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LA REPUBBLICA
18 gennaio 2007
La base americana vista da Caldogno
di Ilvo Diamanti

Io abito a Caldogno, a un paio di chilometri dall'aeroporto Dal Molin. Dove avverrà l'ampliamento della base militare americana, secondo la richiesta degli USA, accolta (senza impegni scritti) dal precedente governo, approvata dal Comune di Vicenza (21 voti su 40) e ora accettata da Romano Prodi. Parlo in prima persona, per una volta, perché non intendo fingere distacco. Né adottare lo stile analitico con cui traccio le mie "mappe". Perché il mio sguardo è filtrato dal sentimento e dal coinvolgimento diretto. Io abito a Caldogno, dicevo. Poco più di diecimila abitanti. Fra cui Roberto Baggio. E' cresciuta in fretta Caldogno. La casa dove abito l'ha fatta costruire mio padre negli anni Settanta. Nel quartiere, allora, c'erano solo due o tre case, perse in mezzo ai prati. Caldogno: trent'anni fa contava quattromila abitanti, forse. Da allora è quasi triplicata. Un punto della grande galassia del Nordest. Informe. Caldogno, in particolare, è divenuta il tessuto connettivo fra l'Alto Vicentino e Vicenza. E la sua crescita massiccia si deve, soprattutto, al consueto processo di "evasione" dal capoluogo di ampi settori di popolazione verso i comuni dell'hinterland. E' una città agiata, Caldogno. Le sue località, i suoi quartieri, accolgono ville, villette, bifamiliari, case a schiera. Il Dal Molin fa da confine. Lo incontri quando arrivi a Vicenza dalla strada interna, dopo aver attraversato Ponte Marchese, che scavalca il "fiume" Bacchiglione. (Confidenzialmente il Livelon. La spiaggetta dei vicentini). Il Dal Molin. Fra i pochi spazi verdi quasi un parco, tra Caldogno e Vicenza. Al di là del fiume sorgono le villette di Lobbia. L'aeroporto ti accompagna per un tratto, fino a Viale Dal Verme. Che funge da circonvallazione per una città che non ha una circonvallazione. Assediata dal traffico e dall'urbanizzazione. Da lì al centro, pochi minuti in bici, per chi ha coraggio (si rischia la vita su quelle strade, in bici; tanto più se devi affrontare una sequenza infinita di rotatorie). O in auto (semafori permettendo). Quando accompagno in auto i miei figli, che studiano a Vicenza, da casa mia ci metto dieci minuti. Il Dal Molin è a metà strada. Cinque minuti dal centro; di Vicenza e di Caldogno. Per questo, qualche anno fa, quando si sparse la voce che proprio lì sarebbe sorta una nuova base militare Usa, io non ci ho creduto. E come me molti altri, che conoscono il sito. Tremila militari, sei settemila tra familiari e ausiliari. Circa diecimila persone. (Altrettante ne risiedono, attualmente, nel villaggio Ederle. In totale diverrebbero ventimila americani, in una città di centomila abitanti). Una base militare proprio lì, a due passi dal centro (e, lo ammetto, da casa mia). Impossibile.

Invece era assolutamente vero. Tanto vero che erano stati predisposti piani particolareggiati, circa gli aspetti urbanistici, immobiliari. E finanziari. Definiti con cura dal governo americano insieme all'amministrazione locale. Per cui, come altri che abitano a Vicenza e a Caldogno, mi sono arreso all'evidenza. Ho tentato, fino all'ultimo, di non farmi coinvolgere troppo, emotivamente e concretamente. Per non compromettere i pochi momenti di quiete, fra un viaggio e l'altro. E perché il mio "mestiere" non lo permette. Però come fai non pensare che lì, a metà strada, fra casa tua e Vicenza, dopo il Ponte Marchese, sorgerà una base militare? Che un aeroporto dismesso potrebbe diventare attivo; anzi "militare "? Per onestà, gli Usa hanno garantito che non lo utilizzeranno come aeroporto. Però trattandosi della 173° brigata aviotrasportata e vista la determinazione con cui gli Usa hanno voluto, preteso, ottenuto proprio il Dal Molin, rifiutando le alternative proposte dal governo, qualche dubbio è lecito. Per cui ho cominciato seguire la vicenda con maggiore attenzione. Pur restando defilato. Ho cercato di capire. Ho perfino marciato insieme ai 15 mila che, ai primi di dicembre, hanno manifestato, in modo pacifico. Io, prima, non ricordo di avere mai "marciato". Pigro e scettico come sono.

Ritenevo, tuttavia, che, alla fine, il progetto non sarebbe stato approvato. Perché bastava guardare, conoscere, vedere... Sbagliavo, evidentemente. La base si farà. In nome delle alleanze internazionali. E dell'interesse nazionale. Che, naturalmente, non può essere stabilito dai cittadini del luogo. Ci mancherebbe. Il Bene del Paese contro il bene del "mio" paese. Non c'è partita. Tanto più se l'informazione locale, gli imprenditori, i politici (non solo) di centro-destra catalogano l'opposizione alla base, tutta insieme, nel segno dell’antiamericanismo no-global. E l'accusano di attentare non solo all'occupazione dei 750 dipendenti della Caserma Ederle (le cui paure e le cui resistenze, di fronte gli avversari dell'ampliamento, sono del tutto comprensibili e legittime). Ma perfino all'economia vicentina, nel complesso. Quasi che lo sviluppo locale dipendesse dalla presenza americana. Le ragioni di chi teme per la sicurezza, per il traffico, per le infrastrutture, per il paesaggio: sepolte dall'antiamericanismo, dalla minaccia all'economia. Nella provincia più americana e più sviluppata d'Italia.

Così, oggi si parla di "scelta obbligata" del governo. Di ragion di Stato. Come se il Dal Molin segnasse una nuova cortina di ferro, fra americani e comunisti. Come se fosse "ragionevole" costruire una base militare in centro città.

Per questo, oggi, mi sento personalmente stupito, sconfitto e un poco stupido. Perché avevo pensato impensabile ciò che poi è avvenuto. Perché (come altri che abitano qui) mi sento circondato. Solo contro tutti: il Comune di Vicenza, gli americani, il governo Berlusconi e il governo Prodi. E disarmato. Perché non posso fare neppure il no global, globalizzato come sono. Tanto meno l'estremista antiamericano. Io, che non ho conosciuto l'ebbrezza dell'estremismo. Io che non sono mai stato marxista. Neppure da giovane. Mi sento confuso e deluso. E arrabbiato. Lucio Caracciolo, ieri mattina (a "Prima pagina",su Radiotre),ha detto che "il governo non abita a Vicenza". (Ma l'America sì). Lo sapevamo anche prima, qui nel Nordest. Estrema periferia d'Italia. Ora lo sappiamo anche a Caldogno. Piccola periferia del Dal Molin. Invisibile. Informe. Senza voce.





INES TABUSSO