00 06/10/2007 12:00
Di Stereo e Crimes of the Future racconta Cronenberg stesso in Cronenberg su Cronenberg (pt.2).
Si rimanda anche all'approfondimento sulla tematica sessuale.


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[...] Si riallaccia direttamente a Stereo, quasi a formare un dittico: per più di una ragione: “stesso approccio formalista della messinscena, stesso tipo di azione onirica, analoga voce off ripiegata su se stessa, impenetrabile e pseudo-scientifica, infine medesimo attore protagonista." [...] Se si fa eccezione per l'uso del colore, per una sceneggiatura un poco più articolata e per l'adozione di una colonna sonora piena zeppa di rumori [...], Crimes of the Future è quasi la clonazione colorata di Stereo. [...] Lo stesso Cronenberg [...] presenta il film in questo modo: "Se lo si legge [...] secondo i modi della psicologia freudiana, il film ha per soggetto alcuni uomini che tentano di vivere con la parte femminile della loro sensibilità e con qualità generalmente considerate femminili come la dolcezza e il calore, senza che ciò necessariamente leda la loro sessualità".
[...] Ciò che più colpisce lo spettatore è il contrasto esasperato fra la rigorosa geometria del décor (massicce architetture avveniristiche incombono sui personaggi, gelido uso connotativo dello spazio) e l’incontenibile forza degli istinti che serpeggiano e affiorano e esplodono pur all’interno di questi ambienti così razionali. L’“incubazione” delle ossessioni e dei fantasmi del cinema di Cronenberg fa un ulteriore passo avanti: qui non c’è più un occhio animale che spia dal sottosuolo, come in Stereo, ma l’attrazione per gli attrezzi del vedere è sempre presente e centrale (Tripod lecca le lenti dei suoi occhiali […] e così via).
[…] Se ancora evidenti sono le influenze di Antonioni e di Godard […], a esse si aggiungono anche la lezione dei surrealisti (l'erotismo podologico […]) e quella delle avanguardie pittoriche del Novecento. […]
Proprio per la sua voluta oscurità, anche Crimes of the Future, al pari di Stereo, ha comunque una circolazione estremamente limitata. [...] Cronenberg non può non riflettere su questo "rifiuto" e sulla necessità di dare un corpo e una vita ai suoi film attraverso l'incontro con il pubblico.
Gianni Canova, David Cronenberg (Il Castoro edizioni)



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Crimes of the Future rappresenta nella filmografia cronenberghiana il primo slancio verso una dimensione più propriamente analitica, sia tecnicamente (è il suo primo film a colori) che contenutisticamente (l’opera propone fisiche ossessioni feticiste). Tanto che non basta fare ricorso ad una razionale interpretazione psicologica degli eventi mostrati nel film, quanto convogliare i flussi fisici verso estreme sensazioni scientifiche solitarie. Cronenberg approfondisce la teoria anticipata nella sua opera precedente incanalando gli elementi fisici ad un contatto immanente, in questo caso reso possibile dai piedi. L’ossessione verso il contatto fisico è giustificata da una quasi totale assenza di rapporti interpersonali, che si manifestano esclusivamente nello scientifico linguaggio chirurgico e sessuale dei corpi malati. Infatti nella clinica della pelle, dove è ambientato il film, si effettuano sorta di interventi curativi atti alla guarigione di una malattia venerea che sta rapidamente decimando la popolazione femminile. La clinica, creata dal dermatologo pazzo Antoine Rouge, è adesso gestita da Adrian Tripod (Ron Mlodzik), professore che si occupa della cura plantare dei piedi palmati. Egli si trova invischiato in un losco, oscuro e futurista giro di pedofilia iniziato da Tiomkin, che attraverso la visione di perverse immagini chiamate “aquaria” fa eccitare i suoi discepoli. Trovatosi nella Fondazione per la ricerca ginecologica, Tripod è incaricato di eseguire degli esami su di una bambina di sei anni. Scoperta una particolare radice che fuoriesce dal suo naso, questi si reca all’interno di un albergo per fecondare la ragazzina prima che venga infettata dal morbo, ma accarezzandole il viso le succhia la schiuma che fuoriesce dalle sue unghie (profezia della secrezione purulenta del corpo in decomposizione di Brundle-Fly ne La Mosca), senza avere il coraggio di fare altro.
