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William Shakespeare (Il mercante di Venezia)

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    00 15/11/2005 14:06
    Atto primo
    Scena I - Venezia, una calle.
    Entrano Antonio, Salerio e Solanio

    Antonio -

    La ragione per cui son così triste,
    in verità, non so nemmeno dirla;
    mi sento come oppresso internamente,
    ed anche voi mi dite che lo siete;
    ma da dove mi venga quest'umore,
    dov'io l'abbia trovato,
    come ci sia caduto, di che è fatto,
    da che nasce, lo devo ancora apprendere;
    m'intorpidisce a tal punto lo spirito
    che stento a riconoscere me stesso.

    Salerio -

    È che tu col pensiero
    navighi avanti e indietro per l'oceano,
    là dove le tue belle ragusine([1])
    con le loro imponenti velature
    a somiglianza di grandi signori
    e impettiti borghesi sopra i flutti,
    o di carri d'un gran corteo marino,([2])
    riguardano dall'alto
    con sufficienza i più modesti barchi
    che fanno loro riverente ossequio
    nel vederle sfilare velocissime
    sull'ali delle ben tessute vele.

    Solanio -

    Credimi, amico, avessi anch'io davanti,
    come te, una simile ventura,
    la miglior parte delle mie passioni
    navigherebbe con le mie speranze,
    lontano; e starei lì ogni momento
    a strappar dal terreno fili d'erba([3])
    per veder da che parte spira il vento,
    e a consultar su tutti i portolani
    i moli, le gittate, gli ancoraggi;
    e il pensiero di ogni circostanza
    che mi potesse far temer pericolo
    alle mie mercanzie,
    mi renderebbe certamente triste.

    Salerio -

    Per me, anche il mio fiato,
    a soffiarlo per raffreddare il brodo,
    mi soffierebbe la febbre terzana
    se dovessi pensare a qual disastro
    mi potrebbe produrre stando in mare
    un vento troppo forte.
    Non potrei veder scorrere la sabbia
    d'una clessidra senza che il pensiero
    mi trasportasse a secche e bassifondi,
    e mi facesse vedere il mio "Andrea"
    carico di preziosa mercanzia
    andarsi ad incagliare nella sabbia,
    gli alti suoi alberi tutti inclinati
    ad altezza più bassa del suo bordo,
    quasi a baciar la sua liquida tomba.
    Se entrassi in una chiesa,
    al vedere la pietra di che è fatto
    comunemente quel sacro edificio,
    come farei a non pensare subito
    al pericolo di sporgenti rocce
    che, toccando soltanto la fiancata
    dell'agil mio vascello,
    mandassero sull'acque sparpagliate,
    tutte quante le spezie del suo carico,
    rivestissero l'acque rumorose
    delle mie sete, e facessero, insomma,
    di tutto quello ch'era poco prima
    una grande ricchezza, ora più nulla?
    Come, farei, pensando a un tal pericolo,
    a non pensare che se una tal cosa
    mi capitasse, mi farebbe triste?
    So perché Antonio è triste:
    perch'egli pensa alle sue mercanzie.

    Antonio -

    No, no, credetemi: riguardo a questo,
    posso ben ringraziare la mia sorte:
    le mie merci non son tutte stivate
    nel ventre d'una sola ragusina,
    né tutte destinate ad un sol luogo,
    né dipende l'intera mia sostanza
    dalla buona fortuna di quest'anno.
    Non è pertanto la mia mercanzia
    a procurarmi questo triste umore.

    Salerio -

    Vuol dire allora che sei innamorato.

    Antonio -

    Ma neanche per sogno!

    Salerio -

    Manco quello?
    Quand'è così, non ci resta da dire
    che sei triste perché non sei allegro;
    e sarebbe per te altrettanto facile
    metterti a ridere ed a far capriole,
    e dir d'essere allegro
    semplicemente perché non sei triste.
    Eh, per Giano Bifronte,
    la natura di tipi stravaganti
    ne ha fabbricati da che mondo è mondo:
    c'è quello che trascorre tutto il tempo
    ad ammiccare cogli occhi semichiusi
    ed a ridere come un pappagallo
    davanti a un suonatore di zampogna;([4])
    altri son così acidi d'aspetto
    da non mostrare i denti in un sorriso
    manco se viene Nestore([5]) a giurare
    che ad uno scherzo è d'obbligo sorridere.

    Entrano Bassanio, Lorenzo e Graziano

    Ecco Bassanio, tuo nobile amico,
    con Lorenzo e Graziano.
    Ti lasciamo in migliore compagnia.

    Salerio -

    Sarei rimasto ancora qui con te
    per ridarti un tantino d'allegria,
    se tuoi più degni amici
    non m'avessero adesso preceduto.

    Antonio -

    Apprezzo molto questo tuo riguardo;
    suppongo che gli affari ti reclamano,
    e cogli l'occasione per andartene.

    Salerio -

    Buongiorno a tutti, miei bravi signori!

    Bassanio -

    Cari signori Salerio e Solanio,
    quando vogliamo ritrovarci insieme
    per farci due risate? Dite, quando?
    Ci state diventando troppo estranei.

    Salerio -

    Combineremo il nostro tempo libero
    in modo che s'accordi con il vostro.

    (Escono Salerio e Solanio)

    Lorenzo -

    Bassanio, signor mio,
    dal momento che hai incontrato Antonio,
    Graziano ed io ti lasciamo con lui;
    ma per l'ora di pranzo, te ne prego,
    non ti scordare che siam aspettati
    nel luogo dove sai.

    Bassanio -

    Non mancherò.

    Graziano -

    Signor Antonio, ma che brutta cera!
    Ho paura che dài troppa importanza
    alle cose del mondo;
    chi se la prende troppo, a questo mondo,
    poi lo perde. Ti trovo assai cambiato.

    Antonio -

    Graziano, il mondo io lo tengo in conto
    solo per quel che è: un palcoscenico
    sul quale ognuno recita la parte
    che gli è assegnata. Quella mia è triste.

    Graziano -

    Sia la mia parte quella del buffone,
    allora, e siano il riso e l'allegria
    a scavarmi le rughe dell'età;
    e mi si scaldi il fegato col vino,
    anziché farmisi il cuore di gelo
    coi sospiri che struggono la vita.
    Infatti, perché mai dovrebbe un uomo,
    quando il sangue gli scorre caldo dentro,
    restarsene seduto come il nonno
    scolpito nella statua d'alabastro,
    dormire quando vuol restare sveglio,
    o farsi prendere dall'itterizia
    a forza di campar di malumore?
    Ascolta, Antonio, ch'io ti voglio bene
    ed è l'amore che mi fa parlare:
    al mondo c'è una specie d'individui
    dal viso trasognato([6]) e intorbidito
    come un'acqua stagnante,
    e che s'atteggiano volutamente
    a restarsene muti e imperturbabili
    per acquistarsi fama di saggezza,
    di serietà, di pensare profondo,
    come dicessero: "Son io l'Oracolo,
    e quando apro la bocca,
    nessun cane s'azzardi ad abbaiare!"
    Ne conosco di gente, Antonio mio,
    che s'è acquistata fama di saggezza
    solo col rimanere sempre zitta;
    mentre se appena aprissero la bocca,
    son certo che farebbero dannare
    tutti gli orecchi che, nell'ascoltarli
    non potrebbero che tacciar da stolidi
    questi loro fratelli.
    Ma di ciò, parleremo a miglior agio.
    Tu non fare però, sul loro esempio,
    di questa tua tristezza come l'amo
    con cui pescar questo stupido ghiozzo,([7])
    questo umor nero. Andiamo, buon Lorenzo.

    (Ad Antonio)

    Per ora ti saluto; dopo pranzo
    ti finirò di dire il mio sermone.

    Lorenzo -

    (c. s.)

    Bene, all'ora di pranzo. Ti lasciamo.
    In quanto alla mia parte,
    è quella d'uno di quei grandi saggi
    che stanno sempre muti,
    perché Graziano non mi fa aprir bocca.

    Graziano -

    Certo, se resti solo un paio d'anni
    in compagnia con me, della tua voce
    non riconoscerai nemmeno il suono.

    Antonio -

    Arrivederci dunque!

    (A Graziano)

    Vorrà dire
    allora che per dare retta a te
    mi farò chiacchierone.([8])

    Graziano -

    Ed io, parola, te ne sarò grato;
    perché il silenzio è solo cosa buona
    su una lingua di bue affumicata
    o sulla bocca d'una zitellona
    che ormai non trova più chi se l'accatta.([9])

    (Escono Graziano e Lorenzo)

    Antonio -

    Mi domando che senso ha tutto questo.

    Bassanio -

    Graziano a snocciolar banalità
    senza fine, parole senza senso,
    a Venezia non teme concorrenza:
    voler trovare un senso in quel che dice
    sarebbe come voler rintracciare
    due grani di frumento in un pagliaio:([10])
    non basterebbe un'intera giornata,
    e quando pur li avessi ritrovati
    t'accorgeresti che sono un bel niente,
    che non metteva conto di cercare.

    Antonio -

    Bene; ora dimmi chi è quella dama
    della quale hai promesso di parlarmi,
    oggi, giurandomi d'andar da lei
    in segreto pellegrinaggio? Parla.

    Bassanio -

    Antonio, tu non sei senza sapere
    com'io abbia finora dato fondo
    a tutto il mio, al fine di ostentare
    in qualche modo un tenore di vita
    che alla lunga le mie scarse risorse
    più non m'han consentito di tenere.
    Non ch'io voglia lagnarmi ora con te
    di dover metter la parola "fine"
    a un tal lussuoso e dispendioso andazzo;
    ma la cosa che più mi dà pensiero
    è come trarmi fuori onestamente
    dal cumulo di debiti
    nel quale m'ha lasciato impegolato
    la troppo prodiga mia gioventù.
    A te, Antonio, io sono debitore
    di danaro e d'affetto, più che ad altri,
    e dall'affetto tuo traggo il coraggio
    di rivelarti tutti i miei propositi
    e i progetti intesi a liberarmi
    di tutti i debiti da me contratti.

    Antonio -

    Ti prego, dimmi tutto a cuore aperto,
    caro Bassanio; e se la cosa è tale
    da restar dentro limiti onorevoli,([11])
    entro i quali tu stesso sei di certo,
    rassicurati pure: la mia borsa,
    la mia persona e tutto che posseggo
    sono a tua libera disposizione.

    Bassanio -

    Ai miei giorni di scuola,
    se tiravo una freccia e andava persa,
    ne scoccavo immediatamente un'altra,
    stessa gittata, stessa direzione,
    e con più attenta e più precisa mira,
    per ritrovare poi anche la prima;
    in tal modo, con l'arrischiarne due,
    spesso m'accadde di trovarle entrambe.
    Se ti ricordo questa mia esperienza
    di fanciullo, è perché ti sto per dire
    anche adesso una pura fanciullaggine.
    Io ti devo già molto;
    e, da maldestro e scapestrato giovane,
    quel che ti debbo l'ho tutto perduto;
    ma se tu nella stessa direzione
    volessi ora scoccare un'altra freccia,
    son sicuro che ad osservarne bene
    la traiettoria, le ritrovo entrambe,
    o quanto meno ti riporto indietro
    quella ch'hai arrischiato per seconda,
    restandoti, comunque, beninteso
    debitore di questa e della prima.

    Antonio -

    Bassanio, tu mi dovresti conoscere,
    e dovresti saper che perdi tempo
    e nient'altro a sollecitar così
    alla larga e con circonlocuzioni
    il mio affetto per te; e mi fai torto
    più a dubitare ch'io non sia disposto
    a far tutto il possibile per te,
    di quanto me n'hai fatto
    a scialacquar finora tutto il mio.
    Dimmi solo che cosa vuoi ch'io faccia,
    e che a tua conoscenza io possa fare,
    ed io son pronto a farlo. Perciò parla

    Bassanio -

    C'è una dama, a Belmonte,
    ereditiera di grandi ricchezze,
    e bella, e quel che d'essa è ancor più bello,
    meravigliosamente piena di virtù.
    Dai suoi sguardi talvolta ho ricevuto
    dolci muti messaggi. Porzia è il nome...
    ed in nulla inferiore a quella Porzia
    moglie di Bruto, figlia di Catone.([12])
    Né le sue doti sono sconosciute
    nel vasto mondo, se da ogni costa
    i quattro venti le spingono in casa
    corteggiatori d'illustre prosapia.
    Riccioli biondi del color del sole([13])
    le scendon per le tempie: un vello d'oro
    che della sua dimora di Belmonte
    fa una novella Colchide, ai cui lidi
    molti Giasoni([14]) vanno alla conquista.
    Antonio mio, s'io solo avessi i mezzi
    per assumere un posto di rivale
    di fronte all'uno o all'altro di costoro,
    il cuor mi presagisce un tal successo
    da dirmi senza dubbio fortunato!

    Antonio -

    Tutte le mie sostanze, tu lo sai,
    sono attualmente in mare,
    e al momento non ho danaro liquido
    né mercanzie da improntare su due piedi
    una somma; perciò mettiti pure in giro
    e prova quel che può darti a Venezia
    il mio credito. Io sono pronto a spremerlo
    al massimo per dare i mezzi a te
    per Belmonte e per l'avvenente Porzia.
    Va' tosto ad informarti - anch'io lo faccio -
    dove c'è del denaro;
    ed io non ho problemi ad ottenertelo,
    per il mio credito e la mia persona.

    (Escono)
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    Scena II - La casa di Porzia a Belmonte
    Entrano Porzia e Nerissa

    Porzia -

    In coscienza, Nerissa,
    questo piccolo essere ch'io sono
    s'è stancato di questo grande mondo.

    Nerissa -

    Stanca, signora mia, potreste dirvi
    se aveste un'abbondanza di disgrazie,
    come l'avete invece di fortune.
    Ma tant'è, chi del troppo s'è saziato
    sta male come chi muore di fame...
    Perciò non è felicità da poco
    starsi nel mezzo: la superfluità
    s'accompagna più presto alla canizie,
    la parsimonia fa viver più a lungo.

    Porzia -

    Massime sagge, e saggiamente dette.

    Nerissa -

    Sarebbero migliori,
    quando fossero anche osservate.

    Porzia -

    Se fosse così facile far bene
    come sapere quel che è bene fare,
    le chiesette sarebbero basiliche
    e i tuguri palazzi principeschi.
    Quello è buon sacerdote
    che riesce a seguire quel che predica;
    a me resta più facile insegnare
    a venti teste quel che è bene fare,
    che non esser io stessa tra le venti
    a seguire i miei propri insegnamenti.
    Il cervello potrà dettare al sangue
    quante leggi vorrà, ma il sangue caldo
    salta al disopra di qualsiasi legge;
    e Monna Matteria, la giovinezza,
    è tal lepre, che salta facilmente
    le reti di Messer Consiglio zoppo.
    Ma non son certo questi ragionari
    il mezzo adatto a scegliermi un marito.
    Scegliere: una parola!
    A me è vietato sceglier chi vorrei,
    o rifiutare chi non mi sta bene:
    questo è tutto che può per sé decidere
    una figliola viva che è costretta
    come me a seguir la volontà
    d'un padre morto: non poter né scegliere
    né rifiutare. È duro, eh?, Nerissa.

    Nerissa -

    Vostro padre era uomo assai virtuoso,
    ed i sant'uomini, in punto di morte,
    sono sempre, si sa, bene ispirati;
    onde l'idea di questa lotteria
    e di questi tre bravi cofanetti
    pieni ciascuno rispettivamente
    d'oro, d'argento e piombo,
    tra i quali chi scegliesse, a suo talento,
    lo scrigno giusto, sceglierebbe voi,
    a me sembra una buona ispirazione:
    perché non potrà mai scegliere bene
    se non colui che sappia amarvi bene.
    Ma c'è, tra i pretendenti principeschi
    che son qui giunti per tentar la sorte,
    qualcuno che vi susciti nell'animo
    più calore degli altri?

    Porzia -

    Ripetimi, ti prego, uno per uno,
    i loro nomi, ed io te li descrivo
    via via che tu li andrai enumerando;
    e dalla descrizione ch'io ti faccio
    potrai capire chi mi va più a genio.

    Nerissa -

    Primo, quel principe napoletano.

    Porzia -

    Oh, quello non è un uomo
    ma un cavallo, perché non parla d'altro
    che del suo bel puledro
    e considera aggiunta di gran pregio
    agli altri meriti di cui si vanta
    ferrarselo da sé, con le sue mani.
    La sua signora madre,
    dev'essersi spassata infedelmente,
    ho paura, con qualche maniscalco.([15])

    Nerissa -

    Poi ci sarebbe il conte palatino.

    Porzia -

    Quello mi guarda sempre di traverso
    come a volermi dire: "Non mi vuoi?
    Fa' come credi." E gli puoi raccontare
    mille storielle allegre e spiritose:
    non c'è caso che lo vedrai sorridere.
    Ho paura che quando sarà vecchio
    diventerà il Filosofo Piangente,([16])
    se già da giovane è così imbottito
    di tanta grossolana serietà.
    Pensar di andare sposa
    all'uno o all'altro di questi messeri,
    mi prenderei piuttosto per marito
    una testa di morto
    con uno stinco stretto in mezzo ai denti.
    Che Dio mi liberi da tutti e due!

    Nerissa -

    E che dite di quel monsieur Le Boune,
    il nobile di Francia?

    Porzia -

    Iddio l'ha fatto,
    e quindi passi pure per un uomo...
    So ch'è peccato dir male del prossimo,
    ma quello, santo Dio... ci ha un cavallo,
    meglio di quello del Napoletano,
    e il brutto vezzo d'aggrottar le ciglia
    ancor peggio del conte palatino.
    È il Signor Tutti, ma non è nessuno;
    se zirla un tordo, subito capriola;
    duellerebbe con la propria ombra.
    Sposando lui, avrei venti mariti;
    e se mi trascurasse come moglie
    dovrei scusarlo, perché son sicura
    di non poterlo mai contraccambiare,
    nemmeno se m'amasse alla follia.

    Nerissa -

    E di quel baronetto d'Inghilterra,
    quel Faulconbridge, che potete dire?

    Porzia -

    Che posso dire? Sai che non gli parlo,
    perché né lui capisce quel che dico,
    né io capisco lui: non sa il latino,
    né il francese, e nemmeno l'italiano;([17])
    ed io d'inglese, come tu sai bene
    da poterlo giurare in tribunale,
    non ne possiedo manco quattro soldi.([18])
    È un bel ritratto d'uomo,
    ma, ahimè, chi può scambiare una parola
    con un pupattolo da pantomima?
    Eppoi, che modo buffo di vestire!
    Ha comprato in Italia il giustacuore,
    le braghe in Francia, il cappello in Germania,
    e le maniere un po' qua e un po' là.

    Nerissa -

    E che dite del nobile scozzese
    suo vicinante?

    Porzia -

    Dico ch'è un buon diavolo,
    tutto pieno d'amore per il prossimo:
    perché s'è preso in prestito
    un bel ceffone proprio dall'Inglese,
    ed ha giurato di restituirglielo,
    sul suo onore, appena che potrà;
    e credo si sia fatto suo garante
    per la restituzione quel Francese.([19])

    Nerissa -

    E il giovane Tedesco,
    il nipote del Duca di Sassonia,
    vi piace?

    Porzia -

    Molto poco la mattina,
    quando è in se, assai meno il pomeriggio
    quando ha bevuto. Quand'è nel suo meglio
    è un po' peggio d'un uomo; nel suo peggio
    è poco superiore ad una bestia.
    E se proprio dovesse capitarmi
    il peggio che mi possa capitare,
    spero tanto d'aver come disfarmene.([20])

    Nerissa -

    Ma se s'offrisse di tentar la scelta
    e avesse a scegliere per avventura
    lo scrigno giusto, e voi lo rifiutaste
    come vostro marito, andreste contro
    l'ultima volontà di vostro padre.

    Porzia -

    Ed a scanso perciò di questo peggio,
    metti, ti prego, sopra il falso scrigno
    un bel bicchiere di vino del Reno;
    perché son certa che se in quello scrigno
    ci fosse pure il diavolo in persona,
    con quella tentazione al suo esterno,
    lui sceglie quello... A tutto son disposta,
    salvo che andare sposa ad una spugna.

    Nerissa -

    Comunque non avete più bisogno
    di temere di sposare l'uno o l'altro
    di questi gentiluomini, signora,
    perché m'han tutti esternato il proposito
    di ritornarsene al paese loro,
    senza stare più a lungo in casa vostra
    a importunarvi con la loro corte,
    se proprio a conquistare il vostro amore
    non c'è altro modo che la condizione
    posta da vostro padre con gli scrigni.

    Porzia -

    Vivessi tanto a lungo
    da diventar come Sibilla([21]) vecchia,
    voglio morire casta come Diana,([22])
    se non sarà nessuno a conquistarmi
    secondo quanto per me ha dettato
    l'ultima volontà del padre mio.
    Son felice, comunque, di sentire
    che questo lotto di corteggiatori
    si sia mostrato così ragionevole;
    perché non c'è nessuno in mezzo a loro
    la cui partenza non mi sia gradita.
    Perciò buon viaggio, e che Dio li accompagni!

    Nerissa -

    Ricordate, signora, un Veneziano,
    uomo di lettere e militare,
    che venne qui, vivente vostro padre,
    col Marchese di Monferrato?

    Porzia -

    Oh, sì,
    Bassanio: così credo si chiamasse.

    Nerissa -

    Infatti; quello là, di tutti gli uomini
    che mai videro i poveri miei occhi
    era il più degno d'una bella dama.

    Porzia -

    Me lo ricordo bene; e mi ricordo
    che meritava in pieno questa lode.

    Entra un servo

    Che c'è?

    Servo -

    Signora, i quattro forestieri([23])
    chiedono di veder vossignoria
    per prendere congedo;
    e c'è di fuori il corriere di un quinto
    venuto ad annunciar che il suo signore,
    Principe del Marocco,
    sarà qui questa notte.

    Porzia -

    A questo quinto
    sarei lieta di dare il benvenuto
    con lo stesso buon cuore
    con il quale licenzio gli altri quattro;
    ma, se avesse pur l'anima d'un santo
    e l'aspetto d'un diavolo,([24])
    lo vorrei meglio come confessore
    che come mio marito.
    Nerissa, andiamo. Va' avanti, ragazzo.
    Mentre chiudiamo l'uscio a un pretendente,
    eccone un altro che bussa alla porta.

    (Escono)
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    Scena III - Venezia, un campiello.
    Entrano Bassanio e Shylock

    Shylock -

    Tremila, allora... tremila ducati.

    Bassanio -

    Per tre mesi.

    Shylock -

    Sta bene, per tre mesi.

    Bassanio -

    Con garanzia di Antonio, come detto.

    Shylock -

    Si fa garante Antonio... Mi sta bene.

    Bassanio -

    Allora? Mi farete un tal favore?
    Mi darete una mano?... Che mi dite?

