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IL MESSAGGIO - Parole di luce - Il Vangelo commentato della Domenica

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    Il Vangelo della prossima Domenica

    I poveri, principi del Regno di Dio

    III Domenica Tempo Ordinario - Anno C

    In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l'anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

    Luca ci racconta la scena delle origini, scena da stampare nel cuore. Lo fa quasi al rallentatore, per farci comprendere l'estrema importanza di questo momento. «Gesù arrotola il volume, lo consegna, si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui». Risuonano le prime parole ufficiali di Gesù, «oggi la parola di Isaia diventa carne»: si chiudono i libri e si apre la vita. Dalla carta scritta al respiro vivo. Dall'antico profeta a un rabbi che non impone pesi, ma li toglie, non porta precetti, ma libertà. L'umanità è tutta in quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Sono i quattro nomi dell'uomo. Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo. Con quattro obiettivi: portare gioia, libertà, occhi nuovi, liberazione. E poi con un quinto perché spalanca il cielo, delinea uno dei tratti più belli del volto di Dio: «proclamare l'anno di grazia del Signore», un anno, un secolo, mille anni, una storia intera fatta solo di benevolenza, perché Dio non solo è buono, ma esclusivamente buono, incondizionatamente buono. I primi destinatari sono i poveri. Sono loro i principi del Regno, e Dio sta alla loro ombra. È importante: nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. La Buona Notizia non è una morale più esigente o più elastica, ma Dio che si china come madre sul figlio che soffre, come ricchezza per il povero, come occhi per il cieco, come libertà da tutte le prigioni, come incremento d'umano. Dio non mette come scopo della storia se stesso, ma l'uomo; il Regno che Gesù annuncia non è un Dio che riprende il potere su una umanità ribelle e la riconduce all'ubbidienza, per essere servito, ma il Regno è un uomo gioioso, libero da maschere e da paure, dall'occhio luminoso e penetrante, incamminato nel sole. Un sublime capovolgimento. Dio dimentica se stesso, non di sé si ricorda, ma di noi: non offre libertà in cambio di ossequio, ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio. La parola chiave del programma di Gesù è libertà, ripetuta due volte. Come mi libera Cristo? «Cristo è dentro di me come una energia implacabile, fintanto che tutto il nostro essere non diventa luminoso; dentro di me come germe in via di raggiungere la maturazione; come un sogno di pienezza di vita, indomabile e attivo, un desiderio di libertà» (G. Vannucci); come un lievito mite e possente che trasforma il mio pianto in danza, il mio sacco in veste di gioia.

    (Letture: Neemia 8,2-4.5-6.8-10; Salmo 18; 1 Corinzi 12,12-30; Luca 1,1-4; 4,14-21)


    don Ermes Ronchi



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    00 29/01/2010 08:44


    Il Vangelo della prossima Domenica


    Dallo stupore nasce la sapienza


    IV Domenica Tempo ordinario - Anno C

    In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: -Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!-». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.(...).

    «Fai anche da noi i miracoli di Cafàrnao!». Più che Dio vogliono miracoli, il cielo a portata di mano a garantire salute e benessere. Anch'io preferisco apparizioni e prodigi ai profeti, come loro: assicura pane e miracoli e saremo dalla tua parte! Moltiplica il pane e ti faremo re (Gv 6,15). Gesù stesso ha dovuto affrontare la tentazione dei miracoli: buttati, verrà un volo di angeli a portarti! Ma Gesù sa che con il pane e i miracoli non si liberano le persone, piuttosto ci si impossessa di loro. Dio invece non si impossessa di nessuno, Dio non invade, si propone. Perché l'uomo non ama colui chi si impone: sarà anche ubbidito, ma non amato. E Dio vuole essere amato da questi liberi, splendidi e meschini figli. Non farò miracoli qui, dice Gesù, li ho fatti a Cafarnao e a Betsaida, il mondo è pieno di miracoli eppure non bastano mai, non fanno credere: Gesù risuscita Lazzaro e i farisei decidono non di seguirlo ma di ucciderlo! Il punto di svolta del racconto è in una domanda: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Che un profeta sia un uomo straordinario, una personalità eccezionale, siamo pronti ad accettarlo. Ma che la profezia sia di casa nella casa del falegname, in uno che non è neanche sacerdote o scriba, che ha le mani segnate dalla fatica, come le mie, che ha più o meno i problemi che ho io, con quella famiglia così così, ci pare impossibile. Ma lo Spirito accende il suo roveto all'angolo di ogni strada. La Parola è dispersa in sillabe in ogni volto. Non sprechiamo i nostri profeti! Nessuno è profeta in patria: è detto a me che non so più ascoltare con attenzione, guardare con meraviglia le persone di tutti i giorni. L'abitudine ha spento l'incanto. Eppure non devo cercare lontano per intuire l'eco della voce di Dio, lo scintillio della sua luce: basta che riprenda a guardare con occhi nuovi, come se fosse la prima volta, ciò che credo di conoscere bene: i volti di chi mi vive accanto, il quotidiano ritorno della luce, le parole della preghiera che ripeto distratto, i riti dell'amicizia e dell'amore... I miracoli accadono davvero. Io li ho visti: ho visto genitori risorgere dopo il dramma atroce di un figlio morto, famiglie disarmarsi e perdonare la violenza subita, donne violate e tradite riprendere a sorridere e ad amare, persone capaci di dare tutto per un familiare o un bimbo sconosciuto, ho visto la primavera. I miracoli sono perfino troppi, per chi ha l'occhio puro. Salviamo lo stupore! È l'inizio della sapienza.

