00 18/06/2007 09:30


"L'indagato come l'imputato ha anche il diritto di mentire. I millantatori lo fanno per natura e, ovviamente, per interesse".
(Gianni Letta, gia' sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei governi Berlusconi 2001-2006, a proposito delle dichiarazioni fatte da Stefano Ricucci ai magistrati durante gli interrogatori del 2006, Corriere della Sera, 17 giugno 2007)

www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/06_Giugno/17/berlusconi_letta_ricuc...





"Grazie, grazie, grazie. Signor presidente, lei era gia' al corrente... Ho ritenuto di cambiare il mio atteggiamento riguardo a questa causa, rispetto all'atteggiamento assunto precedentemente: e il mio atteggiamento era di lasciare che la causa si svolgesse senza nessun mio intervento, confidando nella piena capacita' dei miei difensori di svolgere tutti i ragionamenti che avrebbero potuto dimostrare la paradossalita' dell'accusa, in una situazione in cui, e lo ebbi a dichiarare pubblicamente, casomai a Silvio Berlusconi poteva venire riconosciuto il merito di essersi attivato affinche' non avvenisse un certo evento pregiudizievole, per la collettivita' e gli interessi dello Stato, anziche' vedermi coinvolto, addirittura, in un procedimento giudiziario..."

"Cos'e' cambiato? E' cambiato che, circa tre settimane fa, i miei avvocati, che ben possono testimoniare come mai mi sia interessato di questo procedimento, mai abbia avuto una discussione o un incontro con loro riguardo a questo procedimento, ma abbia solo sottoscritto gli atti che, via via, avevano ritenuto di inoltrare nelle sedi competenti e anche riguardo a questa Corte, mi chiesero con insistenza un incontro con loro. Una serata intera in cui emersero alcuni fatti che mi indussero a cambiare atteggiamento e a intervenire direttamente E mi dissero che c'era stata una non ricezione delle richieste della mia difesa di ascoltare alcuni testi indispensabili, direi essenziali, e perche' si arrivi a realizzare la situazione che si sviluppo'. Io sono pronto a cominciare, vorrei raccontare soltanto i fatti, senza dare opinioni, senza esprimere giudizi. Vorrei cominciare da una telefonata che ricevetti il primo di maggio dell'1985, mentre mi trovavo a Madrid con mia moglie, il mio collaboratore Adriano Galliani e sua moglie, dove eravamo a trattare l'acquisto degli Studios Roma che dovevano essere la base per una televisione commerciale e che sono tuttora la sede di una televisione commerciale che si chiama Telecinco. Arrivo' una telefonata di un mio collaboratore che mi racconto' quanto era apparso sui giornali, cioe' che vi era stata una vendita da parte dell'Iri della Sme a De Benedetti, cosa che mi sorprese alquanto, e poi diro' perche'.

Ci furono telefonate di altri protagonisti del settore agroalimentare, e, in particolare, ci fu una telefonata molto tumultuosa dello scomparso Pietro Barilla il quale mi disse che era rimasto risentito, indignato, sconvolto da quello che si era verificato e che, a suo dire, egli stesso, o il suo amministratore delegato avevano avuto modo, anche recentemente, 15 giorni prima, di recarsi all'Iri per chiedere s fosse in vendita la Sme, gli era stato risposto che l'Iri non riteneva di cedere la sua partecipazione nel comparto alimentare e invece si trovo' di fronte quella mattina alla notizia dell'avvenuta vendita e mi chiese, mi prego', data al mia amicizia e il mio rapporto di famigliarita' con l'allora presidente del Consiglio, Bettino di Craxi di cercare di metterlo in contatto con il presidente del Consiglio. Io ritornato a Milano parlai con il presidente del Consiglio, il quale non era informato con precisione della vicenda, e non mi sembro' particolarmente interessato alla vicenda stessa, tant'e' che fisso' l'appuntamento con Barilla la settimana dopo. Una settimana dopo Barilla ando' da lui e gli rappresento' la situazione e Craxi decise di incaricare Amato di verificare i dati giuridici, di verificare cosa fosse necessario perche' la promessa di vendita stipulata allora dal presidente dell'Iri diventasse un contratto definitivo. Amato diede il riscontro delle necessarie autorizzazioni di legge che si concretizzavano in una delibera del Cipi da attuare mediante una firma del ministro delle Partecipazioni statali: Io tenni al corrente di tutto Barilla che mi disse di voler presentare un'offerta alternativa con un aumento del prezzo.

