Atto secondo
Scena I - La casa di Porzia a Belmonte
Fanfara di cornette. Entrano il Principe del Marocco, un Moro dalla pelle bruna vestito d'un barracano bianco con tre o quattro del suo seguito, vestiti nella stessa foggia;
Porzia, Nerissa e altri della casa che non parlano
Marocco -
Non vi spiaccia il color della mia pelle,
bruna livrea del mio torrido sole,
di cui sono un vicino e al cui raggio
posso dir quasi che sono cresciuto.
Ma portatemi qui
l'uomo più bello che sia nato al nord,
dove il fuoco di Febo a malapena
riesce a liquefare dei ghiaccioli,
e facciamoci insieme lui ed io,
un taglio nella carne,
a mostrar quale sangue è più vermiglio.
tra il mio e il suo. Io ti dico,([32]) signora,
che questo mio sembiante
ha intimorito uomini valenti;
e ti posso giurare, sul mio amore,
ch'esso è piaciuto alle più avvenenti
e degne vergini del nostro clima.
Ed io non cambierei questo colore,
mia graziosa regina, a nessun prezzo,
salvo che per rapire il vostro amore.
Porzia -
A questa scelta io non son guidata
soltanto dalla saggia direzione
dell'occhio d'una vergine fanciulla;
c'è in più la lotteria del mio destino([33])
che m'interdice dalla facoltà
di scegliere secondo ch'io vorrei.
Ma, se mio padre non m'avesse imposto
questa limitazione, e vincolato
d'espresso suo volere a darmi in moglie
all'uomo che riesca a conquistarmi
coi mezzi che v'ho detto, illustre principe,
voi sareste gradito agli occhi miei
non men che ogni altro dei visitatori
ch'io finora abbia visto
venuti qui a richiedere il mio amore.
Marocco -
Ed io anche di questo vi ringrazio.
Perciò, vi prego, vogliate condurmi
agli scrigni, a tentar la mia fortuna.
Io vi giuro su questa scimitarra,
ch'ha ucciso il re e un principe di Persia,([34])
che ha vinto pel sultano Solimano
tre battaglie campali,([35])
che mi sento di far abbassar gli occhi
all'uomo più spavaldo della terra,
di sfidare il più intrepido coraggio,
di strappar via i cuccioli lattanti
dalle poppe dell'orsa,
sì, di prendere a beffa anche il leone
allorché rugge davanti alla preda
per ottenerne in premio te, signora.
Ma, qui, purtroppo, mi sento impotente!
Se giocassero ai dadi Ercole e Lica
per stabilir tra loro chi è più forte,
potrebbe ben dalla mano più debole
sortire il numero più alto, e Alcide
ne sortirebbe allora superato
in forza e robustezza dal suo servo.([36])
E così io, la Fortuna che è cieca
guidandomi, potrei essere perdente
a vantaggio d'alcuno meno degno,
e addolorarmene fino a morire.
Porzia -
A voi dunque decidere:
o ricusar di cimentarvi a scegliere,
o cimentarvi, ma giurare prima,
che qualora la vostra scelta cada
sullo scrigno sbagliato,
mai più voi parlerete ad una dama
di profferte d'amore. Riflettete.
Marocco -
Bene, profferte non ne farò più.
Vogliate intanto condurmi al mio rischio.
Porzia -
Prima al tempio, a giurar solennemente.
Il vostro azzardo sarà dopo pranzo.
Marocco -
A te, buona Fortuna,
di farmi il più beato o il più dannato
di tutti gli uomini di questa terra!
(Squilli di tromba. Escono)
Scena II - Venezia, una calle.
Entra Lancillotto
Lancillotto -
Eh, sì, la mia coscienza
alla fine dirà che ho fatto bene
a fuggire da questo ebreo padrone.
Il diavolo mi sta sempre alle costole
a tentarmi, dicendo: "Lancillotto,
buon Lancillotto Gobbo, su, buon Gobbo",
oppure: "Su, buon Lancillotto Gobbo,
metti le gambe in collo, fila via!"
La mia coscienza dice invece: "No,
sta' bene attento, onesto Lancillotto,
onesto Gobbo"; o, come ho detto prima:
"Onesto Lancillotto, non scappare,
perché ti correrebbe alle calcagna
la vergogna". Ma un diavolo più ardito
m'istiga a far fagotto: "Via - mi dice -
via, in nome del cielo!" dice il diavolo,
"fatti coraggio e scappa" dice il diavolo.
Ma poi la mia coscienza,
abbarbicata al collo del mio cuore,
mi dice saggiamente: "O Lancillotto,
onesto amico mio,
tu, come figlio d'un onesto padre"
(o meglio, figlio d'un'onesta madre,
perché mio padre aveva un certo odore...
puzzava un poco... beh, lasciamo andare!),
"Lancillotto - mi dice la coscienza -
non ti muovere". E il diavolo: "Su, muoviti!"
E la coscienza: "No, non devi muoverti!"
"Coscienza - dico io - ben mi consigli".
"Diavolo - dico - mi consigli male..."
Insomma, a dare ascolto alla coscienza,
dovrei restare col padrone ebreo,
che, Dio ne scampi,([37]) è una specie di diavolo.
Se, al contrario, fuggissi dall'ebreo,
avrei seguito quel che dice il diavolo,
che, salvognuno, è il diavolo in persona.
Vero è ch'anche il giudeo
non è altro che un diavolo incarnale([38])
e, a dirla con coscienza, alla fin fine
la mia coscienza è una dura coscienza
per consigliarmi a restar con l'ebreo.
Il consiglio del diavolo è più amico.
Io fuggo, diavolo! Le mie calcagna
sono ai tuoi ordini; taglio la corda!
