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IL FUMO E LE DONNE

Nell’asettico bianco ma non più avveniristico (I’avve­nire è già qui) gabinetto del mio dentista, sulla sedia si­mile ad un’anguilla per giravolte, allungamenti, improv­vise inclinazioni che ti portano la testa in basso e i piedi in alto; oppresso dal diffusore e ancor più dall’apparato radiografico; assalito e terrorizzato dal trapano, turbotra­pano; molestato dalla siringa per l’acqua, quella per l’aria; attorniato dal servomobile, dal riunito, dall’aspiratore saliva per non parlare di sonda, specchietto, pinza per medicazione, pinze per estrazione e leve, un sospetto mi serra e mi perseguita anche quando frastornato sono fuo­ri. Immerso, illuminato dal piacevole sole settembrino respiro finalmente libero ed alzo gli occhi su, su verso il cielo nitido che s’intravvede fra un balcone e un corni­cione, una tenda e un bucato sgocciolante nell’aria non ancora del tutto inquinata dalle maledette scatole ronfan­ti, claxoneggianti, fra scali di marcia e doppie debraglia­te. Molte di loro sono ancora in villeggiatura, indispensa­bile complemento dello stupido, lamentoso e autodistrut­tivo uomo del ventesimo secolo. Cosa mi ha detto il sor­ridente bonario sanitario mentre aggiornava la scheda e incamerava la vertiginosa parcella? Forse che avrei dovu­to farmi estirpare uno dei grossi molari piantato nel mio osso mascellare più saldo della torre Eiffel nel sottosuolo di Parigi? O che dispettose carie seganti o una devastante piorrea lo avrebbero costretto a togliermi una serie di denti e sostituirli con una protesi mobile, di quelle che quando sorridi o baci rischiano di trasformarti improvvi­samente in una specie di conte Dracula per movimenti dispettosi, reali o immaginari?

No, nulla di tutto ciò. Lui baldo, aitante, sessantenne noto per fortunate conquiste muliebri, per forsennate quanto abili prestazioni amorose di marca tanto apprez­zate dalle voraci signore altoborghesi, si è confidato. Ha fiducia, ha simpatia per me, mi chiede consigli professio­nali, approfitta della mia bocca spalancata, del mio terro­re, dell’incubo che mi inoculano i suoi maledetti aggeggi e non viene al mio studio legale, ma con il trapano o la siringa in posizione di sparo, mi illustra con calma e pre­cisione i suoi problemi e mi estorce giudizi e linea da seguire, pronto ad annotare lettere ed articoli di codice. Ma oggi no, oggi mi ha rivelato, chino su di me, la voce bassa, quasi un mormorio e poi man mano più forte ad­dirittura trionfante, il suo segreto: «Sa, a proposito di impotenza, della scarsa efficacia e dei giovani di oggi, anch’io che non avevo mai fallito un colpo, anni fa subii un abbassamento, un preoccupante calo, ma i libri di Mességué sulla dieta vegetariana e principalmente la to­tale abolizione del fumo mi hanno presto rimesso in se­sto, e meglio di prima. Il fumo, un nemico temibile e potente per la sfera sessuale! Bisogna assolutamente far­ne a meno, e allora la piena efficienza fisica mette fuori uso, vanifica il ricorso assurdo e pericoloso a droghe, anfetamina e pratiche diffuse e avvilenti come amore di gruppo, fantasie e azioni mortificanti del tipo Casati Stam­pa: lo ricorda?» Ho sulle prime mostrato indifferenza, ho sorriso e divaricato le mascelle per l’ultimo assalto di tra­pano. L’affermazione tanto decisa, categorica di un rico­nosciuto maestro, e per giunta medico di buon credito, ha incominciato a ronzare fastidiosa, insistente, come una zanzara imprendibile, indomabile. Ho pensato a Marina, la mia compagna ancora bella, attraente, seppur in una lenta inarrestabile decadenza, e ai miei rapporti con lei. Sì, c’é sicurezza, l’abitudine, il ricordo dei miei trionfi, appaganti per lei, ma indubbiamente, perché non ricono­scerlo?, stanchezza e il ricorso a volte necessario a fanta­sie erotiche. Cinquant’anni, una svolta! Abolire il fumo? Le mie sessanta sigarette voluttuose, indispensabile com­pletamento, sottolineatura d’ogni godimento, o unico godimento esse stesse! Cos’è un buon pranzo senza il cilindretto fumante finale? Una brillante arringa, una comparsa rigorosa, incalzante e vincente; una gita beata, distensiva, istruttiva; un viaggio in terre rinomate per bellezza e clima; un’ora o una notte d’amore senza l’aspi­rare intenso, inebriante di tabacco aromatico, sia pur depurato da uno, due, tre filtri che si tingono di giallo­gnole scorie? Il felice, sgattaiolante Pertini, lo ieratico Bearzot avrebbero apprezzato, goduto appieno il pianto, i trionfi, la vittoria del Mondiale senza le volute di fumo che quasi in continuazione, come vulcani attivi, sfuggono dalle labbra o dal fornello di pipe di gran marca? E vuoi mettere la gioia intima, sensuale del contatto con il tabac­co, i fiammiferi, l’accendino in un cerimoniale gestuale di invincibile bellezza? Ma son vecchi, mi sono detto, men­tre percorrevo il Iungomare fra l’odore pungente, dila­tante della salsedine a sinistra e degli alberi a destra, ed il sole, il cielo sono sopra di me senza ostacoli, senza condizionamenti e la mano fruga nella tasca, ne estrae il pacchetto bianco, compatto, confortante, lo apre, afferra il ciindretto, lo tasta, lo arrotola, lo inserisce fra labbra impazienti e vi dà fuoco con lo scatto netto, familiare del fedele accendino d’oro che mi è caro come, se non di più, del diploma di laurea. D’improvviso l’aria, la luce, il sole son più puri, più intensi e colorati e il dentista, le sue confidenze incominciano a svanire nelle azzurrognole spirali fra le quali compare Stefania, stupenda bionda affascinante indossatrice, il mio più recente tentativo d’es­ser conquistatore, avventuroso e disinibito dongiovanni. Ci guardiamo, le sorrido incerto: è come se non mi ve­desse, gira la testa e prosegue altera, indifferente. Ha forse ragione il dentista?

