Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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Ciao!!!

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    (dea)
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    Registrato il: 22/03/2005
    Utente Junior
    00 24/07/2008 00:55
    Ciao Giano, eri un pò sparito effettivamente [SM=g27963]
    Socrate parlava forse di ignoranti? [SM=g27961]
    Qualcuno in pasato iniziava le sue frasi con "In verità Vi dico...."
    Forse lui poco poco in più ne sapeva?

    Dea
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    pippo.60
    Post: 9
    Registrato il: 18/05/2008
    Utente Junior
    00 26/07/2008 01:11
    Risposta per Kaos
    Come ti avrei già fatto notare, quando si pronunciano delle parole è necessario anzitutto conoscerne il significato prossimo e anche quello remoto. L’“essere felici” non è un’alternativa ad “avere ragione”, ma un’analogia, per meglio dire, una strettissima conseguenza. Infatti la felicità, non quella becera e convenzionale di vincere al lotto, sta proprio “nell’avere ragione”. “Avere ragione” non significa (come tu intendi) dimostrare la propria supremazia dialettica e/o speculativa nei confronti di un altro; significa bensì “possedere la ragione”, dimostrando a se stessi di saperla utilizzare in modo da vincere l’errore e ricondursi alla Verità. La sola felicità, che sia effettivamente degna di chiamarsi tale, è quella conseguente al possesso della Verità, consapevolezza finale che, ad esempio, Dea scambia per presunzione. Scopo finale di ogni iniziazione gnostica è il raggiungimento della Verità, e, chi abbia percorso interamente il difficile sentiero per raggiungerla, non è affatto un presuntuoso nel momento in cui afferma di possederla, bensì uno che ha conseguito tale consapevolezza, che equivale a quella di “conoscere se stesso”. Questo è esattamente quel “conseguimento della felicità”, fine ultimo dell’esistenza umana… ed è del tutto evidente a chiunque, che questo sentiero non lo può certo intraprendere e meno ancora percorrere chi SI ARRENDE...

    Pippo.60 [SM=g27959]
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    pippo.60
    Post: 10
    Registrato il: 18/05/2008
    Utente Junior
    00 26/07/2008 01:15
    Risposta per Dea
    Quel qualcuno che un giorno ha detto che “la risposta è dentro di noi”, Dea, è uno che sapeva quello che diceva. Colui al quale tu fai riferimento, chiunque esso sia, dal momento che sono in tanti ad avere poi ribadito questa affermazione, l’ha semplicemente ripetuta. Il concetto appartiene infatti alla “storia dell’umanità”, quella che in questa sede tu mi hai sentito definire “Tradizione”, oggetto degli studi del nostro Istituto. Come la Verità, anche la storia dell’umanità è unica, e le varie versioni di essa che vengono comunemente raccontate sono esattamente come le varie opinioni che ciascuno propone da “ignorante” in fatto di Verità. L’oracolo di Delfi, che riprendeva la Sapienza universale di ogni tempo, predicava solo e semplicemente questo.

    Il fatto che la risposta sia “dentro di noi” sottende il concetto che noi possediamo la Verità tutta intera, solo che non conosciamo il mezzo e il metodo per identificarla, nascosta tra le menzogne, illusioni, allucinazioni e presunzioni. Tu dici che non sai formulare la domanda. La formulazione della domanda, in realtà, non è poi così difficile e mi pare che, in mezzo a tante incertezze e inquietudini, tu l’abbia già formulata; perché la domanda essenziale è una e una sola, e parte dalla “resipiscenza”, ovvero dal momento in cui ci si accorge o si dubita che quella che ci viene proposta possa non essere la Verità. Il quesito, che poi tutti indistintamente si pongono, è: “qual’è la Verità”?