Entra Gobbo il Vecchio recando un cesto
Gobbo -
Mastro mio giovanotto, per piacere,
dove si va per il padrone ebreo?
Lancillotto -
(A parte)
O cieli! Il mio paterno genitore,
che essendo mezzo cieco, anzi di più,
cieco del tutto,([39]) non mi riconosce.
Voglio vedere come va a finire.([40])
Gobbo -
Mastro nobile giovane, vi prego,
quel è la strada per patron l'ebreo?
Lancillotto -
Girate a destra alla prima voltata,
alla seconda girate a sinistra;
però alla prima vera cantonata
non girate né a destra né a sinistra,
e ve ne andrete giù indirettamente,
a casa dell'ebreo.
Gobbo -
Per tutti i santi!
Sarà difficile imbroccarla giusta!
Sapreste dirmi se un tal Lancillotto
che sta con lui, ci sta con lui, o no?
Lancillotto -
Volete dire Lancillotto il Giovane?
(Rivolgendosi al pubblico)
Ora mi gonfio tutto, state attenti.
(Al Gobbo)
Volete dire il Mastro Lancillotto
giovane?
Gobbo -
No, signore, niente mastro;
ma il figliolo di un uomo poverissimo;
suo padre, posso dirlo, è un onest'uomo
ma povero da non potersi dire,
e, grazie a Dio, con volontà di vivere.
Lancillotto -
Bah, suo padre sia pure quel che vuole,
noi parliamo di Mastro Lancillotto
il giovane.
Gobbo -
No, vostra signoria,
Lancillotto e nient'altro, senza "mastro"!
Lancillotto -
No, buon vecchio, vi prego, ergo vi supplico,
parlate voi di Mastro Lancillotto
il giovane?
Gobbo -
Di Lancillotto solo,
con licenza di vostra maestria.
Lancillotto -
Ergo dunque di Mastro Lancillotto.
Non parlate di Mastro Lancillotto,
padre;([41]) perché quel giovane signore,
per volere dei Fati e dei Destini
e d'altre arcane storie che si dicono,
le Tre Sorelle e simili marogne,
è positivamente deceduto,
o, a dirlo con parole più pedestri,
se n'è volato al cielo.
Gobbo -
Dio non voglia!
Vergine santa, quel ragazzo lì
era il bastone della mia vecchiaia,
il mio vero sostegno.
Lancillotto -
(Tra sé)
Somiglierei io dunque ad uno stecco,
a una cannuccia, a un bastone, a un puntello?
(Forte)
Non mi riconoscete, padre?
Gobbo -
Ahimè,
giovin signore, io non vi conosco;
ma ditemi vi prego se mio figlio
- Dio conceda riposo alla sua anima! -
è vivo o morto?
Lancillotto -
Padre, ma davvero
non mi riconoscete?
Gobbo -
Ahimè, signore,
son mezzo cieco; non vi riconosco.
Lancillotto -
No, eh? Capisco bene:
aveste avuto buoni entrambi gli occhi
non avreste potuto riconoscermi:
per riconoscere il proprio figlio
ci vuole un padre saggio.
Comunque, vecchio, vi darò notizie
di vostro figlio. Prima beneditemi.
(S'inginocchia al Gobbo)
La verità viene sempre alla luce:
l'assassinio non può restar nascosto
a lungo; lo può invece il figlio al padre,
ma alla lunga la verità vien fuori.
Gobbo -
Ve ne prego, signore, rialzatevi.
Voi non siete mio figlio Lancillotto,
son sicuro.
Lancillotto -
Finiamo di scherzare,
vi prego; datemi la benedizione,
io sono il Lancillotto
ch'è stato un tempo il vostro fanciullino,
ch'è oggi il vostro figlio
e che sarà domani il vostro erede.
Gobbo -
Non so pensare che siete mio figlio.
Lancillotto -
E io per me non so cosa pensare
di questo; ma io sono il Lancillotto
che voi cercate, il servo dell'ebreo,
e son sicuro che mia madre è Ghita,([42])
vostra moglie.
Gobbo -
Si chiama Ghita, infatti;
e se tu sei davvero Lancillotto,
posso giurar che sei mia carne e sangue.
(Brancicando gli tocca la testa)
Sangue di Dio, che barba hai messo su!
Hai più peli sulla tua faccia tu,
che Dob, il mio ronzino, sulla coda.([43])
Lancillotto -
Vuol dire che la coda al tuo Dobbino
gli cresce alla rovescia, verso il dentro;
però l'ultima volta che l'ho visto
son sicuro che aveva sulla coda
più peli lui che non io sulla faccia.
Gobbo -
Misericordia, come sei cambiato!
E col padrone, di', ci vai d'accordo?
Gli ho portato un regalo. Vai d'accordo?
Lancillotto -
Sì, sì, d'accordo; ma per parte mia,
poiché ho deciso di piantarlo in asso,
e fuggire da lui, non farò sosta
prima d'aver percorso un po' di strada.([44])
Il mio padrone è un giudeo patentato.
Un regalo per lui?... Un laccio al collo!
Mi fa morir di fame al suo servizio.
Mi potete contare una per una
le costole, così come ogni dito.
Padre, son lieto che siate venuto.
Quel regalo portatelo per me
a un tal Mastro Bassanio,
che almeno veste la sua servitù
con splendide livree nuove di zecca;
se non mi prende lui al suo servizio,
andrò lontan da qui per quanta terra
Iddio ha steso al sole... E guarda, toh,
che fortuna! È proprio lui che viene
a questa volta. Padre, avviciniamolo,
perché se resto ancora un sol minuto
al servizio del maledetto ebreo,
dite pure che sono ebreo anch'io.
Entrano Bassanio, Leonardo e altri.