Il presidente del Consiglio mi chiamo' chiedendo di incontrarmi l'incontro avvenne nello studio a Milano in piazza Duomo e trovai una persona del tutto diversa, con atteggiamento opposto, uso' frasi forti e colorite. E comincio' a raccontarmi la vicenda per come era riuscita ad appurarla non solo attraverso gli interventi e le risposte del sottosegretario Amato ma anche attraverso cio' che gli riferirono i membri del Consiglio di amministrazione dell'Iri che appartenevano alla sua parte politica. Comincio' col definire sconvolgente, allucinante, scandaloso il modo con cui si erano condotte le trattative in modo che diceva - mi ricordo benissimo le parole - a porte chiuse e non a mercato aperto come si sarebbe dovuto fare per una entita' cosi' importante come la Sme. Disse che era scandaloso che queste trattative non fossero tenute a conoscenza neppure della volonta' di vendere l'azienda il direttore generale dell'Iri, il direttore finanziario, i membri del consiglio di amministrazione, defini' scandaloso il fatto che l'Iri avesse dato risposta negativa ai protagonisti dell'alimentare italiano e mi cito' nell'ordine Buitoni tutto e altro e aveva riferito anche Pietro Barilla nella telefonata che mi fece in Spagna. A questo proposito faccio un piccolo passo indietro: Pietro Barilla mi disse di avere parlato con Bruno?? Buitoni il quale avrebbe affermato di essere stato in contatto con l'Iri per circa un anno, di avere cercato di acquistare la Sme, di avere superato anche le obiezioni della famiglia che vedeva nella presenza in Sme di Autogrill e dei supermercati Gs un'attivita' lontana dall'interesse della famiglia, un ostacolo, e infine di essere anche disposto a vendere la Buitoni alla Sme affinche' ....non la Sme.... una massa critica che avrebbe consentito a un soggetto che avrebbe raggiunto un fatturato importante di resistere alle aziende internazionali che in quel momento stavano facendo incetta di aziende italiane sul mercato Nazione".

"E riferi' poi che avendo ricevuto un no preciso e decisivo dall'Iri si era determinato a vendere a De Benedetti a cui aveva venduto la sua azienda, mi sembra alla fine del mese di marzo, ma riferi' anche a Barilla e credo che per questo sia importante ascoltare il teste Bruno Buitoni per verificare la veridicita' di quanto affermo' allora a me Barilla, di essersi determinato a vendere, e che De Benedetti si era determinato a comperare e gli aveva fatto capire di essere ormai sicuro di avere nella propria possibilita' di acquisto, riferi' il termine esatto che, mi sembra di ricordare, di avere gia' in tasca la Sme. Quindi anche questo fu riferito al Presidente del Consiglio che defini' inaccettabile questo comportamento. E poi mi cito' anche interventi di ministri del suo gabinetto. Mi cito' quanto gli aveva riferito il ministro Altissimo che giusto un mese prima aveva parlato col presidente dell'Iri facendogli presente l'offerta con la multinazionale americana, la quale chiedeva di comperare la Sme e ebbe dal presidente dell'Iri una risposta negativo e in quell'occasione il presidente dell'Iri disse per il comparto agricolo italiano l' alimentare detenuto dalla Sme era ritenuto strategico e quindi incedibile e fece anche una valutazione del prezzo, del valore della Sme da 1300 a 1500 miliardi, ricordandogli che la Sme era lo scrigno, la cassaforte in cui erano detenuti i principali marchi storici italiani e i marchi storici, come sa chi e' esporto di comunicazione, danno un valore indipendentemente dallo stesso valore delle aziende, ai prodotti e quindi alle aziende stesse e si calcola che il valore di un marchio sia pressappoco la serie storica di investimenti pubblicitari su quel marchio.

