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entro giugno via metà dei soldati dall'iraq

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    totalwar
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    00 20/01/2006 15:52
    ROMA. Un anno ancora, e poi i nostri militari di «Antica Babilonia» leveranno le tende dall’Iraq, naturalmente avendo ottenuto il via libera del governo di Baghdad e degli alleati americani. Lo ha promesso il ministro della Difesa, Antonio Martino, intervenendo ieri alle commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato: «L’operazione militare “Antica Babilonia” ultimerà gradualmente il
    Antonio Martino durante una visita in Iraq
    proprio mandato nel corso del 2006 e sarà conclusa alla fine dell’anno».

    L’opposizione è critica: «Non è sufficiente il programma esposto dal ministro». Martino non vuol sentire parlare di «ritiro»: «Il nostro sarà un rientro dignitoso e giusto». E a chi nell’opposizione insiste perché il ritiro sia immediato, il ministro replica che «potrebbe essere interpretato come una resa al terrorismo». Se “Antica Babilonia” smobilita, l’Italia non abbandonerà l’Iraq: «Siamo in condizioni di assumere la responsabilità della direzione e della gestione di un eventuale futuro team di ricostruzione nella provincia del Dhi Qar fino al 2007. Si tratta di un impegno a prevalente caratterizzazione civile - precisa il ministro -, che non escluderà una presenza militare, del tutto distinta dall’attuale, per garantire le irrinunciabili condizioni di sicurezza agli operatori civili». Entro fine gennaio torneranno a casa altri 300 uomini, mentre a giugno il «disimpegno» italiano si tradurrà in un abbandono di Nassiriya da parte di mille militari.

    Complessivamente, a partire da giugno il contingente italiano sarà dimezzato rispetto all’inizio della missione: da 3200 a 1600 uomini. Il ministro della Difesa ha spiegato che la complessa operazione di disimpegno prevederà, in una prima fase, «il graduale trasferimento dei compiti dal contingente alle forze di difesa e sicurezza irachene e la conseguente progressiva riduzione della componente militare nazionale». Per il ministro i primi mesi di quest’anno sono «cruciali» per il «consolidamento politico», «con il graduale e sempre più effettivo passaggio di consegne agli iracheni della sicurezza e del controllo del territorio». Nella seconda fase, invece, si prevede «una sempre più estesa cooperazione civile e il corrispondente e progressivo disimpegno del contingente militare». Insiste Martino: «Il nostro sarà un rientro dignitoso, senza alcuna concessione alle richieste di ritiro immediato, sostenute da posizioni di malinteso pacifismo e di pretestuoso antiamericanismo, che non condividiamo».

    Questa cooperazione di natura civile, secondo il ministro, potrebbe materializzarsi con la costituzione dei Prt, «Provincial reconstruction team», e cioè «piattaforme multifunzionali a caratterizzazione prettamente civile capaci di modulare le attività in maniera variabile su di un ampio spettro di interventi come la ricostruzione e l’assistenza allo sviluppo e alla sanità». Per le imprese italiane, scommette Martino, «si potrebbe aprire una promettente fase di opportunità»: «Una missione di operatori economici italiani è prevista in questo mese nel Dhi Qar e, successivamente, in Kurdistan. Si sta anche valutando la possibilità di realizzare a Nassiryia un’area attrezzata destinata ad ospitare le strutture economiche italiane interessate ad operare nella provincia».

    Critica l’opposizione. Marco Minniti, Ds: «Nel programma illustrato dal ministro la prima fase, quella della riduzione del contingente, appare certa. La seconda, invece, è abbastanza condizionata. E’ più un auspicio che un progetto unitario del rientro del nostro contingente. Anzi, ogni decisione finale viene rimandata al nuovo Parlamento e al nuovo governo. Se saremo noi in maggioranza, se gli italiani ci daranno la fiducia, ci penseremo noi a completare questo processo». Paolo Cento, Verdi: «Martino parla della fine di una missione e dell’inizio di altre. Resta oscuro il ruolo del nostro Paese». Ugo Intini, Sdi: «Tutto fa credere che la missione italiana in Iraq non si concluderà alla fine del 2006. Le stragi continuano e non è chiaro se l’esercito iracheno sia un esercito nazionale o un insieme di milizie». Franco Giordano, Rifondazione: «La decisione del governo è dettata dal fallimento di una politica militare e dalla pressione dell’opinione pubblica all’approssimarsi delle elezioni».



    come no, si sii, li tolgono, non vi preoccupate [SM=g27829]
    la guerra finisce solo per i milioni di caduti, per gli altri continua, continua, continua...
    [
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    Mad88
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    00 26/01/2006 18:48
    Non c'è stato il cambio tra Ariete e Sassari oggi?
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