    La domanda non è difficile, quindi; molto di più lo è la risposta, che, come la saggezza universale afferma in modo incontrovertibile, è reperibile “dentro di noi”. Ciò presuppone che sia tu stessa a doverla trovare, e non ti debba essere suggerita da alcuno che sia esteriore a te, neppure da colui che, facendo il giusto percorso, questa verità ha già trovato, che la possiede, e che può quindi affermarla senza presunzione. La Conoscenza non è un processo di travaso culturale, come convenzionalmente s’intende la comunicazione del sapere; la Conoscenza è una conquista interiore, che ti porta alla Conoscenza di te stesso e quindi della Verità, e al conseguimento della felicità che a ciò pienamente consegue. Il “presuntuoso” è solo chi pensa di poter affermare di dire la Verità non avendo fatto alcun percorso per possederla (con i mezzi e i metodi che puoi trovare indicati nella mia prima risposta a Kaos), ma semplicemente esprimendo delle opinioni, alla base delle quali non sta alcuna Conoscenza faticosamente e interiormente acquisita.

    Il processo di eliminazione dell’errore - soprattutto oggi, dato il livello di degradazione della mente umana giunto ormai quasi all’alienazione - non è facile; ed è difficilmente affrontabile individualmente, senza “l’aiuto” di qualcuno. Come avrai sempre sentito dire, ciascuno ha bisogno di un “maestro che lo guidi”. È evidente che la scelta del maestro da parte del discepolo (e non viceversa), è importante e dovrà essere fatta in modo tale che il “maestro” sia effettivamente tra coloro che hanno fatto il percorso e siano effettivamente in possesso della Verità. Ovvio che, a questo punto, tu dica: “come faccio a sapere qual è il maestro giusto”? Un tempo, quando l’oscurantismo cui accennavi era minore, le cose erano relativamente più semplici. Oggi la ricerca è più difficile e deve essere molto accurata e prudente, ma non per questo è impossibile. Seguendo certi accorgimenti sarai tu stessa a capire finalmente quale è il maestro che ti condurrà esattamente colà dove tu sogni di arrivare, evitando con sicurezza di cadere vittima della “elucubrazione mentale di qualche pazzoide”.

    Poiché i pazzoidi in questo senso sono furbi e invariabilmente senza scrupoli, tu capirai perfettamente se non ti fornisco pubblicamente indicazioni che potrebbero poi venire criminalmente strumentalizzate. Quello che invece ti consiglio di evitare sono affermazioni del tipo “nessuno al mondo può o potrà mai dire <> oppure <>”; perché, in realtà, quelli che lo possono affermare ci sono, e sono delle persone assolutamente felici. La Conoscenza non è un terno al lotto, ma una conquista alla base della quale sta la “buona volontà”. Per questo essa è appannaggio universale, prova ne sia che tu stessa, se lo volessi veramente e se mettessi in atto la “buona volontà”, potresti conseguirla… E allora cambieresti idea sulla presunzione.
    P. S. In internet non hai “milioni di possibilità di conoscenza”; hai milioni di “informazioni” di ogni tipo, ma nessuna, dico nessuna, possibilità di autentica Conoscenza. La “Conoscenza” è tutt’altra cosa.

    Pippo.60



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    pippo.60
    Post: 11
    Registrato il: 18/05/2008
    Utente Junior
    00 26/07/2008 01:19
    Risposta per Giano
    A proposito di parole, “Giano”, sai che cosa significa il tuo nome?
    Dalle tue affermazioni sembrerebbe proprio di no, visto che escludi la possibilità di sapere.
    “Giocarsi” un “Socrate” imparato a scuola e culturalmente travasato da insegnanti profani, che non sanno nulla di quello che insegnano, non è certo un buon punto di partenza. Le locuzioni proverbiali, la grande maggioranza delle quali è di matrice gnostica, non possono essere lette in modo convenzionale, come abitualmente si fa; perché, come tutti gli scritti di tal fatta, sono formulati per essere intesi su diversi piani di significato: i quali riflettono il grado mentale di colui che legge e la sua formazione dottrinale. Il senso di questi scritti - che può essere inteso “alla lettera” da chiunque, senza alcuno sforzo mentale - è quello che permette di individuare e discriminare gli ignoranti, verso i quali per l’appunto tende l’inganno, volutamente implicito nel senso letterale, da Dante definito “bella menzogna”, sotto cui si nasconde la “Veritade” dei sensi connessi, che vanno “più oltre che la lettera delle parole fittizie” [cfr. “Convivio”, II, I].

