SI APRE UN NUOVO PROCEDIMENTO SULLA STRAGE
Brescia, processo infinito
A 34 anni dalla bomba in Piazza della Loggia
BRESCIA. «Questa è una strage con i capelli bianchi». Lo dice uno dei parenti delle vittime, Enzo Pinto, e rende benissimo il senso di questo processo che ricomincia per la terza volta in 34 anni davanti alla corte d’Assise di Brescia per la strage di Piazza della Loggia. E non si sa quando finirà: 6 imputati, 2000 testimoni invocati, 750 mila documenti (solo fotocopiarli è costato 45 mila euro all’associazione delle vittime). Il 28 maggio 1974, per una bomba piazzata in un cestino della spazzatura sotto i portici di Piazza della Loggia, durante una manifestazione antifascista e sindacale, morirono in 8; 108 rimasero feriti. Un’enormità di sangue, cui nessuno è mai riuscito a dare una risposta. Per lo meno sul piano giudiziario.
Perché su quello storico una ricostruzione plausibile è arrivata: questa strage, come Piazza Fontana e le altre che seguirono, era figlia della «strategia della tensione», che non fu un’invenzione giornalistica ma un progetto preciso nato nell’ambito della Guerra Fredda. A dispetto dei processi, soprattutto quelli per strage, che non vanno mai in prescrizione, e tengono vive le coscienze e reclamano che almeno qualcuno abbia il coraggio di proclamare una verità ufficiale.
Capelli bianchi allora per i parenti che ancora sperano in un verdetto e capelli bianchi per gli uomini alla sbarra che mai potranno confessare l’orrore di una strage: da Pino Rauti, suocero del sindaco di Roma ed ex capo della formazione neofascista Ordine Nuovo, considerato uno degli organizzatori dell’attentato, al medico veneziano Carlo Maria Maggi, ex ordinovista già assolto per la strage di Piazza Fontana. Da Delfo Zorzi, ora imprenditore in Giappone, anche lui assolto dalla strage alla banca dell’Agricoltura, all’ex generale dei carabinieri, Francesco Delfino: secondo l’accusa non fece nulla per impedire l’attentato. Si finisce con Giovanni Maifredi, operaio, informatore dei carabinieri, presunto trasportatore della bomba e Maurizio Tramonte, ora in carcere a Matera per una bancarotta, legato ai servizi segreti, indicato come l’uomo che mise materialmente la bomba.
La Stampa