La cosa più bella che ho da raccontare, probabilmente, è il viaggio da Napoli verso Scala. La costiera amalfitana resta uno dei luoghi più belli del mondo e passare da un'autostrada (che è difficile chiamare tale) come la Napoli Salerno che corre, densa di traffico, fra comuni difficili e popolatissimi ad una salita stretta tutta tornanti (il Valico di Chiunzi) che offre scorci di panorama mozzafiato in poco meno di un'ora, beh, può essere davvero emozionante.
Abbiamo anche il tempo per una rapida passeggiata per il centro di Ravello e il consueto proponimento di tornarci al più presto.
E le note positive finiscono qui.
Scala è un paesino a due passi da Ravello, che si arrampica anch'esso sullo strapiombo della costiera, 400 metri sul livello del mare.
Ci accoglie con un gigantesco cartellone che ci avvisa che "SCALA incontra NEW YORK". E già avverto un brutto presentimento.
I vigili che ci consigliano di parcheggiare tranquillamente lungo la strada, preoccupandoci poco delle norme stradali, lo confermano.
Ma la vera doccia fredda è all'arrivo in piazza. Molto bella, per carità, ma completamente inadatta ad un evento musicale, per giunta rock. Si tratta di un piccolo quadrato "inscatolato" su tutti i lati dalle alte pareti del duomo, del municipio, di alti palazzi con terrazze e dalla montagna. Il rimbombo sarà quindi orribile, la parola acustica difficile da utilizzare.
Inoltre, i posti a sedere si scoprono essere riservati ai possessori di particolari inviti che poi sapremo distribuiti fra i residenti e i turisti alloggiati nella zona. Gran bella fregatura, non annunciata in rete. Le bestemmie all'indirizzo dell'organizzazione si sprecano.
Chi viene da fuori, bella cafonata, aggiungo io, sono costretti a disporsi ai lati della zona riservata all'esterno della Chiesa, pressati come sardine, lontani dal palco pur essendo arrivati, come noi, quando i posti a sedere erano ancora vuoti.
All'interno del duomo si sta intanto svolgendo un dibattito sull'11 settembre con ospiti "prestigiosi", Sandra Lonardo in Mastella e Rosy Bindi, il tutto presentato nientepopodimeno che da Paola Saluzzi.
Speriamo che il tutto non debba interferire con il concerto.
Ci sbagliamo.
Alle 9, orario d'inizio ufficiale del concerto, i vip escono dalla chiesa per guadagnare il centro della piazza e rendere omaggio ai caduti dell'11 settembre, con tanto di picchetto militare, gendarmi con i pennacchi (e con le armi, credo), corone, salve di cannone, inni nazionali americano e italiano.
Ma non è finita. Seguono 20 minuti buoni di discorso del ministro con un microfono mal funzionante. La noia è palpabile, io sono già insofferente da tempo.
Il suicidio diventa un'ipotesi interessante quando capiamo che i 18 sindaci della Costiera, tutti in doppiopetto e fascia tricolore d'ordinanza, avranno TUTTI diritto di parola dopo la Bindi.
Diritto che esercitano come bravi scolari delle elementari che a fine anno sono chiamati a formulare un pensierino in due frasi sulla pace nel mondo. Disgustorama.
Il tutto condito dagli appelli di una Saluzzi disperata per la scarsa efficienza dell'amplificazione che, con il tono accorato manco fosse a Telethon, fa appello all'orgoglio e al carattere degli scalesi affinché cessino il loro più che comprensibile borbottio.
Finalmente il concerto comincia, Bambini venite parvulos sembra stemperare per un attimo la furia omicida accumulata fino a quel momento. Francesco entra con il suo ormai classico "Buon divertimento".
Non assistevo ad un concerto del Nostro da un anno e lo spazio concesso a Bardi e al suo tocco blues mi colpisce favorevolmente.
Il secondo pezzo è L'abbigliamento di un fochista e dopo la prima strofa una telecamera, dotata di faro ultrapotente, passa tranquillamente sotto al palco con l'intenzione forse di immortalare le autorità sedute in prima fila e spara la luce in faccia a Francesco.
Il quale smette di cantare e si rivolge più volte verso i tecnici.
La band continua a ripetere il giro della canzone finché Francesco non fa segno che può bastare.
L'acustica, come detto, è pessima e si ha la sensazione di ascoltare una seconda volta il concerto, con un lieve ritardo, dalla facciata del municipio al fondo della piazza. Orribile.
La scaletta prosegue come di consueto (la trovate per esteso sul
Blog del Barbagianni), senza particolari scossoni o novità.
I momenti migliori sono a mio parere Cardiologia, da brividi e cantata da Dio, e L'agnello di Dio, canzone che amo sempre di più e che urlo a squarciagola, per lo sconcerto dei miei vicini. I quali però cominciano a chiederci notizie sulle canzoni più nuove che non conoscono (e che si abbandonano, tocca dirlo, allo stereotipo secondo il quale Francesco "non scrive più le canzoni di una volta", le avessero ascoltate almeno, ma vabbè).
Francesco dà il meglio di sé come cantante (belle le modulazioni su L'angelo) e con un assolo di armonica (non ricordo più su quale pezzo
)
Qualche gustosa variazione testuale: "sono persone come
me e me o sono numeri da scaricare", "s'atteggia a
Sandokàn, ma è solo un licaone". Poi aggiunge un "
disinvolto" ad "abbandona la scena" su Mayday che mi fa sorridere non poco. Qualcun'altra di sicuro la dimentico.
Un vento freddo tagliente, nel frattempo, sta spazzando la piazza.
Il peggio non ha mai fine, purtroppo, e sulla straordinaria interpretazione della Valigia dell'attore, una leggera pioggerellina si fa più insistente e le persone sedute dimostrano il loro attaccamento all'artista e alla musica mettendo in scena un grandioso fuggi fuggi.
Francesco dà la buonanotte e sembra lasciare il palco.
Conciliabolo. Forse le pur poche persone che arrivano sotto al palco convincono il Nostro ad uscire per un ultimo pezzo, il Bandito e il campione. Così c'è pure il tempo per presentare la band, e per un
"è rimasto soltanto lui, il Capobanda, l'idolo delle giovani signore!" da morire dalle risate.
Finalmente, i saluti. Francesco augura "un buon autunno, un buon inverno, una buona primavera...e anche una buona prossima estate!".
A presto, in condizioni migliori!
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"Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri" (G. Gaber)