    Anche il concetto socratico, riportato da Platone, non è farina del sacco di Socrate, ma della Tradizione che lo ha preceduto (nei confronti della quale la classicità greca rappresenta già un momento di recessione, e l’epicureismo ne costituisce il punto più basso). In una formulazione molto semplicistica, questa recessione è rappresentata dall’utilizzo, nella speculazione filosofica, del semplice razionalismo, nella totale trascuratezza della “trascendenza” razionale, concetto che doveva poi essere ripristinato dall’insegnamento esoterico di Gesù, con la formulazione gnostica del portato della Tradizione, di cui si è impossessata la seconda classicità romana, quella imperiale, per intenderci. (Non cercare agganci di questo tipo nella tua cultura scolastica, perché non li troveresti. Le barzellette che ti hanno raccontato a scuola imponendoti d’impararle sono come le verità secolari).
    “Saggio è colui che sa di non sapere” non può certo significare che “saggio è colui che sa di essere ignorante”, che, semplificato vale “saggio è l’essere ignorante”, poiché questo rappresenta una contraddizione in termini; per cui il senso “letterale” della frase, ancorché apparentemente immediato, non significa nulla.

    “Saggio”, da “sapio” (aver sapore), poi “sapius”, è colui che ha più di quel “sale”, che è il catalizzatore ermetico dell’esistenza. Tutto sta, come sempre, nel significato delle parole. Per capire il concetto sarà necessario ricordare quanto detto in una precedente risposta a Kaos, a proposito di “scire” (sapere) e “noscere” (conoscere), dove dicemmo che si può “sapere” una cosa senza “conoscerla” affatto, distinzione che si è perduta nel tempo della decadenza e che oggi, come appare dai vostri scritti, è assolutamente confusa. Diversamente il “saggio” è colui che sa che lo “scire” non basta, ovvero lo “scire” equivale al “non scire”, in quanto non consente di “noscere”. Questo è il senso primario della locuzione addotta, anche se, nel caso specifico di Socrate, e, per estensione, in senso morale, è evidente che il “Saggio”, per quanto sia saggio, difficilmente saprà tutto ciò che c’è da sapere; per cui, quanto più impara, più sa che c’è dell’altro da imparare. Ma questo non concerne la Verità sublime e i Princìpi dell’esistenza, che devono assolutamente essere conosciuti e che il Saggio pone in prima istanza, altrimenti non potrebbe definirsi tale. Questi Princìpi , ai quali voi sostenete l’impossibilità di accedere, sono in effetti le sole cose che “devono” essere conosciute: se poi si ignorano le imprese di Napoleone, o non si sanno fare le equazioni di terzo grado, o non si sa quanti siano gli Stati Uniti d’America, questo non ha alcuna importanza, perché è del tutto inutile alla vera felicità dell’uomo.

    “Noscere” è una facoltà propria della “gnosi”, che Socrate, nonostante la sua elevata razionalità, non possedeva, ed è lui stesso a riconoscerselo; infatti, dopo avere ipotizzato ai suoi amici che: “Quelli che si siano palesemente distinti per essere vissuti in maniera santa, vengono liberati da questi luoghi terreni e allontanati da essi come da un carcere, e altro giungendo nella pura dimora, vivono al di sopra della terra. E tra di essi quelli che si sono sufficientemente purificati nella filosofia vivono senza corpo per il resto del tempo e giungono a dimore ancora più belle di queste, che non è facile descrivere, né, al presente, vi è tempo sufficiente per farlo. Pertanto, … proprio per tutte le ragioni che abbiamo esposto, bisogna fare di tutto nella vita per avere parte della virtù e dell’intelligenza: perché bello è il premio e grande la speranza”, afferma che: “ Certamente insistere che le cose stiano così come io le ho esposte non si addice ad uomo che abbia senno [cioè “al saggio”; Platone usa il vocabolo “νούν”, che alla lettera significa “mente”]: ma che siano così o un pressappoco le cose che riguardano le nostre anime e le loro dimore, se l’anima, nella sua essenza è immortale, questo mi pare che si addica, e per chi crede che effettivamente stiano così è cosa degna rischiare di credervi, perché bello è il rischio. E tali cose devono riuscire a noi come d’incanto perciò, io, da tempo, indugio su questa favola” [Platone, “Fedone”, 114c-114e].