Quindi dentro la Sme c'erano marchi come la De Rica, Bertolli, la Cirio, la Pavesi, la Motta, l' Alemagna e quindi c'era un valore che nelle mani soprattutto di un concorrente straniero e questo faceva molta paura a Barilla, questo faceva paura a Buitoni, questo poi fu determinante nel convincimento di Ferrero di partecipare alla successiva cordata, un concorrente straniero che fosse entrato in possesso di quei marchi sarebbe stato una presenza pericolosa per gli stessi protagonisti italiani. E in quei colloqui, cosi' mi riferi' Barilla, ma Buitoni potra' testimoniare al riguardo, Buitoni gli disse che riteneva di aver capito che l'operazione della finanziaria Cirio fosse un'operazione tesa a una successiva vendita, passato un certo periodo di tempo, che sembrava sarebbe stato richiesto dalla venditrice Iri, a un concorrente straniero e mi ricordo si fece il nome della Danone che con Kraft e Nestle era uno dei soggetti principalmente attivi sul mercato italiano. Quindi ritorno al successivo colloquio che io ebbi intorno alla meta' del mese col presidente Craxi, lui definiva assolutamente inaccettabile questo modo di procedere, riferi' di Altissimo che gli aveva raccontato questo colloquio con il presidente dell'Iri, riferi' di un altro intervento del presidente della Commissione bilancio dell'epoca, Cirino Pomicino, il quale disse che anch'egli era intervenuto su Romano Prodi all'inizio dell'anno e che aveva ricevuto identica risposta negativa sulla volonta' della Sme, disse che per quanto lo riguardava c'era un programma approvato dal Cipi che prevedeva per la Sme addirittura delle immissioni di denaro fresco, immissioni che tra l'altro erano anche appena avvenute.

Quindi riteneva che davvero non si potesse accettare un comportamento di questo tipo e che le dismissioni che lui considerava in quel momento una vera e propria spoliazione del patrimonio dello Stato contro un regalo, un arricchimento indebito a un privato cittadino, non potesse avvenire in quel modo. E poi defini' in maniera ancora piu' forte il prezzo che era stato concordato. Prezzo come loro ben sanno fu 497 miliardi, quindi molto lontano da quei 1300-1500 miliardi stimati dal presidente Prodi e comunicati nel colloquio che Prodi ebbe con Altissimo e soprattutto ricordo' che quel prezzo era molto lontano da quello che era la valutazione pubblica. Valutazione pubblica della Borsa, le azioni erano quotate in quella fine di aprile 1290-1300 lire per azioni, il prezzo dell'azione in quella vendita fu di appena 930 lire per azione. Ma il prezzo della Borsa era gia' di per se' un prezzo che non rappresentava il valore della Sme perche' trattandosi di azienda posseduta per il 64% dall'Iri e quindi dallo Stato non c'era nessuna vivacita' negli scambi borsistici e quindi la quotazione di Borsa non teneva assolutamente conto del valore vero, intrinseco della Sme stessa. E forse Craxi che si era venuti meno a quello che una regola universale che non ha mai subito eccezioni, che la valutazioni doveva essere fatta con una aggiunta di un premio di maggioranza, dato che si vendeva la maggioranza dell'azienda e, dato che questa maggioranza non rappresentava di per se una quantita' elevata, il 64%, avrebbe anche potuto sopportarlo, ma la vendita era in effetti del 51% perche' mentre la Buitoni comprava il 64% nello stesso contratto aveva la garanzia di un acquisto di altre aziende controllate dall'Iri: cioe' Mediobanca ed Imi che alleggerivano l'acquisto del 13% versando in contanti i 104 miliardi alla Cir stessa.

Il prezzo quindi che la Cir pagava per il 51% della Sme scendeva a 393 miliardi di lire, ma era ancora meno, perche' mentre Imi e Mediobanca avrebbero pagato immediatamente, e in contanti il 13%, alla Cir veniva riconosciuto un pagamento dilazionato e, precisamente, una parte del pagamento al 28 giugno dell'anno e un'altra parte alla fine del mese di marzo, una parte ancora alla fine del mese di giugno e infine il grosso del prezzo vicino ai 200 miliardi alla fine dell'anno e quindi a 18 mesi di distanza".

