L’89 è sinonimo di profondi cambiamenti, di porta che si apre su un futuro tumultuante e vorticoso, al termine del quale nulla è così come prima. Lo fu nel XVIII secolo, con la presa della Bastiglia, la Rivoluzione francese, il ciclone Napoleone, il seme della Repubblica e della democrazia sparso su un continente dove regnava comunque l’assolutismo, che fosse illuminato o no.
Lo fu nel secolo XIX, ancora Parigi. Il tramonto dorato dell’Europa-centrismo, le esposizioni mondiali, la Tour Eiffel simbolo della modernità. E seguirono tre lustri che cambiarono il mondo: elettricità ovunque, telefono, bicicletta, automobile, aereo, nuovi linguaggi letterari, iconici e musicali, Olimpiadi, calcio, il Tour de France.
E’ stato anche nel secolo XX, l’anno 1989, uno spartiacque. La caduta del muro di Berlino, improvvisa, segnò la fine della Guerra Fredda, un nuovo modo di ridisegnare l’Europa e il Mondo. Già, perché le nuove tecnologie comunicative - cellulari, internet – contribuirono a determinare il nuovo verbo, globalizzazione a tutti i costi.
Pippo Russo, brillante docente di sociologia dello sport all’Università di Firenze, appassionato cultore di cose calcistiche, trova nel 1989 il terreno fecondo per il suo primo, davvero accattivante romanzo, unendo i suoi due background culturali tanto visitati e amati, sociologia e calcio appunto. Ed anche il calcio conosce il suo 1989, permeato da un passaggio brusco dalla marcatura a uomo alla zona, dalla lentezza della fantasia alla frenesia della fisicità del pressing. Il profeta Sacchi con il suo Milan oliato dal denaro berlusconiano, domina la scena, e tutti si adeguano. O vengono clamorosamente emarginati. Come succede al protagonista del romanzo di Pippo Russo, Nedo Ludi, di professione stopper dell’Empoli. Dieci anni di onorata attività, il suo battersi leoninamente contro i bomber avversari, non servono più a nulla. Darwinianamente è inadatto al nuovo vangelo calcistico. Crisi di identità, crisi di lavoro.
Nedo Ludi è un nome immaginario, come lo sono tutti i componenti dell’Empoli, che oltre a tutto nel torneo 1988-89 non era in Serie A, e quindi non lottava, come avviene nel romanzo, con Maradona, Vialli, Van Basten, Schillaci.
Libro originalmente complesso. Perché la scelta di questo nome? Il lettore lo capisce perfettamente nel cuore della narrazione, nel colloquio stralunato fra il perdigiorno intellettuale Lapo Gori e il Ludi stesso. E’ il motore della storia, la straordinaria analogia non solo fonica, fra lo stopper empolese e Ned Lud, il contestatore britannico che nel 1811 guidò la violenta protesta contro l’introduzione delle macchine, fonte – allora – di disoccupazione e di sfruttamento.
Ma prima, nel libro, vi è l’archetipo di un gioco ormai tramontato, la eccezionale prestazione di Ludi sul campo dell’Avellino, con tanto di gol segnato con devastante azione personale, e che permette alla squadra toscana di rimanere fra gli eletti della Serie A. Ma queste imprese che infiammano i tifosi sono severamente bandite dal zonarolo Bersani, il nuovo Mister dell’Empoli.
Il posto in squadra è sempre più precario, il Ludi è refrattario al nuovo “progetto” spersonalizzante. Dopo il colloquio con Lapo Gori, Nedo si sente la reincarnazione del ribelle inglese a tal punto da ricostruire in corso d’opera l’obsoleto modulo di gioco per salvare il salvabile sul difficile campo di Marassi.
Contro i blucerchiati, prossimi Campioni d’Italia, gli empolesi riescono a strappare un importante risultato a reti bianche. Non solo. Sull’onda dell’inevitabile accantonamento da parte del mister Bersani, Ludi riesce, in un’improbabile lezione di controgioco, su uno spelacchiato campo d’oratorio, nella notte empolese, senza la comparsa del pallone, una scena surreale, fra Fellini e Antonioni, ad essere il leader di una disperata congiura degli stopper sui campi di Serie C e Promozione, sparsi su tutta la penisola.
Il declino come giocatore risulta inarrestabile. Siamo, anche nel mondo del calcio, davanti a un periodo di convulsi cambiamenti. La Zona non è che il sassolino che muove il turbine del nuovo. La Pay-Tv, la legge Bosman, un gioco sempre più frenetico, brevi pennellate d’artista, e poi riproduzioni omologanti.
Nelle ultime venticinque pagine del libro, Pippo Russo riesce ad offrirci un colpo d’ala sorprendente. Dopo una struttura mirabilmente ricalcante il verso aureo di virgiliana memoria, ecco l’enjambament che non ti aspetti. Come se l’andare a capo del verso, in posizione dominante, gettasse nuova luce narrativa sull’opera. Ci si trova davanti ai drammi e alle speranze dei singoli nella vita di tutti i giorni, per cercare di ricostruire puzzle dalle frastagliature irrimediabilmente consumate. “La storia siamo noi, nessuno se ne senta offeso”. (Francesco De Gregori).
di Andrea Parodi