Il primo fine settimana con il COVID sta finendo. Tutto inizia con la sensazione, che forse non è una sensazione, di non respirare, la boccetta di profumo non ha più odore, il dentifricio neanche, la corsa a fare il tampone: positivo. Il coronavirus è entrato in casa mia e ha fatto strike. Impossibile capire dove e come. Il tracciamento è ormai inafferrabile. Siamo fortunati perché non abbiamo bisogno, al momento, di andare in ospedale. Ho i sintomi, ho i dolori, non sto bene perché Il coronavirus non è “una passeggiata di salute”, non è “poco più che un’influenza”, non è “un virus mediatico”, non è una “fake news”. È un virus cattivo, subdolo, sfinente, pericoloso, può essere mortale. Trattiamolo come tale, stiamo attenti, siamo accorti, più di quanto non sia stata attenta e accorta la sottoscritta che, per amore di cronaca, questa estate è stata tacciata di pignoleria ed eccesso di zelo. Faccio il “predicozzo” a me e a tutti, perché sono malata e arrabbiata, perché la cosiddetta seconda ondata è iniziata proprio questa estate con l’irresponsabile e incosciente “libera tutti” quello delle feste, delle mascherine sotto il mento, dei viaggi e le vacanze. E fa un certo effetto sapere di essere nel bollettino dei positivi avendo fatto tutto quello che si poteva fare per difendersi. Lo so, adesso non è il tempo di arrabbiarsi, quella rabbia mi e ci serve per guarire. Voglio ringraziare i medici della ASL che rispondono al telefono di giorno e di notte, grazie a Francesco che si occupa di tutto, agli amici, che fuori dalla porta di casa, ci hanno lasciato le medicine, il saturimetro, il termometro (che ovviamente è caduto un istante prima che facessi il tampone). Grazie a mia sorella che ci fa mangiare cose buone (suppongo..), grazie agli amici e colleghi di Poste Italiane, affettuosi e premurosi e grazie soprattutto al mio bimbo, GiovanniRosso, che da qualche giorno ha imparato a giocare da solo e che è più amoroso del solito. Non so se ha contratto il virus. Ha un anno e due mesi e per portarlo a fare il tampone devo andare al centro COVID pediatrico del Bambin Gesù. Ora non me la sento, ma sono l’unica che può farlo. Devo monitorarlo, come consiglia la pediatra, in una bolla infetta e piena di paradossi, una bolla di doveroso isolamento che riguarda me e altre migliaia di famiglie, fra cui molte meno fortunate della mia. E questa è solo la faccia più buona del virus. Siamo in bolla, isolati perché infetti. Siamo soli e infetti e quindi non siamo più invincibili. Il punto è proprio questo, pensavamo di essere invincibili ma il virus ci ha messo di fronte ad un’altra verità, che taluni fanno fatica ad accettare. Stiamo attenti, siamo seri e andiamo avanti. Fra poco è primavera e sentiremo di nuovo l’odore dei fiori.
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