La narrazione sterilizzata dai non-luoghi nei quali l’azione si sviluppa comporta come in Stereo una imprecisata collocazione logico-semantica e temporale del primo operato cronenberghiano. Infatti le ragioni di simili rappresentazioni corporeo-psichiche vanno ricercate nel percorso ontologico effettuato in precedenza, ma soprattutto successivamente da Cronenberg, tra le quali figura il topos cronenberghiano dello scienziato pazzo semi-invisibile, causa di tragici effetti e drammatiche considerazioni dopo la sua stessa scomparsa. In parte esperimento di retorica dell’immagine e in parte opera stilizzata formalmente inorganica che raffigura i territori dei millenni futuri, solcati da indiscernibile solitudine psichica, e malata ricerca di riscatto morale attraverso la sperimentazione epidermica. Temi quali la pedofilia non torneranno più nel panorama futuro del cinema di Cronenberg, mentre l’alienazione (Il Pasto Nudo, Spider), la scienza (Il demone sotto la pelle, Rabid – Sete di sangue, Scanners, La Mosca, Inseparabili) e la perversione (Crash) diverranno temi feticci del regista canadese. Particolarmente affine ai risvolti epide(r)mici di Rabid – Sete di sangue dove lo “scienziato iper-creativo” decede anche lì dopo aver fallito (o trionfato), Crimes of the Future assomiglia per vari aspetti al suo predecessore Stereo, e non a caso i titoli vengono comunemente associati. Proprio le ambientazioni trascendenti in continua contrapposizione con il divenire viscerale e patologico del vivente, il retrogusto ironico della sperimentazione scientifica quanto irrazionale ed il costante status di alienazione fisiologica, comportano per gli elementi filmici una sorta di rivisitazione teorico-visiva delle tematiche telepatiche e pedagogiche insite in Stereo. Al posto della voce off illustratrice si ripresenta spesso un leitmotiv considerevolmente alienante oltre che la percezione auto-ironica del contatto sessuale, mentre in Stereo ciò avveniva quasi sotto forma di rito sacro. La medesima produzione dei primi due lungometraggi di Cronenberg si riconosce in ogni frame di Crimes of the Future, i toni ironici su cui si gioca portano alle estreme conseguenze la scienza sperimentale del cinema di Cronenberg, che si raffina e si antepone ad un nuovo e lungo processo di metamorfosi kafkiana, già ampiamente anticipato in queste opere appunto. Non è un caso neanche l’eguale durata dei due film, e tanto meno la stilizzazione omogenea degli scenari, che creano di per loro alienazione dell’immagine e consunzione dei soggetti di fronte ai muri grigi che li avvolgono.
Rouge è il nome dello scienziato folle, il colore dello smalto e del sangue che sgorga. Presenti affinità con il futuro rapporto “sanguigno-estetico” tra Cronenberg ed il colore rosso.
Realizzato con un contributo della Canadian Film Development Corporation pari a 15.000 dollari.
Davide Ticchi, positifcinema.com



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La popolazione femminile in età post-puberale è stata decimata dalla "malattia di Rouge", l'epidemia che lo scomparso dermatologo Antoine Rouge ha imprevedibilmente scatenato nel tentativo di curare le patologie derivate dallo smodato uso dei cosmetici. Nella clinica House of Skin del dottor Adrian Tripod, allievo di Rouge, si cerca di scoprire una terapia per combatterla, o meglio per addomesticarla, ma gli esperimenti condotti in vari reparti simili a compartimenti stagni procedono stancamente. Tripod stesso si scopre passivo spettatore del lavoro dei suoi medici: uomini in camice bianco, con una gestualità da rituale stregonesco, asportano da se stessi e dalle loro cavie umane organi e tessuti per compararli tra loro e rigenerarli, mentre misteriosi individui venuti dal mondo esterno tentano di sottrarre dalle loro aberranti pratiche sessuali una enigmatica ragazzina che forse rappresenta l'ultima chance per la procreazione di una nuova specie.
