Il Gazebo

Perle di Walko nello scrigno della memoria...

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  • danzandosottolaluna
    00 25/01/2005 07:22



    NOUS, LES ARTISTES



    Tenere accanto al letto, sempre all’erta,
    un calamaio di musica e di sangue
    da intingere il pennino, e d’altro niente:
    per scrivere va bene il pavimento
    lo spazio di un lenzuolo, di un silenzio,
    la notte che non vale una canzone:
    il cielo sgombro di stelle, nascoste
    dietro la luna, come per dispetto,
    l’ispirazione che ci gira intorno
    come un folletto, come una farfalla.
    Noi siamo qua, noi, siamo sempre noi,
    a masticare sogni avvelenati,
    a sputare illusioni disperate,
    a mescolare nelle nostre storie
    spari alle tempie e baci sulla bocca,
    noi, nel recinto dei senza vergogna,
    ad aspettare visite e saluti
    da chi ci tira in faccia, con affetto,
    le noccioline e gli ottimi consigli.
    Noi siamo qua: messeri di colori;
    noi, siamo noi: signori saltimbanchi,
    in attesa di applausi, di sorrisi,
    d’insulti, fischi, di calci nel culo,
    va bene tutto: un segno, una presenza,
    purché tenga lontana la paura
    di esistere e non essere sul serio
    in questi spazi di vuoto e di tutto,
    in questa solitudine affollata
    di desideri e di parole al vento.


    W a l k o


    ADIEU ADIEU


    Vengo da giorni
    berberi, tuareg,
    di migrazioni
    fatte di partenze,
    col capo sempre avvolto
    in un lenzuolo,
    riverberi del sole
    negli specchi,
    il sottofondo lento
    e trascinato
    di uillean pipes,
    tamburi e violoncello
    dans les voyages
    de rien et de mirages,
    memorie d'alto mare
    fra le dune.

    Vengo da giorni
    blandi, trasandati,
    di barba incolta
    e capelli arruffati,
    di sguardi stretti
    d’occhi appiccicosi,
    mucchi di fogli,
    oggetti ed indumenti
    dispersi alla rinfusa
    nelle stanze,
    le notti e i giorni
    senza distinzione,
    l'attesa di uno sparo
    o di uno squillo;
    what do you look in green,
    what do you sing?

    Vengo da giorni
    lunghi, evanescenti,
    di sentimento
    ed anima carioca,
    di bossa e samba
    appena sussurrata,
    mattini e pomeriggi
    di saudade,
    stanchezza, sigarette,
    umidità,
    nuvole di cotone nell'azzurro
    da contemplare
    attraverso un bicchiere,
    zanzare di pensieri
    e di ricordi
    che pungono il silenzio
    della notte
    e non posso scacciare
    con la mano.

    Adieu, mon coeur,
    adieu, douce anxiété,
    adieu, douce apparence
    d’éternité;
    adieu, mon rêve,
    adieu, mercy, de rien,
    adieu, comment ça va?
    Oui...oui… c’est bien…


    W a l k o



    MELACERBA


    Non vi conviene
    credere ai romanzi,
    credere alle parole affascinanti
    di chi s'inventa
    una vita di carta.
    Io, per esempio,
    non sono rinsavito,
    come racconta il finale
    della storia:
    passato è il tempo,
    non so dire quanto,
    ma sono sempre
    lo stesso di allora,
    io sono sempre lo stesso
    di prima,
    io sono sempre lo stesso
    di sempre.
    Semplicemente,
    adesso sono solo,
    perché anche il mio scudiero
    mi ha lasciato,
    insieme alla speranza
    e al pentimento.
    Ora giro nei boschi,
    in mezzo ai campi,
    senza fermarmi mai,
    la notte e il giorno.
    Il mio cavallo è vecchio,
    cieco e zoppo,
    è monca della punta
    la mia spada,
    la mia lancia spaccata
    nel suo mezzo,
    il mio scudo affogato,
    sprofondato
    o trascinato via
    dalla corrente,
    varcando un fiume
    su un ponte di corde,
    portando il mio cavallo
    sulle spalle;
    il mio elmo
    l'ho dato a una ragazza
    che mi ha concesso
    un bacio sulla bocca
    e una succhiata
    dal suo seno caldo,
    profumato di rosa
    e melacerba.
    Altro non ho,
    né cerco, e neanche spero,
    ma nonostante tutto
    non mi arrendo;
    proseguo,
    non conosco la paura:
    non mi spaventa il vento,
    né la pioggia,
    non temo gelo,
    frastuono, silenzio,
    né tempeste di grandine
    o di sabbia,
    né bufere di sangue
    o di parole;
    sfido la morte
    in giochi di prestigio,
    d'acrobazia e vario altro talento
    e, non lo credereste,
    ho sempre vinto;
    non ho paura del buio,
    della luce,
    fisso negli occhi il sole,
    molto a lungo,
    sempre senza provare
    alcun dolore,
    e parlo con la luna,
    con le stelle,
    amo l'asfalto
    e odio la mia ombra:
    spesso la inseguo
    quando mi precede,
    spesso la fuggo
    quando mi rincorre.
    Ho fatto anche di peggio,
    ma, lo giuro,
    non m'importa più nulla
    della gloria,
    e giro al largo
    dai mulini a vento.
    Mi chiamano
    Chisciotte de la Mancha,
    ed è quello che sono,
    solo questo,
    ma avrei potuto essere
    ben altro,
    avrei dovuto essere
    tutt'altro.
    Avrei voluto essere
    un eroe,
    uno dei tanti:
    Achille, Ajace, Ulisse;
    avrei voluto,
    avrei potuto avere
    la forza, la bellezza,
    la ricchezza,
    anche più d'Ercole,
    d'Apollo e Mida;
    avrei potuto avere
    la maestà
    ed il segreto
    della conoscenza,
    anche più di re Artù
    e di Merlino.
    Non potendo trovarmi
    fra le mani
    queste virtù,
    sono quello che sono,
    perché un punto intermedio
    non esiste:
    fra tutto e niente
    non c'è via di mezzo.
    E forse, in fondo,
    questo è il mio segreto:
    avrei voluto essere soltanto
    giusto quello che sono,
    o ancora meglio,
    quello che sono diventato adesso,
    senza mulini a vento
    da attaccare,
    senza, con me,
    la stupida saggezza
    del benpensante Sancho
    che mi affianca,
    con quel suo ragionevole bagaglio
    di lenti dubbi
    e di vigliaccheria
    che, nel confronto,
    esalta il mio coraggio.
    Ebbene sì, lo ammetto,
    lo confesso:
    tutto quello che sono
    io l'ho scelto,
    anche se a volte piango,
    a volte urlo
    il mio risentimento
    e il mio rimpianto,
    mi specchio
    su pozzanghere di ghiaccio
    e sputo sull'immagine riflessa.
    Eppure,
    nonostante tutto questo,
    sono quello che sono
    e me ne vanto;
    quanto ai rimorsi,
    è un altro discorso.
    Non cerco Dulcinea,
    non la rincorro
    sulle strade che sceglie
    per sfuggirmi;
    spesso la sua presenza,
    o il suo miraggio,
    mi riempie l'orizzonte
    del pensiero,
    della stessa mia vista
    e del ricordo,
    però non la amo più,
    non ne ho più voglia,
    forse nemmeno fosse lei,
    un giorno,
    a venire a cercarmi,
    ad inseguirmi,
    come ho fatto con lei
    per molte strade,
    come ho fatto con lei
    per troppo tempo.
    Non tento neanche più
    di sostituirla,
    son quasi pronto
    per un nuovo amore,
    sebbene non lo cerchi
    e non mi manchi.
    Proseguo il mio cammino
    d'ogni giorno,
    senza voltarmi
    e alzando alto nel vento
    il mio stendardo
    e la sua nuova insegna:
    una clessidra,
    simbolo del tempo
    che passa sul mio viso,
    sul mio corpo,
    lasciandolo coperto
    di ferite,
    che passa sui pensieri,
    sul mio cuore,
    lasciandomelo intatto,
    sempre uguale,
    immacolato nella giovinezza.
    Altro non chiedo
    al tempo ed alla vita:
    come non cerco
    stima e compassione,
    non cerco l'immortalità
    di un gesto,
    non cerco lo stupore
    degli sguardi,
    non cerco il mito, il sogno,
    la fortuna,
    così non cerco più
    neanche un amore.
    Per il momento
    può bastarmi un bacio,
    una vetrina spalancata d'occhi,
    una cascata di capelli sciolti,
    l'ebrezza di una voce
    e di un sorriso,
    un profumo di rosa
    e melacerba.