    (Letture: Geremia 1,4-5.17-19; Salmo 70; 1 Corinzi 12,31-13,13; Luca 4,21-30).


    don Ermes Ronchi



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    Il Vangelo della prossima Domenica

    Ripartire dal poco per donare tutto

    V Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

    In quel tempo, (...) quando Gesù ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. (...) Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

    Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono. Senza neppure sapere dove sarebbero andati, dove li avrebbe condotti! Lasciano il lago e trovano il mondo. Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. Un gruppetto di pescatori delusi, indifferenti alla folla eccitata e al Maestro. E Gesù entra con delicatezza nelle loro vite, prega Simone di staccarsi un po' dalla riva. Lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca: «Simone, per favore, ti prego!». Gesù maestro di umanità ci insegna quali sono le parole che, nel momento difficile, trasmettono speranza ed energia: non l'imposizione o la critica, non il giudizio o l'ironia, neanche la compassione. Ma una preghiera che fa appello a quello che hai: per quanto poco; a quello che sai fare: per quanto poco! Pietro, hai una barca, hai delle reti: ripartiamo da questo. Prendi il largo e getta le reti per la pesca. E si riempiono. Dio riempie la vita, dà una profondità unica a tutto ciò che penso e faccio; riempie le reti di ciò che amo e la vita di futuro. Simone si spaventa: «Allontanati da me perché sono solo un peccatore!». Gesù sulle acque del lago ha una reazione bellissima. Non risponde: «Non è vero, non sei peccatore, non più degli altri», non giudica, non minimizza, neppure assolve. Pronuncia due parole: «Non temere. Tu sarai». Ed è il futuro che si apre, il futuro che conta più del presente e di tutto il passato. Non vale la pena parlare del peccato: il bene possibile domani vale più del male di ieri, e le reti piene oggi più di tutti i fallimenti di ieri. Non temere, anche la tua barca va bene! La tua zattera, il tuo guscio di noce, la tua vita va bene per fare qualcosa per gli uomini. Il peccato rimane, ma non può essere un alibi per chiudersi a Dio e al futuro. Gesù dà fiducia, conforta la vita ma poi la incalza, riempie le reti ma poi te le fa lasciare lì. Ti impedisce di accontentarti. Sarai pescatore di uomini. Vuol dire: cercherai uomini, li raccoglierai da quel fondo dove credono di vivere e non vivono; mostrerai loro che sono fatti per un altro respiro, un altro cielo, un'altra vita! E il miracolo del lago non consiste nelle barche riempite di pesci, non nelle barche abbandonate, il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai miei difetti, non è deluso di me, ma mi affida il suo vangelo: seguimi, anche tu puoi fare qualcosa per gli uomini e per Dio.

    (Letture: Isaia 6,1-2,3-8; Salmo 137; 1 Corinzi 15,1-11; Luca 5,1-11)

    don Ermes Ronchi



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    Il Vangelo della prossima Domenica

    La nostra felicità è nel progetto di Dio


    VI Domenica Tempo Ordinario-Anno C

    In quel tempo, Gesù (...) diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».


    Davanti al Vangelo delle beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con le mie parole: so di non averlo ancora capito, continua a stupirmi e a sfuggirmi. «Sono le parole più alte del pensiero umano» (Gandhi), parole di cui non vedi il fondo. Ti fanno pensoso e disarmato, riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia. Le sentiamo difficili eppure amiche: perché non stabiliscono nuovi comandamenti, sono invece la bella notizia che Dio regala gioia a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità. Beati: parola che mi assicura che il senso della vita è nel suo intimo, nel suo nucleo ultimo, ricerca di felicità; la felicità è nel progetto di Dio; Gesù ha moltiplicato la capacità di star bene! Beati voi, poveri! Non beata la povertà, ma le persone: i poveri senza aggettivi, tutti quelli che l'ingiustizia del mondo condanna alla sofferenza. La parola «povero» contiene ogni uomo. Povero sono io quando ho bisogno d'altri per vivere, non basto a me stesso, mi affido, chiedo perdono, vivo perché accolto. Ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, perché diventerete ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato. Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell'altro mondo! Beati, perché è con voi che Dio cambierà la storia, non con i potenti. Avete il cuore al di là delle cose: c'è più Dio in voi, siete come anfore che possono contenere pezzi di cielo e di futuro. Beati voi che piangete. Beati non perché Dio ama il dolore, ma perché è con voi contro il dolore; è più vicino a chi ha il cuore ferito. Un angelo misterioso annuncia a chi piange: il Signore è con te, è nel riflesso più profondo delle tue lacrime, per moltiplicare il coraggio, per farsi argine al pianto, forza della tua forza. Dio naviga in un fiume di lacrime (Turoldo): non ti salva dalle lacrime, ma nelle lacrime; non ti protegge dal pianto, ma dentro il pianto. Per farti navigare avanti. Guai a voi ricchi: state sbagliando strada. Il mondo non sarà reso migliore da chi accumula denaro; le cose sono tiranne, imprigionano il pensiero e gli affetti (ho visto gente con case bellissime vivere solo per la casa) Diceva Madre Teresa: ciò che non serve, pesa! E la felicità non viene dal possesso, ma dai volti. Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio. E possono cambiare il mondo.

    (Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; 1 Corinzi 15,12.16-20; Luca 6,17.20-26).


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    Il Vangelo della prossima Domenica

    Dalla fiducia in Dio la vera forza

    I Domenica di Quaresima Anno C

    In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: -Non di solo pane vivrà l'uomo-». (...) Gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: -Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano- (...)». Gesù gli rispose: «È stato detto: -Non metterai alla prova il Signore Dio tuo-». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.