No, non sono mai stato un vero dongiovanni; ho avuto donne, ma con quanto lavoro, che complicati corteggia­menti... e con Stefania, nella quiete dei mio studio di sera quando procuratori e dattilografe lo lasciano vuoto e silen­zioso, fra quadri d’autore, giradischi ad alta fedeltà, il frigobar che vomita cubetti e whisky, sul divano di pelle morbi­da e accogliente non è che abbia brillato! Le sigarette?

Macché sigarette, bisogna pur dire la verità: è che non sono mai andato a sangue alle donne, quelle che ti fanno allargare le narici, che ti fanno rizzare lé orecchie come ad un cane disteso indolentemente al sole o al calduccio della stufa e che d’un lampo ha i sensi tesi, l’occhio vigi­le, traforante, pronto a ghermire la preda. Insomma, per intenderci, le magnifiche creature che incedono con pas­so lungo, felpato, sicuro e lasciano vagare lo sguardo in­differenti all’ammirazione, al desiderio che le avviluppa dovunque sono e poi ti fissano suadenti, magnetiche e sorridono trionfanti a colui che hanno ridotto a semplice terreno già conquiso mentre crede di poter conquistare. Ma quegli sguardi, se pur qualche volta m’hanno centra­to, non si sono quasi mai soffermati a lungo, son scivolati via a beneficio d’altri meno prestanti, meno giovani e, diciamolo, meno attraenti all’apparenza. Ci dev’essere qualcosa per me impalpabile, ma denso e saturante, forse una specie d’odor di maschio, di totale disponibilità che non ho mai avuto, nemmeno nei ruggenti anni dell’ado­lescenza o della giovinezza. Eppure non son brutto, non ho — almeno credo — nulla di repulsivo, sono un buon parlatore e so anche ascoltare paziente. comprensivo; il denaro e la voglia di spenderlo non mi mancano, e da lustri il successo professionale. Allora cos’è? Per anni e anni — lo ricordo come se fosse oggi— sulle spiagge bollenti, sulle vette sassose, nei nights misteriosi, ema­nanti effluvi amorosi, nei cinema bui e permissivi, in co­mitiva mi son lanciato nella mischia fra i corteggiatori di queste novelle regine, inizialmente prevalendo per au­dacia, intraprendenza e valore per vedermi preferire, dopo effimeri successi, un indolente incapace concorrente dal­lo sguardo di pesce morto, dal baffetto azzimato, dall evi­dente bisogno di mammà. Eppure quando, sia pur per poco, le ho avute, ho sprigionato tutta 1’ energia, la po­tenza, quella specie di atomica rabbiosamente racchiusa in me nonostante le sessanta sigarette giornaliere. Ma la sinuosa hostess dell’Air France nella sterminata e isolata spiaggia prospiciente l’ippodromo di Nizza, mentre il debole sole ottobrino si rifletteva sui vetri della mia auto “très joli”, mi respinse mormorando: «Non così, non così» e la lasciai irritato, sordo ad un nuovo invito che non compresi o non volli comprendere.

Ed ora? Sì, ora: forse le sigarette vanno abolite, o è la libido troppo assorbita dalla professione, dagli interessi culturali, o sviata da un consuntivo sentimentale delu­dente con pochi seppur validi punti all’attivo, o infine stufa di dover interpretare il complicato forse illogico meccanismo femminino al quale il mio io si rifiuta di soggiacere con mascheramenti di debolezza che mi ripu­gnano e dall’esito perennernente incerto. Ma il dentista sa il fatto suo: famiglia, amante fissa e continue avventure galanti. A sessant’anni lo si incontra dovunque trionfan­te, allegro, disteso, con i baffi all’americana ai quali si tendono labbra sensuali o mani affusolate, tenere di com­pagne affascinanti, dallo sguardo sognante di gattina in­namorata, soddisfatta, a tratti baluginante come quando ha conquistato il gomitolo di lana e lo fa rotolare, lo ac­carezza con le zampine vellutate e poi con gli artigli —un attimo prima retratti — lo graffia, lo disfa in fili spie­gazzati, spezzati. E felice il creatore di sorrisi perfetti, di denti bianchissimi e omogenei, è stimato, è invidiato e senza il fumo è tornato valido, efficacissimo a quanto dice, e i fatti confermano.

Allora via il fumo, oggi che il calo si somma all’antica carenza di naturale non improba seduzione? La mano mi rimane per attimi interminabili sospesa nell’aria dolce del tramonto dorato, indi s’affonda nella tasca, s’appaga al tocco della carta sottile e reca alle labbra voraci la siga­retta odorosa, la saliva torna fluida nella bocca arsa, lo stomaco si sblocca, il cervello mette in moto rapido rotel­le ora lubrificate a puntino, idee per la nuova comparsa di una causa complicata e appagante si formano fra le spirali sottili, inebrianti e la galleria d’arte è vicina, splen­dente di luce e d’opere. Aspiro profondamente, mi sento libero, radioso, tocco il pacchetto, afferro l’accendino, entro nella sala e m’immergo nella beatitudine della con­templazione, della conversazione franca intellettuale dove sono, nel bene o nel male, me stesso.