Bassanio -
(A un servo)
Fa' come credi tu, purché alla svelta,
di modo che la cena sia approntata
per le cinque al più tardi.
Provvedi a far spedire questi inviti,
e provvedi altresì alle livree,
che siano tutte in ordine perfetto,
e di' a Graziano di venir da me.
(Esce il servo)
Lancillotto -
A lui, padre, suvvia, fatevi avanti.
Gobbo -
(A Bassanio)
Dio benedica vostra signoria.
Bassanio -
Molte grazie. Desideri qualcosa?
Gobbo -
C'è qui mio figlio, un povero ragazzo...
Lancillotto -
Non povero ragazzo, signoria,
ma servitore di quel ricco ebreo,
e che, signore, avrebbe desiderio,
come mio padre vi spiegherà meglio...
Gobbo -
Egli ha, signore, una grande infezione([45])
di servire...
Lancillotto -
In breve, monsignore,
io sono ora al servizio dell'ebreo,
e avrei vaghezza, come qui mio padre
vi chiarirà...
Gobbo -
Tra lui e il suo padrone,
con rispetto di vostra signoria,
non se la intendono...
Lancillotto -
Ad esser breve,
la vera verità è che l'ebreo
avendomi trattato malamente,
è causa ch'io, siccome qui mio padre,
essendo, spero un uomo d'esperienza,
saprà fruttificar presso di voi...([46])
Gobbo -
Ho qui con me una teglia di piccioni;
vorrei offrirla a vostra signoria
con la preghiera...
Lancillotto -
Insomma, a farla breve,
con la preghiera a me impertinente([47])
come l'illustre vostra signoria
apprenderà da questo onesto vecchio
e mio padre, benché povero in canna...
Bassanio -
Parli uno per tutti! Che volete?
Lancillotto -
Entrare al vostro servizio, illustrissimo.
Gobbo -
Questo è il succo di tutto, monsignore.
Bassanio -
(A Lancillotto)
So già chi sei; la tua richiesta è accolta.
Me n'ha parlato appunto il tuo padrone
Shylock quest'oggi, ed anzi mi diceva
ch'eri ben degno d'un avanzamento,
se pur d'avanzamento può parlarsi
lasciar la casa d'un ricco giudeo
per entrare in servizio nella casa
d'un nobile spiantato come me.
Lancillotto -
Tra voi, signore, e il mio padrone ebreo
si può bene spartir l'antico detto:
voi possedete la "grazia di Dio"
e lui ha la "ricchezza sufficiente".([48])
Bassanio -
Proprio così.
(Al Gobbo)
Va', padre, con tuo figlio.
(A Lancillotto)
Tu va', licenziati dal tuo padrone
e dopo chiedi dov'è la mia casa.
(A un servo)
Tu provvedi per lui una livrea
più gallonata di quella degli altri;
bada che venga fatto come ho detto.
Lancillotto -
È fatta, padre... Ed io sarei quell'uomo
che non sa procurarsi un buon servizio,
eh?, che non ha una lingua nella bocca!
(Si guarda le palme delle mani e legge)
Beh, dico, se c'è uno in tutta Italia
ch'abbia una palma più bella di questa
da stender sulla Bibbia per giurare...
Avrò fortuna! Guarda com'è netta
e distante la linea della vita!...
Qualche affaruccio di femmine... eh, sì!
Perdio, quindici mogli! Una bazzecola!...
Undici vedove e nove ragazze:([49])
un semplice antipasto, per un uomo.
Eppoi scampar tre volte da affogare,
e trovarmi in pericolo di vita
sopra la sponda di un letto di piume...
salvataggi da ridere.
Eh, se davvero la Fortuna è femmina,
con me si porta da ragazza in gamba.
Venite, padre. Vado a licenziarmi
da quell'ebreo in un batter di ciglio.
(Esce con il Gobbo)
Bassanio -
Ora a te, buon Leonardo:
acquistato che avrai il necessario
e provveduto a metter tutto in ordine,
torna in fretta da me, ché questa sera
avremo ospiti a cena,
miei conoscenti del miglior riguardo.
Spìcciati, va!
Leonardo -
Farò tutto il mio meglio.
Entra Graziano incontrandosi con Leonardo
Graziano -
Il tuo padrone?
Leonardo -
È laggiù che passeggia.
(Esce Leonardo)
Graziano -
Signor Bassanio!
Bassanio -
Graziano. Che nuove?
Graziano -
Son qui per chiedervi un grosso favore.
Bassanio -
Accordato in anticipo. Che c'è?
Graziano -
Mi serve di venir con voi a Belmonte.
Non ditemi di no.
Bassanio -
Se ti abbisogna...
Però, Graziano, ascoltami un momento:
tu sei troppo imprudente, troppo brusco,
troppo ardito di lingua: qualità
che se in un certo modo ti si addicono
e agli occhi nostri non sembran difetti,
laggiù, dove nessuno ti conosce,
potran sembrare troppo licenziose.
Perciò dovrai sforzarti, ti scongiuro,
di temperar la tua esuberanza
con qualche goccia di moderazione;
un tuo contegno troppo disinvolto
potrebbe far che là dov'io mi reco
si formino di me un'idea sbagliata,
e addio speranze mie!
Graziano -
Signor Bassanio,
ascoltatemi: se non saprò darmi
un abito più sobrio e contegnoso,
parlando con rispetto,
e bestemmiando sì e no qualche volta,
se non porterò libri di orazioni
in tasca, dandomi un'aria compunta;
anzi, di più: se a pranzo, al "benedicite",
non mi rincalco il cappello sugli occhi,([50])
così... e se alla fine nel dir "Amen"
non faccio un sospirone, ecco, così...
insomma se non metto fuori in uso
tutte le norme di buona creanza
come uno che sia bene esercitato
ad atteggiarsi a triste e malinconico
per compiacere alla vecchia nonnina,
non fatemi più credito di sorta.