    Le tre tentazioni di Gesù nel deserto, sono le tentazioni dell'uomo di sempre. «Le grandi tentazioni non sono quelle di cui è preoccupato un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle, ad esempio, che riguardano il comportamento sessuale, ma quelle che vanno a demolire la fede» (O. Clément). C'è un crescendo nelle tre prove: vanno da me, agli altri, a Dio. La prima tentazione: pietre o pane? Una piccola alternativa che Gesù apre, spalanca. Né di pietre né di solo pane vive l'uomo. Siamo fatti per cose più grandi; il pane è buono, è nel Padre Nostro, è indispensabile, ma più importanti ancora sono altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni. È l'invito a non accontentarsi, a non ridurre i nostri sogni a denaro. Non di solo pane vive l'uomo! Il pane è buono, il pane dà vita, ma più vita viene dalla Parola di Dio. Poi il tentatore alza la posta. Da me agli altri: io so come conquistare il potere! Tu ascoltami e ti darò il potere su tutto... È come se il diavolo dicesse a Gesù: Vuoi cambiare il mondo? Allora usa il potere, la forza, occupa i posti chiave. Vuoi salvare il mondo con niente, con l'amore, addirittura con la croce? Sei un illuso! Cosa se ne fa il mondo di un crocifisso in più? Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli pane, autorità, spettacolo, allora ti seguiranno! Ma Gesù vuole liberare, non impossessarsi dell'uomo, lui sa che il potere non ha mai liberato nessuno. Il male del mondo non sarà vinto da altro male, ma per una insurrezione dei cuori buoni e giusti. Il diavolo chiede ubbidienza e offre potere. Fa un commercio, un mercato con l'uomo. Esattamente il contrario di come agisce Dio, che non fa mercato dei suoi doni, ma offre per primo, dà in perdita, senza niente in cambio... L'ultimo gradino è una sfida aperta a Dio, demolisce la fede facendone l'imitazione: «Chiedi a Dio un miracolo». E ciò che sembra essere il massimo della fede, ne è invece la caricatura: non fiducia in Dio ma ricerca del proprio vantaggio, non amore di Dio ma amore di sé, fino alla sfida. Buttati verranno gli angeli. Gesù risponde «no»: «Io so che Dio è presente, ma a modo suo, non a modo mio. Dio è già in me forza della mia forza». E gli angeli mi sono attorno con occhi di luce. Dio è presente, è vicino, intreccia il suo respiro con il mio. Forse non risponde a tutto ciò che io chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve. Interviene, ma non con un volo di angeli, bensì con tanta forza quanta ne basta al primo passo.


    (Letture: Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13; Luca 4,1-13)


    padre Ermes Ronchi



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    00 26/02/2010 06:48


    Il Vangelo della prossima Domenica:

    Chi ascolta Gesù viene trasformato

    II Domenica di Quaresima Anno C


    In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme (...) Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!» (...).


    La trasfigurazione è la festa del volto bello di Cristo. Il volto è la grafia dell'anima, la scrittura del cuore: Dio ha un cuore di luce. Il volto di Gesù è il volto alto dell'uomo. Noi tutti siamo come un'icona incompiuta, dipinta però su di un fondo d'oro, luminoso e prezioso che è il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio. L'intera vita altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce e la bellezza che Dio ha deposto in noi: «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Teilhard de Chardin). Il volto del Tabor trasmette bellezza: è bello stare qui, altrove siamo sempre di passaggio, qui possiamo sostare, come fossimo finalmente a casa. È bello stare qui, su questa terra che è gravida di luce, dentro questa umanità che si va trasfigurando. È bello essere uomini: voi siete luce non colpa, siete di Dio non della tenebra. La Trasfigurazione inizia già in questa vita (conosciamo tutti delle persone luminose, volti di anziani bellissimi, nelle cui rughe si è come impigliato un sole) e il Vangelo indica alcune strade: - la prima strada è la preghiera (e mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto) che rende più limpido il volto, ti rende più te stesso, perché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità umana; - è necessario poi conquistare lo sguardo di Gesù che in Simone vede la roccia, nella donna dei 7 demoni vede la discepola, in Zaccheo vede il generoso...; allenare cioè gli occhi a vedere la luce delle cose e delle persone, non le ombre o il negativo. Se ti guardo cercando le tue ombre, io già ti condanno. Io devo confermare l'altro che ha luce in sé, allora lui camminerà avanti; - terza strada è nel verbo che è il vertice conclusivo del racconto: ascoltatelo. Chi ascolta Gesù, diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati. Il salmo 66 augura: Il Signore ti benedica con la luce del suo volto. La benedizione di Dio non é ricchezza, salute o fortuna, ma semplicemente la luce: luce interiore, luce per camminare e scegliere, luce da gustare. Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore di luce, che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Dio benedice con persone cui poter dire, come Pietro sul monte: è bello essere con te! Mi basta questo per sapere che Dio c'è, che Dio è luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce.


    (Letture: Genesi 15, 5-12. 17-18; Salmo 26; Filippesi 3, 17-4,1; Luca 9, 28-36)


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    Il Vangelo della prossima Domenica

    Salvezza è portare frutto non solo per sé ma per altri


    III Domenica di Quaresima Anno C

    In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo (...) Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: -Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?-. Ma quello gli rispose: -Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai-».