    Shylock -

    Son tremila ducati, per tre mesi,
    con garanzia di Antonio...

    Bassanio -

    L'accettate?

    Shylock -

    Antonio è certamente un valent'uomo...

    Bassanio -

    Udiste mai qualche voce in contrario?

    Shylock -

    No, no, nel dire ch'è un valent'uomo
    intendevo senz'altro darvi atto
    ch'è per me sufficiente garanzia.
    Tuttavia i suoi mezzi finanziari
    son, come dire?, piuttosto ipotetici:
    è proprietario di una ragusina
    che sul momento fa rotta per Tripoli,
    e d'un'altra che fa vela per le Indie.
    Una terza, secondo che ho sentito
    a Rialto,([25]) veleggia verso il Messico,
    ed una quarta verso l'Inghilterra;
    ed altre spedizioni sono in mare
    per suo conto, di là e di qua pel mondo.
    Ma le navi non son che tavolame,
    e gli equipaggi non sono che uomini.
    Vi son topi di terra e topi d'acqua,
    come ladri di terra e ladri d'acqua,
    ossia pirati; in più ci sono i rischi
    delle acque, dei venti e degli scogli...
    L'uomo per me, comunque, è sufficiente...
    per tremila ducati... Mi sta bene,
    penso di poter prendere il suo avallo.

    Bassanio -

    Quanto a questo, potete star sicuro.

    Shylock -

    Comunque voglio essere sicuro
    di poter star sicuro;
    ed a tal fine vo' pensarci su.
    Posso parlargli?

    Bassanio -

    Sì, se vi gradisse
    di pranzare con noi...

    Shylock -

    Già, per sentire
    l'odor di porco e mangiar quella cotica
    dentro la quale il vostro gran profeta,
    il Nazareno, fece entrare il diavolo!...([26])
    Con voi posso comprare, posso vendere,
    parlare, passeggiare, e via di seguito;
    ma mai a tavola a mangiare e bere.
    E nemmeno pregare...
    Ma chi viene? Notizie da Rialto?

    Bassanio -

    Ma è proprio lui, Antonio!

    Entra Antonio

    Shylock -

    (Tra sé, sbirciandolo)

    Che aria da strisciante pubblicano!([27])
    Io già lo odio perché è cristiano,
    ma ancor di più perché, da gran balordo,
    presta denaro gratis,
    e fa così abbassare l'interesse
    dell'usura corrente qui a Venezia.
    Me se una volta mi càpita a destro,([28])
    voglio saziare questo mio rancore.
    Egli detesta il nostro sacro popolo
    e mi copre d'ingiurie,
    e va sparlando di me, dei miei traffici,
    dei guadagni che faccio legalmente
    e ch'egli bolla invece da usurarii
    nei luoghi ove s'adunano i mercanti.
    Maledetta sia tutta la mia razza,
    se gli perdono!

    Bassanio -

    Mi sentite, Shylock?

    Shylock -

    Stavo facendo mentalmente il conto
    di quanto posso disporre al momento,
    e m'accorgo, da un calcolo sommario,
    che m'è difficile improntare subito
    i tremila ducati... Ma che importa?
    Me li potrà procurare Tubàl,
    un vecchio ebreo della nostra tribù...
    Ma aspettate un momento!
    Per quanti mesi allora li vorreste?...

    (Ad Antonio)

    Salute, buon signore!
    Stavamo appunto parlando di voi.([29])

    Antonio -

    Io non son uso, Shylock,
    né ad imprestare né a prendere in prestito
    danaro ad interesse; ma nel caso,
    pur di venire incontro in qualche modo
    al bisogno impellente del mio amico,
    farò uno strappo a questo mio costume.

    (A Bassanio)

    Sa già la somma di cui hai bisogno?

    Shylock -

    Sì, tremila ducati.

    Antonio -

    E per tre mesi.

    Shylock -

    Già, mi dimenticavo: per tre mesi.
    Così m'avete detto... e voi garante.
    Bene, vediamo... Ma sentite un po':
    poc'anzi dicevate, se non sbaglio,
    che non usate dare o avere in prestito
    denaro ad interesse.

    Antonio -

    Esattamente,
    infatti non è proprio mio costume.

    Shylock -

    Quando Giacobbe pascolava il gregge
    dello zio Làbano... questo Giacobbe
    era, a partir dal nostro santo Abramo,
    secondo che in suo nome avea disposto
    la saggia madre, il terzo possessore;
    sì, dico bene, il terzo...([30])

    Antonio -

    Che c'entra lui? Prestava ad interesse?

    Shylock -

    No, non proprio; o non direttamente
    ad interesse, come voi direste.
    Ma guardate Giacobbe quel che fece:
    Làbano e lui convennero d'accordo
    che tutti gli agnellini di quel gregge
    che fossero pezzati o variegati
    in varia guisa andassero a Giacobbe
    in conto di mercede. A fine autunno
    così, tutte le pecore del gregge
    in caldo, furon portate ai montoni,
    e mentre tra i lanosi genitori
    l'atto procreativo si compiva,
    quell'astuto pastore di Giacobbe,
    ritagliate e spogliate della scorza
    bacchette di virgulti,
    le pianta tutte in terra qua e là,
    dinnanzi agli occhi di quegli animali
    al momento della fecondazione;
    sicché venuto il tempo di figliare,
    partorirono agnelli variegati,
    e questi furon tutti di Giacobbe.([31])
    E fu questo un legittimo guadagno,
    benedetto da Dio,
    perché il guadagno è sempre benedetto
    se non proviene da una ruberia.

    Antonio -

    Ma questo che voi dite, signor mio,
    fu circostanza affatto involontaria,
    e Giacobbe ne fu solo strumento:
    qualcosa che non era in suo potere
    di fare che accadesse,
    bensì confezionata e governata
    dalla mano del cielo. Questa storia
    è stata forse introdotta nei Testi
    per coonestar l'intesse d'usura?
    O sono anche pecore e montoni
    l'argento e l'oro dei vostri forzieri?

    Shylock -

    Questo non saprei dirlo;
    io li faccio figliar meglio che posso.
    Mi basta che teniate a mente questo.

    Antonio -

    (A parte, a Bassanio)

    Bassanio, attento: il diavolo
    non si fa scrupolo, pei suoi disegni,
    di citar le Scritture. Una malanima
    che adduce a testimoni i sacri testi
    è pari alla più perfida canaglia
    che atteggia la sua guancia ad un sorriso,
    o ad una mela bella dal di fuori
    e marcia dentro... La disonestà
    s'è sempre dato un onesto sembiante.

    Shylock -

    Vediamo allora: tremila ducati...
    Una bella sommetta, tonda tonda!...
    Per tre mesi su dodici... Vediamo...
    l'interesse sarebbe...

    Antonio -

    Insomma, Shylock,
    ci volete o no vostri debitori?

    Shylock -

    Signor Antonio, non so quante volte
    a Rialto m'avete dileggiato
    perché presto danari ad interesse.
    Io l'ho sempre voluto tollerare
    con un paziente gesto di spallucce;
    perché la tolleranza è la divisa
    di tutti quelli della mia tribù;
    mi date in pubblico del miscredente,
    cane strozzino, e sputate schifato
    sopra la mia gabbana di giudeo.
    E tutto questo per l'uso ch'io faccio
    di ciò ch'è mio. Ebbene, ecco che adesso
    voi avete bisogno del mio aiuto,
    a quanto pare - ma guardate un po'! -
    e venite da me, e mi dite: "Shylock,
    vorremmo avere da te del denaro".
    E siete voi che dite questo, voi,
    che avete sempre schizzato saliva
    sulla mia barba, cacciandomi a calci
    come un cane rognoso accovacciato
    davanti all'uscio della vostra casa.
    E ora mi chiedete del denaro!
    Che vi devo rispondere?
    Non credete che vi dovrei rispondere:
    "Ha del denaro un cane come me?
    È mai possibile che un can rognoso
    ha tremila ducati da prestare?"
    O credete ch'io faccia un grande inchino,
    ed in tono da uomo sottomesso,
    col fiato rotto ed umil sussurrando
    debba rispondervi: "Gentil signore,
    mercoldì scorso mi sputaste addosso,
    tal altro giorno mi prendeste a calci,
    un'altra volta mi chiamaste "cane",
    ed in cambio di tante gentilezze
    vi presterò tutti questi denari"?

    Antonio -

    A chiamarti così, a sputarti addosso,
    a prenderti a pedate un'altra volta,
    son sempre io, e lo farei ancora.
    Se vuoi prestare a noi questo denaro,
    prestalo, non però come ad amici...
    ché quando mai ritrasse l'amicizia
    un frutto dallo sterile metallo
    prestato ad un amico?
    Prestalo invece come a un tuo nemico,
    perché se questi mancherà all'impegno,
    potrai esigere con miglior faccia
    il pagamento della tua penale.

    Shylock -

    Eh, là là, come siete tempestoso!
    Voglio essere amico a tutti e due,
    io, ed aver la vostra simpatia,
    dimenticar le vergognose ingiurie
    di cui m'avete sempre ricoperto,
    soccorrere ai bisogni vostri d'oggi
    senza pretendere pel mio denaro
    un soldo d'interesse;
    e voi sembrate non volermi udire.
    È una cortese offerta che vi faccio.

    Bassanio -

    Anzi, è la stessa cortesia, direi!

    Shylock -

    E voglio darvene dimostrazione.
    Venite insieme con me da un notaio,
    e avanti a lui firmatemi, voi solo,
    un impegno formale, con la clausola
    (ma soltanto così, per uno scherzo)
    che qualora in tal giorno ed in tal luogo
    non mi doveste rendere la somma
    o le somme indicate nel contratto,
    la penale sarà una libra esatta
    di carne, della vostra bella carne,
    da asportarvi dal corpo di mia mano
    dalla parte che più vi piacerà.

    Antonio -

    D'accordo. Sono pronto a sottoscrivere
    in piena fede un simile contratto
    e a proclamare nello stesso tempo
    che nell'ebreo c'è molta cortesia.

    Bassanio -

    No, Antonio, non devi sottoscrivere
    per me un impegno di questa natura!
    Preferisco restare nei miei guai.

    Antonio -

    Via, caro amico, non aver paura,
    quella penale non la pagherò:
    entro due mesi - e dunque un mese prima
    che scada questa mia obbligazione -
    io conto d'incassare degli introiti
    pari a tre volte il triplo della somma.

    Shylock -

    O padre Abramo, che razza di gente
    questi cristiani, la cui rude vita
    insegna loro ad esser sospettosi
    delle intenzioni altrui!

    (A Bassanio)

    Ditemi voi, di grazia, qual guadagno
    ritrarrei dall'esiger quella pena,
    s'egli non mi pagasse alla scadenza.
    Una libbra di carne tolta a un uomo
    non vale manco il prezzo od il valore
    d'una libbra di carne di montone,
    di manzo o di capretto, santo Dio!
    Mi allargo a fargli questa offerta amica,
    per acquistarmi la sua simpatia.
    Se accetta, tanto meglio. Se no, addio!
    Però per questa prova di amicizia
    vi prego almeno di non più insultarmi.

    Antonio -

    Shylock, d'accordo: vi firmo il contratto.

    Shylock -

    Bene, allora a fra poco, dal notaio;
    aspettatemi là; gli fornirete
    nel frattempo gli estremi necessari
    a stilar questa amena obbligazione.
    Io vado a procurarmi quel denaro,
    e a dare un'occhiatina alla mia casa,
    restata all'insicura guardianìa
    d'un piuttosto svagato furfantello.
    Ma vi raggiungerò immediatamente.

    Antonio -

    Bene, fa' presto, amabile giudeo.

    (Esce Shylock)

    L'ebreo si fa cristiano, ingentilisce.

    Bassanio -

    Belle parole ed intenzioni prave.
    Non mi piace.

    Antonio -

    Non c'è da preoccuparsi:
    le mie navi saranno di ritorno
    un mese avanti la scadenza. Andiamo.

    (Escono)
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    00 15/11/2005 14:10
    Atto secondo
    Scena I - La casa di Porzia a Belmonte
    Fanfara di cornette. Entrano il Principe del Marocco, un Moro dalla pelle bruna vestito d'un barracano bianco con tre o quattro del suo seguito, vestiti nella stessa foggia;
    Porzia, Nerissa e altri della casa che non parlano

    Marocco -

    Non vi spiaccia il color della mia pelle,
    bruna livrea del mio torrido sole,
    di cui sono un vicino e al cui raggio
    posso dir quasi che sono cresciuto.
    Ma portatemi qui
    l'uomo più bello che sia nato al nord,
    dove il fuoco di Febo a malapena
    riesce a liquefare dei ghiaccioli,
    e facciamoci insieme lui ed io,
    un taglio nella carne,
    a mostrar quale sangue è più vermiglio.
    tra il mio e il suo. Io ti dico,([32]) signora,
    che questo mio sembiante
    ha intimorito uomini valenti;
    e ti posso giurare, sul mio amore,
    ch'esso è piaciuto alle più avvenenti
    e degne vergini del nostro clima.
    Ed io non cambierei questo colore,
    mia graziosa regina, a nessun prezzo,
    salvo che per rapire il vostro amore.

    Porzia -

    A questa scelta io non son guidata
    soltanto dalla saggia direzione
    dell'occhio d'una vergine fanciulla;
    c'è in più la lotteria del mio destino([33])
    che m'interdice dalla facoltà
    di scegliere secondo ch'io vorrei.
    Ma, se mio padre non m'avesse imposto
    questa limitazione, e vincolato
    d'espresso suo volere a darmi in moglie
    all'uomo che riesca a conquistarmi
    coi mezzi che v'ho detto, illustre principe,
    voi sareste gradito agli occhi miei
    non men che ogni altro dei visitatori
    ch'io finora abbia visto
    venuti qui a richiedere il mio amore.

    Marocco -

    Ed io anche di questo vi ringrazio.
    Perciò, vi prego, vogliate condurmi
    agli scrigni, a tentar la mia fortuna.
    Io vi giuro su questa scimitarra,
    ch'ha ucciso il re e un principe di Persia,([34])
    che ha vinto pel sultano Solimano
    tre battaglie campali,([35])
    che mi sento di far abbassar gli occhi
    all'uomo più spavaldo della terra,
    di sfidare il più intrepido coraggio,
    di strappar via i cuccioli lattanti
    dalle poppe dell'orsa,
    sì, di prendere a beffa anche il leone
    allorché rugge davanti alla preda
    per ottenerne in premio te, signora.
    Ma, qui, purtroppo, mi sento impotente!
    Se giocassero ai dadi Ercole e Lica
    per stabilir tra loro chi è più forte,
    potrebbe ben dalla mano più debole
    sortire il numero più alto, e Alcide
    ne sortirebbe allora superato
    in forza e robustezza dal suo servo.([36])
    E così io, la Fortuna che è cieca
    guidandomi, potrei essere perdente
    a vantaggio d'alcuno meno degno,
    e addolorarmene fino a morire.

    Porzia -

    A voi dunque decidere:
    o ricusar di cimentarvi a scegliere,
    o cimentarvi, ma giurare prima,
    che qualora la vostra scelta cada
    sullo scrigno sbagliato,
    mai più voi parlerete ad una dama
    di profferte d'amore. Riflettete.

    Marocco -

    Bene, profferte non ne farò più.
    Vogliate intanto condurmi al mio rischio.

    Porzia -

    Prima al tempio, a giurar solennemente.
    Il vostro azzardo sarà dopo pranzo.

    Marocco -

    A te, buona Fortuna,
    di farmi il più beato o il più dannato
    di tutti gli uomini di questa terra!

    (Squilli di tromba. Escono)

    Scena II - Venezia, una calle.
    Entra Lancillotto

    Lancillotto -

    Eh, sì, la mia coscienza
    alla fine dirà che ho fatto bene
    a fuggire da questo ebreo padrone.
    Il diavolo mi sta sempre alle costole
    a tentarmi, dicendo: "Lancillotto,
    buon Lancillotto Gobbo, su, buon Gobbo",
    oppure: "Su, buon Lancillotto Gobbo,
    metti le gambe in collo, fila via!"
    La mia coscienza dice invece: "No,
    sta' bene attento, onesto Lancillotto,
    onesto Gobbo"; o, come ho detto prima:
    "Onesto Lancillotto, non scappare,
    perché ti correrebbe alle calcagna
    la vergogna". Ma un diavolo più ardito
    m'istiga a far fagotto: "Via - mi dice -
    via, in nome del cielo!" dice il diavolo,
    "fatti coraggio e scappa" dice il diavolo.
    Ma poi la mia coscienza,
    abbarbicata al collo del mio cuore,
    mi dice saggiamente: "O Lancillotto,
    onesto amico mio,
    tu, come figlio d'un onesto padre"
    (o meglio, figlio d'un'onesta madre,
    perché mio padre aveva un certo odore...
    puzzava un poco... beh, lasciamo andare!),
    "Lancillotto - mi dice la coscienza -
    non ti muovere". E il diavolo: "Su, muoviti!"
    E la coscienza: "No, non devi muoverti!"
    "Coscienza - dico io - ben mi consigli".
    "Diavolo - dico - mi consigli male..."
    Insomma, a dare ascolto alla coscienza,
    dovrei restare col padrone ebreo,
    che, Dio ne scampi,([37]) è una specie di diavolo.
    Se, al contrario, fuggissi dall'ebreo,
    avrei seguito quel che dice il diavolo,
    che, salvognuno, è il diavolo in persona.
    Vero è ch'anche il giudeo
    non è altro che un diavolo incarnale([38])
    e, a dirla con coscienza, alla fin fine
    la mia coscienza è una dura coscienza
    per consigliarmi a restar con l'ebreo.
    Il consiglio del diavolo è più amico.
    Io fuggo, diavolo! Le mie calcagna
    sono ai tuoi ordini; taglio la corda!

    Entra Gobbo il Vecchio recando un cesto

    Gobbo -

    Mastro mio giovanotto, per piacere,
    dove si va per il padrone ebreo?

    Lancillotto -

    (A parte)

    O cieli! Il mio paterno genitore,
    che essendo mezzo cieco, anzi di più,
    cieco del tutto,([39]) non mi riconosce.
    Voglio vedere come va a finire.([40])

    Gobbo -

    Mastro nobile giovane, vi prego,
    quel è la strada per patron l'ebreo?

    Lancillotto -

    Girate a destra alla prima voltata,
    alla seconda girate a sinistra;
    però alla prima vera cantonata
    non girate né a destra né a sinistra,
    e ve ne andrete giù indirettamente,
    a casa dell'ebreo.

    Gobbo -

    Per tutti i santi!
    Sarà difficile imbroccarla giusta!
    Sapreste dirmi se un tal Lancillotto
    che sta con lui, ci sta con lui, o no?

    Lancillotto -

    Volete dire Lancillotto il Giovane?

    (Rivolgendosi al pubblico)

    Ora mi gonfio tutto, state attenti.

    (Al Gobbo)

    Volete dire il Mastro Lancillotto
    giovane?

    Gobbo -

    No, signore, niente mastro;
    ma il figliolo di un uomo poverissimo;
    suo padre, posso dirlo, è un onest'uomo
    ma povero da non potersi dire,
    e, grazie a Dio, con volontà di vivere.

    Lancillotto -

    Bah, suo padre sia pure quel che vuole,
    noi parliamo di Mastro Lancillotto
    il giovane.

    Gobbo -

    No, vostra signoria,
    Lancillotto e nient'altro, senza "mastro"!

    Lancillotto -

    No, buon vecchio, vi prego, ergo vi supplico,
    parlate voi di Mastro Lancillotto
    il giovane?

    Gobbo -

    Di Lancillotto solo,
    con licenza di vostra maestria.

    Lancillotto -

    Ergo dunque di Mastro Lancillotto.
    Non parlate di Mastro Lancillotto,
    padre;([41]) perché quel giovane signore,
    per volere dei Fati e dei Destini
    e d'altre arcane storie che si dicono,
    le Tre Sorelle e simili marogne,
    è positivamente deceduto,
    o, a dirlo con parole più pedestri,
    se n'è volato al cielo.

    Gobbo -

    Dio non voglia!
    Vergine santa, quel ragazzo lì
    era il bastone della mia vecchiaia,
    il mio vero sostegno.

    Lancillotto -

    (Tra sé)

    Somiglierei io dunque ad uno stecco,
    a una cannuccia, a un bastone, a un puntello?

    (Forte)

    Non mi riconoscete, padre?

    Gobbo -

    Ahimè,
    giovin signore, io non vi conosco;
    ma ditemi vi prego se mio figlio
    - Dio conceda riposo alla sua anima! -
    è vivo o morto?

    Lancillotto -

    Padre, ma davvero
    non mi riconoscete?

    Gobbo -

    Ahimè, signore,
    son mezzo cieco; non vi riconosco.

    Lancillotto -

    No, eh? Capisco bene:
    aveste avuto buoni entrambi gli occhi
    non avreste potuto riconoscermi:
    per riconoscere il proprio figlio
    ci vuole un padre saggio.
    Comunque, vecchio, vi darò notizie
    di vostro figlio. Prima beneditemi.

    (S'inginocchia al Gobbo)

    La verità viene sempre alla luce:
    l'assassinio non può restar nascosto
    a lungo; lo può invece il figlio al padre,
    ma alla lunga la verità vien fuori.

    Gobbo -

    Ve ne prego, signore, rialzatevi.
    Voi non siete mio figlio Lancillotto,
    son sicuro.

    Lancillotto -

    Finiamo di scherzare,
    vi prego; datemi la benedizione,
    io sono il Lancillotto
    ch'è stato un tempo il vostro fanciullino,
    ch'è oggi il vostro figlio
    e che sarà domani il vostro erede.

    Gobbo -

    Non so pensare che siete mio figlio.

    Lancillotto -

    E io per me non so cosa pensare
    di questo; ma io sono il Lancillotto
    che voi cercate, il servo dell'ebreo,
    e son sicuro che mia madre è Ghita,([42])
    vostra moglie.

    Gobbo -

    Si chiama Ghita, infatti;
    e se tu sei davvero Lancillotto,
    posso giurar che sei mia carne e sangue.

    (Brancicando gli tocca la testa)

    Sangue di Dio, che barba hai messo su!
    Hai più peli sulla tua faccia tu,
    che Dob, il mio ronzino, sulla coda.([43])

    Lancillotto -

    Vuol dire che la coda al tuo Dobbino
    gli cresce alla rovescia, verso il dentro;
    però l'ultima volta che l'ho visto
    son sicuro che aveva sulla coda
    più peli lui che non io sulla faccia.

    Gobbo -

    Misericordia, come sei cambiato!
    E col padrone, di', ci vai d'accordo?
    Gli ho portato un regalo. Vai d'accordo?