Bassanio -
Bene, vedremo quel che saprai fare.
Graziano -
Tutto, fuor che stanotte:
non dovete aspettare, a giudicarmi,
da quello che faremo questa notte.
Bassanio -
Ah, no, a comportarti come dici
sarebbe un gran peccato per noi tutti;
vorrei, anzi, esortarti questa notte
a sfoggiar la tua vena più briosa
e più sfrenata: avremo degli amici
che vengono da me per divertirsi.
Ma ora addio, ti devo salutare;
ho parecchi affarucci da sbrigare.
Graziano -
E io devo veder Lorenzo e gli altri.
Ma saremo puntuali per la cena.
(Escono da parti opposte)
Scena III - Venezia, la casa di Shylock.
Entrano Gessica e Lancillotto
Gessica -
Mi dispiace che te ne vai così;
la nostra casa è un mortorio d'inferno,
e tu, come un allegro diavoletto,
lenivi un poco questa sua tetraggine.
Addio, comunque. Toh, qui c'è un ducato.
E, senti, Lancillotto: questa sera,
non appena vedrai Lorenzo a cena
invitato dal tuo nuovo padrone,
dàgli questa missiva. Ma in segreto.
Ed ora addio. Non vorrei che mio padre
mi sorprendesse a parlare con te.
Lancillotto -
Adieu! Mi vien da piangere,
le lacrime esibiscono([51]) la lingua
di parlare, bellissima pagana,
dolcissima giudea! Se per averti
un cristiano non si sentisse pronto
anche a commettere una canagliata,
ne sarei veramente assai deluso!([52])
Ma addio! Queste melense lagrimucce
annegano il mio spirito virile.
(Esce)
Gessica -
Addio, buon Lancillotto!...
Ahimè, per me quale odioso peccato
dovermi vergognar del padre mio!...
Però se sono figlia sua per sangue,
non lo sono per animo... Oh, Lorenzo,
se terrai fede alla parola data,
metterò fine ad un tale conflitto,
e mi farò cristiana,
e tua amorosissima consorte.
(Esce)
Scena IV - Venezia, una calle.
Entrano Graziano, Lorenzo, Solanio e Salerio
Lorenzo -
Allora intesi: durante la cena
usciremo ed andremo a mascherarci
a casa mia; in un'ora torniamo.([53])
Graziano -
Ma non abbiamo preparato nulla!
Solanio -
Né s'è parlato ancor dei fiaccolai.([54])
Salerio -
Certe cose o si fanno in piena regola
o riescono male; a mio giudizio,
sarebbe meglio non farne più nulla.
Lorenzo -
Amici miei, sono appena le quattro.
Abbiamo ben due ore per far tutto.
Entra Lancillotto
Amico Lancillotto, quali nuove?
Lancillotto -
(Porgendogli la lettera di Gessica)
Probabilmente ne trovate qui,
se vi piaccia di togliere il sigillo.
Lorenzo -
(Prendendo la lettera e guardando la soprascritta)
Ah, conosco la mano: deliziosa
e bianca più del foglio in cui ha scritto!
Graziano -
Son notizie amorose, senza dubbio.
Lancillotto -
(Fa per congedarsi)
Con licenza, signore...
Lorenzo -
Dove vai?
Lancillotto -
Dove vado, illustrissimo! Eh, diamine,
ad invitare il mio vecchio padrone,
l'ebreo, che venga a cena dal mio nuovo,
il cristiano.
Lorenzo -
Tieni, allora, prendi questo,
(Gli dà del denaro)
e fa' sapere alla gentile Gessica
che non le mancherò all'appuntamento.
Può contarci. Ma in tutta segretezza.
Adesso puoi andare.
(Esce Lancillotto)
Miei signori,
allora, ci vogliamo preparare
questa notte per questa mascherata?
Io, il mio fiaccolaio ce l'ho già.([55])
Salerio -
Io ci vengo senz'altro.
Solanio -
Ed io lo stesso.
Lorenzo -
Graziano ed io saremo ad aspettarvi
nei pressi della casa di Graziano
fra un'ora circa.
Salerio -
Bene, ci saremo.
(Escono Salerio e Solanio)
Graziano -
Non ti veniva dalla bella Gessica
quella lettera?
Lorenzo -
A te debbo dir tutto:
ella mi dice quel che devo fare
per trarla via dalla casa del padre,
di quanto oro e gioielli s'è provvista,
qual costume di paggio s'è allestito.
Se quell'ebreo suo padre, quando muore
dovesse mai andare in paradiso,
sarà di certo e solamente merito
di questa bella e gentile sua figlia.
E che non osi mai la malasorte
traversarle il cammino nella vita;
salvo che non lo faccia col pretesto
ch'è la figlia d'un miscredente ebreo.
Vieni, accompagnami, e andando leggi:
sarà lei, Gessica, il mio fiaccolaio.
(Escono)
Scena V - Venezia, davanti alla casa di Shylock.
Entrano Shylock e Lancillotto
Shylock -
Beh, te ne accorgerai:
giudicherai tu stesso coi tuoi occhi
che differenza c'è tra il vecchio Shylock
e il tuo signor Bassanio...
(Chiamando)
Ehi, ho, Gessica!...
Non potrai più mangiare a crepapelle
come da me... Ehi, Gessica, ove sei?...
... né dormire e russare a sazietà,
e consumar tante belle livree...
Gessica, dico! Insomma, dove sei?
Lancillotto -
Gessica, oh!...
Shylock -
Che! Tu?...
Chi t'ha ordinato di chiamare?... Io no.