    Racconti di morte, nel Vangelo, e grandi domande. Che colpa avevano quei diciotto uccisi dalla caduta della torre di Siloe? È Dio che manda il terremoto? Per castigare qualcuno distrugge una città? Gesù prende le difese di Dio e degli uccisi: la mano di Dio non produce morte; l'asse attorno al quale gira la storia non è il peccato. Chi soffre si chiede: che cosa ho fatto di male per meritarmi questo castigo? Gesù risponde: niente, non hai fatto niente. Dio è amore e l'amore non conosce altro castigo che castigare se stesso. Smettila di pensare che l'esistenza si svolga nell'aula di un tribunale, Dio non spreca la sua eternità in condanne, o in vendette. La gente interroga Gesù su fatti di cronaca, ed è chiamata a guardarsi dentro. Se non vi convertirete, perirete tutti. Due torri gemelle sono crollate, un 11 settembre di anni fa, ma vi abbiamo letto solo un fatto di cronaca, non un richiamo alla conversione. Se l'uomo non cambia, se non imbocca altre strade, se non si converte in costruttore di pace e giustizia, questa terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza e dell'ingiustizia. Gesù l'ha messo come comando che riassume tutto: amatevi, altrimenti vi distruggerete tutti. Il Vangelo è tutto qui. Amatevi, altrimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili. Nella parabola del fico sterile chi rappresenta Dio non è il padrone esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fiducioso: «voglio lavorare ancora un anno attorno a questo fico e forse porterà frutto». Ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest'albero è buono, darà frutto! Tu sei buono, darai frutto! Dio, come un contadino, si prende cura come nessuno di questa vite, di questo campo seminato, di questo piccolo orto che io sono, mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno. «Forse, l'anno prossimo porterà frutto». In questo forse c'è il miracolo della pietà divina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante sono sufficienti a Dio per attendere e sperare. Si accontenta di un forse, si aggrappa a un fragile forse. Per lui il bene possibile domani conta più della sterilità di ieri. Convertirsi è credere a questo Dio contadino, simbolo di speranza e serietà, affaticato attorno alla zolla di terra del mio cuore. Salvezza è portare frutto, non solo per sé, ma per altri. Come il fico che per essere autentico deve dare frutto, per la fame e la gioia d'altri, così per star bene l'uomo deve dare. È la legge della vita.


    (Letture: Esodo 3, 1-8.13-15; Salmo 102; 1 Corinzi 10, 1-6.10-12; Luca 13, 1-9.


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    Il Vangelo della prossima Domenica

    È la vera fiducia che libera dal male


    IV Domenica di Quaresima Anno C

    (...) Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. (...)


    Ogni volta davanti a questa parabola mi si allarga il cuore, sento gioia e un grande stupore. Qui sento palpitare il cuore di Dio, e tutto il mio vagabondare nel buio. Il centro della parabola è un Padre buono, che ama senza misura, in modo illogico, quasi ingiusto, forte come una roccia nel saper attendere, dando fiducia e libertà, e tenero come una madre nel saper accogliere. Questo Padre buono non vuole una casa abitata da servi, obbedienti e scontenti, ma da figli liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli che non si amano, forse perché non si sentono amati, forse perché si credono servi. Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Il Padre non si oppone, non è mai contro la mia libertà, non la limita, anzi: «se c'è una preferenza nell'amore-passione è proprio verso la pecorella smarrita, perché essa, abbandonando le comodità dell'ovile, si avventura a sperimentare fino in fondo la sua libertà» (G. Vannucci). Il giovane parte e fa naufragio, il libero ribelle diventa schiavo. Eppure nel momento in cui la notte è più profonda, lì comincia a spuntare il giorno: «allora rientrò in se stesso: io qui muoio di fame». E inizia il viaggio di ritorno. Non torna per amore, torna per fame. Non perché è pentito, ma perché la morte gli cammina a fianco. Cercava un buon padrone, non osava ancora, non osava più cercare un padre: «trattami come un servo». Ma al padre non importa il motivo per cui un figlio ritorna, «lo vide da lontano, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Al solo muovere il piede già mi ha visto; io cammino, lui corre; io parlo: «non sono degno, trattami da servo», lui mi interrompe, per convertirmi proprio da quell'idea. Vuole salvarmi dal mio cuore di servo e restituirmi un cuore di figlio. Il peccato dell'uomo è di essere schiavo invece che figlio di Dio (S. Fausti). Dio è padre solo se ha dei figli, vivi. «Accettare il perdono di Dio è una delle più grandi sfide della vita spirituale. C'è qualcosa in noi che si aggrappa ai nostri peccati e non lascia che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo» (H. Nouwen). Accettare l'amore è forse più difficile che darlo. Il Padre non chiede rimorsi o penitenze, a lui non interessa giudicare e neppure assolvere, ma aprire un futuro di vita. Non è il rimorso, non è la penitenza, non è la paura che libera dal male, non il pareggio tra dare e avere, ma un «di più» di vita, un disequilibrio gioioso, la fiducia, l'abbraccio e la festa di un Padre più grande del nostro cuore.


    (Letture: Giosuè 5,91.10-12; Salmo 33; 2 Corinzi 5,17-21; Luca 15,1-3.11-32)


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    Il Vangelo della prossima Domenica:

    La fiducia contro la «prima pietra»


    V Domenica di Quaresima Anno C

    In quel tempo (...) gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.


