00 16/04/2008 13:29
Parlare di microcosmo implica minor sforzo e rischio che il trattare del Macrocosmo
I ricordi invece di sostenerlo lo intristivano, in quel zoppicare arrancato nella disperazione del suo vivere, ma era un insetto tosto e duro, e anche se le ali sotto dimensionate erano frastagliate dai numerosi incidenti, svolazzava ancora.
A balzelloni e per brevi tratti, ma quasi libero e felice.
Oddio... di una felicità opaca e tetra, nel guardare il futuro incerto che lo attendeva certo.
Si diede una spolverata al carapace nero, punteggiato di nero, con due zampe delle cinque che gli rimanevano, una delle quali gli si stava dolorosamente staccando. Per questo la teneva sempre aderente alla corazza che aveva ormai perso il luccicare di un tempo, sostituito da una patina grigia che aveva, però, il vantaggio di camuffarlo meglio alla ricerca golosa degli uccelli.
"Brutto ma vivo" stava diventando il suo motto, ma vivo per quanto ancora?
Le statistiche su quanto vivessero mediamente gli scarabei lo riguardavano da lontano, e lui non era poi così convinto della loro validità. Secondo loro lui avrebbe già dovuto essere secco.
Comunque quel giorno il volo pareva riuscirgli meglio, nonostante qualcuno avesse tentato di convincerlo che con quelle esili ali mai sarebbe riuscito a sollevare tutto quel peso esagerato. In effetti il suo librarsi nell'aria non era proprio elegante, e lo portava a sbattere contro ogni ostacolo che lo prendeva in giro e tutti gli insetti terrestri, un po' per invidia e un po' a ragione, ridevano al suo passare ubriaco.
Però quel procedere incerto a zig zag lo preservava dagli attacchi radenti dei volatili, i quali non riuscivano a prevederne la direzione scomposta, e poi era così duro da digerire...
Il Padreterno già aveva creato insetti agili e veloci, prima di lui e, anzi, lui doveva la sua esistenza proprio al fatto che, dopo quelli, ci voleva qualcosa di estremo e opposto al loro slanciarsi rapido e sicuro nei vortici termici dello spazio, e lui era quella cosa.
Era ovvia la necessità che il brulicare della vita aveva di lui, per la stessa legge che vuole la notte opporsi al giorno, e lui ne andava fiero di questo e per questo, forse, era così nero.
Nero era pure l'interno del suo animo, in ogni caso, e lui percepiva un certo senso di disparità cosmica, a parer suo ingiusta, che lo tormentava, ma non era questa apparente ingiustizia a preoccuparlo oggi.
Oggi lo rodeva l'idea di poter morire schiacciato da una scarpa.
Ieri era stata quella di spiaccicarsi al suolo e l'altro ieri di esser catturato da qualche bambino, per finire con un gambo di piantaggine legato al collo, com'era accaduto a suo padre, che concluse l'esistenza in mezzo allo sghignazzare di fanciulli teneri e crudeli.
Per questo, quando poteva, cercava di spaventarli volandogli vicino a brutto muso, ma alla fine era sempre lui che si spaventava, appena incrociava lo sguardo spalancato di quegli occhi enormi e acquosi.
Così oggi si faceva reggere dall'aria il più a lungo possibile, cercando d'avvicinarsi al sole. E il sole lo scaldava amorevole, scomponendo i propri raggi tra le nervature delle ali che, in quella luce splendente, mostravano tutta la loro fragilità.
Nello sforzo digrignava le mascelle, divenute forti nel masticare pollini e petali, e assumeva un aspetto guerriero così diverso da come si sentiva lui dentro, nel vorticare delle emozioni che gli sostenevano il volo.
L'impatto inaspettato e improvviso lo confuse e amareggiò, nell'abbatterlo al suolo, e lo sguardo che ricevette da quel lampione, scambiato per il sole, gli sembrò un triste saluto di commiato.
Stette ferito e tremante a lungo, mentre la notte lo confondeva al suolo, con le sue lunghe ombre, aspettando qualche feroce ragazzino col gambo di piantaggine che lo avrebbe strozzato, ma la solitudine di un nuovo giorno gl'illuminò il sorriso e, con le sue ultime tre zampette storte, caricò la rincorsa verso il sole, quello vero stavolta, e mai il volo gli riuscì così leggero e agile, con un sole così tiepido e accogliente.
Un bimbo, passando accanto al lampione, vide i poveri resti neri e duri di quell'insetto luccicante di rugiada, gli strappò le ultime zampe e se lo mise, inutilmente, in tasca. Ci avrebbe giocato più tardi, ma senza soddisfazione.
È doveroso, per uno scrittore, dire il meno possibile per limitare gli errori.
Dovere dei lettori, invece, quello di leggere distrattamente per limitare i danni.