucina veramente ancestrale, fatta di elementi primigeni, archetipici. Inoltre, Aristofane, nel “Pluto”, descrive la malva come un sostituto del pane. Plutarco, nei “Moralia”, riferisce che malve ed asfodeli venivano offerti ad Apollo in ricordo del primo nutrimento degli uomini.

Tra gli aromi, un posto di tutto rilievo avevano le cipolle. “Cipolle tantissime nelle ricette, nei menù dei banchetti e in ogni dove” afferma Eubulo. Amate da Platone, erano, invece, detestate da Pitagora per il loro potere afrodisiaco. Di frequente comparivano come antipasto nei banchetti dell’epoca classica. Le dolcissime cipolle greche furono importate in Italia dai coloni euboici (dell’isola di Eubea, ndr.) che si insediarono a Cuma.

A differenza delle cipolle, l’aglio era meno amato da cuochi e buongustai.
Esso compare in qualche ricetta di pesce, insieme al silfio e ad altri aromi. Un credo popolare diffuso da tempo immemorabile gli attribuiva il potere di scacciare diavoli e streghe.
Ancora oggi, corone d’aglio compaiono sugli usci della Grecia contadina.

La misteriosa “erba moly”, di cui parla Omero nell’Odissea (Libro X, vv.257-306), è stata invece identificata dai botanici come la ruta, altra erba aromatica stimata da Aristotele come afrodisiaca.
Un’altra spezia amata dal filosofo per le stesse ragioni della ruta era lo zafferano. Ricavato dal fiore del croco, la sua polvere era alla base di un potente filtro d’amore.
Legato alla sfera femminile, lo zafferano propiziava l’unione coniugale, tanto che la sua polvere veniva sparsa sul letto nuziale la prima notte di nozze. Il dio Imeneo, protettore del matrimonio, della coppia, era raffigurato ammantato di una cappa giallo-zafferano.






[SM=g27821]
[Modificato da -Acqua- 24/12/2010 20:44]