    Una donna trascinata lì a forza, nell'angoscia di morire, e Gesù ne prende subito le difese, senza neppure chiedere se è pentita. Sta rischiando la morte, e tanto basta, perché legge suprema di Dio è che l'uomo viva. Scrive il grande teologo Johann Baptist Metz: «il primo sguardo di Gesù non va mai sul peccato delle persone, ma sempre sulla sofferenza». Gesù scriveva, lo sguardo fisso a terra. Evita perfino di guardarci in faccia quando ci lasciamo prendere dai nostri furori di accusare e di farci giustizia; evita perfino di incrociare il nostro sguardo, se ha come intenzione la morte. Chi è senza peccato scagli per primo la pietra. Se ne andarono tutti, cominciando dai più vecchi. Gesù rimane solo con la donna, là in mezzo. È calato il silenzio. Loro due soli, e Gesù si alza. Un gesto bellissimo: si alza davanti alla donna peccatrice, come ci si alza davanti alla persona attesa e importante, con tutto il rispetto che so dare. Poche scene del Vangelo ispirano tanta consolazione come questa: Gesù si alza, si avvicina, le parla. Nessuno le aveva parlato. Lui la chiama donna, con il nome che ha usato per sua madre a Cana, che userà sul calvario. Non è più la peccatrice, è donna di nuovo. Dove sono? Quelli che sanno solo lapidare e seppellire di pietre, dove sono? Non qui devono stare. Quelli che sanno solo vedere peccati intorno a sé, e non dentro di sé, dove sono? Gesù vuole che scompaiano gli accusatori, come dal suo campo visivo, così devono scomparire dal cerchio dei suoi amici, dai cortili dei templi, dalle navate delle chiese. Va' e d'ora in poi non peccare più. Risuonano le sei parole che nel Vangelo bastano a cambiare una vita. Qualunque cosa quella donna abbia fatto, non rimane più nulla, cancellato, azzerato: «Tu sei più grande dei tuoi peccati, sei la tua capacità di amare ancora, di amare bene». Gesù le ridona l'innocenza delle origini, la possibilità di essere fedele domani e dopodomani. Un perdono così facile e immediato non è rischioso? Gesù non è rivolto al passato di una persona, ma al suo futuro; non solo è buono e misericordioso e non tiene conto, ma c'è di più: ha fiducia in noi, vede noi oltre noi. Mi perdona per un atto di fede in me: nel mio inverno vede primavere che sbocciano. Perdona perché per lui il bene di domani conta più del male di oggi. Signore, concedimi la gioia di vederti mentre ti alzi e ti fai vicino, e l'umiltà di lasciare cadere di mano tutti i sassi. E, ti prometto, non lancerò mai più pietre. Contro nessuno.



    (Letture: Isaia 43,16-21; Salmo 125; Filippesi 3,8-14; Giovanni 8,1-11)

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    Il Vangelo della prossima Domenica

    Dal cuore trafitto di Dio la vera vita

    Domenica delle Palme Anno C


    Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Al cuore del Vangelo c'è questo lungo patire, un Dio che muore per amore. Qualcosa che non riesco a capire e che pure mi chiama, mi disarma, mi ferisce. E io, ogni volta, impotente e affascinato. La croce non ci è stata data per capirla, ma per aggrapparci e farci portare in alto. Perché Gesù è venuto? Perché la terra intera risuona di un grido: grido di dolore e di nostalgia per il paradiso perduto, il Dio perduto, l'amore e la pace perduti. La terra, con le sue spine e i suoi rovi, con le sue primule e i sempreverdi e, ogni tanto, la sua tenerezza; ma solo ogni tanto e come di nascosto. E la sua crudeltà spesso, troppo spesso; e le sue lacrime, e i suoi singhiozzi. La terra è un immenso pianto. E un giorno Dio non ha più sopportato, non ha più potuto trattenersi. E allora è venuto, ha raggiunto i suoi figli, si è incarnato e si è messo a gridare insieme a loro lo stesso grido radicato nell'angoscia e nella speranza. Perché Gesù è salito sulla croce? Per essere con me e come me. Perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. L'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi doveri è di essere insieme con l'amato, vicino, unito, come una madre che vuole prendere su di sé il male del suo bambino, ammalarsi lei per guarire suo figlio. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. Entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Nel corpo del crocifisso l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite. «Tu che hai salvato gli altri, salva te stesso». Lo dicono tutti, capi, soldati, il ladro: «Se sei Dio, fai un miracolo, conquistaci, imponiti, scendi dalla croce, allora crederemo». Chiunque, uomo o re, potendolo, scenderebbe dalla croce. Lui, no. Solo un Dio non scende dalla croce, solo il nostro Dio. Perché i suoi figli non ne possono scendere. Solo la croce toglie ogni dubbio, non c'è inganno sulla croce. «Ricordati di me», prega il ladro, «Oggi sarai con me in paradiso», risponde Gesù. Per questo sono qui, per poterti avere sempre con me. Non c'è nulla che possa separarci, né male, né tradimenti, né morte. Io vengo a prenderti anche nelle profondità dell'inferno, se tu mi vuoi. Solo se tu mi vuoi. Ma io continuerò a morire d'amore per te, anche se tu non mi vorrai, e appena girerai lo sguardo troverai uno, eternamente inchiodato in un abbraccio, che grida: ti amo! Sono i giorni del nostro destino: l'uomo uscito dalle mani di Dio, rinasce ora dal cuore trafitto del suo creatore.


    (Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Luca 22,14-23.56)


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    Il Vangelo

    Dal buio della notte all'alba della vita


    Domenica di Pasqua Risurrezione del Signore Anno C

    Il primo giorno della settimana, al mattino presto le donne si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. (...) Quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (...).