Lancillotto -
Non m'avete rimproverato sempre
di non saper far nulla senza un ordine?
Entra Gessica
Gessica -
Mi chiamavate? Che desiderate?
Shylock -
Sono invitato a cena fuori, Gessica.
Qui sono le mie chiavi...
Già, ma in fondo, perché dovrei andarci?
Non m'invitano certo per affetto;
è solo per blandirmi... son sicuro.
E tuttavia ci vado, in odio a loro,
a rimpinzarmi ben bene la pancia
alle spese del prodigo Cristiano.
Ragazza mia, tu bada alla mia casa.
Son davvero schifato ad andar là;
vi fermenta chi sa che brutto tiro
ai danni della mia tranquillità...([56])
Questa notte ho sognato sacchi d'oro...
Lancillotto -
Andateci, signore, vi scongiuro;
il mio giovane nuovo principale
aspetta il vostro([57]) incomodo...
Shylock -
Com'io il suo.
Lancillotto -
Eppoi han cospirato([58])...
No, non vi dico che stanotte là
assisterete ad una mascherata;
ma se poi la vedrete,
vuol dire che non fu senza motivo
se dal mio naso, il lunedì di Pasqua
alle sei del mattino, uscì del sangue;([59])
senza dir di quell'anno,
quattr'anni fa, mercoldì delle Ceneri,
di pomeriggio...
Shylock -
Che! Ci sono maschere?...
Sentimi bene, Gessica:
serra le porte della casa a chiave,
e quando per la strada odi il tamburo
o il fastidioso volgare stridìo
che fa quel piffero dal collo torto,([60])
non correre al balcone o alla finestra
e a sporger fuori il capo
sulla pubblica via a veder passare
pazzi cristiani con facce dipinte;
tappa bene le orecchie della casa,
voglio dire i balconi e le finestre,
che non entri nella mia casa austera
il frastuono di stupide mattane.
Ti giuro sul bastone di Giacobbe([61])
che questa sera non ho alcuna voglia
di banchettare fuori... Ma ci vado.
(A Lancillotto)
Tu precedimi, e di' che ci sarò.
Lancillotto -
Vado, signore.
(A parte a Gessica)
Non gli date retta:
affacciatevi pure alla finestra,
a dispetto di tutto:
"Perché di là un cristiano passerà
dell'occhio d'una ebrea degno sarà".
(Esce Lancillotto)
Shylock -
Che ti diceva quel mezzo imbecille,
quel babbeo della stirpe d'Agàr, eh?([62])
Gessica -
M'ha detto: "Addio, padroncina"; nient'altro.
Shylock -
È abbastanza gentile, poveretto,
ma mangia, salvognuno, come un lupo,
e nel servire è proprio una lumaca,
e dorme anche di giorno. In casa mia
non c'è posto per fuchi; non mi serve,
perciò me se separo volentieri
per mandarlo al servizio di qualcuno
che vorrei aiutasse a scialacquare
i soldi presi in prestito da me.
Beh, Gessica, rientra adesso in casa.
Probabilmente io ritorno subito.
Tu intanto fa' così come t'ho detto:
chiuditi dietro a te tutte le porte.
"Ben chiuso, ben trovato": è un vecchio detto
sempre presente in una mente economa.
(Esce)
Gessica -
Addio, mio padre; e se la mia fortuna
non incontrerà niente che la imbrigli,
avrò perduto un padre e tu una figlia.
(Esce rientrando in casa)
Scena V - La stessa. Notte.
Entrano Graziano e Salerio in maschera
Graziano -
Ecco, qua sotto è il portico
dove Lorenzo ha detto di aspettarlo.
Salerio -
È già in ritardo.
Graziano -
Infatti, ed è assai strano
che non sia in orario.
Gli amanti son di solito in anticipo.
Salerio -
Oh, i colombi di Venere
volano dieci volte più veloci
a suggellar nuovi patti d'amore
che a mantenere la parola data.
Graziano -
Oh, questo accade sempre, in ogni cosa.
Chi s'alza da una tavola sontuosa
con l'appetito con cui s'è seduto?
E ci fu mai cavallo
che rifece a ritroso il suo percorso
con la tremenda foga dell'andata?
Noi rincorriamo tutto con più ardore
di quanto ne mettiamo per godercelo
dopo averlo raggiunto.
Come somiglia a un giovin zerbinotto
od a un fanatico scialacquatore
il barco che dalla nativa baia
veleggia al largo, tutto pavesato
e abbracciato dal vento allettatore;
e come simile ad un figliol prodigo
ritorna poi con i fianchi sconquassati
dal fortunale e le vele squarciate,
fiaccato, lacero, immiserito
da quello stesso vento allettatore!
Ma di ciò parleremo a miglior agio,
perché vedo arrivare qui Lorenzo.
Entra Lorenzo
Lorenzo -
Amici cari, siatemi indulgenti
per il lungo ritardo; ma la colpa
è delle molte cose da sbrigare
cui dovetti pensare in questo tempo.
Quando a voi piacerà di fare i ladri([63])
per prender moglie, allora sarò io
ad aspettarvi il tempo che vorrete.
Avvicinatevi: questa è la casa
del mio suocero ebreo... Ehi là, di casa!
(S'affaccia Gessica, vestita da paggio)
Gessica -
Chi siete? Ditelo per mia certezza,
se pur d'avervi già riconosciuto
potrei giurare, dalla vostra voce.
Lorenzo -
Sono Lorenzo, Gessica, il tuo amore.
Gessica -
Lorenzo, sì, di certo,
ed anche certamente l'amor mio;
perché chi è colui ch'io amo tanto?
E chi meglio di te può dir, Lorenzo,
ch'io sono tua?
