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CORRIERE DELLA SERA
29 maggio 2006
Bloccare le spese non basta, urgono nuove regole PRODI SCELGA LE RIFORME
di FRANCESCO GIAVAZZI

Cinque anni fa Silvio Berlusconi si giocò la legislatura nei primi tre mesi di governo. Anziché approvare subito una riduzione delle tasse - il vero motivo per cui aveva vinto - trascorse le settimane in una sterile polemica sui conti pubblici. Quando finalmente si decise, la coesione nella sua maggioranza già cominciava a venir meno: chi voleva tagliare le tasse alle imprese, chi alle famiglie, chi solo ai poveri, chi anche ai ricchi. Risultato, non fece nulla e alla fine perse le elezioni. Oggi il rischio che Prodi lasci trascorrere i giorni senza far nulla non c’è, se non altro perché la situazione dei conti pubblici è più difficile di quanto non fosse cinque anni fa. Ma c’è un rischio altrettanto grave. L’illusione che per tornare a crescere basti metter ordine nella finanza pubblica e rispettare i parametri di Maastricht.
Le difficoltà dei conti pubblici sono una conseguenza del virus che ha colpito l’Italia, non la causa prima. Il virus è la caduta della produttività (in cinque anni abbiamo perso 7 punti rispetto alla Germania, 5 rispetto alla Francia). Su 10 italiani, meno di 6 lavorano, contro quasi 8 in Svezia. I giovani continuano a laurearsi a 26-27 anni e a quell’età il numero di coloro che lavorano o cercano un lavoro è il 10% in meno rispetto agli Stati Uniti. Per aprire un’attività produttiva servono 16 pratiche amministrative (con allegato obolo al notaio) e per completarle si impiegano 62 giorni lavorativi: le pratiche richieste in Danimarca sono 3 e richiedono 3 giorni. Le imbarcazioni di lunghezza superiore ai 17 metri iscritte al registro nautico sono 65 mila, in un Paese in cui solo 17 mila 141 contribuenti dichiarano un reddito superiore ai 200 mila euro (dati del 2002). La giustizia civile impiega in media 1.390 giorni per completare le procedure necessarie per recuperare un credito: in Francia la causa si chiude in 75 giorni (dati della Banca Mondiale). L’aspirina costa il doppio che in Gran Bretagna perché qui si può comprare solo in farmacia, e intanto da settimane i farmacisti acquistano pagine e pagine sui quotidiani per spiegare quanto sarebbe rischioso lasciarci liberi di acquistare tanta aspirina quanta vogliamo (mai capitato che un farmacista si sia rifiutato di vendermi un’aspirina).
Un negozio su tre ha una superficie inferiore ai 400 metri quadri, mentre i grandi magazzini rappresentano solo il 22% della distribuzione: in Francia, il Paese dei prodotti doc, i piccoli esercizi sono il 3% e i grandi il 53% (dati AC Nielsen). La Esselunga di viale Piave a Milano non può aprire la domenica perché sta dalla parte sbagliata della strada, mentre la Unes che le sta di fronte sì. In 8 anni il prezzo delle assicurazioni è aumentato di 2,14 volte, mentre in Germania saliva di 1,15. Le imprese pagano l’energia elettrica 13 euro per 100 chilowatt, contro 11 in Germania...
Certo, anche la spesa pubblica è un problema, ma per ridurre la spesa occorre cambiare le regole: i decreti taglia-spese non servono a nulla. Caro ministro Mussi, prima di promettere - come purtroppo Lei già ha fatto - più soldi all’università legga gli studi del professor Perotti [1] sul funzionamento dei nostri atenei: si convincerà che dare più soldi a questa università vuol solo dire aumentare le rendite dei baroni che ancora la controllano.
In Lombardia il ticket medio per ricetta medica è sceso da 3,2 euro nel 2003 a 2 euro nel 2005 e il numero di ricette esenti da ticket è passato da 400 mila nel 2004 a 1,2 milioni nel 2005. Illudersi di ridurre la spesa sanitaria tagliando il Fondo sanitario nazionale senza cambiare i diritti dei cittadini è evidentemente un’illusione. Quaranta anni fa il 75% del bilancio del Senato serviva per pagare gli stipendi dei senatori: oggi quella voce è scesa al 25%. Non mi pare che gli stipendi dei senatori siano stati tagliati, invece si sono moltiplicati i palazzi e i dipendenti, senza che il Senato sia diventato più efficiente nel produrre leggi.
La forza di un governo è massima il giorno in cui vince le elezioni. La maggioranza è coesa e le elezioni successive sono lontane. È in queste settimane che si possono fare scelte coraggiose: sprecare questa forza per correggere i conti senza cambiare le regole sarebbe un grave errore. Fra due anni l’aggiustamento finanziario si rivelerebbe effimero, ma a quel punto Prodi non avrebbe la forza che ha oggi e affrontare i nodi strutturali sarebbe molto più difficile: Berlusconi docet. Meglio negoziare con Bruxelles un rientro dilazionato, impegnandosi nel frattempo a un percorso di riforme. La Commissione potrebbe accettare un ritardo nell’aggiustamento dei conti a fronte di tempi certi in alcune riforme, come fece Nino Andreatta quando si impegnò con il commissario van Miert a chiudere l’Iri: senza quell’impegno l’Iri sarebbe ancora lì a succhiare denaro pubblico. Limitarsi a scrivere queste cose nel Documento di programmazione economica e finanziaria, che è ormai diventato un inutile libro dei sogni, non serve a nulla.
E allora: riforma di notai e farmacisti approvata dal Parlamento entro giugno. Luglio dedicato a compiere un passo avanti rispetto alla legge Biagi. Per ottenere un po’ più di flessibilità occorrerà investire qualche risorsa negli ammortizzatori sociali, un ottimo investimento se in cambio il ministro Damiano riuscirà a modificare qualche regola nel mercato del lavoro. Risparmiare sugli ammortizzatori e non cambiare le regole sarebbe una scelta miope.
Sempre in luglio vendere il 30% di Enel che lo Stato ancora possiede (dopo aver separato dall’azienda alcune centrali da vendere a parte, per evitare di cedere ai privati il controllo della Borsa elettrica). In agosto il via a tre rigassificatori, altrimenti prima o poi finiremo alla mercé di Putin che insieme agli algerini può decidere di lasciarci al buio. In settembre la Finanziaria, con un’innovazione importante. Poiché sanità e commercio sono competenze comunali e regionali, i trasferimenti a questi enti dovrebbero essere proporzionali ai progressi che essi compiranno su ticket e liberalizzazioni: se le regole non cambiano i trasferimenti dal bilancio dello Stato si riducono. Lo stesso per le società municipali: i comuni e le province che si considerano abbastanza ricchi da acquistare autostrade riceveranno di meno. Sarebbe un processo analogo a quello che ci ha portato nell’euro, ma incentrato sulle riforme strutturali, non su un aggiustamento finanziario effimero.
Giavazzi_f@yahoo.com



[1]
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INES TABUSSO