    Lancillotto -

    Sì, sì, d'accordo; ma per parte mia,
    poiché ho deciso di piantarlo in asso,
    e fuggire da lui, non farò sosta
    prima d'aver percorso un po' di strada.([44])
    Il mio padrone è un giudeo patentato.
    Un regalo per lui?... Un laccio al collo!
    Mi fa morir di fame al suo servizio.
    Mi potete contare una per una
    le costole, così come ogni dito.
    Padre, son lieto che siate venuto.
    Quel regalo portatelo per me
    a un tal Mastro Bassanio,
    che almeno veste la sua servitù
    con splendide livree nuove di zecca;
    se non mi prende lui al suo servizio,
    andrò lontan da qui per quanta terra
    Iddio ha steso al sole... E guarda, toh,
    che fortuna! È proprio lui che viene
    a questa volta. Padre, avviciniamolo,
    perché se resto ancora un sol minuto
    al servizio del maledetto ebreo,
    dite pure che sono ebreo anch'io.

    Entrano Bassanio, Leonardo e altri.

    Bassanio -

    (A un servo)

    Fa' come credi tu, purché alla svelta,
    di modo che la cena sia approntata
    per le cinque al più tardi.
    Provvedi a far spedire questi inviti,
    e provvedi altresì alle livree,
    che siano tutte in ordine perfetto,
    e di' a Graziano di venir da me.

    (Esce il servo)

    Lancillotto -

    A lui, padre, suvvia, fatevi avanti.

    Gobbo -

    (A Bassanio)

    Dio benedica vostra signoria.

    Bassanio -

    Molte grazie. Desideri qualcosa?

    Gobbo -

    C'è qui mio figlio, un povero ragazzo...

    Lancillotto -

    Non povero ragazzo, signoria,
    ma servitore di quel ricco ebreo,
    e che, signore, avrebbe desiderio,
    come mio padre vi spiegherà meglio...

    Gobbo -

    Egli ha, signore, una grande infezione([45])
    di servire...

    Lancillotto -

    In breve, monsignore,
    io sono ora al servizio dell'ebreo,
    e avrei vaghezza, come qui mio padre
    vi chiarirà...

    Gobbo -

    Tra lui e il suo padrone,
    con rispetto di vostra signoria,
    non se la intendono...

    Lancillotto -

    Ad esser breve,
    la vera verità è che l'ebreo
    avendomi trattato malamente,
    è causa ch'io, siccome qui mio padre,
    essendo, spero un uomo d'esperienza,
    saprà fruttificar presso di voi...([46])

    Gobbo -

    Ho qui con me una teglia di piccioni;
    vorrei offrirla a vostra signoria
    con la preghiera...

    Lancillotto -

    Insomma, a farla breve,
    con la preghiera a me impertinente([47])
    come l'illustre vostra signoria
    apprenderà da questo onesto vecchio
    e mio padre, benché povero in canna...

    Bassanio -

    Parli uno per tutti! Che volete?

    Lancillotto -

    Entrare al vostro servizio, illustrissimo.

    Gobbo -

    Questo è il succo di tutto, monsignore.

    Bassanio -

    (A Lancillotto)

    So già chi sei; la tua richiesta è accolta.
    Me n'ha parlato appunto il tuo padrone
    Shylock quest'oggi, ed anzi mi diceva
    ch'eri ben degno d'un avanzamento,
    se pur d'avanzamento può parlarsi
    lasciar la casa d'un ricco giudeo
    per entrare in servizio nella casa
    d'un nobile spiantato come me.

    Lancillotto -

    Tra voi, signore, e il mio padrone ebreo
    si può bene spartir l'antico detto:
    voi possedete la "grazia di Dio"
    e lui ha la "ricchezza sufficiente".([48])

    Bassanio -

    Proprio così.

    (Al Gobbo)

    Va', padre, con tuo figlio.

    (A Lancillotto)

    Tu va', licenziati dal tuo padrone
    e dopo chiedi dov'è la mia casa.

    (A un servo)

    Tu provvedi per lui una livrea
    più gallonata di quella degli altri;
    bada che venga fatto come ho detto.

    Lancillotto -

    È fatta, padre... Ed io sarei quell'uomo
    che non sa procurarsi un buon servizio,
    eh?, che non ha una lingua nella bocca!

    (Si guarda le palme delle mani e legge)

    Beh, dico, se c'è uno in tutta Italia
    ch'abbia una palma più bella di questa
    da stender sulla Bibbia per giurare...
    Avrò fortuna! Guarda com'è netta
    e distante la linea della vita!...
    Qualche affaruccio di femmine... eh, sì!
    Perdio, quindici mogli! Una bazzecola!...
    Undici vedove e nove ragazze:([49])
    un semplice antipasto, per un uomo.
    Eppoi scampar tre volte da affogare,
    e trovarmi in pericolo di vita
    sopra la sponda di un letto di piume...
    salvataggi da ridere.
    Eh, se davvero la Fortuna è femmina,
    con me si porta da ragazza in gamba.
    Venite, padre. Vado a licenziarmi
    da quell'ebreo in un batter di ciglio.

    (Esce con il Gobbo)

    Bassanio -

    Ora a te, buon Leonardo:
    acquistato che avrai il necessario
    e provveduto a metter tutto in ordine,
    torna in fretta da me, ché questa sera
    avremo ospiti a cena,
    miei conoscenti del miglior riguardo.
    Spìcciati, va!

    Leonardo -

    Farò tutto il mio meglio.

    Entra Graziano incontrandosi con Leonardo

    Graziano -

    Il tuo padrone?

    Leonardo -

    È laggiù che passeggia.

    (Esce Leonardo)

    Graziano -

    Signor Bassanio!

    Bassanio -

    Graziano. Che nuove?

    Graziano -

    Son qui per chiedervi un grosso favore.

    Bassanio -

    Accordato in anticipo. Che c'è?

    Graziano -

    Mi serve di venir con voi a Belmonte.
    Non ditemi di no.

    Bassanio -

    Se ti abbisogna...
    Però, Graziano, ascoltami un momento:
    tu sei troppo imprudente, troppo brusco,
    troppo ardito di lingua: qualità
    che se in un certo modo ti si addicono
    e agli occhi nostri non sembran difetti,
    laggiù, dove nessuno ti conosce,
    potran sembrare troppo licenziose.
    Perciò dovrai sforzarti, ti scongiuro,
    di temperar la tua esuberanza
    con qualche goccia di moderazione;
    un tuo contegno troppo disinvolto
    potrebbe far che là dov'io mi reco
    si formino di me un'idea sbagliata,
    e addio speranze mie!

    Graziano -

    Signor Bassanio,
    ascoltatemi: se non saprò darmi
    un abito più sobrio e contegnoso,
    parlando con rispetto,
    e bestemmiando sì e no qualche volta,
    se non porterò libri di orazioni
    in tasca, dandomi un'aria compunta;
    anzi, di più: se a pranzo, al "benedicite",
    non mi rincalco il cappello sugli occhi,([50])
    così... e se alla fine nel dir "Amen"
    non faccio un sospirone, ecco, così...
    insomma se non metto fuori in uso
    tutte le norme di buona creanza
    come uno che sia bene esercitato
    ad atteggiarsi a triste e malinconico
    per compiacere alla vecchia nonnina,
    non fatemi più credito di sorta.

    Bassanio -

    Bene, vedremo quel che saprai fare.

    Graziano -

    Tutto, fuor che stanotte:
    non dovete aspettare, a giudicarmi,
    da quello che faremo questa notte.

    Bassanio -

    Ah, no, a comportarti come dici
    sarebbe un gran peccato per noi tutti;
    vorrei, anzi, esortarti questa notte
    a sfoggiar la tua vena più briosa
    e più sfrenata: avremo degli amici
    che vengono da me per divertirsi.
    Ma ora addio, ti devo salutare;
    ho parecchi affarucci da sbrigare.

    Graziano -

    E io devo veder Lorenzo e gli altri.
    Ma saremo puntuali per la cena.

    (Escono da parti opposte)

    Scena III - Venezia, la casa di Shylock.
    Entrano Gessica e Lancillotto

    Gessica -

    Mi dispiace che te ne vai così;
    la nostra casa è un mortorio d'inferno,
    e tu, come un allegro diavoletto,
    lenivi un poco questa sua tetraggine.
    Addio, comunque. Toh, qui c'è un ducato.
    E, senti, Lancillotto: questa sera,
    non appena vedrai Lorenzo a cena
    invitato dal tuo nuovo padrone,
    dàgli questa missiva. Ma in segreto.
    Ed ora addio. Non vorrei che mio padre
    mi sorprendesse a parlare con te.

    Lancillotto -

    Adieu! Mi vien da piangere,
    le lacrime esibiscono([51]) la lingua
    di parlare, bellissima pagana,
    dolcissima giudea! Se per averti
    un cristiano non si sentisse pronto
    anche a commettere una canagliata,
    ne sarei veramente assai deluso!([52])
    Ma addio! Queste melense lagrimucce
    annegano il mio spirito virile.

    (Esce)

    Gessica -

    Addio, buon Lancillotto!...
    Ahimè, per me quale odioso peccato
    dovermi vergognar del padre mio!...
    Però se sono figlia sua per sangue,
    non lo sono per animo... Oh, Lorenzo,
    se terrai fede alla parola data,
    metterò fine ad un tale conflitto,
    e mi farò cristiana,
    e tua amorosissima consorte.

    (Esce)

    Scena IV - Venezia, una calle.
    Entrano Graziano, Lorenzo, Solanio e Salerio

    Lorenzo -

    Allora intesi: durante la cena
    usciremo ed andremo a mascherarci
    a casa mia; in un'ora torniamo.([53])

    Graziano -

    Ma non abbiamo preparato nulla!

    Solanio -

    Né s'è parlato ancor dei fiaccolai.([54])

    Salerio -

    Certe cose o si fanno in piena regola
    o riescono male; a mio giudizio,
    sarebbe meglio non farne più nulla.

    Lorenzo -

    Amici miei, sono appena le quattro.
    Abbiamo ben due ore per far tutto.

    Entra Lancillotto

    Amico Lancillotto, quali nuove?

    Lancillotto -

    (Porgendogli la lettera di Gessica)

    Probabilmente ne trovate qui,
    se vi piaccia di togliere il sigillo.

    Lorenzo -

    (Prendendo la lettera e guardando la soprascritta)

    Ah, conosco la mano: deliziosa
    e bianca più del foglio in cui ha scritto!

    Graziano -

    Son notizie amorose, senza dubbio.

    Lancillotto -

    (Fa per congedarsi)

    Con licenza, signore...

    Lorenzo -

    Dove vai?

    Lancillotto -

    Dove vado, illustrissimo! Eh, diamine,
    ad invitare il mio vecchio padrone,
    l'ebreo, che venga a cena dal mio nuovo,
    il cristiano.

    Lorenzo -

    Tieni, allora, prendi questo,

    (Gli dà del denaro)

    e fa' sapere alla gentile Gessica
    che non le mancherò all'appuntamento.
    Può contarci. Ma in tutta segretezza.
    Adesso puoi andare.

    (Esce Lancillotto)

    Miei signori,
    allora, ci vogliamo preparare
    questa notte per questa mascherata?
    Io, il mio fiaccolaio ce l'ho già.([55])

    Salerio -

    Io ci vengo senz'altro.

    Solanio -

    Ed io lo stesso.

    Lorenzo -

    Graziano ed io saremo ad aspettarvi
    nei pressi della casa di Graziano
    fra un'ora circa.

    Salerio -

    Bene, ci saremo.

    (Escono Salerio e Solanio)

    Graziano -

    Non ti veniva dalla bella Gessica
    quella lettera?

    Lorenzo -

    A te debbo dir tutto:
    ella mi dice quel che devo fare
    per trarla via dalla casa del padre,
    di quanto oro e gioielli s'è provvista,
    qual costume di paggio s'è allestito.
    Se quell'ebreo suo padre, quando muore
    dovesse mai andare in paradiso,
    sarà di certo e solamente merito
    di questa bella e gentile sua figlia.
    E che non osi mai la malasorte
    traversarle il cammino nella vita;
    salvo che non lo faccia col pretesto
    ch'è la figlia d'un miscredente ebreo.
    Vieni, accompagnami, e andando leggi:
    sarà lei, Gessica, il mio fiaccolaio.

    (Escono)

    Scena V - Venezia, davanti alla casa di Shylock.
    Entrano Shylock e Lancillotto

    Shylock -

    Beh, te ne accorgerai:
    giudicherai tu stesso coi tuoi occhi
    che differenza c'è tra il vecchio Shylock
    e il tuo signor Bassanio...

    (Chiamando)

    Ehi, ho, Gessica!...
    Non potrai più mangiare a crepapelle
    come da me... Ehi, Gessica, ove sei?...
    ... né dormire e russare a sazietà,
    e consumar tante belle livree...
    Gessica, dico! Insomma, dove sei?

    Lancillotto -

    Gessica, oh!...

    Shylock -

    Che! Tu?...
    Chi t'ha ordinato di chiamare?... Io no.

    Lancillotto -

    Non m'avete rimproverato sempre
    di non saper far nulla senza un ordine?

    Entra Gessica

    Gessica -

    Mi chiamavate? Che desiderate?

    Shylock -

    Sono invitato a cena fuori, Gessica.
    Qui sono le mie chiavi...
    Già, ma in fondo, perché dovrei andarci?
    Non m'invitano certo per affetto;
    è solo per blandirmi... son sicuro.
    E tuttavia ci vado, in odio a loro,
    a rimpinzarmi ben bene la pancia
    alle spese del prodigo Cristiano.
    Ragazza mia, tu bada alla mia casa.
    Son davvero schifato ad andar là;
    vi fermenta chi sa che brutto tiro
    ai danni della mia tranquillità...([56])
    Questa notte ho sognato sacchi d'oro...

    Lancillotto -

    Andateci, signore, vi scongiuro;
    il mio giovane nuovo principale
    aspetta il vostro([57]) incomodo...

    Shylock -

    Com'io il suo.

    Lancillotto -

    Eppoi han cospirato([58])...
    No, non vi dico che stanotte là
    assisterete ad una mascherata;
    ma se poi la vedrete,
    vuol dire che non fu senza motivo
    se dal mio naso, il lunedì di Pasqua
    alle sei del mattino, uscì del sangue;([59])
    senza dir di quell'anno,
    quattr'anni fa, mercoldì delle Ceneri,
    di pomeriggio...

    Shylock -

    Che! Ci sono maschere?...
    Sentimi bene, Gessica:
    serra le porte della casa a chiave,
    e quando per la strada odi il tamburo
    o il fastidioso volgare stridìo
    che fa quel piffero dal collo torto,([60])
    non correre al balcone o alla finestra
    e a sporger fuori il capo
    sulla pubblica via a veder passare
    pazzi cristiani con facce dipinte;
    tappa bene le orecchie della casa,
    voglio dire i balconi e le finestre,
    che non entri nella mia casa austera
    il frastuono di stupide mattane.
    Ti giuro sul bastone di Giacobbe([61])
    che questa sera non ho alcuna voglia
    di banchettare fuori... Ma ci vado.

    (A Lancillotto)

    Tu precedimi, e di' che ci sarò.

    Lancillotto -

    Vado, signore.

    (A parte a Gessica)

    Non gli date retta:
    affacciatevi pure alla finestra,
    a dispetto di tutto:
    "Perché di là un cristiano passerà
    dell'occhio d'una ebrea degno sarà".

    (Esce Lancillotto)

    Shylock -

    Che ti diceva quel mezzo imbecille,
    quel babbeo della stirpe d'Agàr, eh?([62])

    Gessica -

    M'ha detto: "Addio, padroncina"; nient'altro.

    Shylock -

    È abbastanza gentile, poveretto,
    ma mangia, salvognuno, come un lupo,
    e nel servire è proprio una lumaca,
    e dorme anche di giorno. In casa mia
    non c'è posto per fuchi; non mi serve,
    perciò me se separo volentieri
    per mandarlo al servizio di qualcuno
    che vorrei aiutasse a scialacquare
    i soldi presi in prestito da me.
    Beh, Gessica, rientra adesso in casa.
    Probabilmente io ritorno subito.
    Tu intanto fa' così come t'ho detto:
    chiuditi dietro a te tutte le porte.
    "Ben chiuso, ben trovato": è un vecchio detto
    sempre presente in una mente economa.

    (Esce)

    Gessica -

    Addio, mio padre; e se la mia fortuna
    non incontrerà niente che la imbrigli,
    avrò perduto un padre e tu una figlia.

    (Esce rientrando in casa)

    Scena V - La stessa. Notte.
    Entrano Graziano e Salerio in maschera

    Graziano -

    Ecco, qua sotto è il portico
    dove Lorenzo ha detto di aspettarlo.

    Salerio -

    È già in ritardo.

    Graziano -

    Infatti, ed è assai strano
    che non sia in orario.
    Gli amanti son di solito in anticipo.

    Salerio -

    Oh, i colombi di Venere
    volano dieci volte più veloci
    a suggellar nuovi patti d'amore
    che a mantenere la parola data.

    Graziano -

    Oh, questo accade sempre, in ogni cosa.
    Chi s'alza da una tavola sontuosa
    con l'appetito con cui s'è seduto?
    E ci fu mai cavallo
    che rifece a ritroso il suo percorso
    con la tremenda foga dell'andata?
    Noi rincorriamo tutto con più ardore
    di quanto ne mettiamo per godercelo
    dopo averlo raggiunto.
    Come somiglia a un giovin zerbinotto
    od a un fanatico scialacquatore
    il barco che dalla nativa baia
    veleggia al largo, tutto pavesato
    e abbracciato dal vento allettatore;
    e come simile ad un figliol prodigo
    ritorna poi con i fianchi sconquassati
    dal fortunale e le vele squarciate,
    fiaccato, lacero, immiserito
    da quello stesso vento allettatore!
    Ma di ciò parleremo a miglior agio,
    perché vedo arrivare qui Lorenzo.

    Entra Lorenzo

    Lorenzo -

    Amici cari, siatemi indulgenti
    per il lungo ritardo; ma la colpa
    è delle molte cose da sbrigare
    cui dovetti pensare in questo tempo.
    Quando a voi piacerà di fare i ladri([63])
    per prender moglie, allora sarò io
    ad aspettarvi il tempo che vorrete.
    Avvicinatevi: questa è la casa
    del mio suocero ebreo... Ehi là, di casa!

    (S'affaccia Gessica, vestita da paggio)

    Gessica -

    Chi siete? Ditelo per mia certezza,
    se pur d'avervi già riconosciuto
    potrei giurare, dalla vostra voce.

    Lorenzo -

    Sono Lorenzo, Gessica, il tuo amore.

    Gessica -

    Lorenzo, sì, di certo,
    ed anche certamente l'amor mio;
    perché chi è colui ch'io amo tanto?
    E chi meglio di te può dir, Lorenzo,
    ch'io sono tua?

    Lorenzo -

    Il cielo e i tuoi pensieri
    possono dire meglio: tu sei mia!

    Gessica -

    Tieni, reggimi questo cofanetto,
    ne val la pena... Fortuna che è buio,
    così non puoi vedermi: ho assai vergogna
    di mostrarmi nel mio travestimento;
    ma amore è cieco, e gli amanti non vedono
    le amabili follie cui s'abbandonano;
    perché, se le potessero vedere,
    Cupido stesso arrossirebbe tutto
    a vedermi mutata in un ragazzo.

    Lorenzo -

    Scendi, ché mi dovrai far da torciera.

    Gessica -

    Che! Devo proprio io
    reggere il moccolo alle mie vergogne?
    Non son già troppo in luce per se stesse?
    Ahimè, questo è un incarico, tesoro,
    che mi scopre, e dovrei restare oscura.

    Lorenzo -

    Scoperta tu sei già, dolcezza mia,
    anche nel tuo grazioso abbigliamento
    da ragazzo. Ma scendi giù, alla svelta,
    perché la notte fonda scappa via
    come una ladra, e in casa di Bassanio
    ci aspettan per la festa dopo cena.

    Gessica -

    Il tempo di serrar tutte le porte,
    d'arricchirmi d'un po' d'altri ducati
    le tasche, e sono subito da voi.

    (Si ritira dalla finestra)

    Graziano -

    Ah, questa donna, per il mio cappuccio,([64])
    è una gentile, e non una giudea!([65])

    Lorenzo -

    Che Dio mi maledica, s'io non l'amo
    con tutta la potenza del mio cuore!
    Ella è saggia, se so ben giudicarla;
    ella è bella, se l'occhio non m'inganna;
    è sincera, ché tal s'è dimostrata.
    E saggia, bella e sincera com'è,
    terrà sempre il suo posto
    nel mio animo a lei sempre costante.

    Gessica entra in strada, uscendo di casa

    Ebbene, già sei qui?... Via, gentiluomini;
    i nostri in maschera a quest'ora
    saranno certamente ad aspettarci.

    (Esce con Gessica e Salerio)

    Entra Antonio

    Antonio -

    Chi è là?

    Graziano -

    Signor Antonio!

    Antonio -

    Olà, Graziano!
    Diamine! E dove sono tutti gli altri?
    Son già le nove e gli amici vi aspettano.
    Stanotte niente più la mascherata.
    S'è alzato in mare il vento favorevole
    e Bassanio deve salpare subito.
    Ne avrò mandato in giro una ventina
    a cercarvi e informarvi della cosa.

    Graziano -

    Per me, io ne son lieto:
    ché non desidero niente di meglio
    che far vela e salpare questa notte.

    (Escono)

    Scena VII - La casa di Porzia a Belmonte
    Squilli di tromba. Entrano Porzia, il Principe del Marocco e seguito

    Porzia -

    Si scosti la cortina
    e si mostrino a questo degno principe
    i vari cofanetti.

    (Al principe)

    Ed ora a voi
    di procedere a far la vostra scelta.

    Marocco -

    Il primo, d'oro, reca questa scritta:
    "Chi sceglie me avrà ciò che molti agognano".
    Il secondo, d'argento, ha questo avviso:
    "Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
    Il terzo, tutto di pesante piombo,
    porta a sua volta questa secca scritta:
    "Chi sceglie me sarà obbligato a dare
    ed arrischiare tutto quel che ha".
    Come fare per sceglier quello giusto?

    Porzia -

    Uno dei tre contiene il mio ritratto,
    principe: se voi sceglierete quello,
    io, insieme con esso, sarò vostra.