"E non venivano conteggiati gli interessi, che in quel momento erano per le aziende normali presenti sul mercato italiano di circa il 20%, la prima rata si situava attorno al 15%. Succedeva quindi che c'era una sconvenienza assoluta, una imparagonabilita' del prezzo pagato dalla stessa Iri attraverso le sue controllate Mediobanca e Iri, che pagavano un prezzo parificato a 497 miliardi, mentre la Cir pagava un prezzo inferiore 393 miliardi che attualizzati al momento della stipula del contratto risultavano ancora inferiori, perche' il pagamento dilazionato non era gravato del 15% di interessi. Aggiunge poi che era assolutamente inconcepibile che una delle aziende fosse venduta, del gruppo importante, perche' conteneva i marchi Alemagna e Motta, fosse venduta a lire una quando gli risultava dai componenti del consiglio di amministrazione che pochi mesi prima lo stesso Barilla avesse offerto per quell'azienda 30 miliardi di lire e successivamente a quell'offerta c'era stata una immissione di 160 miliardi da parte dell'Iri nella stessa Sidal e nel contratto stesso c'era una clausola che prevedeva un premio, una dazione di ulteriori 30 miliardi all' acquirente in caso ristrutturazione a cui si sarebbero aggiunti altri 50 miliardi perche' la Sidal sia obbligata a cedere per delle azioni che aveva nella sua pancia ed erano 8.500.000 azioni di un'altra societa' che sarebbero stati appunto pagati con una contropartita di 50 miliardi.

Quindi, concludeva il presidente del Consiglio, mai si era vista un'operazione di questo genere cresciuta nel segreto e assolutamente inaccettabile. Aggiungeva poi tutta una serie di altre considerazioni, praticamente l'operazione sarebbe potuta avvenire senza esborso finanziario da parte dell'acquirente: infatti l'acquirente avrebbe potuto pagare con i 104 miliardi che gli derivavano da Mediobanca, con i 30 miliardi della Alivar , con i 50 miliardi dell'ulteriore vendita di azioni la prima tranche e' di 150 miliardi per il 28 di giugno ma avrebbe potuto anche profittare di un ulteriore liquidita' contenuta nelle stesse casse della Sme, che a quell'ora si apprezzava in termini di 400-600 miliardi la liquidita' vera e i titoli di Stato, in quanto era giunta notizia di una intenzione di vendita alla Sme divenuta di proprieta' della Cir della Buitoni, quindi la Cir vendendo la Buitoni alla Sme ormai di sua proprieta', avrebbe incorporato il prezzo che la Sme con la liquidita' che c'era in cassa avrebbe pagato per la Buitoni e avrebbe non soltanto trovato i mezzi finanziari per pagare le rate dovute all'Iri, ma avrebbe anche potuto profittare di una liquidita' che sarebbe venuta disponibile. E fece tutta una serie di altri ragionamenti che io credo potranno anche venire evidenziati se il Tribunale vorra' sentire con domande acconce ancora una volta il sen. Amato che partecipo' a tutta quella vicenda in termini molto piu' importanti e precisi da quello che io ho potuto acquisire leggendo le cronache giornalistiche che mi sono state sottoposte dai miei avvocati in quella famosa sera.

E come concluse Craxi? Craxi disse: e' un danno per lo Stato, e' una spoliazione inaccettabile ma, purtroppo, io non ne sapevo niente. Il consiglio di amministrazione dell'Iri ha gia' approvato questa vicenda, c'e' un solo mezzo ed e' quello di far pervenire all'Iri una offerta che sia sensibilmente piu' elevata di quella contenuta nel contratto con la Cir. E io so che Barilla si sta attivando per mettere insieme una cordata di industriali ma dato i tempi, io ho provveduto, mi disse, a chiedere ed e' stato ottenuto un intervento di Amato su Darida che intervenendo sull'Iri riusci' a chiedere che fosse spostato il termine dell'esecuzione del contratto dal 10 maggio al 28 di maggio, questo ottenuto. Quindi c'e' un tempo molto breve per fare arrivare all'Iri che sia migliorativa rispetto al prezzo concordato con la Cir. Mi chiese in pratica di interessarmi direttamente. Mi disse: non vedo sbocchi perche' vedo che Pietro Barilla, pur molto motivato al riguardo, non ha in concreto le attitudini di mettere insieme in tempi utili questa cordata, io ti prego di intervenire direttamente a fianco di Barilla, so che ci sono altri industriali che sono interessati, mi cito' Ferrero e mi disse anche Ferrero, non solo Barilla, non solo Buitoni, si era fatto avanti, mi disse che gli era stato riferito dal ministro Goria che gli aveva detto, successivamente, quando lui espleto' questa indagine presso i suoi ministri, che anche Ferrero si era dichiarato disponibile ed interessato all'acquisto dell'intera Sme. Quindi disse so: che si sta attivando un commercialista, certo dott. Locatelli di Milano che sta contattando Ferrero, ti prego contattalo e mettiti in campo, magari facendo intervenire anche la Fininvest nella cordata al fine di arrivare a presentare entro quella data, il 28 di maggio, una offerta assolutamente migliorativa rispetto all'offerta della Cir.