    È ancora buio e le donne si recano al sepolcro di Gesù, le mani cariche di aromi. Vanno a prendersi cura del corpo di lui, con ciò che hanno, come solo le donne sanno. Al buio, seguendo la bussola del cuore. Gesù non ha nemici fra le donne. Solo fra di loro non ha nemici. Come il sole, Cristo ha preso il proprio slancio nel cuore di una notte: quella di Natale - piena di stelle, di angeli, di canti - e lo riprende in un'altra notte, quella di Pasqua: notte di naufragio, di terribile silenzio, di buio ostile, dove veglia un pugno di uomini e di donne totalmente disorientati. Notte dell'Incarnazione, in cui il Verbo si fa carne. Notte della Risurrezione in cui la carne indossa l'eternità, in cui si apre il sepolcro, vuoto e risplendente nel fresco dell'alba. E nel giardino è primavera. Così respira la fede, da una notte all'altra. Pasqua ci invita a mettere il nostro respiro in sintonia con quell'immenso soffio che unisce incessantemente il visibile e l'invisibile, la terra e il cielo, il Verbo e la carne, il presente e l'oltre. Il racconto di Luca è di estrema sobrietà: entrarono e non trovarono il corpo di Gesù. Il primo segno di Pasqua è la tomba vuota. Nella storia umana manca un corpo al bilancio della violenza; i suoi conti sono in perdita. Manca un corpo alla contabilità della morte, il suo bilancio è negativo. La storia cambia: il violento non avrà in eterno ragione della sua vittima. Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Il bellissimo nome che gli danno gli angeli: Colui che è vivo! Io sento che qui è la scommessa della mia fede: se Cristo è vivo, adesso, qui. Non tanto se vive il suo insegnamento o le sue idee, ma se la sua persona, se lui è vivo, mi chiama, mi tocca, respira con me, semina gioia, e ama. Non simbolicamente, non apparentemente, non idealmente, ma realmente vivo. Perché Cristo è risorto? Dio l'ha risuscitato perché fosse chiaro che un amore così è più forte della morte, che una vita come la sua non può andare perduta. «Forte come la morte è l'amore»! dice il Cantico. Il vero nemico della morte non è la vita, ma l'amore. Nell'alba di Pasqua non a caso chi si reca alla tomba sono quelli che hanno fatto l'esperienza dell'amore di Gesù: le donne, la Maddalena, il discepolo amato, sono loro i primi a capire che l'amore vince la morte. Noi tutti siamo qui sulla terra per fare cose che meritano di non morire. Tutto ciò che vivremo nell'amore non andrà perduto.

    (Letture: Atti 10,34.37-43; Salmo 117; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9 oppure Luca 24,1-12)

    don Ermes Ronchi




    BUONA PASQUA!!!









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    00 09/04/2010 15:12

    Il Vangelo della prossima Domenica:


    Quella pace che sgorga dalle ferite


    II Domenica di Pasqua Anno C

    La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». (...)


    Venne Gesù, a porte chiuse. C'è aria di paura in quella casa, paura dei Giudei, ma anche e soprattutto paura di se stessi, di come lo avevano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta. Eppure Gesù viene. L'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare, il tradito si mette di nuovo nelle mani di chi lo ha tradito. «E sta in mezzo a loro». Ecco da dove nasce la fede cristiana, dal fatto che Gesù sta lì, dal suo esserci qui, vivo, adesso. Il ricordo, per quanto appassionato, non basta a rendere viva una persona, al massimo può far nascere una scuola di pensiero. La fede nasce da una presenza, non da una rievocazione. «Venne Gesù e si rivolge a Tommaso» Nel piccolo gregge cerca proprio colui che dubita: «Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca!». Ecco Gesù: non si scandalizza di tutti i miei dubbi, non si impressiona per la mia fatica di credere, non pretende la mia fede piena, ma si avvicina a me. A Tommaso basta questo gesto. Chi si fa vicino, tende le mani, non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare! Tommaso si arrende. Si arrende alle ferite che Gesù non nasconde, anzi esibisce: il foro dei chiodi, toccalo; lo squarcio nel fianco, puoi entrarci con una mano; piaghe che non ci saremmo aspettati, pensavamo che la Risurrezione avrebbe cancellato, rimarginato e chiuso le ferite del Venerdì Santo. E invece no! Perché la Pasqua non è l'annullamento della Croce, ma ne è la continuazione, il frutto maturo, la conseguenza. Le ferite sono l'alfabeto del suo amore. Il Risorto non porta altro che le ferite del Crocifisso, da esse non sgorga più sangue, ma luce. Porta l'oro delle sue ferite. Penso alle ferite di tanta gente, per debolezza, per dolore, per disgrazia. Nelle ferite c'è l'oro. Le ferite sono sacre, c'è Dio nelle ferite, come una goccia d'oro. Ciascuno può essere un guaritore ferito. Proprio quelli che parevano colpi duri o insensati della vita, ci hanno resi capaci di comprendere altri, di venire in aiuto. La nostra debolezza diventa una forza. Come dice Isaia: guarisci altri e guarirà presto la tua ferita, illumina altri e ti illuminerai. Tommaso si arrende alla pace, la prima parola che da otto giorni accompagna il Risorto: Pace a voi! Non un augurio, non una semplice promessa, ma una affermazione: la pace è qui, è in voi, è iniziata. Quella sua pace scende ancora sui cuori stanchi, e ogni cuore è stanco, scende sulla nostra vicenda di dubbi e di sconfitte, come una benedizione immeritata e felice.


    (Letture: Atti degli Apostoli 5,12-16; Salmo 117; Apocalisse 1,9-11.12-13.17.19; Giovanni 20,19-31)

    padre Ermes Ronchi




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    Il Vangelo della prossima Domenica

    Le tre domande di Gesù a Pietro: così Dio abita il cuore dell'uomo
    III Domenica di Pasqua Anno C


    In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. (...) Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».