    Walko


    POESIA URLATA A MEZZA VOCE

    C’è voluta davvero
    tutta la pazienza,
    tutta la mia pazienza
    ormai sfinita,
    la mia costanza sfibrata
    per arrivare in cima
    a questo picco
    ad osservare il deserto,
    in questo vuoto di vento,
    in questo assurdo pieno
    di silenzio
    lacerato da un urlo
    senza fondo
    di una gola bruciata
    a mezza voce;
    questo addentare con rabbia
    e con disperazione
    il marciapiede
    sino allo spasimo
    sino alle gengive;
    questo sasso
    precipitato dal buio
    a fracassare la nuca
    a tradimento;
    questo ago
    piovuto dal vuoto
    a spaccare le vene
    e il singhiozzo;
    questo continuo incominciare
    per finire;
    questo infinito finire
    per mai più
    cominciare.

    Walko


    IL LINCIAGGIO


    Questa poesia, così come "Svoltangolo del Cristo" e la già postata "Poesia Virgo la sia", appartengono alla mia raccolta "Astrascenti Verba" iniziata nel 2002 e tuttora in corso d'opera, la quale si caratterizza, specialmente nella sua prima fase, per un certo sperimentalismo strutturale, ossia riguardo metrica, ritmo ed anche sintassi e morfologia che in alcuni casi ho voluto reinventare appositamente a servizio del testo. Questo lo specifico per spiegare e motivare il perché delle variazioni continue in relazione al mio stile di scrittura, specialmente in poesia, anche per evitare spiacevoli equivoci dopo quanto recentemente avvenuto.



    All'improvviso il viso acceso il suo
    giovane madre jeansata la bimba
    per mano occhioni blu scarpine il naso
    un po' all'insù la mamma grida è lui!

    Il viso all'improvviso impronta e pronta
    esclama il dito il viso esclama e segna
    lo riconosco è lui è stato lui
    la passeggiata intera volta a loro

    il volto e volta a lui lo sguardo guardo
    lontano non capisco lui fa un passo
    indietro e poi si volta è stato lui
    la folla si raccoglie e corre in urlo.

    Prendilo agguantalo
    che non ci scappi
    prendilo prendilo
    brutto assassino
    strappagli gli occhi
    sfondagli il cranio
    non ascoltarlo
    sfracellagli il naso
    strozzalo uccidilo
    agguantalo prendilo.

    Eccolo eccolo
    dannato mostro
    così giù colpi
    il tacco sui denti
    spaccagli in mezzo
    la spina dorsale
    via sulla spiaggia
    alla riva del mare
    tienilo abbassalo
    annegalo affogalo.

    Il nero lui la barba quasi bianca
    il saggio lui il mago della pioggia
    lui vecchio porco il guru della spiaggia
    il Gesucristo della passeggiata

    odori d'africane notti e sacchi
    di perle colorate collanine
    tappeti arrotolati ed acciarini
    lui maledetto che ha fatto alla bimba?

    La mamma tra i feroci si fa largo
    è stato lui vi dico è stato lui
    che la mia bimba in mare si perdeva
    e me la salva un tuffo e la riporta.

    _
    W a l k o



    I COMUNISTI

    Una poesia a cadenza decennale: l'avevo appena abbozzata nel 1984 in forma di canzone, l'ho scritta nel 1994 e poi obliata, confusa e coperta da troppe delusioni e troppe vicissitudini; oggi nel 2004, al termine di un lungo periodo di riflessioni, di studi, di dolore e di rabbia, nel momento in cui diventa necessario e urgente attribuire il giusto significato a parole troppe volte usate a sproposito, con qualche minuscolo ritocco ecco questa poesia tornare alla piena luce nella stesura finalmente definitiva e finalmente di nuovo, interamente, mia.