    Marocco -

    Mi guidi nella scelta un qualche dio...
    Voglio legger di nuovo le iscrizioni.
    Che dice questo scrignetto di piombo?
    "Chi sceglie me sarà obbligato a dare
    ed arrischiare tutto quel che ha".
    "Sarà obbligato a dare..." E per che cosa?
    Per del piombo?... Arrischiare per del piombo!
    Questo scrigno promette solo rischi.
    Chi mette a rischio tutto quel che ha,
    spera, rischiando, sostanziosi introiti.
    Un ingegno dorato
    non s'abbassa a bramar vile sostanza;
    ed io nulla darò né arrischierò
    per del piombo. Che dice ora l'argento
    in quel suo bel pallore virginale?
    "Chi sceglie me s'avrà quel che si merita".
    "S'avrà quel che si merita..."
    Fermati qui, Marocco, e pesa bene
    con equa mano quello che tu vali.
    Se ti devi pesare sulla base
    della valuta che fai di te stesso,
    tu meriti abbastanza; l'"abbastanza"
    potrebbe tuttavia non tanto estendersi
    fino a includere questa signora;
    dubitare d'altronde del mio merito
    sarebbe disistima di me stesso...
    "S'avrà quel che si merita..."
    Ebbene, questo è proprio la signora!
    Io me la merito pei miei natali,
    e per le mie fortune, le mie grazie,
    i modi della mia educazione;
    ma ancora più di tutto questo insieme,
    io me la merito per il mio amore!
    Se mi fermassi qui, e scegliessi questo?...
    Prima, però, leggiamo un'altra volta
    quello ch'è inciso sullo scrigno d'oro:
    "Chi sceglie me avrà ciò cui molti agognano"...
    È chiaro: è questa dama!
    È proprio lei cui tutto il mondo agogna,
    se per baciare questo reliquiario
    d'una santa terrena che respira
    vengon dai quattro canti della terra.
    I deserti d'Ircania e le selvagge
    solitudini dell'immensa Arabia
    son divenute tante vie maestre
    per quanti principi per esse passano
    per venire a veder la bella Porzia.
    L'equoreo regno che, col capo altero,
    manda in alto i suoi sputi in faccia al cielo,
    non è ostacolo ai principi stranieri
    che lo traversano come un ruscello
    per venire a mirar la bella Porzia.
    La celestiale immagine di lei
    è chiusa in uno di questi tre scrigni.
    Che sia quello di piombo a contenerla?
    No, che sarebbe un vero sacrilegio
    sol concepire un sì basso pensiero!
    Troppo vile materia, per serbare
    il suo sudario in quell'oscura tomba.
    O devo credere ch'ella si trovi
    racchiusa nell'argento che dell'oro
    è meno puro almen dieci volte?
    O reo pensiero! Mai sì ricca gemma
    fu incastonata meno che nell'oro.
    In Inghilterra ha corso una moneta
    con l'effigie d'un angelo nell'oro,
    ma scolpita soltanto in superficie;
    qui invece un angelo giace all'interno
    d'un letto d'oro... Datemi la chiave!
    Scelgo questo, e m'assista la fortuna!

    (Apre lo scrigno d'oro)

    Oh, diavolo! Che cosa c'è qui dentro?
    Un teschio, nelle cui scavate occhiaie
    un cartiglio. Leggiamo che c'è scritto:

    (Legge)

    "Non è tutt'oro quello che risplende;
    questa massima udita hai tu sovente.
    Più d'un uomo la vita ha maledetto
    per badar solo al mio esterno aspetto.
    Vermi racchiude ogni dorato avello.
    Se, così come ardito tu sei stato,
    uomo saggio ti fossi dimostrato,
    giovin di membra, vecchio di cervello,
    non saresti rimasto inappagato.
    Addio. Gelata è ormai la tua profferta,
    gelata invero, ed invano sofferta.
    Di' dunque addio all'amore perduto,
    e porgi al gelo un caldo benvenuto".

    O Porzia, addio. Ho il cuore troppo greve
    per dilungarmi in tediosi congedi;
    così partono tutti i perditori.

    (Esce col seguito. Tromba)

    Porzia -

    Ah, che piacevole liberazione!
    Accostate di nuovo le cortine.
    Dio voglia che mi scelgano così
    tutti quelli che son del suo colore.

    (Escono tutti)

    Scena VI - Venezia, una calle.
    Entrano Salerio e Solanio

    Salerio -

    Bassanio, sì, l'ho visto che salpava.
    E con lui è partito anche Graziano;
    ma Lorenzo non c'era, son sicuro.

    Solanio -

    Quel maledetto ebreo con le sue grida
    ha fatto nientemeno alzare il Doge,
    ch'è poi dovuto scendere con lui
    a perquisir la nave di Bassanio.

    Salerio -

    Ma è giunto troppo tardi,
    perché il vascello aveva preso il largo;
    e là il Doge veniva informato
    che Lorenzo con la sua bella, Gessica,
    erano stati visti insieme in gondola;
    Antonio stesso assicurava il Doge
    che i due non si trovavan sulla nave
    insieme con Bassanio.

    Solanio -

    Mai udito un berciare in vita mia
    così oltraggioso, strano, variopinto
    come quello lanciato per le strade
    da quel cane di ebreo: "O figlia mia!
    O miei buoni ducati! O figlia mia!
    Fuggita via, ohimè, con un cristiano!
    O miei ducati cristiani! Giustizia!...
    La legge!... I miei ducati e la mia figlia!
    Uno, due sacchi pieni di ducati,
    e di doppi ducati
    rubati a me da mia figlia! E gioielli...
    due diamanti, due pietre di valore,
    rubate da mia figlia!... Rintracciatela!
    Ce l'ha indosso le pietre ed i ducati!"

    Salerio -

    E là tutti i monelli di Venezia
    dietro a rifargli il verso ed a gridare:
    "Sua figlia, le sue pietre, i suoi ducati!"

    Solanio -

    Che Antonio sia puntuale
    alla scadenza della sua cambiale,
    o l'ebreo lo farà pagar per questo.

    Salerio -

    A proposito, mi dimenticavo:
    ieri, un Francese col quale parlavo
    mi diceva che nelle acque strette
    che separano Francia da Inghilterra
    un mercantile del nostro paese
    con ricco carico era affondato.
    Ho pensato ad Antonio,
    mentre quello parlava,
    ed in silenzio mi sono augurato
    non fosse quello suo.

    Solanio -

    Faresti bene
    ad informarlo di questo ch'hai udito;
    ma non lo far così tutto d'un colpo,
    perché potrebbe fargli molto male.

    Salerio -

    Non calca questa terra un gentiluomo
    più compìto di lui. Ero presente
    quando s'è separato da Bassanio.
    Questo a dirgli che avrebbe accelerato
    in qualche modo il suo ritorno, e lui:
    "Non lo fare, Bassanio,
    non sciupare per me gli affari tuoi;
    resta pur là, finché sia ben matura
    l'occasione che aspetti;
    e quanto al mio contratto col giudeo,
    fa' che non abbia ingresso il suo pensiero
    nella tua mente d'uomo innamorato.
    Stammi allegro e rivolgi la tua mente
    in primo luogo al tuo corteggiamento
    e a tutte le squisite arti amorose
    che ti parranno più adatte al momento".
    E là, con gli occhi umidi di lacrime,
    stornando il viso, gli ha teso la mano
    stando di spalle, e gliel'ha stretta forte
    con visibile, nobile emozione.
    Ed è così che si son separati.

    Solanio -

    Penso che Antonio viva sol per lui.
    Ti prego, andiamo insieme a rintracciarlo
    a ad addolcir, con questo o quello svago,
    la sua gravezza d'animo.

    Salerio -

    Sì, andiamo.

    (Escono)

    Scena II - La casa di Porzia a Belmonte
    Entrano Nerissa e un servo

    Nerissa -

    Svelto, ti prego, scosta la cortina.
    Il principe ha prestato giuramento
    ed è già qui per fare la sua scelta.

    Tromba. Entrano il Principe d'Aragona con seguito, e Porzia

    Porzia -

    Ecco davanti a voi, nobile principe,
    i tre scrigni; se sceglierete quello
    nel quale è contenuto il mio ritratto,
    celebreremo subito le nozze,
    com'è vostro diritto; se sbagliate,
    dovrete andarvene immediatamente,
    senza dire parola.

    Aragona -

    Io mi sono impegnato a giuramento
    ad osservar tre cose:
    primo, non rivelare a nessun altro
    qual è lo scrigno che fu da me scelto;
    secondo, se non scelgo quello giusto,
    non corteggiare più nessuna donna
    con l'intenzione di condurla in moglie;
    terzo, se non m'assista la fortuna,
    prender congedo subito, e partire.

    Porzia -

    Sono queste le stesse condizioni
    che s'impegna a osservare, a giuramento,
    qualunque altro venga a cimentarsi
    per l'indegna persona che io sono.

    Aragona -

    Ed io ad esse son così disposto.
    Ora, Fortuna, a te:
    arridi alle speranze del mio cuore!
    Oro, argento e vil piombo...
    "Chi sceglie me, sarà costretto a dare
    ed arrischiare tutto quel che ha"...
    Dovresti avere un ben più degno aspetto
    per tentarmi a donare e ad arrischiare...
    Ma che dice lo scrigno d'oro? Ah!
    "Chi sceglie me avrà ciò cui molti agognano"...
    Ciò che agognano molti... ma quel "molti"
    può bene intendere il volgo sciocco,
    che sceglie solo in base alle apparenze
    e sol conosce quel che vede l'occhio,
    e, svagato com'è, non sa scrutare
    le cose a fondo, e, simile alla rondine,
    si fa il nido all'esterno delle mura,
    esposto ai rischi e alla mercé del caso.
    E io non voglio scegliere
    cosa che sia da molti vagheggiata,
    perché non amo aver gli stessi gusti
    della gente volgare, ed imbrancarmi
    con il volgo profano ed ignorante.
    Ed ora vengo a te,
    argentea dimora d'un tesoro:
    ripeti agli occhi miei
    la legenda che porti sopra incisa:
    "Chi sceglie me, s'avrà quel che si merita".
    Ed è anche ben detto:
    perché chi potrà andare per il mondo
    in cerca di fortuna e farsi onore
    senza avere lo stampo in sé del merito?
    Di una non meritata dignità
    nessun uomo presuma di vestirsi.
    Dio volesse che beni e rango e uffici
    non si ottenessero per corruzione,
    e il lustro dell'onore fosse il frutto
    del merito di chi n'è rivestito!
    Quanti che stanno con la testa nuda
    se la dovrebbero allora coprire!([66])
    Quanti che sono in posti di comando
    se ne dovrebbero star sottoposti!
    Quanta bassa progenie
    sarebbe sceverata come pula
    dalla nobil sementa dell'onore!
    E quanto onore sarebbe raccolto
    d'in fra le stoppie e i rifiuti del mondo
    per essere lustrato e messo a nuovo!
    Ma basta, ritorniamo alla mia scelta.
    Io pretendo d'avere quel che merito.
    Perciò vogliate porgermi la chiave
    di questo cofanetto, e senza indugio
    disserrerò da qui le mie fortune.

    (Gli viene porta la chiave ed apre lo scrigno d'argento)

    Porzia -

    (A parte, vedendo il principe ammutolito nel vedere il contenuto dello scrigno)

    Troppo lungo esitare
    per ciò che avete trovato là dentro.

    Aragona -

    Che c'è qui dentro? Il viso d'un idiota
    che ammiccando mi porge un cartellino...
    Leggiamolo... Però quanto diverso
    sei tu da Porzia! Quanto son diversi
    da ciò le mie speranze ed i miei meriti!
    "Chi sceglie me s'avrà quel che si merita"
    Dunque, non meritavo altro di meglio
    che il volto di un idiota? Questo valgo?
    E non merito nulla di più degno?

    Porzia -

    Far torto e giudicare il torto fatto
    son due operazioni ben distinte
    e di opposta natura.([67])

    Aragona -

    (Legge il cartello)

    "Sette volte nel fuoco fui temprato,
    sette volte dovette esser saggiato
    chi nella scelta non ha mai sbagliato.
    Guai a colui che l'ombre vuol baciare:
    quale felicità può un'ombra dare?
    Io so che vivono su questa terra
    stolti che un manto d'argento rinserra,
    com'era questo ov'io mi riserrai.
    Prenditi pur la moglie che vorrai,([68])
    ma tieni sempre me come tua guida.
    E così vattene. Per te è finita."

    Quanto più a lungo qui mi tratterrò
    tanto più sciocco agli occhi suoi sarò.
    Con una testa stolta a corteggiare
    son venuto: con due debbo partire.
    Addio, dolcezza. Terrò il giuramento
    di sopportare in pace il mio tormento.

    (Esce con il seguito)

    Porzia -

    E così il cero ha bruciacchiato il tarlo!
    Oh, questi stupidi raziocinanti!
    Con tutto il loro saggio ragionare
    quando debbono scegliere
    han sempre la saggezza di sbagliare!

    Nerissa -

    Non è dunque eresia l'antico detto:
    "Moglie e forca, il destino te le porta".

    Porzia -

    Su, Nerissa, riaccosta la cortina.

    Entra un servo

    Servo -

    Dov'è la mia signora?

    Porzia -

    Son qui; che vuol da me il mio signore?([69])

    Servo -

    Signora, c'è alla porta,
    testé smontato da cavallo, un giovane,
    da Venezia, che vien da battistrada
    ad annunciar l'arrivo del padrone;
    dalla parte del quale, voglio dire,
    egli vi reca sostanziosi omaggi...
    Insomma, voglio dire, oltre agli ossequi
    e altre cortesie campate in aria,
    regali veri, e di grande valore.
    Non avevo mai visto prima d'ora
    sì promettente ambasciator d'amore.
    Mai dì d'aprile venne così dolce
    ad annunciare qual sontuosa estate
    seguisse, come questo battistrada
    ci viene ad annunciare il suo padrone.

    Porzia -

    Eh, quante lodi! Smettila, ti prego!
    Ho una mezza paura
    che stai per dirmi ch'egli è un tuo parente,
    con tanto scilinguagnolo da festa
    ti dilunghi a lodarlo... Su, Nerissa,
    voglio vederlo questo ambasciatore
    di Cupido che giunge qui da noi
    con modi sì galanti!

    Nerissa -

    (A parte)

    O dio d'amore,
    come vorrei che fosse quel Bassanio!

    (Escono)

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    Atto terzo
    Scena I - Venezia, una calle.
    Entrano Salerio e Solanio

    Solanio -

    Allora, che notizie da Rialto?

    Salerio -

    Mah, c'è una voce, ancora non smentita,
    che una nave d'Antonio
    ben stivata di ricca mercanzia
    abbia fatto naufragio nello Stretto,
    nel punto detto, credo, Sabbie Goodwins:([70])
    un bassofondo insidioso, fatale,
    sul quale pare giacciano sepolte
    le carcasse di molte grosse navi,
    se è vero quel che va dicendo attorno
    quella grande ciarlona di comare
    ch'è la comune voce della gente.

    Solanio -

    Sarebbe meglio se quella "comare"
    potesse dimostrarsi questa volta
    altrettanto bugiarda come quando
    nega ch'è usa a masticar lo zenzero,([71])
    o come quando la vuol dare a credere
    d'aver versato lagrime di fuoco
    sulla morte del suo terzo marito.
    Ma, senza scivolare nel prolisso,
    o zigzagare intorno all'argomento,
    purtroppo è verità che il nostro Antonio,
    il nostro caro, il nostro onesto Antonio...
    oh, potessi trovare un aggettivo
    che s'accompagni meglio a questo nome!...

    Salerio -

    Beh, vieni al punto.

    Solanio -

    Che vuoi che ti dica?
    Il punto è che ha perduto la sua nave.

    Salerio -

    Dio voglia che sia anche il "punto e basta"
    di tutto ch'egli possa aver perduto.

    Solanio -

    Fammi chiudere questa tua preghiera
    con un "Amén", avanti che il demonio
    venga a intromettersi per disturbarla:
    perché lo vedo appunto avvicinarsi
    nelle mentite spoglie di un ebreo.

    Entra Shylock

    Oh, Shylock! Che notizie fra i mercanti?

    Shylock -

    Voi sapevate, come nessun altro
    meglio di voi lo poteva sapere,
    della fuga da casa di mia figlia.

    Salerio -

    E come no! Io conoscevo pure
    il sarto che le ha confezionato
    il paio d'ali con cui è volata.

    Solanio -

    E Shylock conosceva, per sua parte,
    che l'uccellino aveva messo l'ali,
    e ch'è nella natura degli uccelli
    a un certo punto abbandonar la madre.

    Shylock -

    S'è dannata per questo.

    Salerio -

    Questo è certo,
    se il diavolo dev'essere suo giudice.

    Shylock -

    La mia carne, il mio sangue ribellarsi!

    Salerio -

    Ohibò, vecchia carcassa! All'età tua,
    che carne e sangue vuoi che si ribelli?([72])

    Shylock -

    Voglio dire mia figlia;
    non è fors'ella carne e sangue mio?

    Salerio -

    Tra la tua carne e quella di tua figlia
    c'è più diversità
    che non ce n'è tra il giaietto e l'avorio;
    tra il tuo sangue ed il suo ci corre tanto
    che tra un lambrusco ed un vino del Reno.([73])
    Piuttosto, di': non hai sentito in giro
    se Antonio ha avuto perdite di navi?

    Shylock -

    Ah, quello! Un altro affare andato a male!
    Un gran bancarottiere, uno sciupone,
    che manco ha più la faccia
    di mostrarsi a Rialto; un mendicante,
    uno straccione cui correva l'uzzolo
    di comparire in piazza del mercato
    così azzimato come un damerino.
    Che pensi ad onorar la mia cambiale!
    S'era incallito a chiamarmi strozzino;
    pensi adesso alla sua obbligazione.
    Lui era uso a prestare il denaro
    per carità cristiana;
    pensi adesso alla sua obbligazione.

    Salerio -

    Beh, se proprio dovesse venir meno
    a questo impegno, tu, sono sicuro
    che non ti vorrai prender la sua carne.
    Che cosa ne faresti?

    Shylock -

    Esca per pesci!
    E se non servirà a nutrir nient'altro,
    servirà a nutrir la mia vendetta.
    M'ha sempre maltrattato come un cane,
    m'ha fatto perdere mezzo milione;
    ha riso alle mie perdite,
    ha sghignazzato sopra i miei guadagni,
    ha offeso ed oltraggiato la mia razza,
    m'ha sempre ostacolato negli affari,
    m'ha raffreddato tutte le amicizie,
    e m'ha scaldato contro i miei nemici.
    E ciò perché? Perché sono giudeo.
    Non ha occhi un giudeo?
    Un giudeo non ha mani, organi, membra,
    sensi, affetti, passioni,
    non s'alimenta dello stesso cibo,
    non si ferisce con le stesse armi,
    non è soggetto agli stessi malanni,
    curato con le stesse medicine,
    estate e inverno non son caldi e freddi
    per un giudeo come per un cristiano?
    Se ci pungete, non facciamo sangue?
    Non moriamo se voi ci avvelenate?
    Dunque, se ci offendete e maltrattate,
    non dovremmo pensare a vendicarci?
    Se siamo uguali a voi per tutto il resto,
    vogliamo assomigliarvi pure in questo!
    Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo,
    qual è la sua virtù di tolleranza?
    L'immediata vendetta! Onde un ebreo,
    nel sentirsi oltraggiato da un cristiano,
    come può dimostrarsi tollerante
    se non, sul suo esempio, vendicandosi?
    Io non faccio che mettere a profitto
    la villania che m'insegnate voi;
    e sarà ben difficile per me
    rimanere al disotto dei maestri.

    Entra un servo

    Servo -

    (A Solanio e Salerio)

    Signori, il mio padrone Antonio è a casa,
    e vi desidera parlare, a entrambi.

    Salerio -

    Bene. Lo abbiam cercato dappertutto.

    Entra Tubal

    Solanio -

    (A parte a Salerio)

    Eccone un altro della sua tribù;
    trovarne un terzo della stessa risma
    è raro, ammenoché lo stesso diavolo
    non si faccia giudeo.

    (Escono Solanio e Salerio con il servo di Antonio)

    Shylock -

    Ebbene, Tubal?
    Che notizie da Genova?
    Sei riuscito a trovare mia figlia?

    Tubal -

    L'ho cercata nei posti più svariati
    dove dicevan potesse trovarsi,
    ma non sono riuscito a rintracciarla.

    Shylock -

    Oh, là, là, là! Un diamante se n'è andato!
    M'era costato duemila ducati
    a Francoforte! La maledizione
    del cielo mai finora era caduta
    sopra la nostra gente; e mai sentita
    prima d'ora l'avevo su di me!
    Quel solo pezzo, duemila ducati!
    Eppoi altri gioielli, assai preziosi!
    Morta vorrei vederla, qui, a' miei piedi,
    coi gioielli agli orecchi!... In una bara,
    e dentro i miei ducati!
    Dei miei ducati non si sa più niente,
    e non so quanto ho speso per cercarli...
    Ecco, dunque, una perdita sull'altra!
    Scappato il ladro con tutto il denaro,
    altro denaro per trovare il ladro!
    E nessuna soddisfazione, niente...
    e nessuna vendetta... E intorno a me,
    nessun'altra disgrazia, salvo quella
    che proprio a me doveva capitare!
    Niente sospiri, tranne i miei sospiri,
    niente lacrime, salvo le mie lacrime!

    Tubal -

    No, qualcun altro è pure a mal partito:
    Antonio, come ho inteso dire a Genova...

    Shylock -

    Come, come! Anche lui, una disgrazia?

    Tubal -

    È naufragata una sua ragusina([74])
    di ritorno da Tripoli.

    Shylock -

    Davvero?
    Oh, deograzia, deograzia! È vero? È vero?

    Tubal -

    Ho parlato con certi marinai
    ch'eran proprio scampati dal naufragio.

    Shylock -

    Ti ringrazio, buon Tubal! Che notizia!
    Che splendida notizia tu mi dài!
    Ah, ah! Sentito a Genova, dicevi?

    Tubal -

    Ed anche ho udito che tua figlia a Genova
    avrebbe speso in una sola notte
    ben ottanta ducati. Non c'è male...

    Shylock -

    Ah, tu mi pianti un pugnale nel cuore!
    Il mio denaro... Non lo vedrò più.
    Ottanta bei ducati... tutti insieme!

    Tubal -

    Ho viaggiato, al ritorno per Venezia,
    in compagnia di vari creditori
    di Antonio, i quali giurano che Antonio
    non ha altra scelta che la bancarotta.

    Shylock -

    Mi fa piacere; non gli darò tregua;
    lo metto alla tortura. Son contento.

    Tubal -

    Uno di loro mi mostrò un anello
    che aveva avuto dalla vostra figlia
    in cambio di una piccola scimmietta.

    Shylock -

    Che sia dannata! Tubal, mi torturi.
    Era la mia turchese, quell'anello.
    Me l'aveva donato la mia Lia
    quand'ero scapolo; non l'avrei dato
    per un'intera foresta di scimmie.

    Tubal -

    Ma Antonio è finito, certamente.

    Shylock -

    Oh, certo, questo è vero; anzi verissimo!
    Va', Tubal, va', prenotami una guardia,
    impegnala due settimane prima.
    Voglio avere il suo cuore,
    se manca di pagarmi alla scadenza;
    perché a Venezia io, senza di lui,
    posso far tutto il traffico che voglio.
    Va', Tubal. Ci vediamo in sinagoga.
    Va', Tubal... alla nostra sinagoga.

