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perché la nostra epoca è povera

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    sottolestelle
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    00 07/06/2007 11:46



    LA POESIA COME POTENZA FONDAMENTALE DELL'ABITARE




    Meditiamo brevemente l’esordio dell’inno Die Titanen:


    No, non è
    Il tempo. Sono ancora
    Senza vincoli. Il Divino non colpisce coloro che non prendono parte



    Holderlin ci ricorda che non è ancora giunto il tempo in cui il Divino possa colpire l’uomo. Per questo la nostra epoca è povera: l’uomo è ancora “senza vincoli” e “ non prende parte”. D’altronde: come potrebbe mai essere giunto questo tempo, se gli uomini, che pure sono, non sanno ancora, chi sono? Donde prende l’uomo il suo indirizzo? A che risponde? Troviamo, forse, un’indicazione, se giungiamo a meditare sempre più liberamente i seguenti pensieri: dalla morte in quanto custodia del nulla, ci fa segno il trattenuto illuminarsi dell’essere; è entro l’appello della morte, infatti, che noi rimaniamo esposti alla verità dell’essere e al suo celarsi: qui si forma il nostro Essere, se è vero che siamo mortali; qui sorgiamo e a partire da qui perduriamo, cadendo da un’ora all’altra giù nell’Incerto:



    Ma a noi
    non è dato trovare luogo
    in nessun luogo.
    Soffrendo, gli uomini passano,
    cadono alla cieca da un’ora all’altra,
    come acqua gettata da scoglio a scoglio,
    per anni, giù nell’Incerto
    .



    Il Poeta sa quel che sa, e dice quel che dice, per noi e in nostro nome, unicamente a partire dal mancare di ciò che manca: non si dà il luogo della nostra essenza – non è ancora il tempo – l’uomo non “prende parte”. Di nuovo: noi, pur sapendo di volta in volta, nel nostro affaccendarci quotidiano, che cosa siamo, non veniamo a sapere mai chi davvero siamo; sembriamo estranei a noi stessi e il nostro mondo è un non-mondo – almeno, sembra dirci Holderlin, finché rimaniamo liberi da vincoli, finché non prendiamo parte. L’”essere vincolati” e il “prendere parte” appaiono come condizioni necessarie perché giunga il nostro tempo, l’istante in cui, ormai svelati a noi stessi, possiamo essere colpiti dal Divino. Ma a che cosa mai dovremmo essere vincolati? E che cos’è, che significa un tale “prendere parte”? …Heidegger, commentando brevemente quei versi dei Titanen, scrive:


    “ Il “prendere parte” rimane [nei versi di Holderlin] indeterminato; esso, infatti, non riguarda questo o quello, né è qualcosa di accidentale per il nostro Essere, come un comportamento fra gli altri. Il “prendere parte” cui pensa il poeta permette al nostro Essere di essere quello che è; esso è quel modo del nostro Essere per il quale ne va innanzitutto dell’essere e del non-essere. (…) Se non è detto a che cosa dobbiamo prendere parte, né a che cosa dobbiamo essere vincolati, se, insomma, si parla solo di una partecipazione in sé, ossia di una cura – quei versi “dicono” che il “prendere parte” è una condizione necessaria perché giunga il tempo in cui “ il Divino (ci) colpisce”, il tempo in cui la folgore si abbatte…”



    Ma a noi tocca, sotto la tempesta del Dio,
    O poeti…
    Afferrare la folgore del padre…
    E porgere al popolo, velato
    Nel canto, il dono celeste




    - la folgore è il Segno che il poeta custodisce in parola. È sulla base di questi versi che Heidegger interpreta il “prendere parte”:


    “…Ma se il mandato della Dictung è di condurre la folgore, velata nella parola, nel Dasein del popolo, allora questa parola ci parla solo se prendiamo parte alla Dictung stessa, cioè al colloquio [ quel “colloqui autentico che noi stessi siamo” da quando siamo, e che consiste nel “nominare gli Dèi e nel farsi parola del mondo”:] (…) Una cosa è chiara ora: non solo non sappiamo chi siamo, ma in fin dei conti, è proprio alla Dictung, e innanzitutto ad essa, che è necessario prendere parte affinché possa venire il tempo in cui potremo apprendere chi siamo. Non comprendiamo nulla della Dictung se la soppesiamo a partire dalla nostra gratuita certezza di poter sapere tutto, pretendendo così di impadronirci di essa. Siamo espulsi dall’ambito del poetico, in quanto configurazione fondamentale del Dasein storico, se non lasciamo che la domanda “chi siamo?” divenga, nel nostro Dasein, una domanda che affrontiamo durante tutto il tempo della nostra breve vita”.





    G. Zaccaria – L’etica originaria





  • il Poeta 1
    00 07/06/2007 15:57
    Re:

    Scritto da: sottolestelle 07/06/2007 11.46



    LA POESIA COME POTENZA FONDAMENTALE DELL'ABITARE

    Rispondo:
    la Poesia è sintesi di Filosofia e la prassi è la Politica Democratica, cioè un TUTTUNO!


    Meditiamo brevemente l’esordio dell’inno Die Titanen:


    No, non è
    Il tempo. Sono ancora
    Senza vincoli. Il Divino non colpisce coloro che non prendono parte



    Holderlin ci ricorda che non è ancora giunto il tempo in cui il Divino possa colpire l’uomo. Per questo la nostra epoca è povera: l’uomo è ancora “senza vincoli” e “ non prende parte”. D’altronde: come potrebbe mai essere giunto questo tempo, se gli uomini, che pure sono, non sanno ancora, chi sono? Donde prende l’uomo il suo indirizzo? A che risponde? Troviamo, forse, un’indicazione, se giungiamo a meditare sempre più liberamente i seguenti pensieri: dalla morte in quanto custodia del nulla, ci fa segno il trattenuto illuminarsi dell’essere; è entro l’appello della morte, infatti, che noi rimaniamo esposti alla verità dell’essere e al suo celarsi: qui si forma il nostro Essere, se è vero che siamo mortali; qui sorgiamo e a partire da qui perduriamo, cadendo da un’ora all’altra giù nell’Incerto:

    Rispondo:
    discorso del tempo passato che non ha dato frutti!
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