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LA STAMPA
12 aprile 2006
Due leggi, un comune disastro
Attenti a Calderoli & Tremaglia
La strana coppia di bergamaschi sotto accusa per il crack
Mattia Feltri


ROMA. Mirko Tremaglia e Roberto Calderoli hanno alcune cose in comune: sono stati ministri dell’ultimo governo, sono soliti usare uno schietto «culattone» anziché l’ipocrita «gay», sono bergamaschi e sono i massimi responsabili della sconfitta di Berlusconi. Tremaglia per aver finalmente coronato il sogno della vita: far votare gli italiani all’estero, senza immaginare che gli italiani all’estero avrebbero votato a sinistra. Calderoli per aver escogitato la legge elettorale con cui la Casa delle Libertà perde alla Camera dello 0,07 per cento ed è sotto di oltre settanta seggi, e al Senato vince di 1,3 per cento, ma è sotto comunque.

A distanza di decenni, le prodezze del duo orobico innalzano la dignità del ghisa milanese che, tramortito dalle insensatezze di Totò e Peppino, si produsse in quello che per lui era l’insulto più formidabile: «Ma da dove venite? Dalla Val Brembana?». E invece no. Sono entrambi di città. Calderoli di città alta, Tremaglia di città bassa. E infatti le concordanze sono finite. Tremaglia ha ottanta anni e nel 1943 raggiunse Salò per difendere l’onore della patria. Molto tempo dopo il suo povero figlio Marzio, morto per un tumore al cervello, disse: «Papà è partito a sedici anni. Non è mai tornato». Verissimo. Quando Gianfranco Fini certificò il «male assoluto» delle «leggi razziali», gli diede dell’«ignorante», nella variante strettamente etimologica, perché lo aveva già fatto e durissimamente venti anni prima Giorgio Almirante; senza per questo rinnegare la Repubblica sociale.

Calderoli di anni ne ha cinquanta e suo nonno, nel dopoguerra, fondò una Lega primordiale retta da un motto ancora in voga: «Bergamo nazione, il resto meridione». Nonostante abbia il secessionismo nel sangue, compreso quello degli avi, e sostenga la corruzione fisiologica della capitale, nessun quotidiano del posto gli ha mai dedicato un titolo così bello: «Davanti a lui Tremaglia tutta Roma!». E’ anche vero che nessuno mai ha scritto un libro con un titolo più brutto: «Mutatis Mutanda». A esso Calderoli affidò i pensieri più elevati: «Questo lavoro è un sofferto dissezionamento della mia sfera cosciente e del mio iter emozionale e culturale». Oppure: «Ringrazio madre natura di avermi dato una caparbietà da mulo e un minimo di intelligenza».

Non è che i due vivano di rivalità. Sebbene siano concittadini e alleati, si ignorano. Calderoli considera Tremaglia un fascista. Tremaglia concorda e non considera Calderoli. Non considera i leghisti in genere, sebbene in città molti ricordino uno sprazzo di celodurismo ante litteram in un comizio, tenuto da Tremaglia in preda all’entusiasmo, e chiuso così: «Viva Bergamo! Viva l’Italia! Viva la f...». Tutto agli atti, tutto vero. Calderoli invece con le donne è
un noto disastro. Quando Lucia Annunziata lo intervistò, gli domandò dei lupi che alleva in giardino, e infine gli fece notare la cortesia d’aver glissato sulla moglie Sabina Negri. E lui osservò: «Sempre di belva si tratta». L’aveva conquistata regalandole una Rolls-Royce. Ben diverso da Tremaglia che, nel 1956, guidò una carovana di due Topolino, tre passeggeri per ogni auto, diretti a Budapest per unirsi ai rivoltosi e respinti a calci alla frontiera. Come si vede, i due interpretano in modo diverso il concetto di generosità. Quella di Tremaglia risiede soprattutto nella battaglia trentennale per garantire il diritto di voto ai connazionali espatriati.

Chiunque abbia lavorato nelle redazioni bergamasche possiede interi faldoni con le dichiarazioni, le interpellanze, gli appelli, i ringraziamenti, le recriminazioni e qualsiasi altro documento vergato da «Tremal Naik» (soprannome salgariano per il quale va matto) lungo i decenni. Grazie alla nomina a ministro, ha potuto completare l’opera nella scorsa legislatura. E metterla alla prova in queste politiche. Così tutti, lunedì sera, davano per certo il Senato al centrodestra, già avanti di un seggio e in attesa dello spoglio estero, dato per favorevole a Berlusconi da qualsiasi pronostico. E invece, dei sei seggi uno soltanto è andato alla Cdl, e per di più a Forza Italia. Incredibilmente, la coalizione si è presentata con quattro liste in collegi uninominali dove il parlamentare è stato preso dalla lista unica dell’Unione con la maggioranza relativa, ma meno voti totali. La generosità di Calderoli sta invece nell’aver firmato una legge, quella sul sistema elettorale, che ha confessato di considerare una «porcata».

Porcata nel senso calderoliano del termine. Secondo gli insegnamenti del suo capo, Umberto Bossi, dire che uno sbaglia passa inosservato. Dire invece che è un colossale imbecille porta dritti in prima pagina. In effetti. Ma con «porcata» lui intendeva «portare all’attenzione di destra e sinistra gli aspetti critici della legge. E’ una norma sicuramente migliorativa rispetto a quella di prima, perché oggi vince chi prende più voti». Così sarebbe, perlomeno secondo logica. Ma quando si incontrano le strepitose noncuranze di un leghista bergamasco e i commoventi ardori di un bergamasco ex missino, non si arriva secondo logica. Si arriva secondi, cioè ultimi, e basta.


INES TABUSSO