    Socrate (Platone), nella sua recessione speculativa [per cui Dante li collocherà appunto nel gradino più basso dei salvandi], parla ancora di speranza, di rischio, di credenza, di favola… mentre Gesù, nella sua riproposizione gnostica, parla esclusivamente di certezza (infatti, come dice Dea, un poco di più di Socrate ne sapeva!); perché la speranza non è una meta, ma solo l’ipotesi di una meta che deve essere trasformata nella certezza di essere raggiunta, grazie alla “Fede-Sapienza” (Pistis-Sophia), strumento primario della trascendenza razionale. Quando si scomodano i nomi di certi personaggi per sostenere, con brevi chiose sentenziose, le proprie estemporanee opinioni, è così che bisognerebbe saperseli “giocare”.

    Al di là dell’immagine culturalmente inculcataci del Socrate convenzionale, ingigantito dal fascino della storia e dalla piccolezza dell’attuale capacità dell’intelletto umano a formulare certi ragionamenti, in altri tempi comuni ad una buona parte dell’umanità, Socrate “sapeva di non sapere”; era certo che la sua speculazione razionale non fosse per niente arrivata al termine ultimo, in quanto aveva una profonda intuizione, impossibile per lui da suffragare, che ci fosse qualcosa oltre la semplice razionalità, pure da lui sfruttata fino al limite estremo; qualcosa che sperava di raggiungere con la sua morte, che egli non certo casualmente si rifiutò di evitare, proprio per soddisfare il proprio inappagato desiderio di vera “Conoscenza”.

    A proposito, “Giano” è il “Signore del Tempo”, che conosce assai bene il Passato e il Futuro, immanenti l’Infinito Presente, di cui egli rappresenta la “soglia”; per cui “sa tutto”; ma non per questo è un “presuntuoso”. Ma dal momento che Giano è un’allegoria formulata dall’uomo, è evidente che il formulatore ne sapeva altrettanto quanto il Giano da lui proposto. Ed è chiaro che se una tale Conoscenza era a sua disposizione, significa che è a disposizione dell’intera umanità, non fosse altro perché è stata “tràdita”, ossia “tramandata” dalla Tradizione. Che poi la stragrande maggioranza di questa umanità non sappia che farsene, la ignori o la derida, beandosi nella propria insuperabile ignoranza - di cui vantarsi - questa è un’altra storia.

    Pippo.60
    [Modificato da pippo.60 26/07/2008 01:21]
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    kaos25
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    Registrato il: 26/03/2004
    Utente Senior
    00 26/07/2008 18:54
    ho due curiosita'....
    che scopo ha l'istituto di cui fai parte???


    mi dici in maniera molto semplice e concisa quale sarebbe il nesso fra La Tradizione di cui parli e Gesu' Cristo???

    scusa l'"ignoranza"..