Lorenzo -
Il cielo e i tuoi pensieri
possono dire meglio: tu sei mia!
Gessica -
Tieni, reggimi questo cofanetto,
ne val la pena... Fortuna che è buio,
così non puoi vedermi: ho assai vergogna
di mostrarmi nel mio travestimento;
ma amore è cieco, e gli amanti non vedono
le amabili follie cui s'abbandonano;
perché, se le potessero vedere,
Cupido stesso arrossirebbe tutto
a vedermi mutata in un ragazzo.
Lorenzo -
Scendi, ché mi dovrai far da torciera.
Gessica -
Che! Devo proprio io
reggere il moccolo alle mie vergogne?
Non son già troppo in luce per se stesse?
Ahimè, questo è un incarico, tesoro,
che mi scopre, e dovrei restare oscura.
Lorenzo -
Scoperta tu sei già, dolcezza mia,
anche nel tuo grazioso abbigliamento
da ragazzo. Ma scendi giù, alla svelta,
perché la notte fonda scappa via
come una ladra, e in casa di Bassanio
ci aspettan per la festa dopo cena.
Gessica -
Il tempo di serrar tutte le porte,
d'arricchirmi d'un po' d'altri ducati
le tasche, e sono subito da voi.
(Si ritira dalla finestra)
Graziano -
Ah, questa donna, per il mio cappuccio,([64])
è una gentile, e non una giudea!([65])
Lorenzo -
Che Dio mi maledica, s'io non l'amo
con tutta la potenza del mio cuore!
Ella è saggia, se so ben giudicarla;
ella è bella, se l'occhio non m'inganna;
è sincera, ché tal s'è dimostrata.
E saggia, bella e sincera com'è,
terrà sempre il suo posto
nel mio animo a lei sempre costante.
Gessica entra in strada, uscendo di casa
Ebbene, già sei qui?... Via, gentiluomini;
i nostri in maschera a quest'ora
saranno certamente ad aspettarci.
(Esce con Gessica e Salerio)
Entra Antonio
Antonio -
Chi è là?
Graziano -
Signor Antonio!
Antonio -
Olà, Graziano!
Diamine! E dove sono tutti gli altri?
Son già le nove e gli amici vi aspettano.
Stanotte niente più la mascherata.
S'è alzato in mare il vento favorevole
e Bassanio deve salpare subito.
Ne avrò mandato in giro una ventina
a cercarvi e informarvi della cosa.
Graziano -
Per me, io ne son lieto:
ché non desidero niente di meglio
che far vela e salpare questa notte.
(Escono)
Scena VII - La casa di Porzia a Belmonte
Squilli di tromba. Entrano Porzia, il Principe del Marocco e seguito
Porzia -
Si scosti la cortina
e si mostrino a questo degno principe
i vari cofanetti.
(Al principe)
Ed ora a voi
di procedere a far la vostra scelta.
Marocco -
Il primo, d'oro, reca questa scritta:
"Chi sceglie me avrà ciò che molti agognano".
Il secondo, d'argento, ha questo avviso:
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
Il terzo, tutto di pesante piombo,
porta a sua volta questa secca scritta:
"Chi sceglie me sarà obbligato a dare
ed arrischiare tutto quel che ha".
Come fare per sceglier quello giusto?
Porzia -
Uno dei tre contiene il mio ritratto,
principe: se voi sceglierete quello,
io, insieme con esso, sarò vostra.
Marocco -
Mi guidi nella scelta un qualche dio...
Voglio legger di nuovo le iscrizioni.
Che dice questo scrignetto di piombo?
"Chi sceglie me sarà obbligato a dare
ed arrischiare tutto quel che ha".
"Sarà obbligato a dare..." E per che cosa?
Per del piombo?... Arrischiare per del piombo!
Questo scrigno promette solo rischi.
Chi mette a rischio tutto quel che ha,
spera, rischiando, sostanziosi introiti.
Un ingegno dorato
non s'abbassa a bramar vile sostanza;
ed io nulla darò né arrischierò
per del piombo. Che dice ora l'argento
in quel suo bel pallore virginale?
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
"S'avrà quel che si merita..."
Fermati qui, Marocco, e pesa bene
con equa mano quello che tu vali.
Se ti devi pesare sulla base
della valuta che fai di te stesso,
tu meriti abbastanza; l'"abbastanza"
potrebbe tuttavia non tanto estendersi
fino a includere questa signora;
dubitare d'altronde del mio merito
sarebbe disistima di me stesso...
"S'avrà quel che si merita..."
Ebbene, questo è proprio la signora!
Io me la merito pei miei natali,
e per le mie fortune, le mie grazie,
i modi della mia educazione;
ma ancora più di tutto questo insieme,
io me la merito per il mio amore!
Se mi fermassi qui, e scegliessi questo?...
Prima, però, leggiamo un'altra volta
quello ch'è inciso sullo scrigno d'oro:
"Chi sceglie me avrà ciò cui molti agognano"...
È chiaro: è questa dama!
È proprio lei cui tutto il mondo agogna,
se per baciare questo reliquiario
d'una santa terrena che respira
vengon dai quattro canti della terra.
I deserti d'Ircania e le selvagge
solitudini dell'immensa Arabia
son divenute tante vie maestre
per quanti principi per esse passano
per venire a veder la bella Porzia.
L'equoreo regno che, col capo altero,
manda in alto i suoi sputi in faccia al cielo,
non è ostacolo ai principi stranieri
che lo traversano come un ruscello
per venire a mirar la bella Porzia.
La celestiale immagine di lei
è chiusa in uno di questi tre scrigni.
Che sia quello di piombo a contenerla?
No, che sarebbe un vero sacrilegio
sol concepire un sì basso pensiero!