    Gesù e Pietro, uno dei dialoghi più affascinanti di tutta la letteratura. Tre domande, come nella sera dei tradimenti, attorno al fuoco nel cortile di Caifa, quando Cefa, la Roccia, ebbe paura di una serva. E da parte di Pietro tre dichiarazioni d'amore a ricomporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice dai tre rinnegamenti. Gesù non rimprovera, non accusa, non chiede spiegazioni, non ricatta emotivamente; non gli interessa giudicare e neppure assolvere, per lui nessun uomo è il suo peccato, ognuno vale quanto vale il suo cuore: Pietro, mi ami tu, adesso? La nostra santità non consiste nel non avere mai tradito, ma nel rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo. Le tre domande di Gesù sono sempre diverse, è lui che si pone in ascolto di Pietro. La prima domanda: Mi ami più di tutti? E Pietro risponde dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura con gli altri, ma non rimane neppure nei termini esatti della questione: infatti mentre Gesù usa un verbo raro, quello dell'agàpe, il verbo sublime dell'amore assoluto, Pietro risponde con il verbo umile, quotidiano, quello dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Ed ecco la seconda domanda: Simone figlio di Giovanni, mi ami? Gesù ha capito la fatica di Pietro, e chiede di meno: non più il confronto con gli altri, ma rimane la richiesta dell'amore assoluto. Pietro risponde ancora di sì, ma lo fa come se non avesse capito bene, usando ancora il suo verbo, quello più rassicurante, così umano, così nostro: io ti sono amico, lo sai, ti voglio bene. Non osa parlare di amore, si aggrappa all'amicizia, all'affetto. Nella terza domanda, è Gesù a cambiare il verbo, abbassa quella esigenza alla quale Pietro non riesce a rispondere, si avvicina al suo cuore incerto, ne accetta il limite e adotta il suo verbo: Pietro, mi vuoi bene? Gli domanda l'affetto se l'amore è troppo; l'amicizia almeno, se l'amore mette paura; semplicemente un po' di bene. Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte l'esigenze dell'amore, rallentando il suo passo sulla misura del discepolo, fino a che le esigenze di Pietro, la sua misura d'affetto, il ritmo del suo cuore diventano più importanti delle esigenze stesse di Gesù. L'umiltà di Dio. Solo così l'amore è vero. E io so che nell'ultimo giorno, se anche per mille volte avrò sbagliato, il Signore per mille volte mi chiederà solo questo: Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere per mille volte: Ti voglio bene.


    (Letture: Atti degli Apostoli 5,27b-32.40b-41; Salmo 29; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21, 1-19)


    padre Ermes Ronchi



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    Il Vangelo della prossima Domenica


    Gesù offre all'uomo la vita eterna


    IV Domenica di Pasqua Anno C

    In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».


    Le mie pecore ascoltano la mia voce. Ascoltare: il primo di tutti i servizi da rendere a Dio e all'uomo è l'ascolto. Il primo strumento per tessere un rapporto. Ascoltare qualcuno è già dirgli: tu sei importante, tu mi interessi. Amare è ascoltare. Pregare è ascoltare Dio. Ma perché la Sua voce merita di essere ascoltata? Gesù risponde: perché io do loro la vita eterna. Ed è importante, per una volta almeno, fermare tutta l'attenzione proprio su quanto Gesù si impegna a fare per noi. Lo si fa così raramente. Tutti sono lì a ricordarci i nostri doveri, a richiamarci all'impegno, allo sforzo per far fruttare i talenti, per mettere in pratica i comandamenti. Molti cristiani rischiano di scoraggiarsi perché non ce la fanno. Ed io con loro. E allora è bene, è salute dell'anima, respirare la forza che nasce da queste parole di Gesù: io do loro la vita eterna. Vita per sempre, senza condizioni, prima di tutte le mie risposte; vita di Dio che è donata, riversata dentro, come un seme che inizia a muoversi, se appena mi avvicino un po' al Signore. «Nessuno le strapperà dalla mia mano». Notiamo la forza di questa parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata: nessuno le strapperà mai dalla mano del Padre. Nessuno ci porterà via dalle mani di Dio. Il nostro destino è inseparabile da quello di Dio. La vita eterna è un posto fra le mani di Dio. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita. Le mani di Dio. Mani di pastore contro i lupi, mani impigliate nel folto della vita, mani che proteggono la mia fiamma smorta, mani che scrivono nella polvere e non lanciano sassi a nessuno, mani che sollevano la donna adultera, mani inchiodate in un abbraccio che non può terminare, e poi offerte perché io ci riposi e riprenda il fiato del coraggio. Dalla certezza che a Dio l'uomo importa inizia l'avventura di coloro che vogliono, sulla terra, custodire e lottare, camminare e liberare. Anche a noi l'uomo importa. Ciascuno pastore di un minimo gregge: hanno nomi e cognomi i miei agnelli, a partire dalla mia famiglia... Ciascuno può essere mano da cui non si rapisce. Poterlo dire a coloro che amo: nessuno vi strapperà via. Ogni discepolo, anche se non è ancora e mai il Cristo, è però un Cristo iniziale, con la sua stessa missione: essere nella vita datore di vita.


    (Letture: Atti degli apostoli 13,14.43-52; Salmo 99; Apocalisse 7,9.14-17: Giovanni 10,27-30).


    padre Ermes Ronchi



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    Il Vangelo della prossima Domenica


    Lasciarsi amare per capire la verità

    V Domenica di Pasqua Anno C

    Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».