    I comunisti
    si fermano per strada
    a guardare la luna.
    I comunisti
    amano cantare
    e qualche volta danzano
    volando sulle note
    di melodie soffuse
    e canti popolari;
    sovente si innamorano
    anche già in là negli anni.
    I comunisti
    amano conoscere,
    si impegnano a capire
    cosa c'è dentro a un quadro,
    a una canzone, a un libro.
    I comunisti
    hanno qualcosa
    ancora da insegnare,
    puoi leggere e capire il mondo
    dagli anziani,
    guardando i tagli
    in quelle loro mani
    che han stretto arnesi,
    aste di bandiere,
    mazzi di fiori
    e canne di fucili.
    I comunisti
    con le loro mani
    alzate nella notte,
    sollevate nel cielo,
    chiuse in un pugno
    di riscossa e rabbia,
    han dato schiaffi al vento
    ed al dolore,
    e hanno teneramente accarezzato
    i propri figli, un sogno
    e il loro amore.
    I comunisti
    riavvolgono la notte
    nel velluto dei sogni
    e in carta di giornale,
    tra una bestemmia al vento
    e una preghiera,
    tra una cascata di ricordi
    ed un bicchier di vino,
    e riempiono il mattino
    delle città nebbiose
    o arroventate
    attraversando l'orizzonte
    in bicicletta.
    I comunisti
    son facili a commuoversi
    e molte volte i loro duri sguardi
    sanguinano di dolore
    o commozione,
    la loro voce inciampa
    nel singhiozzo,
    la loro rabbia di tuono
    si fa muta.
    I comunisti
    hanno l'anima soffice
    del bimbo,
    hanno il cuore profondo
    del vegliardo:
    amano il mondo, amano la vita,
    amano la bellezza e la speranza,
    e non ammettono
    che ci sia ingiustizia
    e non sopportano
    che ci sia dolore.
    I comunisti
    son rimasti i soli
    a non confondere la dignità
    col moralismo,
    a non scambiare la libertà
    col consumismo.
    Molti si illudono
    che i comunisti
    viaggino ormai le strade del tramonto,
    ma i comunisti
    esisteranno ancora.
    Noi, i comunisti,
    esisteremo sempre!

    _

    W a l k o



    I NUOVI EROI

    Il nuovo secolo è arrivato in un baleno
    imprevedibilmente,
    per me come per voi;
    il mondo nuovo non potrà fare a meno
    ineluttabilmente
    di nuovi eroi.

    I nuovi eroi
    non pensano,
    non parlano,
    agiscono.
    I nuovi eroi
    subiscono,
    e non reagiscono
    mai.

    Studi e ricerche del secolo passato
    non furono perduti,
    per nostra buona sorte:
    il gene eroico è stato individuato,
    son pronti gli attributi
    dell’uomo forte.

    I nuovi eroi
    non sognano,
    non sperano,
    connettono.
    I nuovi eroi
    si flettono,
    e non lo ammettono
    mai.

    Sono già pronti, già ben indottrinati
    dalle televisioni,
    lavorano per noi;
    son tutti belli, puliti e ben rasati
    son giusti e sono buoni
    i nuovi eroi.

    I nuovi eroi
    non bevono,
    non mangiano,
    si nutrono.
    I nuovi eroi
    faticano,
    e non si stancano
    mai.

    Va tutto bene, le guerre sono sante,
    coniugherà il domani
    potere e libertà;
    non più bambini tristi e mamme affrante,
    ché sarà in buone mani
    l’umanità.

    I nuovi eroi
    non cantano,
    non fumano,
    respirano.
    I nuovi eroi
    non amano,
    e non scopano
    mai.

    Il nuovo secolo è arrivato in un baleno
    imprevedibilmente,
    però siamo tranquilli;
    il mondo nuovo non potrà fare a meno
    ineluttabilmente
    degli imbecilli.

    I nuovi eroi
    non pisciano,
    non cacano,
    trattengono.
    I nuovi eroi
    non ridono
    e non piangono
    mai.

    Walko






    POESIA VIRGO LA SIA


    Madonna degli inchiostri
    se vai miracolando
    intorno a questi boschi
    di cemento
    davanti a questo sempre
    vai che ritorno d’acque,
    se d’immaginatinto
    bianco di cera il cero
    il fioco d’ombre intorno
    procurassi,
    potrebbero chissà
    come in eventi
    eventualmente tattili
    e visivi
    scivolando dal ciglio
    del ciglio tuo
    interroganti gocce
    anche parole
    scivolar sul bianco?

    Vergine degli inchiostri
    che sai il male
    di carte intonse
    senza versi di sangue
    e senza versi
    di voce,
    ascolta queste voci.

    Che non importa nome
    e provenienza:
    si fa per dir di traccia
    conosciuta
    purché sia traccia
    e non si straccia il detto.

    Così poesia,
    sia.

    _

    W a l k o




    W a l k o



    BYRON


    " Tu non mi ami
    e non mi amerai..."


    Che cosa ho visto?
    Ho visto la felicità
    che metteva le piume,
    la vanità e l'orgoglio
    mutarsi in stravaganza.
    Ho visto il sempre
    nascondersi nel mai
    ed il presente, adesso,
    attraversare
    il fiume del ricordo.
    Ho visto coi miei occhi
    lanciare in aria
    il mazzo delle carte
    ed infilzare
    l'asso di denari,
    in punta di fioretto.
    Ho visto le città
    piene di vita,
    i boschi e le campagne
    dal profumo di terra,
    d'erba e muschio,
    dall'odore di fango
    e latte inacidito.
    Ho assaggiato la notte,
    il suo sapore,
    dolce di ebbrezza,
    amaro di spavento.
    Ho visto troppe volte
    la mia noia
    travestirsi d'amore,
    ho visto troppo amore
    travestito di niente,
    ho creduto di amare
    troppe volte,
    e forse, invece,
    ho amato solo te.


    " Tu non mi ami
    e non mi amerai,
    né posso darti torto... "


    Che cosa vedo, adesso?
    Il cielo greco
    e le sue trasparenze,
    limpido e immenso,
    pieno del suo niente:
    stanno sulle montagne
    gli dei di Grecia,
    non affollano il cielo.
    Ma non ero venuto
    ai piedi dell'Olimpo
    a misurare il cielo
    con lo sguardo.
    Ero venuto
    solo per la storia,
    quella che cambia
    al suono del cannone,
    la storia che cammina
    sulle strade
    lavate con il sangue
    che si versa.
    Ero venuto qui
    con la mia corte
    di amici illusi
    d'accompagnarsi al mito,
    ad un mito che vive.
    Ero venuto qui
    con le oche, coi pavoni,
    coi cavalli,
    con un elmo piumato
    che reca, inciso,
    il motto "Crede Byron".
    Ero venuto qui,
    ritratto vagabondo
    di me stesso.
    E invece, adesso,
    sbarrati gli occhi
    sul vuoto del cielo,
    amico Trelawny, amico Pietro,
    amici cari di tante battaglie,
    senza battaglie,
    senza alcuna gloria,
    poveri amici,
    il mito sta morendo.