    (Escono da parti opposte)

    Scena II - In casa di Porzia a Belmonte
    Entrano Bassanio, Graziano, Porzia, Nerissa e servi

    Porzia -

    (A Bassanio)

    Vi prego, pazientate ancora un poco;
    fate scorrere ancora uno, due giorni
    prima di cimentarvi con gli scrigni;
    ché se sbagliaste nella vostra scelta
    io perderei la vostra compagnia.
    Indugiate perciò ancora un poco...
    C'è qualcosa - ma non è certo amore -
    che mi dice che non vi vorrei perdere;
    e voi sapete che non è dall'odio
    che può venire un tale ammonimento;
    ma per tema che voi non comprendiate
    il mio sentire appieno - e una fanciulla
    non ha altra lingua che il proprio pensiero -([75])
    io vorrei trattenervi un mese o due
    avanti che per me vi avventuriate.
    Potrei indicarvi come sceglier bene...
    ma no, che allora mi farei spergiura,
    e questo mai...; però potreste perdermi;
    e il pensiero che ciò possa accadere,
    mi farebbe sembrar per me peccato
    il non aver peccato di spergiuro.
    Maledetti i vostri occhi!...
    M'hanno stregata e spaccata a metà:
    una metà è la vostra...
    l'altra metà di me è pure vostra...
    voglio dire la mia; ma s'essa è mia,
    è vostra, e così io son vostra tutta.
    Oh, che tempi crudeli questi nostri,
    che frappongono tanti impedimenti
    tra possessore e cosa posseduta!
    Così, sebbene vostra, io non son vostra.
    E se così dev'essere,
    se ne vada all'inferno la fortuna
    non io per questo!... Sto parlando troppo,
    ma è solo per tesoreggiare il tempo,
    per ritardarlo, tirarlo più a lungo
    per trattenervi dal tentar la scelta.

    Bassanio -

    Ch'io scelga subito; ché nel mio stato,
    io vivo alla tortura.

    Porzia -

    Alla tortura,
    Bassanio? Ma qual nero tradimento
    è mescolato allora al vostro amore?

    Bassanio -

    Nessuno, fuor che il nero tradimento
    dell'incertezza che mi fa temere
    di non poter godere del mio amore.
    In me tra il tradimento ed il mio amore
    ci può esser la stessa convivenza
    che tra la neve e il fuoco.

    Porzia -

    Già, ma ho paura che diciate questo
    sotto tortura, sotto le cui strette
    gli uomini dicono qualunque cosa.

    Bassanio -

    Voi promettetemi salva la vita,
    ed io confesserò la verità.

    Porzia -

    Bene, confessa e vivi.

    Bassanio -

    "Confessa" e "ama": dovevate dire:
    avreste tratto da voi stessa il succo
    della mia confessione.
    O felice tormento, la tortura,
    quando è lo stesso mio torturatore
    ad insegnarmi qual risposta dare
    per sottrarmi da essa!...
    Fatemi andare incontro alla mia sorte
    ed agli scrigni.

    Porzia -

    Ebbene, allora avanti;
    io son rinchiusa dentro uno dei tre.
    Se voi mi amate, voi mi troverete.
    Nerissa e l'altre, statevi da parte;
    e suoni anche la musica
    mentr'ei procede a fare la sua scelta;
    se perde, la sua fine sarà simile
    alla fine del cigno, che si spegne
    pian piano nella musica;
    e a far più vera la similitudine,
    i miei occhi saranno il suo ruscello
    ed il suo liquido letto di morte.([76])
    Ma può vincere; e allora questa musica
    che potrà essere? Sarà la musica
    della fanfara reale che suona
    al momento che i sudditi fedeli
    s'inchinano davanti ad un monarca
    testé incoronato; e sarà simile
    ai dolci suoni che all'alzar del giorno
    s'insinuano nelle sognanti orecchie
    del fidanzato, e lo chiamano a nozze.([77])
    Ecco, ora s'avvia, non men prestante
    nel portamento, ma assai più amorevole
    d'Alcide giovinetto, quando questi
    mosse i suoi passi a liberar dall'orca
    la vergine che la tremante Troia
    aveva offerto in sacrifizio al mostro.([78])
    Io son la vittima sacrificale;
    e l'altre donne che son là in disparte
    son le Dardanie mogli,
    venute qui con lacrimose facce
    a veder l'esito di quell'impresa.
    Va', Ercole! E vivi, per ch'io viva!
    Io seguo ansiosa questo tuo cimento
    con più trepidazione
    che non tu nell'accingerti alla prova.

    (Mentre Bassanio s'avvicina ad esaminare gli scrigni,
    è intonata da Porzia una canzone)

    CANZONE
    "Dimmi, dimmi questa cosa:
    dove nasce capricciosa
    la passione dell'amore,
    dalla testa oppur dal cuore?
    Essa nasce da un nonnulla:
    da uno sguardo traditore,
    ed in quella stessa culla
    dove nasce, vive e muore.
    Facciam perciò per essa rintoccare
    a morto la campana;
    ed io per prima la voglio suonare:
    Din, don, din don..."

    (Tutti)

    "Din don, campana".([79])

    Bassanio -

    Spesso l'aspetto esterno
    fa apparire le cose men che sono
    in realtà. Dall'ornamento esterno
    il mondo si lasciò sempre ingannare.
    Nel mondo della legge,
    quale causa, per quanto sporca e trista,
    non saprà oscurar la sua natura,
    se perorata da un fiorito accento?([80])
    Qual dannato peccato, in religione,
    non saprà rendere sacro e legittimo
    un portamento serio e dignitoso
    che rechi a suo sostegno i sacri testi,
    nascondendo così la sua nequizia
    dietro un bell'ornamento?
    Al mondo non c'è vizio sì smaccato
    che non possa coprir la sua magagna
    con qualche segno esterno di virtù.
    Quanti codardi, dal cuore malfido
    simili a tanti scalini di sabbia,
    ostentan tuttavia sul loro mento
    barbe degne d'un Ercole,
    e cipiglio di Marte, ed a frugarli
    hanno il fegato bianco come il latte:
    gente cui basta il fumo del coraggio([81])
    per illudersi d'apparir temuti.
    E la bellezza, ad osservarla bene,
    scoprirete che può comprarsi a peso,
    che là compie un prodigio di natura,
    dove riesce a render più leggere
    tutte quelle che più ne sono cariche.([82])
    E tali son quei riccioletti d'oro
    attorcigliati come serpentelli
    che fanno voluttuose capriole
    al vento sopra una beltà apparente,
    e sono molto spesso ritenuti
    essere stati in cima a un'altra testa...
    e il cranio che li crebbe è in un sepolcro.
    L'ornamento così altro non è
    che il malfido arenile d'un oceano
    pieno d'insidie, come il bello scialle
    di cui si vela una bellezza indiana;([83])
    in sostanza, la falsa verità
    che i nostri astuti tempi metton su
    per ingannare anche i più avveduti.
    Perciò tu, oro lustro e sfavillante,
    duro alimento a Mida,([84]) io non ti voglio.
    Né te, pallido argento,
    volgar mezzano d'ogni uman baratto
    io sceglierò; ma te, ruvido piombo,
    che minacci piuttosto che promettere,
    te, la cui pallidezza
    mi commuove più d'ogni bel discorso,
    te io scelgo. E che gioia me ne venga!

    Porzia -

    (A parte)

    Ah, come ogni altro moto del mio animo
    - dubbi, disperazione presto accolta,
    paure, verde-occhiuta gelosia -,([85])
    ora sembra dissolversi nell'aria!
    Sta' calmo, amore, frena la tua estasi;
    contieni in giusti limiti il tuo gaudio,
    non dar sfogo alla tua esuberanza.
    Sento troppo la tua felicità!
    Falla più lieve, temo di soccombere.

    Bassanio -

    (Aprendo lo scrigno di piombo)

    Che trovo qui?... Un ritratto. Porzia bella!
    Quale semidio è potuto arrivare
    a ritrarla così vera e reale?
    Si muovono questi occhi,
    oppure è il moto delle mie pupille
    che me li fa apparire che si muovano?
    Le labbra sono appena un po' socchiuse,
    come divise da un dolce respiro:
    dolce barriera a separar tra loro
    sì dolci amici. Qui nei suoi capelli,
    l'artista, ad imitar l'arte del ragno,
    ha intessuto una trama tutta d'oro
    per irretirvi i cuori, più che il ragno
    le mosche dentro le sue ragnatele.
    Ma gli occhi... come ha potuto guardarli
    per riprodurli? Terminato il primo,
    come questo non gli ha rapito i suoi,
    sì da lasciare l'opera incompiuta?
    Eppure no, guardate: ogni mia lode
    di questa effigie fa torto al reale
    suo modello, di tanto questa immagine
    sembra andarsene zoppa dietro ad esso.([86])
    Ed ecco il rotoletto con la scritta
    che contiene e compendia la mia sorte:

    (Legge)

    "Tu che scelto non hai per la tua vista,
    sorte ingannevole evitasti e trista.
    Dacché ti venne siffatta fortuna
    resta lieto di questa tua conquista
    né cercarne più alcuna.
    Se di questa ti sei ben allietato,
    ed hai la gioia ch'ha sempre cercato,
    volgiti alla tua dama,
    e con un bacio l'amor suo reclama."

    Gentile, il rotoletto!...

    (A Porzia)

    Bella signora, con licenza vostra,
    io seguo quel che dice questo scritto,
    nel dare e nel ricevere. Signora,
    simile ad uno di due contendenti
    in gara per un premio,
    che pensa d'aver bene combattuto
    agli occhi della gente,
    allo scoppiar del fragoroso applauso
    e delle generali acclamazioni
    si guarda intorno tutto frastornato
    e ancor dubbioso se quelle esplosioni
    d'approvazione siano o no per lui,
    io resto ancor dubbioso,
    bellissima, se quel che vedo è vero,
    finché non siate voi personalmente
    a confermarlo ed a ratificarlo.

    Porzia -

    Voi mi vedete, nobile Bassanio,
    quale sono. Se fosse per me sola,
    nulla ambizione avrei
    di vedermi migliore; ma per voi,
    vorrei esser me stessa venti volte,
    mille volte più bella,
    e diecimila volte ancor più ricca,
    sì che soltanto per trovarmi in alto
    nella stima e l'apprezzamento vostri,
    io fossi per virtù, per forza d'animo,
    per bellezza, ricchezza ed amicizie
    oltre e al disopra d'ogni vostra stima.
    Ma la somma di me non è gran cosa:
    detta all'ingrosso, sono una ragazza
    povera d'istruzione ed inesperta;
    sol fortunata in questo,
    di non essere ancora tanto vecchia
    da non esser più in grado d'imparare;
    più fortunata ancora,
    per non esser cresciuta tanto stupida
    da non esser capace d'imparare;
    ma sopra ogni altra cosa fortunata
    di confidare il docile mio spirito
    al vostro, per riceverne la guida
    come dal suo signore, dal suo re.
    Io stessa e ciò ch'è mio,
    d'ora in avanti è convertito in voi
    e in ciò ch'è vostro. Finora sono stata
    il signore di questa bella casa,
    padrone dei miei servi,
    regina di me stessa; d'ora in poi
    casa, servi, la stessa mia persona
    sono vostri, voi siete il mio signore.
    Ed io li affido a voi con questo anello,
    da cui se mai doveste separarvi
    sia col perderlo, o sia col liberarvene,
    sia questo per me il segno
    che il vostro amore per me s'è corrotto
    e questo sia legittima cagione
    per me di farvene aperta rampogna.

    Bassanio -

    Voi m'avete svuotato di parole,
    signora; solo il sangue mio vi parla,
    il sangue, che mi scorre nelle vene;
    e c'è tal confusione nei miei sensi
    qual si vede alla fine d'un discorso
    pronunciato da un beneamato principe,
    tra la folla vociante ed entusiasta
    quando ogni moto dell'informe massa,
    per sé insignificante, se isolato,
    si trasforma, fondendosi in un tutto,
    in un enorme, vastissimo insieme
    di null'altro composto che di gioia
    espressa e non espressa.
    Ma quel giorno che questo vostro anello
    avesse a separarsi dal mio dito,
    allora da quel dito anche la vita
    si sarà separata. Oh, dite pure
    che quel giorno Bassanio sarà morto!

    Nerissa -

    Mio signore e signora, or tocca a noi,
    che siam finora rimasti in disparte
    spettatori del lieto coronarsi
    dei vostri desideri,
    d'inneggiare gridando: "Gioia a voi!".
    "Gioia a voi, mio signore e mia signora!"

    Graziano -

    Signor Bassanio, e voi, gentil signora,
    v'auguro tutta la felicità
    che possiate desiderare, certo
    di non potervene augurar più grande;
    e supplico le vostre signorie,
    quando vorran solennizzare il patto
    del loro amore, che allo stesso tempo
    celebri anch'io il mio.

    Bassanio -

    Con tutto il cuore,
    purché tu possa trovarti una moglie.

    Graziano -

    Ringrazio vostra signoria, ma quella
    me l'avete provvista proprio voi.
    I miei occhi, signore,
    sanno veder lontano come i vostri;
    mentre voi guardavate alla padrona,
    io osservavo la sua cameriera;
    innamorato voi,
    e di rimbalzo innamorato io;
    giacché il darsi da fare in queste cose
    s'addice a me non men che a voi, signore.
    Se la vostra fortuna era racchiusa
    in quegli scrigni là, così la mia,
    come dicono i fatti;
    perché io, dopo aver molto sudato
    a corteggiarla, e seccata la gola
    in giuramenti sopra giuramenti,
    finalmente, se una promessa ha un fine,
    ebbi da questa bella la promessa
    che m'avrebbe concessa la sua mano
    solo a patto che la tua buona sorte
    desse a te quella della sua padrona.

    Porzia -

    Vero, Nerissa?

    Nerissa -

    Vero, mia signora,
    così voglia piacervi.

    Bassanio -

    E tu, Graziano,
    hai parlato sul serio?

    Graziano -

    Sì, signore.

    Bassanio -

    La nostra festa dalle vostre nozze
    sarà molto onorata.

    Graziano -

    (A Nerissa)

    E per di più,
    noi faremo con loro una scommessa:
    mille ducati a chi avrà il primo figlio.

    Nerissa -

    E dobbiamo già metter giù la posta?

    Graziano -

    No; con la posta in giù
    non vinceremo mai a questo gioco...([87])
    Ma chi vedo venire a questa volta?
    Non è Lorenzo con la sua pagana?
    E con loro Salerio, un vecchio amico
    mio di Venezia.

    Entrano Lorenzo, Gessica e Salerio

    Bassanio -

    Benvenuto qui,
    Lorenzo, benvenuto qui, Salerio,
    se il mio giovine stato d'interessi
    mi permette di far gli onor di casa.
    Porzia, mia cara, con licenza vostra
    do il benvenuto a questi buoni amici
    e miei concittadini.

    Porzia -

    E così io.
    Sian tutti benvenuti in casa mia.

    Lorenzo -

    Ringrazio vostro onore.

    (A Bassanio)

    Mio signore,
    per mia parte, non era mio proposito
    di venire a vederti; ma Salerio
    col quale m'imbattei durante il viaggio,
    mi scongiurò, vincendo i miei rifiuti,
    d'accompagnarlo fino qui da te.

    Salerio -

    È vero, mio signore, e la ragione
    c'era da parte mia. Ecco per voi,
    coi suoi saluti, dal signor Antonio.

    (Gli consegna una lettera)

    Bassanio -

    Avanti ch'io la legga,
    dimmi, di grazia, come sta in salute
    quella perla di amico.

    Salerio -

    Non sta male,
    signore, salvo che nel suo morale;
    né bene, salvo che nel suo morale.
    La sua lettera qui vi dirà meglio
    le condizioni sue.

    (Bassanio apre la lettera e legge)

    Graziano -

    Nerissa, intanto
    pensa ad accogliere la forestiera,
    dalle tu il benvenuto in questa casa.
    Qua la mano, Salerio: che notizie
    ci rechi da Venezia? Come sta
    quel mercante reale, il buon Antonio?([88])
    Son sicuro che si rallegrerà
    della fortuna mia e di Bassanio:
    due Giasoni venuti alla conquista
    del vello d'oro.([89])

    Salerio -

    Eh, volesse Iddio
    che aveste conquistato il vello d'oro
    da lui perduto.

    Porzia -

    (A parte)

    Un brutta notizia
    ci sarà di sicuro in quella lettera,
    perché vedo le gote di Bassanio
    perdere il colorito:
    forse la morte d'un suo caro amico,
    perché nient'altro potrebbe alterare
    così la tempra d'un uomo normale...
    E sempre peggio... Scusami, Bassanio,([90])
    io sono ora la metà di te,
    perciò reclamo per me la metà
    di quanto reca a te codesta lettera.

    Bassanio -

    In questa lettera, Porzia mia dolce,
    ci son parole tra le più amare
    ch'abbiano mai macchiato della carta.
    Gentile mia signora,
    quando ti dichiarai la prima volta
    l'amore mio ti dissi apertamente
    non posseder per me altra ricchezza
    oltre ciò che mi scorre nelle vene;
    e d'esser gentiluomo di natali.
    E ti dicevo il vero. E tuttavia,
    cara signora, riducendo a zero
    la stima di me stesso, tu vedrai
    che gran millantatore sono stato.
    Perché quando ti dissi essere zero
    le mie fortune, avrei dovuto aggiungerti,
    in verità, ch'eran meno di zero.
    M'ero infatti obbligato,
    per procacciarmi i mezzi, a un caro amico,
    che a sua volta dové contrarre un debito
    col suo più aperto e spietato nemico.
    Ebbene in questa lettera, signora,
    la carta è come il corpo del mio amico,
    ogni parola una ferita aperta
    che cola sangue vivo...
    Ma davvero, Salerio? Tutti persi
    i suoi carichi? Che! Nessuno salvo?
    Quello da Tripoli, l'altro dal Messico,
    quelli dall'Inghilterra, da Lisbona,
    dalle coste dell'Africa, dall'India!
    E non un solo vascello scampato
    al terribile urto con gli scogli
    rovina dei mercanti?

    Salerio -

    No, nessuno.
    E poi, se pure Antonio avesse avuto,
    come sembra, il denaro sufficiente
    a soddisfar l'impegno con l'ebreo,
    questi ricuserebbe di accettarlo.
    Non ho mai conosciuto essere umano
    tanto smanioso ed avido
    di perseguir la rovina d'un uomo.
    Affligge il Doge di giorno e di notte,
    e chiama in causa la libertà
    dello Stato, se non gli fan giustizia.
    Venti grossi mercanti, il Doge stesso
    ed i più alti membri del Consiglio,
    hanno fatto del tutto a persuaderlo,
    ma non c'è stato verso
    di poterlo convincere a desistere
    da quel suo detestabile reclamo:
    la condanna d'Antonio alla penale,
    giustizia e pagamento del suo credito.

    Gessica -

    Quando stavo con lui,
    l'ho udito un certo giorno che giurava
    ai suoi connazionali Chus e Tubal
    che avrebbe preferito in pagamento
    del suo contratto la carne di Antonio,
    a venti volte la somma dovutagli;
    e son sicura che se né la legge,
    né il governo, né altra autorità
    avranno tal potere da impedirglielo,
    per il povero Antonio saran guai.

    Porzia -

    (A Bassanio)

    Ed è tuo caro amico
    colui che trovasi in quest'intrigo?

    Bassanio -

    L'amico mio più caro,
    il più gentile e nobile degli uomini,
    lo spirito più aperto e liberale
    e più instancabile nel far del bene;
    uno nel quale il senso dell'onore,
    più che in ogni altro che vive in Italia,
    è quello d'un Romano.

    Porzia -

    Quant'è la somma che deve all'ebreo?

    Bassanio -

    Per me, tremila ducati.

    Porzia -

    Non più?
    Dagliene sei, e chiudi la partita;
    anzi raddoppia, triplica i seimila,
    prima che ad un amico come quello
    che m'hai descritto possa essere torto
    un sol capello a causa di Bassanio.
    Vieni prima con me alla parrocchia
    a chiamarmi tua moglie,
    e poi via, a Venezia dal tuo amico;
    perché non devi star vicino a Porzia
    con in cuore una simile inquietudine.
    E porterai con te tanto denaro
    da soddisfare almeno venti volte
    il debituccio. E una volta saldato,
    conduci qui con te il tuo caro amico.
    Nel frattempo, Nerissa, la mia ancella,
    ed io stessa vivremo qui da sole,
    come vergini vedove. Su, su,
    perché tu devi partire da qui
    il giorno stesso delle nostre nozze.
    Dà il benvenuto a questi tuoi amici,
    e mostra loro una gioconda vena:
    dal momento che t'ho pagato caro,
    tanto più caramente t'amerò.
    Ma sentiamo che dice questa lettera.

    (Prende la lettera dalle mani di Bassanio e legge)([91])

    "Carissimo Bassanio,
    le mie navi son tutte andate a male,
    i creditori si fan più crudeli
    di giorno in giorno; m'è rimasto poco
    di tutti i miei averi, ed è scaduta
    la mia obbligazione con l'ebreo;
    e poiché, se gli pago la penale,
    è da escluder ch'io possa sopravvivere,
    ogni tuo debito verso di me
    è cancellato. Ho solo un desiderio:
    di rivederti prima di morire.
    Comunque fa' come ti detta dentro:
    se il tuo affetto ti dovesse dire
    di non venire, non sia questa lettera
    ad esortarti a farlo. Il tuo Antonio."([92])

    Amore, sbriga le faccende e parti.

    Bassanio -

    Poiché sei tu che me ne dài licenza,
    m'affretterò; ma d'ogni mio ritardo
    a ritornar da te, non sospettare,
    mia cara, che sia colpa d'altro letto,
    né pensare ad alcuna negligenza
    da mia parte che possa esser sorta
    ad interporsi tra Bassanio e Porzia.

    (Escono)

    Scena III - Venezia, una calle.
    Entrano Shylock, Solanio, Antonio, e il Carceriere.

    Shylock -

    Non perderlo di vista, Carceriere.
    E che non mi si parli di pietà...
    Questo è l'idiota che prestava gratis
    denaro a tutti. Tienlo bene d'occhio.

    Antonio -

    Ancora una parola, mio buon Shylock...

    Shylock -

    Niente, voglio la mia obbligazione;
    non ne parliamo più!
    Ho giurato che avrò quanto mi spetta
    per contratto. Tu m'hai chiamato "Cane",
    se sono un cane, attento alle mie zanne.
    Il Doge dovrà rendermi giustizia.
    Mi meraviglia che tu, carceriere,
    sia così negligente e rimbambito
    d'andar fuori con lui, a suo capriccio.

    Antonio -

    Ti prego, ascolta ancora una parola...