La clinica come microcosmo di un mondo in evoluzione; l'immaginazione come inesauribile motore della vita; la morte come stadio di passaggio verso una nuova oggettiva realtà; il concetto di corruzione assunto a struttura portante di un divenire libero dal peso di speculazioni morali; una razionalità che cerca le proprie giustificazioni nell'irrazionalità; un virus letale che necessariamente deve trasformarsi in fonte di sopravvivenza; un protagonista che è insieme artefice e spettatore di quanto si sta vivendo; la contraddizione come chiave di lettura del racconto... I temi, le ossessioni, lo stile ermetico e surreale di Cronenberg sono già tutti ben delineati in questa quarta opera semisperimentale, problematica e disturbante come poche altre sue pellicole. I crimini del futuro - la manipolazione genetica, l'ibrido sessuale, la violenza, la pedofilia - sono le vie che l'uomo, in un incerto domani, potrebbe trovarsi nella necessità di percorrere per piegare la malattia a strumento di rigenerazione.
fantafilm.net, a cura di Bruno Lattanzi e Fabio De Angelis



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Il dermatologo Eugene Tripod racconta di se stesso, della clinica nella quale è stato impiegato, e nella realtà di una società ormai a rischio. Allievo del dottor Antoine Rouge nella Casa della Pelle, ucciso dallo stesso morbo da lui scoperto, egli vaga nelle diverse sezioni della clinica alla ricerca della sua memoria, per trovare un rimedio ad un’infezione che, per cause cosmetiche, ha condannato l’intero genere femminile. Nella sezione di Pediatria Oceanica egli instaura un rapporto attraverso i piedi con tre ragazzi, introdottisi o in fuga nella struttura e più tardi, nella sezione dell’Import/Export, ha a che fare con futuri manager ai quali somministra indumenti intimi da suddividere in bustine di plastica. Subentra a questo punto la figura del professor Tomkin, successore di Rouge, che dà vita alla cospirazione dei pedofili eterosessuali. Per risolvere la questione della riproduzione, egli, infatti, propone di ingravidare una bambina perché la malattia di Rouge si mostra nelle donne dopo la pubertà. Fra tre canditati ad ingravidare la bambina, dopo che il primo si è rifiutato, tocca a Tripod concludere l’esperimento. La bambina però mostra i segni della schiuma di Rouge. Una lacrima scende sul viso di Tripod.
Pellicola dagli alti contenuti provocatori, capaci di smascherare il futuro prossimo dissoluto attraverso l’infrazione di tabù secolari a loro volta infranti dalla scienza e dal senso di sopravvivenza della specie umana. In sostanza tutti gli espedienti narrativi utilizzati nelle pellicole successive del regista canadese sono già presenti in questo secondo mediometraggio. Dal vampirismo legato alla diffusione epidemica del morbo, che colpisce Tripod nella prima parte della storia, e che è ripreso nelle sue due prime pellicole, Il demone sotto la pelle (1975) e Rabid – Sete di sangue (1976), al cancro creativo, ripreso sia in Brood – La covata malefica (1979) che in Videodrome (1983) con il rilancio della nuova carne ed alla comunicazione telepatica di Scanners (1981), dalla demonizzazione dell’ambiente clinico al finale che rilancia l’infezione avvenuta anche nel corpo più ingenuo, e la lacrima di sconfitta che accompagna il declino di un delirio genetico. La scienza ha il sopravvento sulla natura e sull’uomo che partecipa ad entrambe, e che rimane affascinato a sua volta dalla deriva della scienza nella natura. Proseguendo sul carattere “mentale” della condizione umana, ci sono già i temi di M. Butterfly (1993) sulla compensazione sessuale, e che si basa sull’approccio liberatorio del regista che considera il tabù dell’omosessualità una normale evoluzione dei costumi e del concetto di corpo umano. Il tema sarà sviluppato ampiamente anche ne Il Pasto Nudo (1991). Mancherà invece