    " Tu non mi ami
    e non mi amerai,
    né posso darti torto,
    seppure è il mio destino... "

    Addio amori, tutti,
    addio per sempre.
    Addio per sempre
    belle mie parole,
    addio ai miei occhi,
    all'andatura incerta,
    all'eleganza,
    addio romanticismo.
    La notte
    sta scendendo
    nei miei occhi,
    ed anche il cielo greco
    mi sfuma dallo sguardo
    con tutti i miei ricordi,
    con tutti i miei amori,
    mille e più volti
    insieme, sovrapposti,
    e infine un solo volto,
    uno soltanto: il tuo;
    mille frasi d'amore,
    sussurrate, da mille bocche,
    ma non dalla tua,
    perché tu,
    forse solo tu,
    non hai mai detto
    - io ti amo,
    Geordie, ti amo -
    mentre la verità
    è che avrei voluto
    sentirlo dire, sai,
    solo da te,
    proprio così:
    da te. Solo da te.


    " Tu non mi ami
    e non mi amerai,
    né posso darti torto,
    seppure è il mio destino,
    a torto, forse... "


    E mentre questa febbre
    mi consuma le ultime forze,
    le meningi ed il cuore,
    mentre io chiudo gli occhi,
    tu forse stai scherzando,
    stai mangiando un bigné,
    ti stai specchiando,
    stai passeggiando
    e forse stai ridendo,
    ma non c'è neanche
    un angolo di spazio,
    neanche un momento,
    per il mio ricordo.
    E mentre sta scendendo
    il sole all'orizzonte
    nell'ultimo tramonto
    dell'ultimo giorno
    della mia ultima,
    triste primavera,
    tu non ci sei,
    tu non mi sei accanto.
    Ho tanto,
    tanto sonno,
    e tanto freddo.
    Stammi vicino,
    abbracciami, ti prego,
    con il pensiero,
    anche solo con quello.
    Stringimi forte
    per la prima volta,
    per l'ultima volta,
    per l'unica volta,
    ma ti scongiuro:
    non lasciarmi solo.
    Non mi lasciare
    morire da solo.


    " Tu non mi ami
    e non mi amerai,
    né posso darti torto,
    seppure è il mio destino,
    a torto, forse,
    amarti invano,
    sempre. "
    _
    WALKO



    LI STORNELLI DE’R TRESTEVERINO


    scritti, sonati e cantati in collaborazione con Giovanna Riminucci alias Gio Girisper e Marco Giulio Fogliaroli alias Conroy Lenn


    Trestevere me fa’ da testimone:
    le donne qui so’ tutte belle e bone;
    mejo de tutte quante Nannarella,
    co’ ‘st’occhi neri e granni è troppo bella.

    Conosco ‘n posticino a Villa Ada
    che proprio nun se vede da la strada,
    lì ce se po’ ’nfratta’ tra le fraschette
    e soli soli, poi, gioca’ a tressette.

    Pìjate ‘n po’ de sole, Nannarella,
    e arza ‘n po’ de più ‘sta gonnerella:
    pe’ er bene tuo, dài, butta via la spocchia,
    sinnò te vie’ l’artrosi a le ginocchia.

    Me sbajerò, ma a me ‘sto reggipetto
    me sembra che te sta ‘n po’ troppo stretto;
    dovessi mai portallo esploderebbi,
    si fossi ‘n te io me lo leverebbi.

    Nun te sto mica a chiede ‘sta gran cosa!
    E dammela, nun fa’ la dispettosa!
    Si me la dai c’avrò riconoscenza:
    damme ‘na sigaretta ché sto’ senza!

    E certo che so’ serio, che te credi?
    E l’intenzioni mia, bhè, nun le vedi?
    Ogni mio desiderio è manifesto:
    io vojo la tua mano, e pure e’ resto.

    Si nun me credi o si me credi a stento
    te faccio ‘sto solenne giuramento:
    si nun te vojo fa’ mia, tutta mia,
    me possino cecamme e così sia.

    A’r vecchio tuo je parlo quanto prima:
    sta’ sempre a lavora’ de sega e lima,
    c’andrò co’ fiori rossi a lunghi steli
    appena ch’esce da Reggina Cieli.

    A mamma tua je parlerebbe adesso,
    però me tocca d’aspetta’ lo stesso;
    dall’afa nun se vive quest’estate,
    è annata a’r fresco: sta a le Mantellate.

    Tu’ nonno me vo’ bene e nun se sbaja,
    io lo saluto sempre: “ciao Zagaja!”
    E lui me core appresso e me sta a urla’:
    “te po…te po…te possin’ammazza’!”

    Me sa che tu’ sorella Maria Pia
    che c’ha er diploma ‘n dattilografia
    nun batte mai a l’ufficio la mattina,
    ma solo a notte su la Casilina

    Siccome che me squajo da’r calore,
    a quer fratello tuo che fa er pittore,
    che va dicenno che manco te piaccio,
    dije d’anna’ affa‘n cu…betto de ghiaccio.

    Io t’amo senza soste e né riposo
    però davanti a’r prete nun te sposo
    io te ce portebbe ar municipio
    si nun l’ho faccio è solo pe’ principio.

    E tra un discorzo e l’antro finarmente
    ce semo poi ‘nfrattati dorcemente
    co’r cielo blu che ce facea da tetto
    li prati verdi che facean da letto.

    Ah Nannare’, m’hai fatto pure piagne
    a me che nun me smovono le lagne
    quanno m’hai detto “sai, so’ disperata,
    so’ sterile!” Che d’è, te sei sbajata?

    So’ già passati da quella giornata
    tre mesi e Nannarella s’è ‘ngrassata
    nun è ‘na panza da cura’ co’ diete
    me tocca de portammela dar prete.

    Trestevere me fa’ da testimone:
    le donne qui so’ tutte belle e bone;
    Oh Nannarella, che t’ho tanto amato
    co’ ‘st’occhi neri e granni… m’hai fregato! _

    W a l k o


    Chiedo venia e licenza per gli eccessi e le birichinate verbali contenute nel testo seguente, che comunque ho scritto con puro spirito buffonesco e, si sa, ai giullari e proprio solo a loro veniva concesso persino di sputare in faccia ai sovrani.


    GIULLARATA IN OTTAVA RIMA

    Otto sillabe vergate
    'n otto versi per ottava,
    rime fluide e cadenzate
    com'ai tempi si cantava
    quanno, fusse laico o frate,
    ciasched'omo poetava,
    e l'Italia era un casotto,
    mentr'adesso è un quarantotto.

    Tempi belli, veramente,
    sanza fiacca ipocrisia,
    che 'l nimico malagente
    si sgozzava per la via
    come fusse men de niente,
    conciochesiaccomessia.
    Or l'offeso sta inchinato
    'nanzi a chi gli ha 'l cul forato.