    Shylock -

    Io voglio solo aver quel che mi spetta,
    e non voglio ascoltare le tue ciance.
    Voglio la mia obbligazione e basta.
    Non ho nessuna voglia
    di passare per uno di quei gonzi
    rammolliti, che stanno lì a guardarti
    imbambolati, e scuotono la testa,
    e si fanno commuovere, e sospirano
    e alla lunga finiscono col cedere
    alle molte insistenze dei cristiani.
    Non starmi dietro; non voglio discorsi.
    Voglio l'esecuzione del contratto.

    Solanio -

    È il più vile e intrattabile cagnaccio
    ch'abbia mai contrattato con degli uomini.

    Antonio -

    Lascialo andare; non gli sto più dietro
    son suppliche del tutto inefficaci.
    Lui vuole la mia vita,
    e ne conosco bene la ragione:
    gli ho sottratto sovente dalle grinfie
    molti che son venuti poi da me
    a lagnarsi di lui. Per questo m'odia.

    Solanio -

    Ma il Doge, son sicuro,
    non permetterà mai che questo patto
    possa avere efficacia.

    Antonio -

    Non può il Doge
    negare che la legge sia applicata;
    dovessero venire denegati
    i privilegi che hanno gli stranieri
    qui da noi a Venezia, la giustizia
    dello Stato sarebbe screditata,
    e si sa che i commerci e i profitti
    da essi derivanti alla città
    dipendono dal credito che gode
    la repubblica presso gli altri stati.
    Perciò avanti; m'hanno sì fiaccato,
    tutte queste afflizioni e queste perdite,
    che a stento mi riuscirà, domani,
    di rimediare una libra di carne
    per il mio sanguinario creditore.
    Andiamo, carceriere; prego Dio
    che Bassanio possa arrivare in tempo,
    non fosse che soltanto per vedermi
    nel momento in cui pago quel suo debito;
    e dopo niente m'interessa più.

    (Escono)

    Scena IV - La casa di Porzia a Belmomte
    Entrano Porzia, Nerissa, Gessica, Lorenzo e Baldassarre

    Lorenzo -

    Devo dire, signora,
    e ve lo dico senza infingimenti,([93])
    quanto sia nobile e sincera in voi
    l'amicizia, questo divino dono
    degli umani, e ciò appare prepotente
    dal modo come state sopportando
    ora l'assenza del vostro signore.
    Ma se voi conosceste la persona
    che dimostrate tanto di onorare,
    qual vero gentiluomo
    sia quello al quale correte in aiuto
    e la grande amicizia
    ch'egli ha col mio signore vostro sposo,
    son certo che di questo vostro gesto
    sareste più orgogliosa e soddisfatta
    che di qualunque altra bella azione
    cui la vostra bontà vi possa indurre.

    Porzia -

    Di far del bene io non fui mai pentita,
    né lo sarò stavolta; tra compagni
    usi a parlare ed a svagarsi insieme,
    e le cui anime sono legate
    sì strettamente in affetto reciproco,([94])
    dev'esserci profonda affinità
    di tratti, di maniere, di carattere;
    e ciò m'induce a credere che Antonio,
    grande amico com'è del mio signore,
    al mio signore sia ben somigliante.
    Se così è, quanto modesto è il prezzo
    da me improntato in prestito
    per sottrarre a diabolica tortura
    l'altro se stesso dell'anima mia!
    Ma questo è quasi un incensar me stessa;
    perciò di ciò non più. Parliamo d'altro.
    Lorenzo, affido nelle vostre mani
    la condotta e il governo della casa,
    finché non sia tornato il mio signore;
    per parte mia, ho fatto voto al cielo
    di trascorrere tutto questo tempo
    nella preghiera ed in contemplazione,
    con la sola assistenza di Nerissa,
    nell'attesa che tornino i mariti.
    A due miglia da qui c'è un monastero,
    ci andremo a chiuder là per questo tempo.
    Non ricusate, vi prego, di assumere
    il peso che v'è momentaneamente imposto
    dal mio amore e dalle circostanze.

    Lorenzo -

    Signora, obbedirò con tutto il cuore
    a tutti i vostri gentili comandi.

    Porzia -

    La mia gente sa già le mie intenzioni
    e riconoscerà in voi e in Gessica
    le veci di Bassanio e di me stessa.
    E così vi saluto; arrivederci.

    Lorenzo -

    Ore felici e sereni pensieri
    siano con voi!

    Gessica -

    Vi auguro, signora,
    tutto che possa darvi gioia al cuore!

    Porzia -

    Grazie di tanto augurio, che di cuore
    vi ricambio. Arrivederci, Gessica!

    (Escono Gessica e Lorenzo)

    Ora a noi, Baldassarre.
    Sempre ho trovato un uomo onesto
    e fido, ch'io ti trovi ancor tale.
    Affido alle tue mani questa lettera,
    e tu dispiega ogni tuo miglior zelo
    per raggiungere Padova al più presto;
    là farai in modo di recapitarla
    al dottore Bellario, mio cugino;
    ed egli ti darà dei documenti
    e un pacco contenete dei vestiti,
    che porterai, ti prego, in tutta fretta,
    al traghetto, al battello per Venezia.
    Non perder tempo in chiacchiere,
    va', parti. Io sarò là prima di te.

    Baldassarre -

    Vado, signora, quanto più sollecito.

    (Esce)

    Porzia -

    Nerissa, ascolta: ho in mente un certo piano
    di cui finora non t'ho mai parlato:
    noi rivedremo i nostri due mariti
    avanti ch'essi stessi se l'aspettino.

    Nerissa -

    Ed essi ci vedranno?

    Porzia -

    Sì, Nerissa;
    ma noi saremo travestite in modo
    ch'essi ci credano due individui
    che hanno quello di cui noi manchiamo.([95])
    E scommetto con te qualunque cosa
    che vestite da maschi, tu ed io,
    io sarò delle due il più bel tipo,
    con la mia brava spada alla cintura
    portata con graziosa strafottenza,
    e parlerò con la voce a zampogna
    del ragazzo che sta passando uomo,
    e muterò in una maschia falcata
    ogni due dei miei lievi passettini,
    e parlerò di zuffe immaginarie
    come un bel giovine spaccamontagne,
    e narrerò, mentendo allegramente,
    di come rispettabili signore
    m'abbiano chiesto amore,
    e al mio diniego si siano ammalate
    fino a morire... ed io senza far niente
    per loro, poverette... Poi dirò
    d'esser pentito e che, in fin dei conti,
    se non si fossero uccise per me,
    sarebbe stato meglio... e così via
    con altre frottole di questo genere,
    da far giurare a chi mi stia a sentire
    ch'è più di un anno che non vado a scuola.
    Insomma, ho in mente mille fanfaluche
    tutte balorde come queste e degne
    di questi giovanotti spacconcelli,
    e vedrai che saprò tirarle fuori.

    Nerissa -

    Come! "Farci" due uomini, noi due?([96])

    Porzia -

    Ohibò, vergogna! Che domanda è questa?
    Pensa se avessi adesso accanto a te
    un malizioso interprete, Nerissa!...
    Andiamo, ti esporrò bene il mio piano
    quando saremo nella mia carrozza
    che già ci aspetta all'ingresso del parco.
    Perciò sbrighiamoci, perché in un giorno
    noi dobbiamo percorrer venti miglia.([97])

    (Escono)

    Scena V - Il giardino della casa di Porzia a Belmonte
    Entrano Lancillotto e Gessica

    Lancillotto -

    Sì, in coscienza, è così; perché sta scritto,
    che i peccati dei padri
    devono ricader sui loro figli.
    Per ciò, vi dico, ho paura per voi.
    Sono stato con voi sempre sincero,
    per cui vi dico adesso, ecco, vedete,
    la mia agitazione([98]) su quel punto.
    Dovete mettervi l'animo in pace,
    perché, sinceramente, son convinto
    che sarete dannata.
    Vi resta tuttavia una speranza
    di salvazione alla quale aggrapparvi,
    anche se di natura un po' bastarda.

    Gessica -

    Quale, di grazia?

    Lancillotto -

    Beh, Vergine Santa,
    voi potete sperar che a generarvi
    non sia stato colui che è vostro padre,
    e che non siate figlia dell'ebreo.

    Gessica -

    Una speranza davvero bastarda:
    perché mi ricadrebbero sul capo
    in tal caso i peccati di mia madre.

    Lancillotto -

    Allora temo assai, sinceramente,
    che sarete dannata in ogni caso,
    sia da parte di padre che di madre,
    perché schivando Scilla - vostro padre -,
    cadrete su Cariddi - vostra madre;
    insomma, via, per l'uno o l'altro verso,
    siete proprio perduta.

    Gessica -

    Ma sarò salva grazie a mio marito,
    che avrà fatto di me una cristiana.

    Lancillotto -

    E per questo, vi dico francamente
    che tanto più egli è da biasimare;
    noi cristiani eravamo già abbastanza,
    tanti insomma da poter viver bene
    senza darci fastidio l'un con l'altro.
    Questo vezzo di far nuovi cristiani
    fa rincarar la carne di maiale;
    se diventiamo tutti mangiatori
    di carne di maiale, va a finire
    che non potremo avere da comprare
    una fettina di lardo alla brace
    manco a pagarla un occhio della testa.

    Entra Lorenzo

    Gessica -

    Questo lo voglio dire a mio marito,
    Lancillotto.

    Lorenzo -

    Mi fai ingelosire,
    Lancillotto, se tu metti mia moglie
    così alle strette!([99])

    Gessica -

    Oh, niente paura,
    per noi, Lorenzo; Lancillotto ed io
    stiamo alle corte; lui dice papale
    che su in cielo per me non v'è mercé,
    perché sono la figlia di un ebreo,
    e per di più dichiara che tu stesso
    sei tutt'altro che un bravo cittadino,
    perché nel convertir gli ebrei in cristiani,
    fai rincarare la carne di porco.

    Lorenzo -

    Da questa accusa posso scagionarmi
    assai meglio di quanto possa lui
    dal peccato di aver fatto gonfiare
    la pancia a quella negra.

    (A Lancillotto)

    Per tua colpa è incinta l'Africana,
    Lancillotto.

    Lancillotto -

    È molto che la Mora
    sia cresciuta di pancia oltre ragione;
    ma se pure è calata d'onestà,
    è sempre più di quanto io la stimassi.([100])

    Lorenzo -

    Ma guarda un po' come anche gl'imbecilli
    sono bravi a giocar colle parole!
    Credo che presto resterà il silenzio
    il maggior pregio dell'uomo, e il parlare
    diventerà soltanto commendevole
    nei pappagalli... Rientra, gaglioffo,
    e di' che si preparino pel pranzo.

    Lancillotto -

    Quanto a questo è già fatto, monsignore,
    sono tutti affamati.

    Lorenzo -

    Oh, Dio, costui,
    che cacciatore di spiritosaggini!
    Allora di' che "preparino" il pranzo.

    Lancillotto -

    È già fatto anche questo, monsignore.
    La frase giusta è "mettere il coperto".

    Lorenzo -

    Bene, allora vuoi metter tu il coperto?

    Lancillotto -

    No, signore, nemmeno;
    conosco a perfezione il mio dovere.([101])

    Lorenzo -

    E dàgli ancora con le melensaggini!
    Vuoi sciorinare tutta in una volta
    la girandola delle tue facezie?
    Fammi il favore, cerca di capire
    il parlar semplice d'un uomo semplice:
    va' a dire ai tuoi colleghi
    di apparecchiare e di mettere in tavola:
    noi verremo tra poco per il pranzo.

    Lancillotto -

    Bene, illustrissimo: quanto alla tavola,
    sarà apparecchiata; quanto ai piatti,
    saranno in tavola; e quanto al vostro arrivo
    per pranzare, signore, fate voi
    secondo vostro umore e fantasia.

    (Esce)

    Lorenzo -

    Però con quale rara perspicacia
    impiega le parole questo scemo!
    Se n'è infilato dentro la memoria
    un esercito intero;
    e ne conosco tanti come lui
    e di ben più alto rango e condizione,
    armati anch'essi di spiritosaggini,
    i quali, per amor di doppi sensi,
    non fan che ruminare la realtà.
    Gessica, come va? Dimmi, dolcezza,
    come trovi la moglie di Bassanio?
    Ti piace?

    Gessica -

    Sì, al di sopra d'ogni lode.
    E farà bene il tuo signor Bassanio
    a darsi un modo di vita esemplare;
    perché con una tal benedizione
    di moglie, può gustare sulla terra.
    beatitudini di paradiso;
    e s'egli non sapesse meritarle
    sulla terra, direi che a buon diritto
    giammai dovrebbe andare in paradiso.
    Se in cielo si dovesse mai giocare
    fra due divinità una partita
    con due donne mortali come posta,
    e Porzia fosse una delle donne,
    all'altra andrebbe aggiunta qualche cosa,
    perché su questo grossolano mondo
    Porzia non ha nessuna che la eguagli.

    Lorenzo -

    Anche tu hai in me un tal marito
    che vale quanto Porzia come moglie.

    Gessica -

    Già, ma su questo punto
    conviene che tu chieda il mio parere.

    Lorenzo -

    Lo farò tosto; prima andiamo a pranzo.

    Gessica -

    No, no, lascia ch'io faccia le tue lodi
    a pancia vuota.

    Lorenzo -

    No, ti prego, cara,
    riserviamoci pure l'argomento
    come discorso a tavola;
    così allora qualunque cosa dici,
    la potrò ingoiar con tutto il resto.

    Gessica -

    Bene, vuol dire che ti metterò
    avanti a tutto, come primo piatto.

    (Escono)

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    00 15/11/2005 14:13
    Atto quarto
    Scena I - Venezia, la corte di giustizia.
    Entrano il Doge, i Magnifici, Antonio, Bassanio, Graziano, Salerio e altri

    Doge -

    Antonio c'è?

    Antonio -

    Presente, vostra grazia.

    Doge -

    Mi dispiace per te: dovrai rispondere
    a un avversario dal cuore di pietra,
    un malvagio inumano,
    negato alla pietà, arido e vuoto
    d'ogni minimo segno di clemenza.

    Antonio -

    Ho udito quanta pena vostra grazia
    s'è data a mitigare il suo rigore;
    ma dal momento ch'ei rimane rigido
    e che non c'è nessun mezzo legale
    per trarmi fuori dall'odiosa cerchia
    del suo rancore, io non posso altro
    che mettere la mia sopportazione
    avanti e in contrapposto alla sua furia,
    e accingermi a soffrire, rassegnato,
    nella calma serena del mio spirito
    la collera e la crudeltà del suo.

    Doge -

    Vada qualcuno a chiamare l'ebreo
    e ad introdurlo innanzi a questa corte.

    Salerio -

    È qui alla porta, viene, vostra grazia.

    Entra Shylock

    Doge -

    Fate luogo, ch'ei possa rimanere
    in piedi in faccia a noi.
    Shylock, il mondo pensa - ed io con esso -
    che vorrai, sì, serbare fino all'ultimo
    questa mostra della tua cattiveria;([102])
    ma poi, si pensa ugualmente da tutti
    che farai mostra d'una compassione
    e d'un ravvedimento ancor più strani
    di questa tua apparente crudeltà;
    talché mentre ora esigi la penale,
    vale a dire una libbra della carne
    di questo povero mercante, dopo
    non solo sarai pronto a rinunciarvi,
    ma, toccato da umana comprensione
    e da cristiano amore per il prossimo,
    gli abbuonerai la metà del suo debito,
    guardando con un occhio di pietà
    le grave perdite che ultimamente
    han sì gravato sopra le sue spalle,
    abbastanza da mettere anche a terra
    un mercante reale([103]) come lui,
    e da strappare commiserazione
    per il suo stato da petti di bronzo
    e da spietati Turcomanni e Tartari
    mai usi ad atti di calore umano.
    Siamo tutti in attesa
    di tua cortese risposta, Giudeo.

    Shylock -

    Dei miei proponimenti
    ho già dato contezza a vostra grazia,
    e ho giurato sul nostro sacro Sabbath,([104])
    che intendo avere quello che mi spetta
    in forza della mia obbligazione.
    Se voi me lo negate,
    s'abbatta punitiva la potente
    mano di Dio sopra gli statuti
    e sulle libertà del vostro Stato.
    Mi chiederete per quale ragione
    ho scelto di ricever carne umana
    in luogo dei tremila miei ducati.
    Non ho altra risposta
    se non ch'è un mio capriccio personale...
    Essa non vi soddisfa?... Che direste
    se un topo molestasse la mia casa
    ed io per mio capriccio decidessi
    di gettar via diecimila ducati
    per cacciarlo? Sarebbe una risposta?
    C'è gente che non ama avere in tavola
    un maiale col grugno spalancato;
    altri si fanno prender da isterie
    alla vista d'un gatto; ed altri ancora
    se la fan sotto solo ad ascoltare
    il nasale suonar d'una zampogna;
    e tutto ciò perché la simpatia,
    padrona delle nostre reazioni,
    tutte le regole a suo capriccio,
    si tratti di gradire o rifiutare.
    Insomma, per venire alla risposta:
    come non c'è ragione plausibile
    perché quello non tolleri la vista
    d'un porco con la bocca spalancata,
    o d'un innocuo necessario gatto;
    perché quell'altro un piffero villoso,
    ma ciascuno per forza deve cedere
    a quell'inevitabile vergogna
    di ritorcer l'offesa a chi t'ha offeso,
    così io qui non posso, né lo voglio,
    darvi alcuna ragione,
    più che quella d'un odio radicato
    e d'una certa quale repugnanza
    che sento per Antonio,
    del perché mi sobbarco a questa azione
    contro di lui e in perdita per me.([105])

    Bassanio -

    Questa non è, o uomo senza cuore,
    una risposta che ci dia ragione
    della tua crudeltà.

    Shylock -

    Non son tenuto
    a compiacerti con le mie risposte.

    Bassanio -

    Forse è di tutti gli uomini
    distruggere le cose che non amano?

    Shylock -

    E c'è forse tra gli uomini
    chi, detestando a morte qualche cosa,
    non la voglia distruggere?

    Bassanio -

    Non ogni offesa che ci vien recata
    è odio, alla radice.

    Shylock -

    Che! Tu vorresti dunque che un serpente
    ti mordesse due volte?

    Antonio -

    (A Bassanio)

    Lascia andare.
    Ti prego, pensa che stai altercando,
    Bassanio, con l'ebreo. Tanto varrebbe
    star sulla spiaggia e pregar la marea
    di contenere il suo solito flusso;
    tanto varrebbe domandare al lupo
    perché ha costretto l'angosciata pecora
    a belar per la vita dell'agnello;
    o proibire ai pini di montagna
    di scuotere le loro eccelse cime
    e di stormire con molto rumore
    alle violente raffiche del vento;
    tanto varrebbe far qualunque cosa
    la più difficile su questa terra,
    che cercare d'intenerire - ahimè -
    il suo cuor di giudeo. Perciò ti supplico,
    astieniti dal fargli altre profferte,
    non stare lì a sprecare altre risorse,
    ma fa' ch'io m'abbia in tutta speditezza
    e in piena congruità la mia condanna
    e l'ebreo esaudita la sua voglia.

    Bassanio -

    (A Shylock)

    Pei tremila ducati che ti deve,
    eccone qui seimila.

    Shylock -

    S'ogni ducato di questi seimila
    fosse diviso in sei, ed ogni parte
    fosse un ducato, li rifiuterei;
    voglio avere la mia obbligazione.

    Doge -

    Come puoi tu sperar pietà dal cielo,
    se non usi pietà verso il tuo prossimo?

    Shylock -

    Qual giudizio dovrò io mai temere
    dal cielo, se non ho commesso male?
    Voi avete tra voi diversi schiavi
    che vi siete comprati, e che impiegate
    come tanti somari, o cani, o muli
    nelle più basse e servili incombenze:
    e sol perché ve li siete comprati.([106])
    S'io ora vi dicessi: "Liberateli!
    Maritateli con le vostre eredi!
    Perché farli sudare sotto i carichi?
    Lasciate che si facciano anche loro
    soffici letti e che i loro palati
    assaporino i vostri stessi cibi!",
    voi mi rispondereste certamente
    che quei servi son cosa vostra e basta.
    E così io. Quella libra di carne
    che pretendo da lui io l'ho pagata
    a caro prezzo: è mia, e voglio averla!
    E se me la negate,
    sarà vergogna alla vostra giustizia.
    Vorrà dire in tal caso
    che a Venezia non c'è forza di legge.
    Io vi chiedo giustizia; rispondete;
    l'avrò?

    Doge -

    Io posso, in base ai miei poteri,
    aggiornare l'udienza della corte,
    fino a tanto che arrivi qui Bellario,
    un valente dottore della legge
    che ho mandato a chiamare espressamente
    per dirimere oggi questo caso.

    Salerio -

    Mio signore, è qui fuori un messaggero
    testé giunto da Padova,
    con lettera da parte del dottore.

    Doge -

    Fatelo entrare. Datemi la lettera.

    Bassanio -

    Fa' cuore, Antonio! Su, coraggio, amico!
    L'ebreo s'avrà il mio sangue, le mie ossa,
    la mia carne ed il resto di me stesso,
    avanti che tu sia costretto a perdere
    per me una sola goccia del tuo sangue.

    Antonio -

    Io son la pecora infetta del gregge,
    e dunque la più adatta per la morte.
    Prima degli altri, cada il frutto stento,
    e così sia di me. Ma tu, Bassanio,
    non c'è cosa che ti si addica meglio
    che seguitare a vivere,
    e scrivere così il mio epitaffio.

    Entra Nerissa vestita da giovane scrivano di avvocato.
    Consegna al Doge una lettera.

    Doge -

    Da Padova? Da parte di Bellario?

    Nerissa -

    Appunto, monsignore. E per mio mezzo
    Bellario riverisce vostra grazia.

    (Il Doge legge la lettera in silenzio)

    Bassanio -

    (A Shylock)

    Per che fare ti affili quel coltello
    con tanto accanimento?([107])

    Shylock -

    Per tagliare
    da quel fallito lì la mia penale.

    Bassanio -

    Non sul corame della tua soletta
    tu dovresti affilare quel coltello,
    ma su quello più duro del tuo cuore,([108])
    spietato ebreo; ma non c'è alcun metallo,
    no, nemmeno la scure del carnefice,
    che sia nemmeno per metà affilato
    e tagliente rispetto all'odio tuo.
    Non c'è dunque preghiera che ti tocchi?

    Shylock -

    No, nessuna di quante la tua mente
    riesca a fare.

    Graziano -

    Oh, sii dannato, cane,
    mai abbastanza esecrato; e accusata
    sia la giustizia che ti lascia vivere.
    Tu mi fai vacillar nella mia fede
    tanto da indurmi quasi ad abbracciare
    con Pitagora la metempsicosi
    della bestia nell'anima dell'uomo.([109])
    Il tuo ringhioso spirito
    deve aver albergato in qualche lupo
    che, impiccato per una strage d'uomini,
    esalò dal capestro la sua anima
    e questa venne a trasfondersi in te,
    mentre tu eri ancora nelle viscere
    di quella scellerata di tua madre:
    perché d'un lupo sono le tue brame
    sanguinarie, fameliche, insaziabili.

