San Giovanni dice che la luce splende nelle tenebre ma che le tenebre non la ricevono (Gv. 1.5). E con questo esprime chiaramente due concetti: nella natura dell'uomo, anche se pervertita ed imbastardita, brillano ancora alcune fiammelle, a dimostrare che è un essere ragionevole e che differisce dalle bestie brute, essendo dotato di intelligenza; e tuttavia questa luce è soffocata da un'oscurità sì fitta d'ignoranza da non poter riuscire efficace. Parimenti la volontà, essendo inseparabile dalla natura dell'uomo, non è completamente perita ma è prigioniera ed ammanettata dalle malvagie concupiscenze, al punto da non poter desiderare alcun bene.
Questa definizione è completa e sufficiente, ma deve essere ancora spiegata più ampiamente. Onde l'ordine della nostra argomentazione proceda secondo la distinzione che abbiamo formulata dividendo l'anima umana in intelligenza e volontà, dobbiamo in primo luogo esaminare quale forza vi sia nell'intelligenza.
Giudicarla accecata al punto da non poter conservare alcuna conoscenza delle cose, contrasterebbe non solo con la parola di Dio ma anche con l'esperienza comune. Riscontriamo infatti nello spirito umano un desiderio di indagare la verità, per la quale l'uomo non avrebbe alcun interesse se non ne avesse precedentemente gustato il sapore. E' dunque una scintilla di luce nello spirito umano questo amore naturale per la verità, mentre il disinteresse per essa da parte delle bestie brute ci rivela la loro ignoranza e la mancanza di qualsiasi senso di ragione. Questo desiderio però, così com'è, vien meno prima di aver corso, perché scade nella futilità. La mente umana a causa della sua ignoranza, non può seguire una via sicura nella ricerca della verità ma devia in diversi errori e, come un cieco che brancola nelle tenebre, urta qua e là fino a smarrirsi completamente. Proprio da questa ricerca della verità risulta quanto sia inadatta ed incapace a indagarla e a trovarla.