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    kaos25
    Post: 330
    Registrato il: 26/03/2004
    Utente Senior
    00 27/07/2008 12:38
    il maestro..
    quindi secondo te Pippo il maestro deve essre un esempio per lo studente??
    ma non dovrebbe essere proprio il "Maetro" ad insegnare allo studente a divenire un individuo unico e creativo?
    c'e' forse liberta nell'imitazione sia personale, mentale, sia del percorso???
    l'unico ruolo che dovrebbe avere un maestro (se di maestro si puo parlare) dovrebbe essere quello nell'aiutare l'allievo a comprendere chi veramente egli sia....tutto il resto non e' compito del maestro..ma dell'allievo stesso!
    Puo' un altro essere umano, pur grande che sia, operare una trasformazione in noi???
    se puo'...noi non siamo trasformati...ma semplicemente influenzati..
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    pippo.60
    Post: 12
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    Utente Junior
    00 20/08/2008 22:33
    Risposta per Kaos25
    Lo scopo dello I.E.R.T.O. come tu potrai ben trovare se avrai la bontà di scorrere il nostro sito dove è già scritto tutto, è, per l’appunto, come indica la denominazione “Istituto Europeo per il Recupero della Tradizione Originale”, quello di recuperare la Tradizione dimenticata, smarrita, negletta e sopraffatta dal culturalismo demagogico, il quale sfrutta le debolezze umane, non per fare gli interessi dell’umanità, bensì per schiavizzarla ideologicamente, psicologicamente e mentalmente: intendo la sempre più produttiva fabbrica di “cervelli all’ammasso”, nel quale ammasso, ovviamente finiscono pure tutti quelli che pensano di non essere ammassati, solo perché hanno un pensiero qualunque discordante con il culturalismo imposto, ma non per questo tradizionalmente vero. La Tradizione è sinonimo di Verità, che, in quanto unica, non è opinabile. Ristabilire la Verità su questa Tradizione, per restituirla integra all’umanità è lo scopo dell’Istituto, per capire il quale è necessario sapere che molti, nel corso della storia umana, sono stati i testimoni di questa tradizione; ma le loro opere, per comprendere le quali necessita l’iniziazione, non sono state comprese dal culturalismo e dallo scientismo, per cui sono state tramandate e insegnate in modo diametralmente opposto alle intenzioni dei rispettivi autori. Le più importanti in senso assoluto di queste opere, tutti testi assolutamente “sacri”, sono da considerarsi i “Veda”, la “Bibbia” e la “Comedia” di Dante Alighieri, dalla quale hanno preso le mosse gli studi del nostro Istituto, non casualmente, in quanto è il solo testo esistente al mondo che fornisca il rilevamento della “chiave di lettura” per la comprensione di qualsiasi altro testo ermetico ed esoterico, ovvero “Tradizionale”.

    Il nesso fra la “Tradizione” e “Gesù” è molto semplice. Gesù, come tutti gli iniziati, era in possesso del portato sapienziale della Tradizione, e sapeva che esso era stato degradato dal culturalismo, quindi, come altri prima di lui avevano fatto in epoche diverse, decise di ridargli forza e vigore, sotto la forma della “Gnosi” ovvero “Conoscenza”. Va da sé che “Tradizione” e “Gnosi” sono esattamente la stessa cosa, diversamente etichettata nel prima e nel dopo Cristo. Più semplice e conciso di così non saprei essere.


    Come tu ben dici: “l'unico ruolo che dovrebbe avere un maestro (se di maestro si può parlare) dovrebbe essere quello di aiutare l'allievo a comprendere chi veramente egli sia....tutto il resto non e' compito del maestro, ma dell'allievo stesso”; in tal senso è evidente che di “maestro” non solo “si può parlare”, ma si deve parlare. Un vero “maestro”, infatti, non “travasa” delle nozioni, pretendendone la meccanica e sudditante ritenzione da parte del discepolo (come avviene per la scuola globale culturalmente informata), ma fa in modo che il discepolo, tramite la Conoscenza, faccia emergere alla propria coscienza quel sapere che già possiede, e che, quindi, ne possa egli stesso, da solo, convenire razionalmente la giustezza e la convenienza. Questa è la “trasformazione” che un maestro aiuta a realizzare, ma che non impone né travasa, se un discepolo ha la propria volontà ("buona") di attivarsi positivamente. Il “maestro”, se lo volesse, potrebbe influenzare… ma è l’ultima cosa che gli passa per la mente di attuare, essendo esattamente ciò che la propria maestranza gli impedisce anche semplicemente di pensare. Certo che, dal momento che egli vive giustamente, viene a costituire un esempio da seguire, posto che liberamente il discepolo lo voglia seguire. Il maestro non impone al discepolo neppure di seguire il proprio esempio:
    l' allievo lo fa solo se liberamente decide di farlo perché ha capito che il farlo è nel proprio interesse. Ovviamente il maestro, qualora il discepolo decida di non seguire il buon esempio una cosa soltanto fa: constatata inutile la sua presenza, abbandona immediatamente il discepolo che lo aveva scelto.

    Il maestro non è il primo arrivato che sale su di una cattedra per garantirsi uno stipendio, ricevuto per frodare le menti degli alunni, bensì un iniziato che non chiede nulla, se non, nel tuo esclusivo interesse, la tua “buona volontà” di diventare il Signore di te stesso. Perciò il maestro ti può aiutare a trasformarti, ma giammai ti influenzerà in qualche modo.

    Pippo.60
    [Modificato da pippo.60 20/08/2008 22:34]
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