    Shylock -

    Finché tu non potrai con i tuoi insulti
    cancellar la tua firma dal contratto,
    avrai sol danneggiato i tuoi polmoni.
    Recupera il tuo senno, giovanotto,
    o tu lo perderai senza rimedio.
    Io sono qui in attesa di giustizia.

    Doge -

    Con questa lettera il dottor Bellario
    presenta e raccomanda a questa Corte
    un valoroso, giovane dottore.
    Dov'è ora?

    Nerissa -

    Qui fuori, vostra grazia,
    e attende di conoscere da voi
    se vostra grazia è disposta a riceverlo.

    Doge -

    Ma di gran cuore! Vadano tre o quattro
    ad introdurlo cortesemente in aula.
    Nel frattempo la Corte ascolterà
    quel che dice Bellario nella lettera.

    (Legge)

    "Sappia la Grazia Vostra che al momento in cui ricevo la sua lettera, mi trovo assai indisposto; ma che nello stesso momento in cui è venuto il vostro messo, era presso di me, in gradita visita, un giovane giurista di Roma. Il suo nome è Baldassarre. L'ho informato della controversia fra l'ebreo e il mercante Antonio, e abbiamo insieme consultato un buon numero di testi. Egli conosce perfettamente la mia opinione; la quale, rafforzata dalla sua personale dottrina - della cui vastità non so fare abbastanza lodi - giunge a voi insieme con lui, ed egli, per mia sollecitazione, risponderà in mia vece all'invito di Vostra altezza serenissima. La pochezza dei suoi anni non gli sia, vi supplico, di impedimento a che non gli scarseggi da parte vostra una rispettosa stima; perché non ho mai conosciuto intelletto così maturo in una persona tanto giovane. Lo affido quindi alla vostra graziosa accoglienza, sicuro che la prova che farete di lui renderà più chiara la sua lode."

    Entra Porzia vestita da dottore della legge

    Avete udito tutti
    quel che ci scrive il sapiente Bellario;
    ed è il dottore di cui egli parla,
    immagino, colui ch'è testé entrato.
    Qua la mano. Venite da Bellario?

    Porzia -

    Sì, vostra grazia.

    Doge -

    Siete il benvenuto,
    e vi piaccia sedere al vostro posto.([110])
    Immagino che siate a conoscenza
    della vertenza innanzi a questa corte?

    Porzia -

    Perfettamente, la conosco a fondo.
    Chi è il mercante qui, e chi l'ebreo?

    Doge -

    Vengano avanti Antonio e il vecchio Shylock.

    Porzia -

    Il vostro nome è Shylock?

    Shylock -

    Shylock, sì.

    Porzia -

    Di ben strana natura, in verità,
    è la vostra pretesa; e tuttavia,
    è tale che la legge veneziana
    non può eccepirvi eccezioni di sorta,
    se voi siete deciso a perseguirla.

    (Ad Antonio)

    Siete nelle sue mani, lo sapete?

    Antonio -

    Così egli dice.

    Porzia -

    Confessate il debito?

    Antonio -

    Lo riconosco.

    Porzia -

    Allora
    l'unica cosa che vi può soccorrere
    è che l'ebreo si dimostri clemente.

    Shylock -

    E per qual costrizione dovrei esserlo?
    Me lo sapreste dire?

    Porzia -

    La clemenza per sé non mai soggiace
    a costrizione; essa scende dal cielo
    come pioggia gentile sulla terra
    due volte benedetta:
    perché benefica chi la riceve
    come chi la dispensa. Presso i grandi
    più che altrove potente, del monarca
    adorna il capo meglio d'un diadema;
    ché se lo scettro è segno
    della terrena sua forza e potere,
    attributo d'altezza e maestà,
    ma anche sede della soggezione
    e del timore che ispirano i re,
    la clemenza è potere che trascende
    la maestà scettrata,
    il suo trono è nel cuore dei sovrani,
    è un attributo dello stesso Dio;
    e al potere di Dio quello terreno
    si fa simile quando la clemenza
    mitiga in esso il rigor della legge.
    Perciò, Giudeo, se pur la tua pretesa
    sia conforme alla legge, pensa a questo:
    che nessuno di noi si salverebbe
    se giudicato secondo giustizia.
    Preghiamo Dio invocando clemenza,
    e ciò ci deve tutti ammaestrare
    a infondere clemenza nei nostri atti.
    Ho voluto parlare tanto a lungo
    fiducioso d'indurti a mitigare
    la giusta causa della tua richiesta;
    ma se tu sei deciso a perseguirla,
    questa severa Corte di Venezia
    dovrà per forza pronunciar condanna
    contro questo mercante.

    Shylock -

    I miei atti ricadan sul mio capo!
    Io qui rivendico, a norma di legge,
    la penale prevista dal contratto.

    Porzia -

    Non è in grado di darvi egli il contante?

    Bassanio -

    È in grado, sì, e l'offro io per lui,
    davanti a questa Corte.
    Anzi, di più: due volte la sua somma;
    e se per lui non fosse sufficiente,
    m'obbligo a dargli dieci volte tanto,
    rilasciandogli anche come pegno
    le mie mani, la mia testa, il mio cuore.
    Se anche questo non sarà bastante,
    dovrà apparire chiaro ai vostri occhi
    che la perfidia schiaccia l'onestà.
    Fate, per una volta, vi scongiuro,
    che prevalga la vostra autorità;
    per fare un atto di grande giustizia,
    fate un piccolo torto,
    piegate questo dèmone crudele
    della sua volontà.

    Porzia -

    Non è possibile.
    Non c'è a Venezia alcuna autorità
    ch'abbia il potere di modificare
    un decreto in vigore;
    questo potrebbe essere invocato
    come un pericoloso precedente
    e dietro quell'esempio
    molti abusi potrebbero infiltrarsi
    nel corpo dello Stato.

    Shylock -

    (Gridando)

    Oh, un Daniele,
    un Daniele è venuto finalmente
    a rendere giustizia! sì, un Daniele!([111])
    Saggio giovane giudice,
    come ti onoro!

    Porzia -

    Ti prego, Giudeo,
    ch'io possa esaminare il tuo contratto.

    Shylock -

    (Porgendogli il contratto)

    È qui, reverendissimo dottore.

    Porzia -

    (Dà una rapida occhiata al contratto, poi, alla Corte)

    Ebbene, quest'obbligazione è valida;
    l'ebreo può legalmente reclamare
    in base ad essa una libbra di carne
    da ritagliarsi di sua propria mano
    dalla parte del cuore del mercante.

    (A Shylock)

    Sii clemente. Contentati del triplo
    del tuo denaro, che ti viene offerto;
    e dimmi di stracciar questo contratto.

    Shylock -

    Quand'esso sarà stato soddisfatto
    secondo il suo tenore.
    Voi siete un degno giudice, e si vede:
    conoscete la legge;
    l'avete egregiamente interpretata.
    Io vi chiedo, nel nome della legge,
    di cui siete un degnissimo pilastro,
    di procedere. Non c'è lingua d'uomo,
    ve lo posso giurar sulla mia anima,
    ch'abbia il potere di farmi recedere.
    Resto fermo alla mia obbligazione.

    Antonio -

    Supplico caldamente questa Corte
    di pronunciare la propria sentenza.

    Porzia -

    Ebbene, allora la sentenza è questa:
    dovete preparare il vostro petto
    per il suo taglio...

    Shylock -

    O nobile giurista!
    O giovane eccellente!

    Porzia -

    ... e ciò perché
    sia l'intento che il fine della legge
    giustificano appieno la penale
    che appare qui dovuta per contratto...

    Shylock -

    Giustissimo! O saggio e retto giudice!
    Oh, quanto meno acerbo
    sei tu dell'esteriore tua sembianza!

    Porzia -

    Perciò scoprite il petto.

    Shylock -

    Sì, il suo petto...
    Così dice il contratto: non è vero,
    nobile giudice? "Vicino al cuore",
    queste son le specifiche parole.

    Porzia -

    È così infatti. C'è qui una bilancia
    per pesare la carne?

    Shylock -

    Eccola pronta.

    Porzia -

    Un momento. Bisognerà però,
    Shylock, che abbiate vicino un chirurgo,
    a vostre spese, per fermare il sangue
    e impedire che muoia dissanguato.

    Shylock -

    È detto nel contratto?

    Porzia -

    Non proprio espressamente, ma che conta?
    Sarebbe bene che voi lo faceste,
    non fosse che per carità del prossimo.

    Shylock -

    Nel contratto non c'è... Non l'ho trovato.

    Porzia -

    (Ad Antonio)

    E voi, mercante, nulla da eccepire?

    Antonio -

    Ben poco: sono armato di coraggio
    e preparato... Diamoci la mano,
    Bassanio, addio. Non ti devi angustiare
    se son giunto a tanto a causa tua,
    perché in questo caso la Fortuna
    si mostra più gentile che non suole.
    Sempre ella è usa a fare che il fallito
    sopravviva alla perdita dei beni,
    così ch'egli rimanga a contemplare,
    gli occhi infossati e la fronte scavata
    da rughe, gli anni della sua miseria;
    con me essa viene da liberatrice
    dalla lenta e penosa sofferenza
    d'una tale miseria.
    Ricordami alla tua nobile sposa,
    raccontale com'è finito Antonio,
    dille quant'egli t'ha voluto bene,
    parlale bene di me in mia morte.
    E quando avrai finito,
    dille di giudicare da lei stessa
    se Bassanio non ebbe un vero amico.
    Non ti rammaricare
    di dover perdere con me l'amico,
    come l'amico tuo non si rammarica
    di saldare il tuo debito per te;
    ché se l'ebreo taglierà bene a fondo,
    lo pagherò all'istante, con il cuore.

    Bassanio -

    Antonio, io son sposato ad una donna
    che m'è più cara della stessa vita;
    ma per me la mia vita, la mia sposa
    e tutto il mondo non hanno il valore
    della tua vita; tutto vorrei perdere,
    sacrificare qui, a questo demonio,
    per liberarti da questo tormento.

    Porzia -

    Vostra moglie, se fosse qui presente
    e v'ascoltasse far queste profferte,
    non vi ringrazierebbe certamente.

    Graziano -

    Ho anch'io una moglie, della quale
    confesso, sono molto innamorato;
    ma vorrei si trovasse in paradiso
    per impetrare da qualche potenza
    di far mutar questo cane di ebreo.

    Nerissa -

    Buon per voi che lo dite alle sue spalle!
    Altrimenti codesto vostro voto
    vi creerebbe in casa un pandemonio!

    Shylock -

    (A parte)

    E questi sono i mariti cristiani!
    Io ho una figlia... Vorrei che il marito
    fosse uno del ceppo di Barabba,
    piuttosto che un cristiano!...

    (Forte)

    Ma qui si perde tempo...
    Vi prego, pronunciate le sentenza.

    Porzia -

    Una libbra di carne del mercante
    è tua. La legge te ne dà il diritto,
    e questa Corte te l'attribuisce.

    Shylock -

    O giustissimo giudice!

    Porzia -

    E tu dovrai tagliare questa carne
    dal suo petto. La legge lo permette,
    e la Corte lo riconosce giusto.

    Shylock -

    Oh, dottissimo giudice!
    Quale sentenza!...

    (Ad Antonio)

    Ebbene, su, prepàrati.

    Porzia -

    Un momento; c'è ancora qualcos'altro.
    Questo contratto qui
    non ti assegna una goccia del suo sangue;
    dice soltanto: "Una libbra di carne".
    Prenditi dunque quello che ti spetta,
    vale a dire la tua libbra di carne;
    ma, nel tagliarla, se farai versare
    solo una goccia di sangue cristiano,
    in forza delle leggi di Venezia,
    ti saran confiscate terre e averi
    a favor dello Stato di Venezia.([112])

    Graziano -

    Oh, giustissimo giudice!...
    Vedi, giudeo, che giudice sapiente!

    Shylock -

    Dice così la legge?

    Porzia -

    Ecco, tu stesso puoi leggerne il testo;
    ché, dal momento che tu vuoi giustizia,
    giustizia avrai più di quanta desideri,
    puoi star sicuro.

    Graziano -

    Oh, giudice sapiente!
    Vedi, giudeo, che giudice sapiente?

    Shylock -

    Quand'è così, accetto l'altra offerta:
    mi sia versato il triplo dei miei soldi
    e il cristiano sia sciolto da ogni debito.

    Bassanio -

    Ecco il denaro.

    Porzia -

    Al tempo!
    L'ebreo deve ottener piena giustizia.
    Al tempo, senza fretta. A lui non spetta
    che la penale scritta nel contratto.

    Graziano -

    Oh, giudeo! Quale giudice sublime,
    qual giudice sapiente!

    Porzia -

    Perciò prepàrati a tagliar la carne,
    ma bada bene a non versare sangue,
    ed a non ritagliar, né più e né meno,
    che una libbra di carne ben precisa;
    perché se ne tagliassi in più o in meno,
    foss'anche questo "più" o questo "meno"
    la ventesima parte d'uno scrupolo,([113])
    sì, dico, anche qualcosa
    che sposti la bilancia d'un capello,
    per te sarà la morte,
    e tutti tuoi averi confiscati.

    Graziano -

    Un secondo Daniele!...
    Un Daniele, giudeo! Ora, infedele,
    sono io che ti tengo per il collo!

    Porzia -

    Che fa il giudeo, perché sta fermo e muto?
    Prenditi dunque quello che ti spetta.

    Shylock -

    Datemi il mio danaro,
    e lasciatemi andare.

    Bassanio -

    L'ho qui pronto;
    prendilo, è tuo.

    Porzia -

    No, no, l'ha rifiutato
    in faccia a questa Corte; deve avere
    la giustizia da lui stesso richiesta,
    vale a dire l'esatto adempimento
    del suo contratto, e basta.

    Graziano -

    Un Daniele, lo dico e lo ripeto,
    un secondo Daniele! Ti ringrazio,
    ebreo, che m'hai insegnato questo nome!

    Shylock -

    Non riavrò nemmeno il mio denaro?

    Porzia -

    Giudeo, tu devi aver quello e nient'altro
    ch'è stato stabilito nel contratto,
    da prelevare a tuo completo rischio.

    Shylock -

    E allora al diavolo la mia penale,
    e che buon pro gli faccia!
    Non starò qui a discutere più a lungo.

    Porzia -

    Un momento, giudeo. Aspetta, aspetta.
    La legge ha un altro appiglio su di te.
    È scritto nelle leggi di Venezia
    che se è provato contro un straniero
    che questi abbia cercato di attentare
    con maneggi diretti od indiretti
    alla vita d'un cittadino veneto,
    la parte contro cui egli ha tramato
    dovrà ottenere metà dei suoi beni,
    l'altra metà essendo devoluta
    alle casse private dello Stato,
    e la vita del reo resta affidata
    alla mercé del Doge, senza appello.
    E tu ricadi in questa fattispecie;
    poiché dal tuo agire emerge chiaro
    che in maniera diretta ed indiretta
    hai tramato a insidiar la stessa vita
    del convenuto, e sei perciò incappato
    nella sanzione che ho indicato sopra.
    Ti conviene pertanto inginocchiarti
    ed invocar dal Doge la clemenza.

    Graziano -

    Chiedigli che tu possa aver licenza
    d'impiccarti da te; per quanto, credo,
    con i tuoi beni tutti confiscati,
    a te non resterà nemmeno tanto
    da comprarti una corda, ed impiccato
    dovrai essere a spese dello Stato.

    Doge -

    Perché tu veda quanto il nostro spirito
    sia diverso da quello che tu credi,
    io qui ti faccio grazia della vita
    prima che tu lo chieda.
    In quanto alla metà dei tuoi averi,
    essa è di Antonio; l'altra va allo Stato;
    questa però un tuo atto di umiltà
    potrà ridurre a una semplice ammenda.

    Porzia -

    La parte dello Stato, beninteso,
    non già quella di Antonio.

    Shylock -

    Ma sì, toglietemi la vita e tutto,
    non fatemene grazia, a questo punto!
    Mi togliete la casa,
    se togliete il sostegno che la regge;
    mi togliete la vita,
    se mi togliete i mezzi su cui vivo.

    Porzia -

    Che concessione gli puoi fare, Antonio?

    Graziano -

    Un bel capestro, gratis;
    e niente più, per amore di Dio!

    Antonio -

    Se così piaccia al mio signore il Doge
    ed alla Corte, abbonargli l'ammenda
    per metà dei suoi beni, a me sta bene;
    a condizione che l'altra metà
    la lasci in uso fiduciario a me,
    per darla, alla sua morte, al gentiluomo
    che ultimamente ha rapito sua figlia...
    Due altre cose sian da prevedere:
    primo, che in cambio di questo favore,
    egli si faccia subito cristiano;
    secondo, che davanti a questa Corte,
    ei dichiari di fare donazione
    di tutto che possiede alla sua morte,
    a suo figlio Lorenzo ed a sua figlia.

    Doge -

    Dovrà farlo, o gli revoco la grazia
    della vita che gli ho testé concessa.

    Porzia -

    Ti sta bene, giudeo? Che hai da dire?

    Shylock -

    Mi sta bene.

    Porzia -

    Scrivano, stendi allora
    l'atto di donazione.

    Shylock -

    Vi scongiuro,
    fatemi andare... Non mi sento bene.
    Vogliate farmi pervenire a casa
    l'atto di donazione, per la firma.

    Doge -

    Va' pure, ma prepàrati a far tutto.

    Graziano -

    Al battesimo tu dovrai avere
    due padrini; s'io fossi stato giudice,
    ne avresti avuti una diecina in più
    per condurti alla forca, non al fonte.

    (Esce Shylock)

    Doge -

    (A Porzia)

    Signore, resterete con me a pranzo?

    Porzia -

    Chiedo umilmente scusa a vostra grazia,
    ma devo stare a Padova stasera,
    e convien che mi metta in viaggio subito.

    Doge -

    Mi spiace molto che non siate libero.
    Antonio, lascio a voi di compensare
    come merita questo gentiluomo;
    ché, a mio avviso, gli dovete assai.

    (Esce con il seguito)

    Bassanio -

    (A Porzia)

    Chiarissimo dottore, grazie a voi
    ed alla illuminata vostra mente,
    oggi il mio amico Antonio ed io con lui
    siamo stati prosciolti ed affrancati
    da due condanne molto dolorose.([114])
    In compenso noi due, con tutto il cuore,
    vorremmo offrirvi, pel vostro disturbo,
    i tremila ducati dell'ebreo.

    Antonio -

    E soprattutto vi restiam in debito
    d'affetto e di servigi in sempiterno.

    Porzia -

    È già ben compensato
    colui che è soddisfatto di se stesso;
    ed io, nell'affrancarvi,
    tale mi sento e bene compensato.
    Il mio animo anzi mai finora
    s'era sentito così mercenario.
    Vorrei solo pregarvi,
    se ci sia dato d'incontrarci ancora,
    di non far finta di non riconoscermi.
    E così tanti auguri, e mi congedo.

    Bassanio -

    Caro signore, debbo proprio insistere:
    degnatevi accettar da noi qualcosa
    per ricordo; se non come onorario,
    almeno come omaggio personale.
    Di grazia, concedetemi due cose:
    di non dirmi di no e di perdonarmi.

    Porzia -

    Poiché insistete tanto, accetterò.

    (Ad Antonio)

    Datemi i vostri guanti:
    li porterò con me per amor vostro;

    (A Bassanio)

    come per amor vostro accetterò
    questo anello da voi...

    (Fa l'atto di voler sfilare l'anello dal dito di Bassanio, ma questi ritrae la mano)

    non voglio altro...
    fermo, non ritraete questa mano...
    non vorrete negarmi questo dono
    come segno d'affetto!

    Bassanio -

    Questo anello?...
    O santo Dio! È una cosa da nulla,
    una bazzecola insignificante!

    Porzia -

    Non accetterò altro fuor che questo;
    sento anzi, adesso, di desiderarlo.

    Bassanio -

    Per me, in questo anello, signor mio,
    c'è molto più del suo valore intrinseco.
    Son disposto magari a farvi dono
    del più prezioso anello di Venezia,
    dovessi pur cercarlo per proclama;
    ma questo no, vi prego. Perdonatemi.

    Porzia -

    Vedo, signore, quanto liberale
    voi siate nell'offrire; poco fa
    sembravate spronarmi a mendicare,
    ed ora m'insegnate, a quanto pare,
    come rispondere ad un mendicante.

    Bassanio -

    Questo anello, gentile mio signore,
    m'è stato dato in dono da mia moglie;
    ed ella, quando me lo mise al dito,
    volle che le giurassi di non venderlo,
    o darlo via, o perderlo comunque.

    Porzia -

    Questa è la scusa addotta da molti uomini
    per sottrarsi dal fare dei regali;
    ma vostra moglie, se non è una sciocca,
    quando avesse saputo quanto bene
    io abbia meritato quest'anello,
    non vi potrà serbar lungo rancore
    per il fatto di avermelo donato
    Comunque, pace a voi!

    (Esce con Nerissa)

    Antonio -

    Bassanio, amico, dàgli quell'anello;
    a fronte del divieto di tua moglie
    valuta i suoi servigi ed il mio amore.

    Bassanio -

    Va', Graziano, di corsa, va', raggiungilo,
    dagli l'anello e menalo, se puoi,
    alla casa d'Antonio. Va', fa' presto.

    (Esce Graziano)

    E noi, tu ed io, subito dietro...
    E domattina presto tutti e due
    a Belmonte di volo. Andiamo, Antonio.

    (Escono)

    Scena II - Venezia, una calle.
    Entrano Porzia e Nerissa, sempre travestite

    Porzia -

    Chiedi dov'è la casa dell'ebreo,
    portagli l'atto e faglielo firmare.
    Se partiamo stasera, arriveremo
    un giorno prima dei nostri mariti.
    Immagino Lorenzo
    come sarà contento di quest'atto!

    Entra Graziano, trafelato

    Graziano -

    (A Porzia)

    Per fortuna, signore, v'ho raggiunto.
    Dopo miglior consiglio, il mio signore
    Bassanio, vi ha mandato quest'anello,
    e si onora richiedere a mio mezzo
    la vostra compagnia per oggi a pranzo.

    Porzia -

    Mi spiace, ma è impossibile.
    L'anello, sì, con infinite grazie,
    e vi prego di dirglielo, l'accetto.
    Ed inoltre vi prego gentilmente
    di voler indicare
    a questo giovane mio segretario
    dov'è la casa di quel vecchio Shylock.

    Graziano -

    Con piacere.

    Nerissa -

    (A Graziano)

    Signore, una parola.