    Sì 'l potente ha gentil scorta
    de' castrati e degl'ignavi,
    leccapiedi d'ogni sorta
    con cipigli seri e gravi.
    L'alma d'onne onor s'è morta:
    peggio servi è d'esser schiavi,
    ché lo schiavo c'è costretto,
    ma chi serve è a suo diletto.

    Che saran poi ‘sti cialtroni,
    capintesta e dirigenti?
    Oh, che? Tirano ceffoni?
    Taglian dita? Spaccan denti?
    Tardi e lenti, son poltroni,
    parassiti inefficienti,
    quest'è il male che ti fanno:
    sola beffa, unico danno.

    E siccome son giullare
    e de' verbi fo alchimia,
    prest'assai qui vo' cantare
    pei signor di casa mia,
    cui l'aruspice vo' fare,
    messagger la mi' poesia,
    per ancodie, per dimane
    e onne tempo che 'l rimane.

    Che a l'un frani una montagna,
    su la zucca, che l'estingua;
    l'una, mentr'al desco magna,
    che si tranci via la lingua;
    ‘n'altra, che le s'accompagna,
    che una macina la stringua
    fin che schizzinole via
    le budella, e così sia.

    Pria che tali avvenimenti
    portin essi a sepoltura
    come è d'uopo agl'escrementi
    nella sozza fognatura,
    augurogli altr'accidenti,
    nell'assai giusta misura
    che bisogna a certa gente
    che si crede onnipotente.

    L'una, mentre va pensando,
    le s'imbamboli 'l cervello;
    altro, proprio giusto quando
    stà giungendo in sul più bello,
    venga, al che va copulando,
    la paralisi all'augello;
    altri l'occhi, per tormento,
    caschino sul pavimento.

    Per goduria vostra e mea,
    che gli vengano i bubboni,
    la pellagra e la piorrea,
    guasti al fegato e ai polmoni
    poi lo scolo, e la diarrea,
    ed un crampo ne' coglioni,
    e alle donne, maledette,
    che l'esplodano le tette.

    La sifilide li prenda,
    gli si rompano i ginocchi,
    la malaria che li stenda,
    se li mangino i pidocchi,
    l'emicrania che li renda
    deboli, straniti e sciocchi,
    e altri simili sprofondi
    pria che vengan moribondi.

    Valga certo tutto questo
    pei potenti dei paraggi
    quant'a quelli che nel resto
    del Paese, co' lor paggi,
    passan piano o a passo lesto
    e vi lascian lor'oltraggi:
    parlo de' politicanti,
    fanfaroni governanti.

    Valga ciò pei deputati,
    saltafossi stravenduti,
    cianciaballe patentati,
    pei ministri sprovveduti
    de' governi sciagurati,
    sieno idioti ovver astuti,
    valga ad essi, ad onne ore,
    onorevol senz'onore.

    Valga ciò pei magistrati,
    pei notari e la sbirraglia,
    papi, monsignor togati,
    che sian vescovi o pretaglia,
    cardinali, suore, frati,
    stesse paste di canaglia
    che per un soldo bucato
    vendon Cristo sul mercato.

    Valga pei presentatori
    che dalle televisioni
    più cazzate sparan fuori
    più s'intascano milioni;
    valga per i calciatori
    miliardosi di palloni,
    valga per i giornalisti
    leccapiedi e servilisti.

    Valga poi per i dottori,
    medici, demiurghi, maghi,
    gran chirurghi e professori
    con le cliniche sui laghi,
    ciarlatani ed impostori
    che t'inculano e li paghi,
    e se crepi non c'è guaio:
    mai non paga il macellaio.

    Valga ancora pei banchieri,
    pei mercanti e gl'industriali,
    valga per i finanzieri
    che barattan capitali,
    bottegai e faccendieri,
    ricchi ed avidi maiali
    che non pagano le tasse,
    ma le chiedono più basse.

    Valga pei sindacalisti,
    leccaculi ed impostori,
    brutta razza di arrivisti
    prona innanzi a lor signori,
    cui la pelle, già non visti,
    vendon dei lavoratori,
    poi si dicono innocenti,
    brutta razza di serpenti!

    Anche a tutta questa gente,
    come agl'altri che già dissi,
    che si nomina potente,
    pria che come stocafissi
    posino rigidamente
    tra quattr'assi malinfissi,
    vorria far gl'istessi auguri
    che a quegl'altri, e anche più duri.

    Qual giullare che motteggia,
    che sberleffa e gira il piano,
    augurogli che 'na scheggia
    gli si ficca in una mano,
    e che tosto una scoreggia
    gli sfracella il deretano,
    e che un rospo li ruini
    poi che in occhi loro urini .

    Fa che piova su lor teste
    sangue, fango e ogni sozzura,
    e che a certe loro feste
    muti in vermi la verzura,
    vino in piscio, e la lor veste
    'n sacchi per la spazzatura;
    che il tesoro lor si perda
    trasmutando l'oro in merda.

    Ben'allora, fuor di gioco,
    si conosca, buone genti,
    che a gettar acqua sul foco
    si fa 'l gioco de' potenti,
    ché i signori valgon poco
    e con poco li spaventi:
    per cacciarli in ritirata
    basta appena una risata.

    Dunque, via, siate orgogliosi,
    non lasciatevi schiacciare,
    siate forti e coraggiosi,
    pronti a ridere e a cantare,
    ma s'è 'l caso minacciosi
    con chi vuole tracotare,
    ché si nutre lor potenza
    di terror e d'obbedienza.

    Or che ottava è giunta a fine
    di sua trama e di su' ordito,
    a voi, genti al cor vicine,
    non fo che l'ultimo invito:
    pria che torni a le sue spine
    d'ogni dì, v'ha divertito,
    dunque sia grazioso e bello
    vostro plauso al menestrello!


    W a l k o


    NINA


    Nina Nine'
    che il mondo è una finestra
    e tutto il cielo chiuso
    al quinto piano,
    sciacquare i piatti,
    biancheria al balcone,
    bandiera al vento chiuso
    dei cortili,
    televisione, spesa, quattro passi,
    a casa in fretta
    prima che lui torni,
    tanto silenzio
    e mai una carezza.
    Nina Nine'
    che posso dire ancora?
    Forze ca tiene
    st'uocchie grande e scure
    che 'e llagreme
    te fanno balena’,
    forze che quanno chiagni
    si' chiù bbella?
    Forse dirò
    che in fondo è colpa tua,
    che questa vita
    te la sei voluta?
    Sei tu che hai scelto
    o è lui che ti ha ingannata?
    Nina Nine'
    magari potrei dire:
    "forse domani
    cambierà la storia,
    fatti coraggio
    e affila la speranza",
    parole vuote,
    senza qualità.