Io feci presente che anche io ero stato contattato dalla Cir quando guardando al mercato nello stesso anno stavo cercando di differenziare gli investimenti del mio gruppo, erano venuti proprio da me due importanti dirigenti Cir, e cioe' il dottor Rasiero e il dottor Franco Viezzoli, mi avevano detto in quel momento, avevo chiesto se fosse in programma una cessione da parte dell'Iri della Sme, l'avevano tassativamente escluso e avevano detto che probabilmente si poteva parlare di un 13% da comperare dall'Iri, che in questo caso si sarebbe tenuta comunque la maggioranza del 51%, e che un altro 7-8% sarebbe stato possibile prenderlo dal mercato borsistico e, quindi, che sarei diventato un socio di una certa rilevanza con il 20% della stessa Sme, ma io era in quel momento sempre stato l'unico proprietario delle mie aziende e mi dichiarai quindi non interessato. Cosi' prosegue la dichiarazione spontanea di Silvio Berlusconi davanti ai giudici del processo Sme: "Quindi raccontai questa cosa al presidente del Consiglio ma lui mi prego' ugualmente, anche se non c'era al quel punto nessun interesse diretto nell'acquisizione della Sme, ne' in alcuna delle aziende che fossero della Sme, quindi mi prego' in maniera molto molto affettuosa ma pressante, di mettermi a disposizione e di sentire subito il presidente della Barilla e di vedere e ascoltare questo dottore commercialista e di mettermi in campo con la mia concretezza per vedere di riuscire a presentare un' offerta. Io alla fine lo feci e devo dire anche che non mi peso' piu' di tanto, perche' avevo qualche conto aperto con il signor De Benedetti che partecipava al gruppo La Repubblica-Espresso che mi attaccava, non un giorno si e uno no: mi attaccava praticamente tutti i giorni. E consideravo effettivamente indegno che ci fosse una speculazione di quel tipo ai danni di tutti i cittadini e ai danni dello Stato.

Quindi mi misi subito in contatto con Locatelli, Locatelli mi racconto' di essere gia' in contatto con Ferrero. Non conoscevo personalmente il dott. Ferrero, ma ero in contatto con i suoi dirigenti che erano investitori di pubblicita' sulle mie televisioni; parlai al telefono con loro e alla fine si stabili' che ci poteva essere un incontro perche' la Ferrero disse di essere interessata almeno ad esaminare la vicenda. Ma c'era da intervenire con una offerta prima del 28 di maggio. Incaricai allora in sintonia totale con Pietro Barilla un avvocato di Roma di presentare all' Iri un'offerta migliorativa, mi ricordo che fu di circa 50 miliardi il miglioramento, mi sembra che l'offerta fosse di 550 miliardi all'Iri stessa, come si puo' fare in nome e per conto di persone da indicare successivamente in quello che sarebbe stato il primo contatto diretto e personale tra questo professionista e i responsabili dell'Iri. Questa offerta fu indirizzata il 23 di maggio, successivamente, mi sembra proprio nei giorni immediatamente successivi, decidemmo di avere un incontro tra Barilla, il sottoscritto e i rappresentanti della Ferrero e trovammo una posizione comoda, mi sembra di ricordare che fosse una domenica e fu comodo per tutti convenire in quel di Broni, presso un ristorante dove arrivo' Barilla con suo figlio, Manfredi e altri suoi dirigenti e avvocati. Arrivai io con anche i miei collaboratori, arrivo' Michele Ferrero che pero' ci disse subito che avrebbe dovuto lasciarci dopo un po' di tempo, perche' il giorno dopo doveva partire di buon'ora per Londra, infatti rimase la moglie e rimasero i suoi collaboratori. Discutemmo in quell'occasione di tante cose, di cio' che si doveva fare.

