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POSTPOLL.IT
26 maggio 2006
I lorsignori del calcio.
La certezza dell'impunità
Scritto da Roberto Weber*


Dai giornali apprendiamo che Luciano Moggi da direttore generale della Juventus, riceveva come stipendio annuo una cifra di oltre 2.400.000 Euro, superiore a quella dello stesso Presidente della società torinese. Considerando l’enorme mole di lavoro svolto e soprattutto i risultati raggiunti - sei scudetti, una coppa dei campioni e altre tre finali europee in dodici anni - evidentemente la famiglia Agnelli deve aver pensato che quei soldi fossero spesi davvero bene. Dello stesso avviso deve essere stato - dopo la morte di Gianni e Umberto Agnelli – il presidente della Juventus e avvocato della ‘famiglia’, Franzo Grande Stevens. Quello stesso Franzo Grande Stevens che nell’ottobre del 2004 presso l’Hotel Papillon a Courmayer apriva il XIX Convegno di studio su ‘Mercati Finanziari e Sistemi di Controllo’ con queste parole: “Enron, Worldcom, Vivendi, Cirio, Parmalat: la sequenza degli scandali finanziari ha suscitato grave sconcerto fra risparmiatori, istituzioni, operatori, studiosi. Mercati finanziari e modelli di corporate governance attraversano una crisi profonda.” Chissà, forse in quello stesso momento il suo ‘dipendente’ Luciano Moggi, entrava nello spogliatoio dell’arbitro Paparesta – reo di aver negato un rigore alla Juve - minacciando di chiuderlo dentro e gettar via le chiavi, oppure suggeriva sul telefonino a proposito di Zeman ‘bisogna fargli qualcosa…’
Non abbiamo bisogno di continuare convinti che i nostri lettori abbiano colto: la vicenda del calcio appare devastante perché come in ogni scandalo italiano, appaiono direttamente o indirettamente coinvolti, pezzi fra i più significativi della nostra classe dirigente: uomini delle istituzioni, uomini della finanza, personaggi dell’industria e dell’economia, uomini delle professioni, opinionisti di grido e infine – come braccio che ad un certo punto assurge a ‘mente’ e diventa in un delirio di onnipotenza il vero dominus della situazione – un italiano piccolo piccolo, dotato di ingegno, spregiudicatezza, desiderio di affermazione, personalità fortissima, nessuna cultura, scarsi vincoli morali, il Moggi di turno, una sorta di villain shakesperiano.
Come per ogni scandalo - per quelli emersi e conclusisi con processi e per quelli sotterranei sfuggiti alla giustizia - la costante è la stessa: il desiderio di affermazione materiale o immateriale di soggetti economici o individuali, a prezzo delle ‘regole del gioco’, meglio ancora, modificando ‘le regole del gioco’.
Ciò che sembra caratterizzare i casi italiani da quelli di altri paesi sono due elementi: la convinzione di una sostanziale impunità – da cui nasce lo sconcerto o addirittura lo sdegno quando la giustizia prende a occuparsi di loro e – come osservavamo – il legame davvero stretto che tende a formarsi fra pezzi di classe dirigente ‘consolidata’ e la turbolenza di nuovi soggetti che cercano un posto al sole, costi quel che costi.
Alla base di tutto ciò crediamo sia il carattere autarchico e protetto del capitalismo italiano, davvero alieno alla dimensione competitiva, la sua debolezza endemica, la sua incapacità in primo luogo ‘psicologica’ di affrontare le sfide. Un grande corsivista scomparso da molti anni, Fortebraccio, li chiamava ‘lorsignori’: si sbagliava, non lo sono mai stati.
Curioso paese davvero il nostro, capace di mettere a punto un’industria sportiva che – pur nell’esiguità della sua base di praticanti – è fra le prime al mondo, in termini di organizzazione, risultati e risorse tecnologiche. E tuttavia un’industria continuamente solcata dagli scandali: quello dell’atletica e del diffusissimo doping negli anni ottanta, quello del ciclismo e della sua sotterranea ipocrisia che costerà la vita a Pantani, quello del calcio scommesse negli anni ottanta. In tutti questi casi allo sdegno iniziale segue la ricerca di un capro espiatorio, poi un silenzio vagamente omertoso e infine una solida ‘normalizzazione’.
E’ probabile che anche questa puntata che sembra ‘la madre di tutti gli scandali’ abbia la stessa conclusione: lo lascia intuire il passo falso dell’Unione che propone Letta ai vertici della Federazione Gioco Calcio. Davvero non capiscono i neo-eletti governanti del centro-sinistra che o danno un esempio ‘forte’ o alla fine la gente, questa benedetta ‘gente’, si riprenderà Moggi, in fondo uno di loro, un ex-ferroviere che è riuscito arrivare fin lassù, l’unico che ha pagato…… E’ già accaduto.


*Roberto Weber e' uno dei soci fondatori di Swg, istituto che si occupa di ricerche demoscopische. Nel corso degli ultimi quindici anni ha seguito in particolare le attività di ricerca legate al mondo della comunicazione, degli orientamenti dell'opinione, del marketing politico. In relazione all'analisi delle dinamiche politiche e al loro intreccio con quelle mediali, ha scritto: Miss Melandri e le parole magiche(1996), I nuovi barbari (2001), e ha contribuito alla realizzazione del volume Tendenze2003(2002).



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