    Ni’, dimme sulamente,
    ddocemente,
    ca tiene voglia
    de durmi', sunna',
    e po' scetarte, e ridere,
    e cantà;
    ca tiene voglia
    de varda' 'sta luna
    che chianu chiano
    sale 'n coppa ‘o cielo;
    ca tiene voglia
    d'una birra fresca,
    de fatte 'na panzata
    'e maccherune,
    d'esci', pe' ccamminà
    sott' a 'sta chiova,
    dimme ca tiene voglia
    ‘e scumpari’...
    ma nun me di', Nine',
    famme 'o piaciere,
    ca tiene voglia
    'e chiagnere…
    'e muri'.

    Nina Nine'
    che una mattina si alza,
    non va in cucina
    e lascia il letto sfatto,
    si pettina, si trucca,
    fa un sorriso
    e prende a calci
    l'universo intero.
    Nina Nine'
    saprò che dire,
    allora.

    _

    W a l k o

    Canzone tratta dalla commedia musicale "Er Tevere racconta", che sto scrivendo da un paio d'anni e mai finirò.

    Ambientazione: primavera 1848, festa de popolo a Testaccio pe' la promessa de nozze fra Lucrezia, sartina de Trestevere, e Nino, fruttarolo co'r banco a Porta Portese.

    coro:
    Daje, molla,
    pija e tira
    damme n’artra pastarella
    bona questa e bona quella,
    me ce vojo strafoga’
    Stappa, mesci
    versa e gusta
    Vignanello e Cannellino
    bianco, rosso che sia vino
    me ce vojo n‘fracica’

    Lucre’ quei occhi scuri che t’ha fatto
    tu’ mamma quanno che t’ha mess’a’r monno
    so’ tanto belli ma c’hanno ‘n difetto
    nun domannate che mo ve risponno:
    lei quanno m’ha guardato nun m’ha visto
    sinnò fra tutti a me m’avrebbe scerto
    si ce vedesse, e scusame s’insisto,
    er fruttarolo nun se pijava certo
    ché so’ er più bello de Roma e dintorni
    e so’ mejo de Nino sissignori
    e poi vendo farina pe’ li forni
    mica cipolle e prugne e cavorfiori.

    coro:
    Daje, molla,
    pija e tira
    damme n’artra pastarella
    bona questa e bona quella,
    me ce vojo strafoga’
    Stappa, mesci
    versa e gusta
    Vignanello e Cannellino
    bianco, rosso che sia vino
    me ce vojo n‘fracica’

    Attento farinaro a quer che dici
    sinnò poi va a fini’ che quarche giorno
    me scordo ch’eravamo tant’amici
    te trovi drent’a ‘n sacco e poi a’r forno

    A Ni’ qua stavi e nun me n’er’accorto

    sinnò s’avrebbe cucita ‘sta bocca

    me la riempivo, vedi che c’hai torto:
    fiori de zucca e quattro sartimbocca!

    E invece è tutta ‘n’antra la traggedia
    Lucre’ co’ ‘st’occhi bassi, e c’hai fregato
    ché timidella co’ ‘sta tua commedia
    te sei pijata er mejo de’r creato.

    coro:
    Daje, molla,
    pija e tira
    damme n’artra pastarella
    bona questa e bona quella,
    me ce vojo strafoga’
    Stappa, mesci
    versa e gusta
    Vignanello e Cannellino
    bianco, rosso che sia vino
    me ce vojo n‘fracica’

    Levàti i sordi pe’ le pagnottelle
    a venne ‘sta farina che guadagni?
    si nun ce stesse Ni’ co’ le cipolle
    me vòi di’ poi co’r pane che ce magni?

    Che magnerebbe, mo t’ ‘o dico io:
    er fegato se magna e solo quello
    ché bello dice d’esse più che un dio
    ma ‘ntnto er tempo core e lui è zitello.

    Si nun trovo ‘na donna a la mia artezza
    io nun c’ho corpa e ovunque la cercai

    tu provala a cerca’ ne la monnezza
    chissà che ce la trovi, hai visto mai?

    coro:
    Daje, molla,
    pija e tira
    damme n’artra pastarella
    bona questa e bona quella,
    me ce vojo strafoga’
    Stappa, mesci
    versa e gusta
    Vignanello e Cannellino
    bianco, rosso che sia vino
    me ce vojo n‘fracica’

    M’avete messo ‘n mezzo e che v’ho fatto?
    Me sembra d’esse er caprone ‘spiatorio
    ce lo sapete che io poi m’abbatto
    de crepacore vado a l’obbitorio

    Oh, nun me fa’ ‘sto scherzo propri'adesso
    che ‘r fruttarolo è uscito da’r mercato
    si schiatti me fai piagne a più nun posso
    e lì confesso che t’avrei sposato!

    Rega’, avet’ ascortato che s’è detto?
    Pur’io ce so’ fra tutt’i testimoni!

    Mo che succederà? Dio benedetto!

    Faremo festa a due bei matrimoni.

    coro:
    Daje, molla,
    pija e tira
    damme n’artra pastarella
    bona questa e bona quella,
    me ce vojo strafoga’
    Stappa, mesci
    versa e gusta
    Vignanello e Cannellino
    bianco, rosso che sia vino
    me ce vojo n‘fracica’
    Canta, balla
    salta e ridi
    batti er tempo co’ le mani
    nun ce frega de’r domani
    qui volemo festeggia’
    Magna, danza
    godi e strilla
    viva i vini generosi
    viva noi, viva li sposi
    poi sarà quer che sarà.

    _

    W a l k o



    Ciao[SM=g27811] [SM=x515520]


    [Modificato da danzandosottolaluna 25/01/2005 7.28]



  • fairy67
    00 25/01/2005 08:02
    NOUS, LES ARTISTES
    E' la mia preferita[SM=g27821]

    [SM=x515520] Mamy, GRAZIE d'averle portate anche qui[SM=x515520]



    Silvano, arrivederci dove nascono i Sogni[SM=x515524] [SM=x515519]


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    Aronne1
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    Amici
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    Wizard & Elf
    00 25/01/2005 10:08
    Aggiungi queste altre che, a suo tempo, io avevo raccolto......