L'interesse della Barilla era evidente per Motta per Alemagna per tutta una serie, per la Pavesi, soprattutto; apro una parentesi: quando il presidente del Consiglio mi disse: e' impossibile che un affare di questo tipo si sia trattato in due sole sedute presso Mediobanca, mi disse di essere stato informato che alcuni dirigenti di Iri tra cui il direttore finanziario Rastrelli si erano indignati quando sedutisi al tavolo chiesero a De Benedetti quali erano le sue offerte. De Benedetti secco disse: non sono qui per fare offerte sono qui per firmare, tanto e' vero che i dirigenti si offesero e abbandonarono la riunione lasciando soltanto il presidente dell'Iri che poi combino' l' affare con De Benedetti e, devo dire, facendo un salto in avanti, che a sostegno del fatto che una trattativa di questo genere non puo' attuarsi e concludersi in due sedute, cito la situazione dell'acquisto successivo di Barilla che acquisto' la Pavesi da parte dell'Iri; questo acquisto richiese 33 sessioni, 33 incontri. E, questo l'ho trovato ieri sera, ironia del caso, Barilla pago' una piccolossima parte dell'impero Sme, la Pavesi, un miliardo di piu' di quello che avrebbe pagato la Cir per l' intero gruppo; pago' 394 miliardi, un miliardo di piu' dell' intero gruppo ed erano passati pochi anni. C'era stato certamente un percorso piu' attivo, ma mai e poi mai si sarebbe potuto pensare che una parte cosi' minore dell'impero potesse essere valutata esattamente quanto fu valutato in quell'occasione la vendita dell'intera Sme al gruppo Cir. Ritornando a quella sera l'interesse di Ferrero era evidente, temevano soprattutto una cessione successiva ad un gruppo straniero.

In quel momento mi sembra di ricordare che la Ferrero avesse un fatturato in Italia intorno a 1.000 miliardi, il fatturato nei dolci, nel cioccolato nelle merendine delle aziende della Sme era di 250-300 miliardi, quindi era evidente l'interesse della Ferrero, ma c'erano dei dubbi sugli altri assettti del gruppo, in quanto l'alimentare interessava al gruppo Barilla, i dolciumi interessava al gruppo Ferrero, non si sapeva chi poteva prendersi carico della Cirio e degli olii ed e' per questo che successivamente la cordata si apri' a un nuovo partecipante le Conserve Italia del gruppo Cooperativo Bianchi. Lasciammo dopo alcune ore di discussione la riunione, io ero riuscito a far passare il fatto che l'offerta che si doveva presentare doveva essere almeno del 25% superiore all'offerta presentata dalla Cir, quindi stabilita la cifra tonda di 600 miliardi. Ci lasciammo senza sottoscrivere nessuna offerta, nei giorni successiva anzi io mi preoccupai del fatto che la Ferrero non potesse essere della partita e mi attivai anche con tutta una serie di altri industriali dell'alimentare italiano contattandoli telefonicamente e incontrato qualcuno di loro per vedere se potevamo avere delle partecipazioni dirette alla cordata. Invece Ferrero sciolse i dubbi e mi telefono' direttamente l'amministratore delegato e disse che avevano deciso di partecipare alla cordata stessa".
(cfr. dichiarazioni spontanee: PROC.PEN. N. 879/00, 05.05.2003, IMPUTATO: SILVIO BERLUSCONI)

VEDI:

www.economist.com/media/pdf/dichiarazioni.pdf

www.rainews24.rai.it/ran24/speciali/irisme/2003_berlusconi_5ma...

www.senato.it/notizie/RassUffStampa/030506/4drz6.tif
(L'ARRINGA DI BERLUSCONI: ECCO I COLPEVOLI, "IL GIORNALE", 6 maggio 2003)




INES TABUSSO