    (A parte, a Porzia)

    Voglio veder se posso aver anch'io
    l'anello che ho donato a mio marito
    facendolo impegnare, a giuramento,
    che l'avrebbe portato sempre al dito.

    Porzia -

    (A parte a Nerissa)

    Oh, da lui l'otterrai, ne son sicura!
    E poi li sentiremo, son sicura,
    giurare e spergiurare l'uno e l'altro,
    d'aver donato gli anelli a due uomini...
    Ma terremo lor testa, bravamente,
    giurando e spergiurando più di loro.

    (Forte)

    Va', fa' presto. Sai già dove t'aspetto.

    Nerissa -

    (A Graziano)

    Signore, andiamo. Volete indicarmi
    la strada che conduce a quella casa?

    (Escono)

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    Atto quinto
    Scena I - Belmonte, il giardino della casa di Porzia. Notte.
    Entrano Gessica e Lorenzo

    Lorenzo -

    La luna splende chiara questa notte.
    Fu certo in una notte come questa,
    quando il vento baciava dolcemente
    gli alberi senza il minimo fruscio,
    fu certo in una notte come questa
    che Tr[SM=x884364]o scavalcò d'Ilio le mura
    ad esalare l'anima in sospiri
    verso le greche tende
    dove la sua Cressida si giaceva.([115])

    Gessica -

    In una notte come questa Tisbe,
    mentre sfiorava con trepido passo
    i prati già coperti di rugiada,
    fuggì ad un tratto atterrita e discinta,
    avendo visto l'ombra del leone.([116])

    Lorenzo -

    Didone, in una notte come questa
    stette alla riva del selvaggio mare,
    e, con un ramo di salice in mano,
    disperata gridò all'amor suo
    di tornare a Cartagine.([117])

    Gessica -

    Medea, in una notte come questa,
    colse l'erbe stregate
    che dovevan ridar la giovinezza
    al suo suocero Esone.([118])

    Lorenzo -

    In una notte come questa Gessica
    fuggì furtiva dal ricco giudeo
    per correr via da Venezia a Belmonte
    insieme ad uno squattrinato amante.

    Gessica -

    A lei, in una notte come questa,
    giurava amore il giovane Lorenzo,
    e le rapiva l'anima
    con molti voti e nessuno sincero.

    Lorenzo -

    E pure in una notte come questa
    la bella Gessica, piccola strega,
    calunniava il suo amore,
    d'infedeltà e lui la perdonava.

    Gessica -

    A seguitar con te
    in questo gioco delle notti storiche,
    io, son sicura, ti subisserei,
    se nessuno venisse a disturbarci;
    attenti, ecco, sento un passo d'uomo.

    Entra Stefano

    Lorenzo -

    Chi viene in tanta fretta
    nel notturno silenzio?

    Stefano -

    Un vostro amico.

    Lorenzo -

    Un amico! Che amico?
    Il tuo nome, di grazia, amico?

    Stefano -

    Stefano,
    e vi preannuncio che la mia padrona
    prima di giorno sarà qui a Belmonte;
    ella sosta qua e là lungo il cammino,
    presso le sante croci,([119])
    dove prega in ginocchio ad impetrare
    ore felici pel suo matrimonio.

    Lorenzo -

    Chi viene insieme con lei?

    Stefano -

    Nessun altro,
    salvo la cameriera e un eremita.
    Ma ditemi, di grazia,
    il mio padrone Bassanio è tornato?

    Lorenzo -

    No, né abbiamo ancora sue notizie.
    Ma rientriamo, Gessica, ti prego,
    e prepariamo una bella accoglienza
    alla gentile padrona di casa.

    Entra Lancillotto

    Lancillotto -

    Sol-là, tu-tu, tu-tu, sol-là, sol-là...([120])

    Lorenzo -

    Chi chiama là?

    Lancillotto -

    Sol-là, Mastro Lorenzo!
    dov'è Mastro Lorenzo?

    Lorenzo -

    Smettila di gridare, uomo! È qua.

    Lancillotto -

    Sol-là, sol-là, qua dove?

    Lorenzo -

    Qua, t'ho detto!

    Lancillotto -

    Allora ditegli che c'è un corriere
    giunto da parte del mio principale
    col corno pieno di buone notizie.
    Dice che il mio padrone sarà qui
    prima che faccia giorno.

    (Esce)

    Lorenzo -

    Rientriamo, dolcezza,
    ed aspettiamo in casa il loro arrivo.
    Anzi, no, stiamo qui... perché rientrare?
    Stefano, amico, va' da quei di casa
    e di' che la padrona sta arrivando;
    e faccian venir fuori all'aria aperta
    i vostri musicanti...

    (Esce Stefano)

    Come s'adagia soffice la luna
    col suo riflesso sopra questo poggio.
    Noi ci sediamo qui,
    e lasciamo che l'armonia dei suoni
    s'insinui dolce dentro i nostri orecchi.
    La notte con la sua morbida quiete
    s'addice ad una dolce melodia.
    Vieni, Gessica, siedi,
    guarda l'immensa distesa del cielo
    come scintilla di patène d'oro:
    non c'è una stella, per quanto minuscola,
    che non canti con una voce d'angelo
    nel suo moto orbitale, e non s'unisca
    sempre cantando in coro ai cherubini
    dagli occhi giovani.([121]) E questa musica
    sta pur nella nostra anima immortale,
    anche se noi non possiamo sentirla,
    finché resta racchiusa in questo involucro
    nostro d'argilla, rozzo e corruttibile.

    Entrano i musici

    Avanti, avanti, e risvegliate Diana([122])
    con un inno d'amore;
    penetrate con le più dolci note
    nell'orecchio della padrona vostra
    ed accolgano soavi i vostri suoni
    il suo ritorno a casa.

    Gessica -

    Non mi riesce mai di stare allegra
    quando ascolto una dolce melodia.

    Lorenzo -

    È perché la tua anima è protesa
    tutta quanta all'ascolto. Osserva infatti
    una selvaggia mandria di torelli
    in foia, o un branco di puledri bradi
    saltellare sfrenati, e mugghiar alto,
    come li mena il loro sangue caldo...
    se appena sentano un suon di tromba,
    o una musica giunga al loro orecchio,
    li vedrai arrestarsi tutti insieme,
    il loro occhio selvaggio convertito
    in uno sguardo docile e mansueto
    per il dolce potere della musica.
    Perciò il poeta immaginò che Orfeo
    potesse smuovere con la sua lira
    alberi, pietre, fiumi:([123])
    perché nulla è sì duro ed insensibile,
    e imbevuto di rabbia
    cui la musica, almeno nell'ascolto,
    non riesca a mutare la natura.
    L'uomo che non ha musica nell'animo
    né si commuove alle dolci armonie,
    è nato ai tradimenti, alle rapine,
    al malaffare, ha foschi e tenebrosi
    come la notte i moti dello spirito
    e più neri dell'Erebo gli affetti.
    Mai fidarsi di uomini siffatti.
    Ma ascoltiamo la musica.

    (Musica da dentro)

    Entrano Porzia e Nerissa

    Porzia -

    Quella luce lontana
    che vediamo da qui è il mio salone.
    Come sparge lontano il suo chiarore
    quel picciol lume! Non diversamente
    risplende in mezzo ad un malvagio mondo
    un atto di bontà.

    Nerissa -

    Quel lumicino
    non si vedeva al chiaror della luna.

    Porzia -

    Così è della gloria, la maggiore
    offusca la minore. Come un re
    risplende il suo reggente, fino a tanto
    che non sia ritornato il vero re;
    e il suo stato si svuota da se stesso,
    come un ruscello che dall'entroterra
    si svuota nel gran mare. Ascolta! Musica!

    Nerissa -

    È la vostra, signora,
    i musici di casa.

    Porzia -

    Niente è bello,
    m'accorgo, fuori del suo clima adatto:
    questa musica suona assai più dolce
    al mio orecchio ora che di giorno.

    Nerissa -

    È il silenzio notturno
    a darle questo fascino, signora.

    Porzia -

    Il corvo canta dolce al nostro orecchio
    come l'allodola, se l'uno e l'altra
    ci giungan fuor del natural contesto;([124])
    e l'usignolo, io penso,
    se si mettesse a gorgheggiar di giorno,
    quando ogni oca starnazza,
    sarebbe ritenuto non migliore
    musical canterino dello scricciolo.
    Quante cose son debitrici al tempo
    della giusta stagione,
    se il loro pregio incontra giusta lode
    e apprezzamento!...

    (Forte ai musici all'interno)

    Silenzio, voi, oh!
    La luna dorme insieme ad Endimione,([125])
    e non vuol essere svegliata. Basta.

    (Cessa la musica)

    Lorenzo -

    Se non m'inganno, è la voce di Porzia.

    Porzia -

    Mi riconosce al suono della voce
    come il cieco al suo brutto verso il cùculo.([126])

    Lorenzo -

    Signora cara, ben tornata a casa!

    Porzia -

    Siamo state a raccoglierci in preghiera
    per la salute dei nostri mariti
    e speriamo che per le nostre preci
    essa sia prosperata. Son tornati?

    Lorenzo -

    Non ancora, ma è giunto testé un messo
    ad annunciarne l'imminente arrivo.

    Porzia -

    Entra, Nerissa, e ordina ai miei servi
    di non dire che siamo state assenti
    da qui; né voi, Lorenzo; né voi Gessica.

    (Tromba all'interno)

    Lorenzo -

    Ecco vostro marito. Sta arrivando.
    Riconosco la tromba. Non temete,
    non parleremo. Non siamo pettegoli.

    Porzia -

    La notte sembra ormai agli occhi miei
    come un giorno malato, un poco pallido;
    è giorno, come è giorno
    quando il sole è nascosto dalle nuvole.

    Entrano Bassanio, Antonio, Graziano e altri

    Bassanio -

    (A Porzia)

    Qui sarà mane come ai nostri Antipodi,
    se voi girate in assenza di sole.([127])

    Porzia -

    Ch'io faccia luce senz'esser leggera,([128])
    moglie leggera fa marito greve,
    e tale mai dev'essere Bassanio
    a causa mia. Ma sia come Dio vuole!
    Mio signore, voi siete benvenuto
    a casa.

    Bassanio -

    Vi ringrazio, mia signora.
    Vogliate dare il vostro benvenuto
    al mio amico Antonio. Questo è l'uomo
    al quale debbo eterna gratitudine.

    Porzia -

    Devi essergli obbligato in tutti i sensi,
    perché, come ho sentito,
    ei molto s'obbligò per amor tuo.

    Antonio -

    Non più di quanto sia ben ripagato.

    Porzia -

    (Ad Antonio)

    Signore, siete molto benvenuto
    in casa nostra, e ciò deve apparire
    in altri modi che con le parole,
    perciò non mi dilungo in convenevoli.

    Graziano -

    (A Nerissa)

    Per la luna, ti giuro che m'offendi!
    Mi devi credere, l'ho regalato
    al giovane commesso di quel giudice.
    E possa esser castrato chi l'ha avuto,
    per parte mia, dal momento che tu,
    amore, te la prendi tanto a cuore!

    Porzia -

    Ehi, che facciamo là, ci litighiamo?
    Per che cosa?

    Graziano -

    Per un cerchietto d'oro,
    un anellino senza alcun valore
    che Nerissa m'aveva regalato
    e che portava incisa un'iscrizione
    di quelle adatte a tutte le persone,
    come il motto che sta sopra i coltelli:
    "Amami sempre e non lasciarmi mai".

    Nerissa -

    Che parli tu di motto e di valore?
    Quando te lo donai, quell'"anellino"
    giurasti di portarlo sempre al dito
    fino alla morte, e che sarebbe sceso
    insieme a te per sempre nella tomba.
    Avresti almen dovuto aver rispetto
    se non per me, pei grandi giuramenti
    che mi facesti, nel tenerlo caro.
    L'ha regalato al commesso del giudice!
    Mi sia giudice Iddio, ma a quel commesso
    non spunterà mai pelo sopra il mento!

    Graziano -

    Spunterà, spunterà,
    se vivrà tanto da diventar uomo.

    Nerissa -

    Sì, se donna può viver tanto a lungo
    da diventare uomo.

    Graziano -

    Quale donna?
    Per questa mano, io l'ho dato a un giovane,
    un piccolo, sparuto garzoncello,
    non più alto di te,
    il segretario-scrivano del giudice,
    un ragazzo piuttosto chiacchierino,
    che me lo chiese come suo compenso,
    ed io non seppi proprio rifiutarglielo.

    Porzia -

    E invece siete assai da biasimare,
    e ve lo dico in faccia chiaro e tondo,
    a staccarvi con tanta leggerezza
    dal primo dono della vostra sposa:
    un oggetto che v'infilaste al dito
    coi vostri voti, con giurata fede
    così saldandolo alla vostra carne.
    Ho dato anch'io un anello all'amor mio,
    e gli ho fatto giurar solennemente
    che mai se ne sarebbe separato;
    ed egli è qui presente,
    ed io son pronta a giurare per lui
    che non lo lascerebbe a nessun prezzo,
    né mai lo toglierebbe dal suo dito
    per tutte le ricchezze delle terra.
    Eh, in coscienza, Graziano,
    con questo avete offerto a vostra moglie
    un odioso motivo di angosciarsi.
    Se capitasse a me, ne impazzirei.

    Bassanio -

    (A parte)

    Ah, avrei fatto meglio ad amputarmi
    la sinistra e giurare d'aver perso
    l'anello al fine di salvaguardarlo!

    Graziano -

    Il mio signor Bassanio ha dato via
    anche lui l'anello suo al giudice
    che glielo aveva chiesto,
    e che, del resto, se lo meritava.
    Ed è stato a quel punto che il commesso,
    quel suo ragazzo, che s'era applicato
    a scrivere le carte del processo,
    chiese a me che gli dessi quello mio.
    E tanto il giudice che il suo commesso
    non vollero accettare altro compenso
    all'infuori dei nostri due anelli.

    Porzia -

    Quale anello gli hai dato, amore mio?
    Non quello, spero, che avesti da me.

    Bassanio -

    Se volessi accoppiare una bugia
    ad una colpa ti direi di no.
    Ma tu lo vedi bene che al mio dito
    quell'anello non c'è. Beh, non c'è più!

    Porzia -

    Così come non c'è più lealtà
    nel tuo cuore fedifrago.
    Per il cielo, io non ti sarò più
    compagna al letto fino a che non veda
    quell'anello!

    Nerissa -

    (A Graziano)

    Né sarò io al tuo,
    fino a che non riveda quello mio.

    Bassanio -

    Dolce Porzia, se solo tu sapessi
    a chi di quell'anello ho fatto dono,
    se sapessi per chi io l'ho donato,
    e quanto a malincuore io l'abbia dato
    a chi non pretendeva altro compenso,
    mitigheresti molto, son sicuro,
    la violenza del tuo risentimento.

    Porzia -

    E tu se avessi ben tenuto conto
    del valore reale dell'anello
    o solo di metà di quanto vale
    la donna che te n'avea fatto dono,
    o del tuo stesso obbligo d'onore
    di tenertelo al dito, mai da esso
    ti saresti voluto separare.
    Perché qual uomo c'è sì irragionevole,
    che, se a te fosse piaciuto negarglielo
    con ogni buon motivo di affezione,
    sarebbe stato a tal punto indiscreto
    da insistere per toglierti qualcosa
    che tu tenevi come una reliquia?
    Sono portata a credere,
    ed è Nerissa che me lo fa intendere,
    e vorrei cader morta se non è,
    che un'altra donna ha avuto quell'anello.

    Bassanio -

    No, sul mio onore, no, sulla mia anima,
    signora, no, nessuna donna l'ebbe,
    ma un cortese dottore della legge,
    che ricusò ben tremila ducati
    che gli furono offerti a suo compenso,
    e mi chiese l'anello
    come se mi chiedesse l'elemosina.
    Ho fatto tutto in prima per negarglielo;
    ma quando vidi con gran dispiacere
    che se n'andava tutto contrariato
    - ed aveva salvato, attenta bene,
    la vita del più caro amico mio -,
    che dirti, dolce signora? Ho sentito
    che dovevo mandargli quell'anello
    per qualcuno che gli corresse dietro,
    assalito com'ero tutto insieme
    e da vergogna e da riconoscenza.
    Di tanta ingratitudine il mio onore
    non avrebbe sofferto di macchiarsi.
    Perdonami, perciò, dolce signora;
    per queste benedette faci della notte,
    ti giuro che se fossi stata tu
    lì presente, m'avresti domandato
    tu stessa di ridarti quell'anello
    per darlo tu a quel degno dottore.

    Porzia -

    Che quel "degno dottore" stia alla larga
    da casa mia stia bene alla larga;
    poiché egli ha ottenuto quel gioiello
    che m'era caro, e che per amor mio
    tu avevi ben giurato di serbare,
    io mi farò altrettanto concessiva
    verso di lui come sei stato tu:
    no, nemmeno il mio corpo ed il mio letto.
    Un giorno o l'altro dovrò pur conoscerlo
    questo "degno dottore"!
    E bada bene a non dormire più
    fuori di casa, nemmeno una notte.
    Stammi con gli occhi addosso con un Argo;([129])
    se non lo fai, e son lasciata sola,
    sul mio onore - ch'è ancora tutto mio -,
    con quel dottore ci spartisco il letto.

    Nerissa -

    Ed io lo stesso con il suo commesso.
    Perciò anche tu, Graziano, bada bene
    a non lasciarmi in balìa di me stessa.

    Graziano -

    Bene, fallo; ma ch'io non lo sorprenda,
    il giovane scrivano del dottore,
    perché gli tempero bene la penna!

    Antonio -

    E pensare che son io la cagione
    sciagurata di tutte queste liti!

    Porzia -

    Di ciò, signore, non datevi pena;
    voi qui sarete sempre il benvenuto.

    Bassanio -

    Porzia, perdonami per questa colpa
    cui sono stato trascinato a forza;
    e al cospetto di tutti questi amici,
    ti giuro, per quei tuoi splendidi occhi
    in cui mi vedo...

    Porzia -

    Oh sentite anche questa!
    Nei miei occhi si vede raddoppiato,
    uno per occhio; giura su te doppio,
    ecco un voto su cui si può far credito.

    Bassanio -

    No, ma stammi a sentire:
    tu mi perdoni questo mio peccato,
    ed io ti giuro sopra la mia anima
    che non romperò più, cascasse il mondo,
    un giuramento a te.

    Antonio -

    (A Porzia)

    Per il suo bene,
    ho dato in pegno una volta il mio corpo,
    che a quest'ora sarebbe già perito,
    non fosse stato per quella persona
    ch'ebbe l'anello di vostro marito;
    oso impegnare ora la mia anima
    nel garantirvi che il vostro signore
    giammai sarà deliberatamente
    violatore della giurata fede.

    Porzia -

    Bene, se ve ne fate voi garante,
    dategli allora questo, e consigliatelo
    di custodirlo meglio di quell'altro.

    (Dà l'anello ad Antonio)

    Antonio -

    A te, caro Bassanio,
    giura di conservare quest'anello.

    Bassanio -

    (Prendendo in mano l'anello)

    Per il cielo, è lo stesso che ho donato
    a quel dottore!

    Porzia -

    Ed io da lui l'ho avuto.
    Perdonami, Bassanio, ma il dottore
    s'è giaciuto con me per quest'anello.

    Nerissa -

    Ed anche tu, gentile mio Graziano,
    perdonami, perché per questo anello,

    (Mostra l'anello che ha al dito)

    quel certo ragazzotto mingherlino
    che t'ho detto, il commesso del dottore,
    s'è giaciuto con me la scorsa notte.

    Graziano -

    Diamine, tutto questo pare a me
    come quando d'estate
    si riparan le strade, e il fondo è buono.
    Che, dunque! Noi saremmo due cornuti,
    prima d'avere meritato d'esserlo?

    Porzia -

    Eh, non parlate così grossolano!

    (A Bassanio)

    Sei tutto sbalordito. Ecco una lettera;
    da Padova, da parte di Bellario;
    puoi leggerla a tuo agio.
    In essa scoprirai che quel dottore
    altri non era che questa tua Porzia,
    e che Nerissa era il suo commesso.
    Lorenzo ti potrà testimoniare
    ch'io partii subito dopo di te,
    ed ora sono appena rientrata
    senza aver messo ancora piede in casa.
    Antonio, vi ripeto il benvenuto;
    ed ho in serbo per voi migliori nuove
    di quante mai possiate immaginare.
    Aprite questa lettera:
    apprenderete che tre vostre navi([130])
    sono inattesamente giunte in porto
    stracariche di ricca mercanzia.
    Per quale misteriosa circostanza
    questa lettera m'è capitata in mano,
    non lo saprete mai.

    Antonio -

    Sono di stucco!

    Bassanio -

    Dunque, allora eri tu quel tal dottore,
    ed io non ho saputo riconoscerti?

    Graziano -

    (A Nerissa)

    Ed eri tu il commesso del dottore,
    che mi dovrebbe mettere le corna?...

    Nerissa -

    Ma che è lungi da averne l'intenzione,
    salvo ch'egli non viva tanto a lungo
    da tramutarsi in uomo.

    Bassanio -

    Dolce dottore, voi dovete essere
    per il momento mio compagno a letto;
    quando poi sarò assente,
    coricatevi pure con mia moglie.

    Antonio -

    (A Porzia)

    Dolce signora, voi con questa lettera
    m'avete ricondotto a nuova vita
    e dato i mezzi per poterla vivere:
    perché qui leggo la notizia certa
    che le mie navi sono salve in porto.

    Porzia -

    Ed ora a voi, Lorenzo: il mio scrivano
    reca buone notizie anche per voi.

    Nerissa -

    Infatti, e gliele do franche di porto.
    Ho qui con me, per Gessica e per voi,
    un atto di speciale donazione
    dal ricco ebreo, per cui alla sua morte
    tutto quanto possiede sarà vostro.

    Lorenzo -

    Belle signore, voi spargete manna
    sul cammino di poveri affamati.

    Porzia -

    Ormai è quasi l'alba; ma son certa
    che non siete del tutto soddisfatti
    dei dettagli di questi avvenimenti.
    Entriamo allora in casa,
    e lì sottoponete me e Nerissa
    agli interrogatori che vorrete;
    noi vi risponderemo ad ogni cosa,
    sinceramente, in tutta verità.

    Graziano -

    E sia così. La prima mia domanda
    a cui Nerissa è chiamata a rispondere
    a vincolo di giuramento, è questa:
    se vuole rimanere alzata e desta
    fino al cader della prossima notte,
    o preferisce andare a letto adesso,
    quando mancan due ore al far del giorno.
    Quanto a me, fosse pure giorno chiaro,
    preferirei che fosse sempre notte,
    per andarmene a letto
    con lo scrivano del giureconsulto.
    Comunque è certo che, finché vivrò
    "null'altra cura mi terrà il cervello
    che di Nerissa custodir l'anello."

    Fine