Troppo vile materia, per serbare
il suo sudario in quell'oscura tomba.
O devo credere ch'ella si trovi
racchiusa nell'argento che dell'oro
è meno puro almen dieci volte?
O reo pensiero! Mai sì ricca gemma
fu incastonata meno che nell'oro.
In Inghilterra ha corso una moneta
con l'effigie d'un angelo nell'oro,
ma scolpita soltanto in superficie;
qui invece un angelo giace all'interno
d'un letto d'oro... Datemi la chiave!
Scelgo questo, e m'assista la fortuna!
(Apre lo scrigno d'oro)
Oh, diavolo! Che cosa c'è qui dentro?
Un teschio, nelle cui scavate occhiaie
un cartiglio. Leggiamo che c'è scritto:
(Legge)
"Non è tutt'oro quello che risplende;
questa massima udita hai tu sovente.
Più d'un uomo la vita ha maledetto
per badar solo al mio esterno aspetto.
Vermi racchiude ogni dorato avello.
Se, così come ardito tu sei stato,
uomo saggio ti fossi dimostrato,
giovin di membra, vecchio di cervello,
non saresti rimasto inappagato.
Addio. Gelata è ormai la tua profferta,
gelata invero, ed invano sofferta.
Di' dunque addio all'amore perduto,
e porgi al gelo un caldo benvenuto".
O Porzia, addio. Ho il cuore troppo greve
per dilungarmi in tediosi congedi;
così partono tutti i perditori.
(Esce col seguito. Tromba)
Porzia -
Ah, che piacevole liberazione!
Accostate di nuovo le cortine.
Dio voglia che mi scelgano così
tutti quelli che son del suo colore.
(Escono tutti)
Scena VI - Venezia, una calle.
Entrano Salerio e Solanio
Salerio -
Bassanio, sì, l'ho visto che salpava.
E con lui è partito anche Graziano;
ma Lorenzo non c'era, son sicuro.
Solanio -
Quel maledetto ebreo con le sue grida
ha fatto nientemeno alzare il Doge,
ch'è poi dovuto scendere con lui
a perquisir la nave di Bassanio.
Salerio -
Ma è giunto troppo tardi,
perché il vascello aveva preso il largo;
e là il Doge veniva informato
che Lorenzo con la sua bella, Gessica,
erano stati visti insieme in gondola;
Antonio stesso assicurava il Doge
che i due non si trovavan sulla nave
insieme con Bassanio.
Solanio -
Mai udito un berciare in vita mia
così oltraggioso, strano, variopinto
come quello lanciato per le strade
da quel cane di ebreo: "O figlia mia!
O miei buoni ducati! O figlia mia!
Fuggita via, ohimè, con un cristiano!
O miei ducati cristiani! Giustizia!...
La legge!... I miei ducati e la mia figlia!
Uno, due sacchi pieni di ducati,
e di doppi ducati
rubati a me da mia figlia! E gioielli...
due diamanti, due pietre di valore,
rubate da mia figlia!... Rintracciatela!
Ce l'ha indosso le pietre ed i ducati!"
Salerio -
E là tutti i monelli di Venezia
dietro a rifargli il verso ed a gridare:
"Sua figlia, le sue pietre, i suoi ducati!"
Solanio -
Che Antonio sia puntuale
alla scadenza della sua cambiale,
o l'ebreo lo farà pagar per questo.
Salerio -
A proposito, mi dimenticavo:
ieri, un Francese col quale parlavo
mi diceva che nelle acque strette
che separano Francia da Inghilterra
un mercantile del nostro paese
con ricco carico era affondato.
Ho pensato ad Antonio,
mentre quello parlava,
ed in silenzio mi sono augurato
non fosse quello suo.
Solanio -
Faresti bene
ad informarlo di questo ch'hai udito;
ma non lo far così tutto d'un colpo,
perché potrebbe fargli molto male.
Salerio -
Non calca questa terra un gentiluomo
più compìto di lui. Ero presente
quando s'è separato da Bassanio.
Questo a dirgli che avrebbe accelerato
in qualche modo il suo ritorno, e lui:
"Non lo fare, Bassanio,
non sciupare per me gli affari tuoi;
resta pur là, finché sia ben matura
l'occasione che aspetti;
e quanto al mio contratto col giudeo,
fa' che non abbia ingresso il suo pensiero
nella tua mente d'uomo innamorato.
Stammi allegro e rivolgi la tua mente
in primo luogo al tuo corteggiamento
e a tutte le squisite arti amorose
che ti parranno più adatte al momento".
E là, con gli occhi umidi di lacrime,
stornando il viso, gli ha teso la mano
stando di spalle, e gliel'ha stretta forte
con visibile, nobile emozione.
Ed è così che si son separati.
Solanio -
Penso che Antonio viva sol per lui.
Ti prego, andiamo insieme a rintracciarlo
a ad addolcir, con questo o quello svago,
la sua gravezza d'animo.
Salerio -
Sì, andiamo.
(Escono)
Scena II - La casa di Porzia a Belmonte
Entrano Nerissa e un servo
Nerissa -
Svelto, ti prego, scosta la cortina.
Il principe ha prestato giuramento
ed è già qui per fare la sua scelta.
Tromba. Entrano il Principe d'Aragona con seguito, e Porzia
Porzia -
Ecco davanti a voi, nobile principe,
i tre scrigni; se sceglierete quello
nel quale è contenuto il mio ritratto,
celebreremo subito le nozze,
com'è vostro diritto; se sbagliate,
dovrete andarvene immediatamente,
senza dire parola.
Aragona -
Io mi sono impegnato a giuramento
ad osservar tre cose:
primo, non rivelare a nessun altro
qual è lo scrigno che fu da me scelto;
secondo, se non scelgo quello giusto,
non corteggiare più nessuna donna
con l'intenzione di condurla in moglie;
terzo, se non m'assista la fortuna,
prender congedo subito, e partire.