    UNA DOMENICA UN PESCATORE


    Domenica trasforma
    in pescatore
    di pesci d'acqua dolce
    l'uomo stanco
    di navigare in acque
    amare e fonde
    tra guai problemi
    nodi e complicanze
    tra l'inquilina
    forse un po' distratta
    che non paga l'affitto
    da tre anni
    e la sua fidanzata
    un po' assillante
    che lo incatena
    giorno dopo giorno
    così fugge
    dalle acque amare e fonde
    una domenica
    che lo trasforma
    in pescator di pesci
    d'acqua dolce
    e per tre volte
    scende sulla riva
    dove la sera
    indugiano coppiette
    punto del fiume
    dove l'amor osa
    e getta dentro al fiume
    la morosa
    e getta dentro al fiume
    l'amorosa
    e getta dentro al fiume
    l'amo rosa.





    LAVORI IN CORSO


    Mi trovi in questo spazio
    ricavato
    con anni e sforzi
    di scavi profondi
    nella terra nel marmo
    nel cemento
    di giorni e di momenti
    e situazioni
    colpi del tempo
    tra lo scavo e i crolli
    aggiornando il registro
    dei lavori
    metri cubi di spazio
    e le tue mani
    partite vuote
    ritornate piene
    da lavori ultimati
    sempre in corso
    quando ogni istante
    passa sopra al cuore
    come un aratro
    o come una cometa
    e si fa il punto
    poi si ricomincia
    spazzando via
    detriti e pentimenti
    fino alla costruzione
    di una nicchia
    dove mi trovi adesso
    in questo spazio
    di nuovo paradiso
    provvisorio
    dove la luce
    si specchia nel buio
    ogni momento
    libertà entusiasmo
    ogni momento
    abisso spalancato
    dove tu puoi gettare
    le tue mani
    come memorie
    o come salvagenti
    come un pretesto
    o come una ragione
    per chiedere
    per farsene ragione
    partite piene
    ritornate vuote
    quando tornano ai polsi
    le tue mani.



    LA COPPIA

    Come dentro un bicchiere
    di sambuca
    quando si scioglie una scheggia
    di ghiaccio
    si avvolge la serata
    in un fine giornata
    di soliti non so
    ognuno gode come vuole
    o può.

    Accendono qualunque
    trasmissione
    purché sia video
    luci colorate
    o affidano speranza
    all'aleatoria danza
    che alterna rosso nero
    e la verde illusione
    dello zero.

    Si chiudono nei circoli
    salotti
    nelle auto buie
    su strade illuminate
    altri cantano in coro
    un vespro un ossimoro
    nel silenzio assordante
    di un monastero
    di un ottovolante.

    La coppia lei e lui
    la donna e l'uomo
    senza parole
    musica richiami
    gli occhi leggono gli occhi
    spalle fianchi ginocchi
    il già stato e l'adesso
    giocano il gioco
    magico del sesso.

    Lei si è sfilata calze
    sentimenti
    pizzi ricordi intimità
    stagioni
    nuda senza difesa
    sul linoleum distesa
    ha un sussulto un sospiro
    il gioco spezza e accelera
    il respiro.


    Lui si è levato pantaloni
    ombre
    camicia e turbolenze
    di pensieri
    e si abbandona al gioco
    febbre favola fuoco
    lei geme e lui al fianco
    gocciola amore
    sul linoleum bianco.



    AZZERAMENTO


    Attraverso grovigli
    di strade
    di palazzi cortili
    intervalli di campi
    coltivati a girasoli
    o granturco
    macchie di oscurità
    fra lampioni e finestre
    e altri occhi
    di luce giallastra
    spalancati sul vuoto
    di una notte distratta,
    vanno a coppie
    intrecciate
    ombre stanche
    e indecise
    abbracciate in un tango
    in un bacio
    in un soffio
    di promesse e scommesse
    d'una cosa
    che certi,
    i poeti gli ingenui
    e gli illusi,
    han chiamato
    col nome di
    amore.

    COSE DEL CONFINE

    Qualcosa è che è successo
    o la superficialità
    di un'apparenza
    intrinseca esteriore
    quanto si vuole
    quando si vuole
    quando non si può evitare #
    la punta dell'iceberg rovesciato
    dove la base o l'apice
    è lo stesso
    fa lo stesso
    se il cuore
    gira intorno al vuoto
    e di vuoto
    si nutre il pensiero
    e questo non è sentimento
    semmai metastasi
    di sentimento #
    dietro a un angolo
    lo spazio di ventanni
    leggerle un diesis disperso
    nel fondo di una calza
    in un surplace di nylon
    agitarla attentamente
    leggerle fortemente
    le istruzioni
    prima dell'uso
    prima dell'abuso #
    desiderio rinuncia
    occhi bocca sorriso
    immagine panchina
    gambe incrociate
    le sue forme sinuose
    che piacciono tanto
    agli uomini
    ai pazzi ai poeti
    ai tastieristi privi di musica
    alla musica
    dei sensi dei silenzi
    da misurare e spargere
    col contagocce
    sulla bocca sugli occhi
    sulla metastasi del sentimento #
    matita che danza
    sintesi chemio-cuore
    per il vuoto che resta
    ed il resto che cambia
    che gira se gira
    sopra intorno al pensiero
    che gira nel vuoto
    tra il vuoto
    del cuore.

    ANCHE SE COME SEMPRE
    ( A VOLTE NON LO SI DIREBBE )


    Troppo rapidamente forse
    scivolo acrobatico
    in precario equilibrio
    sulle parole sui pensieri
    sul filo
    con un ombrello aperto
    sulla valanga
    di nuove emozioni
    poco romantiche
    vagamente algebriche
    magari disarmoniche
    come note gettate alla rinfusa
    tra pieghe delle mani
    e di lenzuola
    lasciate ad asciugare
    nella nebbia
    appese al filo
    di un discorso incompiuto
    come un poema discusso
    senza troppo trasporto
    da una critica
    disinvolta e distratta
    perduta fra le nuvole
    e gli oggetti
    dimenticati dentro ai ripostigli
    oppure straripati dai cassetti
    pieni di cose vecchie
    vecchi di cose nuove
    e fuori posto
    come un capostazione ferroviario
    aggrappato o a cavallo
    di un aliante impazzito
    che vola intorno al centro
    dell'universo visibile
    e a volte immaginario
    come il futuro di ieri
    quasi straordinario
    affogato in un oggi qualsiasi
    in un qualsiasi momento
    di stasi e riflessione
    su questo insolito nulla
    e al di fuori del nulla
    solo un nuovo cinismo conquistato
    un algido sorriso acquistato
    al prezzo di troppa lontananza
    e senza più residuo di speranza
    eppure nonostante tutto questo
    ti amo come sempre
    anche se come sempre
    a volte non lo si direbbe.