in tutti i suoi lavori successivi il richiamo al cinema espressionista con innesti del nuovo cinema underground di New York (uno dei ragazzi che si fa massaggiare i piedi ricorda in qualche maniera l’attore Joe Dalessandro dei film di Paul Morrisey). I riferimenti alla natura omosessuale del protagonista però sono indissolubilmente legati alla perdita della femminilità nel contesto sociale, il che è sinonimo soprattutto della fine stessa dell’umanità. Certo, vi sono forme di rinascita del corpo, come le radici che escono dal naso di un paziente, o le protuberanze che il cancro crea nel suo ex collega, ma senza l’innocenza del corpo femminile, il genere umano è comunque spacciato. La sconfitta e la vittoria dell’infezione diventa il dogma principale. Quello che Cronenberg racconta allora è una ritribalizzazione della società, indicandone la natura prettamente matriarcale la cui gestione però è affidata al maschio, incapace a sua volta di impedire la diffusione della malattia di Rouge. Il finale, agghiacciante nella sua rappresentazione, con un atto pedofilo in fieri interrotto dall’infezione del corpo angelico, ed il crollo d’ogni speranza: la conclusione di una cospirazione mossa da pedofili eterosessuali, in una delle sequenze più scioccanti del cinema proposto dallo stesso regista, con Tripod che si spoglia davanti ad una bambina (l’oggetto più sacro della società) pronto a possederla. Sembra una caccia la sua, disgustosa ma necessaria, e per questo motivo condannata a non sortire alcun effetto. Arrivati a questo punto, sembra voler dire il regista, non c’è spazio più per niente tranne che per una lacrima. A tutto il lavoro narrativo\visivo va aggiunto anche il grande lavoro sui suoni, assolutamente estranei al contesto visivo, che a tratti ricordano quello degli insetti (prima grande passione del regista) e paragonabili nel loro uso\significato a quelli off utilizzati più avanti in Eraserhead – La mente che cancella (1977) di David Lynch. La figura del medico vestito di rosso sabbatico sarà ripresa più in là anche in Inseparabili (1988).
Bucci Mario, cinemah.com



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Secondo mediometraggio di David Cronenberg dopo il criptico Stereo, al quale Crimes of the Future si riallaccia al punto da diventarne quasi una versione colorata e sonorizzata. Ed infatti ciò che subito colpisce sono ancora una volta i silenzi, rotti qua e là dalla solita, monocorde, inespressiva (volutamente) voce fuori campo. L’unica differenza sta nel passaggio dall’impersonale alla prima persona singolare. Questa volta in pratica la voce “è di qualcuno”, di qualcuno che identifichiamo fin dall’inizio: è di nuovo Ronald Mlodzik, noto esponente della comunità gay canadese. È lui che seguiamo, da quando lascia la casa di cura di Antoine Rouge (suo “maestro” e forse causa dell’epidemia mortale che si sta diffondendo e che si manifesta con bave bianche alla bocca e al naso) in tutte le sue peregrinazioni in luoghi stranissimi, dove persone ancor più strane si occupano di “affari” e perversioni a dir poco bizzarri. L’inserimento, di tanto in tanto, di rumori curiosi e fuori luogo (borbottii, cicalii, gorgoglii…) non ci fa dimenticare che ancora una volta manca la banda audio, e di dialoghi non se ne parla proprio. E allora d’accordo che l’operazione vuol essere originale e innovativa, che inizialmente l’effetto shockante si ottiene inevitabilmente, però dal momento che praticamente lo stesso processo si era già utilizzato per Stereo con risultati risibili ed una presunzione non da poco, insistere ci pare solo un vezzo autoriale di nessuna utilità. Resistere ad un’ora di proiezione simile senza indulgere nel fast forward è impresa da premiare con la croce di ferro. Gli stessi temi Cronenberg li affronterà meglio in futuro.
davinotti.com
[Modificato da |Painter| 17/04/2011 12:18]