Porzia -
Sono queste le stesse condizioni
che s'impegna a osservare, a giuramento,
qualunque altro venga a cimentarsi
per l'indegna persona che io sono.
Aragona -
Ed io ad esse son così disposto.
Ora, Fortuna, a te:
arridi alle speranze del mio cuore!
Oro, argento e vil piombo...
"Chi sceglie me, sarà costretto a dare
ed arrischiare tutto quel che ha"...
Dovresti avere un ben più degno aspetto
per tentarmi a donare e ad arrischiare...
Ma che dice lo scrigno d'oro? Ah!
"Chi sceglie me avrà ciò cui molti agognano"...
Ciò che agognano molti... ma quel "molti"
può bene intendere il volgo sciocco,
che sceglie solo in base alle apparenze
e sol conosce quel che vede l'occhio,
e, svagato com'è, non sa scrutare
le cose a fondo, e, simile alla rondine,
si fa il nido all'esterno delle mura,
esposto ai rischi e alla mercé del caso.
E io non voglio scegliere
cosa che sia da molti vagheggiata,
perché non amo aver gli stessi gusti
della gente volgare, ed imbrancarmi
con il volgo profano ed ignorante.
Ed ora vengo a te,
argentea dimora d'un tesoro:
ripeti agli occhi miei
la legenda che porti sopra incisa:
"Chi sceglie me, s'avrà quel che si merita".
Ed è anche ben detto:
perché chi potrà andare per il mondo
in cerca di fortuna e farsi onore
senza avere lo stampo in sé del merito?
Di una non meritata dignità
nessun uomo presuma di vestirsi.
Dio volesse che beni e rango e uffici
non si ottenessero per corruzione,
e il lustro dell'onore fosse il frutto
del merito di chi n'è rivestito!
Quanti che stanno con la testa nuda
se la dovrebbero allora coprire!([66])
Quanti che sono in posti di comando
se ne dovrebbero star sottoposti!
Quanta bassa progenie
sarebbe sceverata come pula
dalla nobil sementa dell'onore!
E quanto onore sarebbe raccolto
d'in fra le stoppie e i rifiuti del mondo
per essere lustrato e messo a nuovo!
Ma basta, ritorniamo alla mia scelta.
Io pretendo d'avere quel che merito.
Perciò vogliate porgermi la chiave
di questo cofanetto, e senza indugio
disserrerò da qui le mie fortune.
(Gli viene porta la chiave ed apre lo scrigno d'argento)
Porzia -
(A parte, vedendo il principe ammutolito nel vedere il contenuto dello scrigno)
Troppo lungo esitare
per ciò che avete trovato là dentro.
Aragona -
Che c'è qui dentro? Il viso d'un idiota
che ammiccando mi porge un cartellino...
Leggiamolo... Però quanto diverso
sei tu da Porzia! Quanto son diversi
da ciò le mie speranze ed i miei meriti!
"Chi sceglie me s'avrà quel che si merita"
Dunque, non meritavo altro di meglio
che il volto di un idiota? Questo valgo?
E non merito nulla di più degno?
Porzia -
Far torto e giudicare il torto fatto
son due operazioni ben distinte
e di opposta natura.([67])
Aragona -
(Legge il cartello)
"Sette volte nel fuoco fui temprato,
sette volte dovette esser saggiato
chi nella scelta non ha mai sbagliato.
Guai a colui che l'ombre vuol baciare:
quale felicità può un'ombra dare?
Io so che vivono su questa terra
stolti che un manto d'argento rinserra,
com'era questo ov'io mi riserrai.
Prenditi pur la moglie che vorrai,([68])
ma tieni sempre me come tua guida.
E così vattene. Per te è finita."
Quanto più a lungo qui mi tratterrò
tanto più sciocco agli occhi suoi sarò.
Con una testa stolta a corteggiare
son venuto: con due debbo partire.
Addio, dolcezza. Terrò il giuramento
di sopportare in pace il mio tormento.
(Esce con il seguito)
Porzia -
E così il cero ha bruciacchiato il tarlo!
Oh, questi stupidi raziocinanti!
Con tutto il loro saggio ragionare
quando debbono scegliere
han sempre la saggezza di sbagliare!
Nerissa -
Non è dunque eresia l'antico detto:
"Moglie e forca, il destino te le porta".
Porzia -
Su, Nerissa, riaccosta la cortina.
Entra un servo
Servo -
Dov'è la mia signora?
Porzia -
Son qui; che vuol da me il mio signore?([69])
Servo -
Signora, c'è alla porta,
testé smontato da cavallo, un giovane,
da Venezia, che vien da battistrada
ad annunciar l'arrivo del padrone;
dalla parte del quale, voglio dire,
egli vi reca sostanziosi omaggi...
Insomma, voglio dire, oltre agli ossequi
e altre cortesie campate in aria,
regali veri, e di grande valore.
Non avevo mai visto prima d'ora
sì promettente ambasciator d'amore.
Mai dì d'aprile venne così dolce
ad annunciare qual sontuosa estate
seguisse, come questo battistrada
ci viene ad annunciare il suo padrone.
Porzia -
Eh, quante lodi! Smettila, ti prego!
Ho una mezza paura
che stai per dirmi ch'egli è un tuo parente,
con tanto scilinguagnolo da festa
ti dilunghi a lodarlo... Su, Nerissa,
voglio vederlo questo ambasciatore
di Cupido che giunge qui da noi
con modi sì galanti!
Nerissa -
(A parte)
O dio d'amore,
come vorrei che fosse quel Bassanio!
(Escono)