    GLI UOMINI NON SONO TUTTI UGUALI


    Gli uomini non sono tutti uguali
    però sembrano tali
    se mescolati insieme alla rinfusa
    nell'amalgama del tutto indistinto
    ad uno sguardo sfuocato ed arreso
    dalla distanza ed alla superfice
    o dalla prospettiva ingannatrice
    che oscilla fra la scienza e il pregiudizio
    per cui gli uomini sono tutti uguali
    fasci di nervi muscoli ironia
    impalcature ossee ideali
    vasi sanguigni grumi culturali
    che vanno nella stessa direzione
    con gli stessi affanni
    imprigionati da una gabbia di anni
    si corteggiano e dopo si respingono
    si rincorrono e dopo si allontanano
    scambiandosi e infliggendosi a vicenda
    premi senza merito
    condanne senza colpa
    ritorni sempre privi di partenze
    illusioni di assurde appartenenze
    tutti lasciati andare alla speranza
    di qualche imprecisato cambiamento
    tutti uniti e dispersi
    talmente uguali da essere diversi.




    COSI' VEDO I TUOI OCCHI


    Occhi di brace
    occhi alla brace
    al forno in tegamino
    con contorno abbondante
    di patate affogate
    in salsa di ricordi
    ricami e rime
    fantasia di prosciutto
    vario formaggio fuso
    sciolto come i tuoi occhi
    che colano sulle guance
    gocciolano dal mento
    sul seno sodo e poi
    sul pavimento:
    così vedo
    i tuoi occhi.
    Così
    vedo i tuoi occhi:
    incollati ad un video
    teleschermo gigante
    di colori e di storie
    vaghe ed artificiali
    storie d'amore supposte
    e reclame di supposte
    aspirine e sapone
    che deterge
    e profuma la pelle
    dentifrici e assorbenti
    mescolati col sangue
    di una storia non vera
    di spari a fior di labbra
    rosa cronaca nera
    tutta piena di amore
    di assassini e sospiri.
    Così vedo i tuoi occhi:
    come un giro di vite
    come vite rifatte
    lotterie silicone
    sensazioni di vetro
    fissi contro il tramonto
    di sogno e di cartone
    che racconta di viaggi
    ed isole palmate senza vento
    avventure di sale
    sottintesi palesi
    di promesse lascive
    di erotismi e vacanze
    tra bagagli ed odori
    di sudori e di stanze.
    Così vedo i tuoi occhi:
    come il vento che taglia
    i tarocchi e le vene
    la linea dell'ombra
    la coda delle sirene
    e ti toglie il respiro
    ti regala uno stile
    l'ora del grido
    emozioni di plastica
    e ardimenti del turbo:
    vorrei farti l'amore
    e invece ti masturbo.
    Ti masturbo con gli occhi
    con parole aggrovigliate
    attorcigliate al sasso
    che getto nello stagno
    dei tuoi occhi
    ed alle frecce
    come dei segnali
    che scoccano dall'arco
    delle sopracciglia
    sui tuoi occhi di brace
    i tuoi occhi alla griglia.



    L'ULTIMO CAFFE' APERTO

    Appena due parole
    son bastate
    impastate di note imbrogliate
    perché la caffetrice
    dalle tette giganti
    e la parrucca
    biondo accidentale
    con un gesto teatrale
    sciogliesse un po' di trucco
    sulla faccia
    e appoggiasse le braccia
    sul bancone schiumoso
    dei ricordi di birra
    così donando all'ultimo arrivato
    un sorriso insaccato
    e le sue labbra secche
    per un povero bacio
    dal sapore di cacio.



    UN VALZER SI TROVERA'

    (Valzer di Parole)


    Zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappaffù
    mano due ciminié
    re
    nel cielo della città
    pappazzùm
    pappavvò
    lano due capiné
    re
    o pipistrelli chissà
    rattazzùm
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappasvén
    tolano panni sté
    si
    due gonne due calze blu
    pappazzùm
    pappannèl
    l'aria odori sospé
    si
    d'erba gasolio e ragù
    rattazzùm
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappassùl
    le panchine del vià
    le
    i vecchi fermi stan là
    pappazzùm
    pappaccòn
    un ombrello e un giornà
    le
    finché il tramonto verrà
    rattazzùm
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappaddiùn
    aereo la pancia gri
    gia
    si vede passar di lì
    pappazzùm
    pappazzùn
    uomo con la valì
    gia
    cerca e non trova un tassì
    rattazzùm
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappassò
    gnano due carcerà
    ti
    la via della libertà
    pappazzùm
    pappaslì
    ttano due innamorà
    ti
    verso la cattività
    rattazzùm
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappaddàn
    zano due muratò
    ri
    sopra un ponteggio lassù
    pappazzùm
    pappallà
    bimba annaffia due fiò
    ri
    due gocce cadono giù
    rattazzùm
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappà
    zum
    pappaccà
    dono giù nella strà
    da
    piena di gente che va
    pappazzùm
    pappattàn
    to dovunque si va
    da
    un valzer si troverà
    pappazzùm
    pappazzùn
    valzer si trò
    verà
    zan zan.


    [SM=x515571] Walko






  • danzandosottolaluna
    00 25/01/2005 13:08


    Sì, Paolo...[SM=x515520]



  • OFFLINE
    THEBEACH45
    Post: 1.675
    Post: 833
    Amici
    Senior
    Stella di Sshhh...
    00 26/01/2005 13:12


    Vi fa un grande onore questo onorevole tributo all'amico.[SM=g27811]


  • OFFLINE
    darcri
    Post: 12.482
    Post: 6.200
    - T e a m -
    Master
    00 01/08/2005 19:01

    Era così tanto che non visitavo questa sezione che...non avevo letto
    questo omaggio bellissimo[SM=g27816]

    Grazie[SM=x515516] [SM=x515524]

    Ciao Silvano...sei in ottima compagnia lassù tra le Stelle...[SM=x515636] [SM=x515523]
  • OFFLINE
    orcomansueto
    Post: 943
    Post: 473
    Amici
    Senior
    Giovani promesse
    00 12/08/2005 23:25

    Un'eco deandreiana personalizzata con arte finissima.[SM=g27811]
  • fairy67
    00 09/09/2005 01:31

    [SM=x515524]
  • OFFLINE
    AnamVera
    Post: 995
    Post: 752
    Età: 58
    Amici
    Senior
    00 13/03/2006 11:27
    Re:

    Scritto da: orcomansueto 12/08/2005 23.25

    Un'eco deandreiana personalizzata con arte finissima.[SM=g27811]




    [SM=g27811] [SM=x515531]
  • danzandosottolaluna
    00 23/12/2006 15:30
    [SM=x515520] [SM=x515658] [SM=x515520]