    Amatevi, come io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non è amare (lo fanno molti, dovunque, sempre, e alcuni in un modo che dà luce al mondo) ma amare come Cristo. Con il suo modo unico di iniziare dagli ultimi, di lasciare le novantanove pecore al sicuro, di arrivare fino ai nemici. La prima caratteristica dell'amore evangelico: amare come Cristo. Non: quanto Cristo, impresa impossibile all'uomo, il confronto ci schiaccerebbe. Nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile. Con quel suo amore creativo, che non chiude mai in un verdetto, che non guarda mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione. Amore che ti fa debole eppure fortissimo: debole verso colui che ami, ma in guerra contro tutto ciò che fa male. La seconda caratteristica: «Come io ho amato voi». L'amore cristiano è anzitutto un amore ricevuto, accolto. Come un'anfora che si riempie fino all'orlo e poi tracima, che diventa sorgente. L'amore non nasce da uno sforzo di volontà, riservato ai più bravi; l'amore viene da Dio, non dalla mia bravura: amare comincia con il lasciarsi amare. Non siamo più bravi degli altri, siamo più ricchi. Ricchi di Dio. È un amore che perdona ma non giustifica ogni sbaglio. Giustifica la fragilità, lo stoppino smorto, la canna incrinata, ma non l'ipocrisia dei pii e dei potenti. Ama il giovane ricco ma attacca l'idolo del denaro. Se il male aggredisce un piccolo, Gesù evoca immagini potenti e dure come una macina al collo. Amore guerriero e lottatore. Ma se il male è contro di Lui allora è agnello mite che non apre bocca. Terza caratteristica «Amatevi gli uni gli altri»: tutti, nessuno escluso; guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita il mio amore e chi no. È l'uomo. Ogni uomo, perfino l'inamabile. Gli uni gli altri significa inoltre reciprocità. Non siamo chiamati solo a spenderci per gli altri, ma anche a lasciarci amare: è nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della vita. Amore è intelligenza e rivelazione; amare è capire più a fondo: Dio, se stessi e il cuore dell'essere. Come Gesù quando fa emergere la verità profonda di Pietro: «Mi ami tu, adesso?». E non gli importa di quando nel cortile di Caifa, Cefa, la Roccia, ha avuto paura di una serva. Amore che legge l'oggi, ma intuisce già il domani del cuore. E ripete a Pietro e a me: il tuo desiderio di amore è già amore.


    (Letture: Atti degli Apostoli 14, 21-27; Salmo 144; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13,31-33.34-35)

    don Ermes Ronchi




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    Il Vangelo di Domenica:

    Il tesoro di bontà del nostro tempo

    XXXIII Domenica
    Tempo Ordinario-Anno B

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. [...] Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte [...].».

    Un Vangelo sulla crisi e contemporaneamente sulla speranza, che non profetizza la fine del mondo, ma il significato del mondo.
    La prima verità è che il mondo è fragile: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo...
    Non solo il sole, la luna, le stelle, ma anche le istituzioni, la società, l'economia, la famiglia e la nostra stessa vita sono molto fragili.
    Ma la seconda verità è che ogni giorno c'è un mondo che muore, ma ogni giorno c'è un mondo che nasce. Cadono molti punti di riferimento, vecchie cose vanno in frantumi: costumi, linguaggi, comportamenti, ma ci sono anche sentori di nuove primavere. La speranza ha l'immagine della prima fogliolina di fico: Dalla pianta di fico imparate: quando spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Allora dentro la fragilità drammatica della storia possiamo intuire come le doglie di un parto, come il passaggio dall'inverno alla primavera, come un uscire dalla notte alla luce. Ben vengano certe scosse di primavera a smantellare ciò che merita di essere cancellato. Quanto morir perché la vita nasca (Clemente Rebora). Ma dopo si tratta di ricostruire, facendo leva su due punti di forza.
    Il primo: quando vedrete accadere queste cose sappiate che Egli è vicino, il Signore è alle porte. La nostra forza è che «Dio non ha chiuso il suo cuore e la sua strada passa ancora sul nostro mare d'Esodo, mare inquieto, mare profondo, anche se non ne vediamo le orme» (Salmo 77,20). A noi spetta assecondare la sua creazione. Come una nave che non è in ansia per la rotta, perché ha su di sè il suo Vento di vita.
    Il secondo punto di forza è la nostra stessa fragilità. Per la sua fragilità l'uomo cerca appoggi, cerca legami e amore. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno degli altri. Ed è appoggiando una fragilità sull'altra che sosteniamo il mondo.
    Dio è dentro la nostra ricerca di legami, viene attraverso le persone che amiamo. «Ogni carne è intrisa d'anima e umida di Dio» (Bastaire). I nostri familiari sono il linguaggio di Dio, la sua quotidiana catechesi, il tocco della sua presenza, sacramento della sua grazia.
    Il profeta Daniele allarga la visione: «Uomini giusti e santi salgono nella casa delle luci, dove risplenderanno come stelle», vicino a me, lontano da me, da mille luoghi salgono nella casa della luce: sono coloro che inducono me e tutto il mondo a essere più giusto, più libero e santo.
    Sono come stelle, sono molti. Guardiamo a loro, per non sprecare i giusti del nostro mondo, per non dissipare il tesoro di bontà del nostro tempo, quel tesoro che germina anche, come fogliolina di primavera, in ciascuna delle nostre case.

    (Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Ebrei 10,11-14.18; Marco 13,24-32)

    Padre Ermes Ronchi



    _________Aurora Ageno___________
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